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La giornata della memoria è alle spalle carica di emozioni soprattutto per chi ha vissuto gli anni bui. Ma i lager nazisti non erano una novità e ai più non è nota la prima vera forma italiana di deportazione, quella perpetrata alle popolazioni napoletane e meridionali, allora dette duosiciliane, compiuta tra il 1862 ed il 1873 dai Savoia. Anche quel fenomeno meriterebbe di essere ricordato, ma si sa che la storia la scrivono i vincitori e le verità nascoste sono patrimonio di pochi fieri.
Non si trattò solo di quei patrioti che i piemontesi chiamarono denigratoriamente “briganti” ma anche di quelle migliaia di soldati del Regno delle Due Sicilie invaso, deportati a Fenestrelle nel torinese, al confine con la Francia, ovvero il primo vero campo di concentramento della storia italiana, fomentato e giustificato dalle folli teorie razziste di Cesare Lombroso con le quali si intese dimostrare l’inferiorità e la criminalità dei meridionali basandosi su concetti di fisiognomica. Le fattezze somatiche non erano per lui caratteristica di semplice distinzione ma di discriminazione e per questo il cranio di meridionale dimostrava la sua tendenza a delinquere. I suoi studi furono poi utilizzati persino dai nazisti prima di essere smentiti dalla scienza ufficiale. Fu chiara propaganda filo-piemontese, ma in nome di essa si mandarono a morte e sofferenze in vita migliaia di duosiciliani.
I numeri della repressione sono negli archivi ufficiali e parlano di una strage di civili innocenti e indifesi: 6564 arresti, 5.212 condanne a morte, 54 paesi meridionali rasi al suolo (Pontelandolfo e Casalduni i più emblematici), 1 milione di morti. Queste le cifre della repressione consumata all'indomani dell'Unità d'Italia dai Savoia. Chi li ricorda? Nessuno! Non lo fa neanche il Presidente della Repubblica Italiana, per giunta napoletano. La prima pulizia etnica della storia contemporanea fu operata sulle popolazioni meridionali, autorizzata legalmente dalla Legge Pica promulgata dal governo Minghetti il 15 agosto 1863, con la quale si fece con la forza e col terrore l’Italia, ma non gli italiani.
I sopravvissuti furono fatti prigionieri e deportati nei lager dei Savoia dove, appena coperti da cenci di tela, ricevevano in pasto una misera brodaglia con del pane nero raffermo. Maltrattamenti e nefandezze fisiche e morali erano la prassi e, per oltre dieci anni, tutti i catturati, oltre 40.000, morirono di fame, torture e malattie varie.
Le condizioni igieniche erano oltre il limite dell’indecenza: sacerdoti, assassini, giovani, anziani, contadini e letterati erano ammassati tutti insieme senza coperte e senza luce. I vetri e gli infissi erano smontati appositamente per far patire a quei meridionali le temperature rigide del settentrione alle quali non erano abituati. Tutto questo per rubare loro il denaro che possedevano, e al sud ce n’era all’epoca.
Solo la morte liberava, e i corpi finivano disciolti nella calce viva posta in grandi vasche. Una morte priva di misericordia, di onori, di tombe su cui pregare, affinché non restassero tracce dei misfatti compiuti.
Dunque oggi nessuno ricorda quei martiri e a Torino, per giunta, è aperto al pubblico un “museo di antropologia criminale” dedicato al folle Cesare Lombroso che espone scalpi di meridionali. Un museo fondato nel 1876 che all’epoca intendeva testimoniare il posto centrale nella cultura positivistica di fine ottocento del sistema lombrosiano diffusosi nel mondo. Chiuso giustamente per circa un secolo, l’anno scorso è stato riallestito nel Palazzo degli Studi anatomici di Torino in vista delle celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia. Un bel modo per celebrare, non c’è che dire.
Per manifestare il proprio dissenso di fronte a tale iniziativa è nato su Facebook un gruppo di protesta de “l meridionali contro il Museo Lombrosiano a Torino” che conta ad oggi circa 7.000 iscritti di cui buona parte pronti a riunirsi in un corteo di protesta l’8 maggio prossimo per chiedere la chiusura immediata dell’esposizione e la restituzione dei resti dei “briganti” uccisi dai Sabaudi per i quali si reclama oggi una dignitosa sepoltura, utilizzati da Lombroso per i suoi studi ed esposti ora nel museo.
“Vogliamo dare un segnale forte – commenta Michelle Iannelli, organizzatore della manifestazione nonché medico specialista in psicologia clinica e psicoterapeutica – per far comprendere che Lombroso è un simbolo di quello che noi consideriamo un atto di aggressione dal punto di vista storico e scientifico nei confronti delle popolazioni del Sud”.
Il direttore del Museo, Silvano Montaldo, motiva così l’iniziativa: “Nessuno nega o vuole nascondere che Lombroso abbia avuto un atteggiamento razzista in alcuni dei suoi libri ma il razzismo non è centrale nella costruzione delle sue teorie. Per questo motivo il Museo non vuole esaltare la figura di Lombroso, ma storicizzarla, evidenziando anche e soprattutto gli errori fatti in quell’epoca”.
Gridare forte “viva l’Italia” l’anno prossimo non basterà a cancellare le nefandezze commesse ai danni dei meridionali. E durante le celebrazioni del Risorgimento qualcuno abbia la sensibilità di ricordare le vittime del sud, perché è col loro sangue e con i loro soldi che si è fatta l’Italia.
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