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Siamo nel 1859 o nel 2011? Questa la domanda che è passata nella mente a chi ha potuto godere dello spettacolo andato in scena questa mattina in piazza IV novembre a Caserta. Siamo al 17 marzo, giorno dei “festeggiamenti” per l’annessione del Sud al regno di Sardegna e della proclamazione del Grande Piemonte, eppure a Caserta il tempo pare essersi fermato a quando il Re delle Due Sicilie difendeva l’onore e l’orgoglio della propria terra. A farmi pensare ciò è l’azione di alcuni ignoti briganti che, forse scesi dalle montagne dell’alta Terra di Lavoro o forse ascesi dall’agro nolano, sono passati all’azione e hanno deciso di ricordare il proprio passato. Quale migliore testimonianza della Caserta borbonica che non dimentica il proprio passato, se non quella di infilare sotto il naso delle autorità politiche, militari, e amministrative della provincia di Caserta il vecchio bianco vessillo delle Due Sicilie? Tanto “audace” questo progetto che è stato messo in pratica dagli ignoti briganti moderni che nella notte tra il 16 e il 17 marzo sono saliti sui gradini del monumento ai caduti e hanno inalberato la bandiera duo siciliana, in memoria dell’antica grandezza e a dimostrazione di una voglia di lottare per uscire dallo stato di minorità in cui siamo precipitati dopo il 1860. Una notte di briganti visto che oltre alla bandiera in piazza IV novembre sono spuntati un po’ dappertutto i vecchi simboli della perduta nazione napoletana. In piazza Dante come pure in viale Unità Italiana, cuore di questi “festeggiamenti” casertani sono riapparsi i gigli borbonici, simbolo imperituro della grandezza della usurpata monarchia napoletana, e le scritte “W o’rre!”.
La scena più bella è stata quella che si è consumata proprio al monumento ai caduti. Sin dalla prima mattinata le forze dell’ordine sono cominciate ad affluire numerose sul luogo in cui dovevano avere inizio i grandi festeggiamenti e tutti sono rimasti incuranti di fronte al bianco vessillo che, complice il vento, garriva nella fresca aria mattutina di Caserta. A porsi il problema sono stati i curiosi cittadini che sono arrivati sul posto per la cerimonia o di passaggio verso altre destinazioni. Intorno alle 9 un anziano signore in bicicletta ha indicato la bandiera ai carabinieri e, interrogato da un’altra passante dubbiosa sul significato del vessillo duo siciliano, ha prontamente risposto: “E’ la bandiera borbonica. Vuless’ o’ciel’ turnasser’ i Borbone!”. Tutti contenti, insomma dell’azione brigantesca. Nemmeno il tempo di godere dello spettacolo a Caserta che una notizia si è diffusa tra gli addetti ai lavori giunti sul posto. Gigli neri e una scritta W i Borbone è apparsa tra Capua e Santa Maria Capua Vetere a coprire l’indegna lapide di Porta Capua (che in realtà è l’arco di Adriano!) che ricorda l’azione garibaldina
durante la battaglia del Volturno. Omettendo, ovviamente, il ruolo britannico visto che gli artiglieri (e forse l’artiglieria) erano inglesi giunti in aiuto del pirata dei due mondi. Un “w i Borbone” e tre gigli che, posso solo immaginarlo, sono stati lì messi in memoria di quanti caddero nei tristi giorni della fine del regno. Mi piace pensare che questo gesto brigantesco sia dedicato al capitano De Mollotdilaniato proprio all’arco di Adriano da una raffica di mitraglia anglo – garibaldina. L’azione brigantesca dell’altra notte ha dimostra che tra tutte le città dell’ex regno delle Due Sicilie, Caserta resta la figlia prediletta dei Borbone. Il popolo casertano, a differenza dei suoi politici e amministratori, non può dimenticare quanto la città tutta deve ai Borbone che nel suo territorio hanno eretto la Reggia e la Real Colonia di San Leucio, elevando il piccolo villaggio Torre al rango di vice capitale del regno più prospero e potente della penisola. La scelta di quei pochi che hanno voluto lanciare un segnale forte, issando quella bandiera e disegnando quei gigli, dimostra che Caserta e tutta Terra di Lavoro non ha dimenticato il grande impegno dei Borbone per questa terra. Impulsi economici e industriali, dalle bonifiche all’incentivazione alla creazione di industrie (tessile e cartiere dell’alta Terra di Lavoro, industria militare a Capua), dalla salute all’istruzione (con la fondazione di licei e scuole, l’ultima scuola aperta durante il regno delle Due Sicilie è l’attuale Itc Terra di Lavoro di Caserta, ex ragioneria, voluta da Francesco II).
La bandiera ha continuato a sventolare, in memoria di un grande passato e di tutti i caduti delle Due Sicilie morti per contrastare (prima e dopo il 1860) l’invasione sardo piemontese, fino all’arrivo delle autorità. La storia è stata allora messa da parte e il bianco vessillo, che ha fatto ritornare indietro nel tempo i casertani (almeno per una notte), è stato ammainato per lasciare il posto al tricolore repubblicano. Prefetto, Questore, presidente della Provincia, sindaci e amministratori hanno intonato l’Inno di Mameli. I bersaglieri della “Garibaldi” affollano piazza IV novembre, ennesimo ricordo di un triste passato. “Viva l’Ita(g)lia!”. Siamo tornati a questo stramaledetto 2011, con tutte le sue celebrazioni televisive e non.
Scritto da Roberto Della Rocca (Istituto di ricerca storica delle Due Sicilie).
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