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I vantaggi dell'unità d'Italia

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UN POPOLO DISTRUTTO: OLTRE 150 ANNI DI EMIGRAZIONE

Post n°1556 pubblicato il 11 Marzo 2011 da luger2
 

Il più grande esodo migratorio della storia moderna è stato quello degli Italiani.  Visitate il MEI, il Museo dell'Emigrazione Italiana al Vittoriano sul lato del Campidoglio a Roma. I numeri dell'emigrazione italiana sono impressionanti, quando si parla di esodo biblico non ci rendiamo conto di quello che diciamo eppure l'esodo è la nostra storia. 
Dal 1861 fino al 1985 più di 29 milioni di italiani sono emigrati ma le cifre più sicure si hanno a partire dal 1876, anno in cui si iniziarono a rilevare con regolarità le partenze degli italiani. Da quella data fino al 1985 sono più di 27 milioni gli italiani che hanno lasciato il proprio paese per andare a "cercare fortuna" altrove.
Dal 1876 al 1915 più di 14 milioni di italiani lasciarono l'Italia a fronte di 2,5 milioni di rientri. Nel giro di 30 anni emigrò quasi metà della popolazione italiana che nel 1900 contava circa 33,5 milioni di abitanti.
Gli emigranti disertano il processo di formazione nazionale e mettono in pericolo la nazione, questa era la prima reazione delle istituzioni di fronte all'esodo di massa dell'Italia post unitaria, esodo dettato dalla povertà e dalle condizione di vita insostenibili - “o rubare o emigrare” (al sud o brigante o emigrante) era la risposta secca che mons. Giovanni Battista Scalabrini, vescovo di Piacenza, riceveva negli ultimi anni dell'800 dai contadini che incontrava durante le sue visite pastorali. 
L'esodo è tale che vengono approvati provvedimenti per impedire l'emigrazione. In questo modo si accontentano i proprietari terrieri che chiedono misure restrittive contro la fuga dai campi. Se tutti vanno via chi coltiverà i loro latifondi?
«[...] Guardateci in viso, signor barone, le nostre facce pallide e ingiallite, le nostre guance infossate, non vi accusano esse, con la loro muta eloquenza, l’improba fatica e l’assoluta deficienza di nutrimento? La nostra vita tanto è amara che poco più è morte. Coltiviamo il frumento e non sappiamo cosa sia il pane bianco. Coltiviamo viti e non beviamo vino.  Alleviamo bestiame e non mangiamo mai carne..» Questo scrissero - naturalmente nel loro dialetto e scritto dai pochi che a quell'epoca sapevano scrivere.
I provvedimenti restrittivi non possono fermare quel fiume di gente e, per quanto in maniera frammentaria, il fenomeno dell'emigrazione di massa sarà in qualche modo gestito dalle autorità italiane. Dopo una prima fase di ostilità si cominciano a vedere i vantaggi di questo esodo: rimesse economiche, pacificazione sociale (le partenze come valvola di sfogo) e persino penetrazione in mercati ed aree che prima sembravano irraggiungibili.
Tra il 1876 e il 1900 le partenze interessarono prevalentemente le regioni del Nord, soprattutto  il Veneto, Friuli-Venezia Giulia, il Piemonte e la Lombardia.  Dopo il primato migratorio passò alle regioni meridionali come Sicilia, Campania e Calabria (grazie alla forzata unificazione nazionale!), prima del 1861 quasi nessuno emigrava dal Sud! Di questo imponente esodo umano 7,6 milioni vanno nelle Americhe (Argentina, Brasile, Stati Uniti, Canada), 6,1 milioni emigrano in Europa (Francia, Belgio, Germania, Svizzera). Altre destinazioni saranno l'Australia e altri paesi.
Agli inizi del '900 la folla di migranti nei porti suscita pietà nei residenti delle città, ma più spesso il sentimento che quella folla suscita è paura. L'America è il sogno e i migranti aspettano nei porti per essere imbarcati sui “vascelli della morte” per raggiungere quel sogno. I vascelli spesso non potevano contenere più di 700 persone, ma ne caricavano più di 1.000, e partivano, senza la certezza di arrivare a destinazione. Saranno in molti a morire in quei viaggi verso il sogno. Le condizioni di viaggio sono terribili, è facile contrarre una malattia se devi stare stipato per diversi mesi in mezzo al mare insieme ad altra gente senza troppo spazio per muoversi. Non mancano i decessi. Tra i casi più clamorosi di “vascelli fantasma” con decine di morti durante la traversata, il “Matteo Brazzo”, nel 1884, in un viaggio di tre mesi con 1.333 passeggeri ha avuto 20 morti di colera ed è stato respinto a cannonate a Montevideo; il “Carlo Raggio” in un viaggio del 18.12.1888 con 1.851 emigranti ha avuto 18 vittime per fame e in un altro viaggio, del 1894, 206 morti di cui 141 per colera e morbillo; il “Cachar” che partito per il Brasile il 28.12.1888 con 2.000 emigranti ha avuto 34 vittime per asfissia e altri per fame; il “Frisia” in viaggio per il Brasile il 16.11.1889 ha avuto 27 morti per asfissia e più di 300 ammalati; nello stesso anno sul “Parà” un epidemia di morbillo uccide 34 persone; il “Remo”, partito nel 1893 con 1.500 emigranti, ha avuto 96 morti per colera e difterite e fu respinto dal Brasile; l’“Andrea Doria” nel viaggio del 1894 ha contato 159 morti su 1.317 emigranti; sul “Vincenzo Florio” nello stesso anno i morti sono stati 20 su 1.321 passeggeri. Le navi degli emigranti, per tutto l’Ottocento, non avevano infermerie, ambulatori e farmacie, e tra il 1897 e il 1899, più dell’1% degli arrivati a New York è respinto in Italia perché ridotto in pessimo stato dalle sofferenze del viaggio. La sola ricchezza che gli emigrati portavano nel loro viaggio era la forza delle loro braccia. Nei paesi di destinazione svolgevano i lavori più pesanti, quelli rifiutati dagli altri, come le opere stradali o ferroviarie, il piccolo commercio, attività capaci di garantire un guadagno immediato da spedire alla famiglia rimasta in Italia. E tra quei lavori non potevano mancare quelli più pericolosi come nelle miniere e non mancarono le tragedie, come quelle di Monongah del 1907, la "tragedia dimenticata" di Dawson del 1913, quella di Marcinelle del 1956 e via e via che la memoria fatica a trattenere, come la sciagura di Mattmark del 1965 o la strage di operaie a New York il 25.3.1911, quando un incendio devastò gli ultimi piani di un palazzo che ospitava una camiceria dove lavoravano in condizioni disumane, con le porte sbarrate dall’esterno, 500 donne: delle 146 vittime almeno 39 erano italiane riconosciute "da un anello, da un frammento di scarpa", altre 10 furono considerate ufficialmente disperse. Quella stessa strage che forse ha dato origine alla commemorazione dell'8 marzo. La storia dell’emigrazione italiana non è e non può essere solo agiografica. Uno degli aspetti più tragici dell’emigrazione è lo sfruttamento dei minori. Tra Ottocento e Novecento i bambini sono venduti a decine di migliaia per 100 lire l’uno a trafficanti che li rivendevano alle miniere americane, ai cantieri svizzeri, alle vetrerie francesi. Come riporta il sito del MEI, solo negli Stati Uniti, a fine Ottocento si calcolavano 80.000 minori italiani appartenenti a quella categoria di girovaghi da cui escono delinquenti e prostitute. Questi bambini cominciavano raccogliendo legna o carbone negli scarichi, vendendo i giornali per strada, portando il lavoro dalla fabbrica a casa, e vivevano più per strada che a casa o a scuola e molti finivano per compiere lavori poco onesti.
Le condizioni di vita degli emigrati italiani nelle grandi città americane sono insostenibili a causa del malsano affollamento di uomini, donne e bambini stipati nella promiscuità e nel disordine.
Questi emigrati, spesso supersfruttati, venivano considerati dalla società ospitante come “indesiderabile people”. La loro segregazione in ghetti veniva giustificata dall’impossibilità del cafone meridionale di inserirsi in un contesto urbano dinamico e innovativo. In questa atmosfera non potevano non svilupparsi comportamenti di ostilità e la criminalità trovava terreno fertile. Le manifestazioni di autodifesa delle comunità etniche degenerarono, a volte, in forme di banditismo urbano o di delinquenza organizzata. Gli italiani diventano nell’immaginario collettivo criminali incalliti, sporchi, ignoranti, facili al coltello, mafiosi, straccioni, capaci solo di lavori pesanti o, al massimo, di vendere noccioline. 
La xenofobia produce diversi episodi di violenza contro gli italiani in molti paesi fra gli avvenimenti più gravi si ricordano:
- New Orleans (14.3.1891): 11 italiani sono massacrati da 20 mila manifestanti che avevano assaltato il carcere accusandoli di essere colpevoli dell’omicidio del capo della polizia di New Orleans, omicidio dal quale erano stati assolti. Il linciaggio era stato compiuto con una chiara responsabilità delle autorità locali che, pur essendo a conoscenza del progetto delittuoso e nonostante le richieste di protezione del console italiano, non avevano fatto nulla per impedire l’eccidio.
- Aigues-Mortes (17.8.1893): circa 2.000 operai francesi linciano 11 italiani (secondo il processo farsa che assolse tutti gli imputati; più di 200 secondo la stima di studiosi italiani) accusati di rubare il lavoro dei francesi nelle saline della Camargue, alle foci del Rodano.
- Zurigo (8.8.1896): si devono organizzare treni speciali per portare in salvo gli italiani da una spietata caccia all’uomo da parte di cittadini svizzeri.
- Tallulah (21.7.1899): 3 fratelli e 2 amici siciliani sono assassinati dopo una banale lite perché accusati di essere troppo gentili con i neri. (MEI)
Salvo pensare che l'italiano è sempre e solo buono, santo e lavoratore è inutile dire che tra i diversi milioni di emigrati ve ne furono anche di delinquenti, che negli Stati Uniti trovarono nella mafia la scorciatoia per raggiungere il “sogno americano”. «L’America è diventata la terra promessa dei delinquenti italiani» affermava all’inizio del Novecento il capo della polizia di New York (Richard Nixon nel 1973 rincarerà la dose: «Il guaio è che non se ne trova uno onesto»). 
Alla fine della Prima guerra mondiale riprende l'emorragia degli italiani, ma gli Stati Uniti introducono leggi restrittive fin dai primi anni '20 e poi interviene la crisi del 1929 a frenare l'emigrazione. Nonostante le leggi restrittive americane gli espatri dall'Italia fanno registrare cifre spaventose con una media di circa 303.000 l’anno tra il 1921 e il 1925 e in seguito alla crisi del 1929 si riducono a circa 91.600 l’anno. Le restrizioni  americane e la crisi frenano l'emigrazione degli italiani e incanalano i flussi verso nuove mete, principalmente in Europa.
Tra le due guerre partono oltre 4 milioni di italiani a fronte di circa 1,5 milioni di rientri e alla fine del secondo conflitto mondiale l’emigrazione dall’Italia riprende con vigore. Si va via perché non c’è lavoro e il paese è distrutto dalla guerra. Dal 1946 ai primi anni '70 partono circa 7,5 milioni di italiani, ne rientrano circa 4,5 milioni ma già dal 1973 i rientri superano annualmente le partenze. Gente in fuga dalla miseria, un popolo di oltre 27 milioni di anime in poco più di un secolo a partire dal 1876 (oltre 29 milioni se consideriamo il 1861 come anno di inizio dell'esodo), un fiume in piena di quasi 250.000 persone all'anno, con picchi che raggiungono, e spesso superano, i 650.000 emigranti all'anno. Non tutti potevano preoccuparsi di partire regolarmente. La clandestinità è stata per gli emigranti italiani una condizione antica, sono almeno 4 milioni quelli che sono partiti senza documenti dopo il 1876 e considerando che la clandestinità mal si presta a statistiche affidabili è ragionevole pensare che sia una sottostima.
L’emigrazione clandestina attraverso le Alpi verso la Francia era un percorso seguito dagli emigrati italiani, non solo piemontesi, ma anche siciliani. Nel 1962, 87 italiani trovarono la morte al “Passo del diavolo” presso Ventimiglia per recarsi clandestinamente in Francia. Ancora a metà degli anni '70 circa 30 mila bambini italiani erano tenuti nascosti in casa dai loro genitori emigrati in Svizzera che temevano di essere rimpatriati perché il governo elvetico proibiva ai lavoratori stagionali di farsi accompagnare dalla famiglia («non ridere, non piangere, non far rumore», questo dovevano dire i genitori ai «les enfants de l’ombre») . 
La grande emigrazione italiana può dirsi conclusa agli inizi degli anni '80 quando gli espatri sono uguali ai rimpatri. Lo sviluppo sociale ed economico del paese cambia la natura dell'emigrazione, non coinvolge più consistenti fasce di popolazione ma personale qualificato e tecnici, studenti e docenti universitari. Ancora oggi, ogni anno, circa 50.000 italiani cercano lavoro all’estero e secondo il Rapporto Italiani nel mondo del 2009 gli italiani residenti all'estero fino all'aprile del 2009(3.915.767) superavano gli stranieri in Italia (3.891.295).  

  tratto da http://cosechedimentico.blogspot.com

 
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