Creato da luger2 il 29/01/2008
I vantaggi dell'unità d'Italia

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BRIGANTI A ITRI

Post n°1592 pubblicato il 21 Marzo 2011 da luger2
 

Su iniziativa dell’Associazione Culturale “Terraurunca”, guidata da Daniele Iadicicco, e con il patrocinio del Comune di Itri, della Proloco e del Museo del Brigantaggio si svolgeranno a Itri una serie di eventi di alto interesse storico-culturale che ripercorreranno gli eventi storici locali e nazionali risorgimentali. L’evento di Itri, innestato nelle celebrazioni del 150enario, è l’esempio di come si sarebbe dovuta svolgere una tale ricorrenza quale momento di confronto e di verità fondamentali per una condivisione di ideali di unità. Domenica 20 marzo, alle ore 17.00, presso il Castello Medioevale di Itri, saranno inaugurate due mostre iconografiche che ripercorreranno l’Assedio di Gaeta del 1860-61 ed il Brigantaggio postunitario. Sempre domenica 20, alle ore 18.00, presso la sala del Castello sarà tenuta una conferenza illustrata, con la proiezione di documenti anche inediti, sulle vicende storico-politiche che portarono l’annessione dell’Italia al Piemonte.    Vi aspettiamo.

 
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Risorgimento contro l’identità italiana

Post n°1591 pubblicato il 21 Marzo 2011 da luger2
 

Quest’anno ricorre il 150° anniversario dell’attacco che la Rivoluzione sferrò contro i popoli italiani con l’ausilio dello Stato sabaudo, al quale la massoneria internazionale aveva affidato il ruolo di portabandiera.

Furono invasi manu militari - e senza dichiarazione di guerra - territori pacifici e spodestati i legittimi regnanti; furono annessi ai possedimenti piemontesi con falsi plebisciti; furono depredati tesori di Stato e ricchezze private; furono commesse violenze inaudite ancora nascoste nel segreto di archivi inaccessibili.

L’esito fu la scomparsa di regni millenari, come quello Pontificio, o dalla storia gloriosa e secolare, come le Due Sicilie, e la nascita di un nuovo Stato concepito da chi “pensava all’inglese e si esprimeva in francese” con l’intenzione di cancellare le identità dei singoli popoli italiani ed in particolare quei connotati spirituali che, soli, erano i fili che le legavano tutte: la fede e la tradizione.

Quel che è seguito è la radice dei “mali italiani” – etici, culturali, politici ed economici -, della mancanza di un’identità nazionale nella quale riconoscersi, della demonizzazione e dell’emarginazione di intere parti del Paese, della permanente spaccatura in fazioni che ha caratterizzato la storia di quest’ultimo secolo e mezzo.

Il Seminario 2011 di Fraternità Cattolica, prende in esame gli eventi del 1860-61 per ritrovare gli autentici elementi, le note distintive, dell’identità italiana.

 

Incontri:   ore 18.30  - Via Crispi, 36 A - Napoli

 

venerdì 25 febbraio - Miguel Ayuso - Il legittimismo di fronte alla Rivoluzione italiana

lunedì 7 marzo - Guido Vignelli - Italia, l’identità tradita dal Risorgimento

lunedì 21 marzo - Gennaro de Crescenzo - Due Sicilie, il Regno che poteva essere

lunedì 4 aprile - Pucci Cipriani - La reazione dell’Italia pre-unitaria: il Granducato di Toscana

lunedì 18 aprile - Antonella Grippo - Il brigantaggio, guerra nazionale e religiosa

 lunedì 2 maggio - Mario Montalto - Due Sicilie, l’aggressione militare

 

La S. V. è invitata

 

 
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CENTOCINQUANTENARIO: festa in tutto il Paese?

Post n°1590 pubblicato il 21 Marzo 2011 da luger2
 

Ma da Lampedusa a Bolzano c' è chi ha boicottato (o evitato) le manifestazioni......

 La pioggia è stata, implacabile. Ma non è riuscita a frenare l' entusiasmo dei tanti italiani che da Torino a Napoli, da Milano a Firenze, hanno deciso di celebrare l' Unità. La Notte Tricolore a Roma, che ha visto la partecipazione di oltre 130 mila persone nonostante il maltempo. Oltre 2 mila in visita al Consiglio regionale della Lombardia. Mentre centinaia di persone si sono raccolte ieri mattina in piazza Duomo a Milano per la cerimonia dell' alzabandiera che ha ufficialmente aperto le celebrazioni. Anche a Venezia folla, nonostante l' acqua alta, per l' alzabandiera. Coccarde e tricolori hanno invaso stazioni, uffici pubblici e strade. Una bandiera è stata portata dagli alpini persino sulla cima dell' Etna. E poi è stato un fiorire di iniziative legate al grande evento. Dalle deputate in mise tricolore all' ombrello verde bianco e rosso di Ignazio La Russa. E l' inno di Mameli è stato eseguito in contemporanea nelle 150 stazioni e negli aeroporti. Ma nell' Italia dei campanili non sono mancate le prese di distanza per le ragioni più diverse. In Sardegna i movimenti indipendentisti hanno boicottato la festa. Quelli di Sni (Sardigna Natzione Indipendentzia) hanno manifestato in 50 sotto la sede del Consiglio regionale a Cagliari contro «la sudditanza del popolo sardo». Mentre gli indipendentisti della Repubblica di Maluentu hanno marciato verso Punta La Marmora sui monti del Gennargentu dove hanno collocato la bandiera dei Quattro Mori. E Giovanni Colli, segretario nazionale del Partito sardo d' azione (oggi alleato del Pdl), al 5% alle ultime elezioni e un assessore in giunta regionale, chiarisce: «Non possiamo partecipare ai festeggiamenti. Lo Stato italiano è distratto rispetto alle esigenze di una terra come la Sardegna. Le celebrazioni mi lasciano indifferenti...». Fronti contrapposti a Bolzano, con il governatore Luis Durnwalder che ha già detto che non festeggerà (eppure, ironia del destino, è stato eletto presidente della Provincia autonoma di Bolzano la prima volta il 17 marzo 1989), il vicepresidente pd della Provincia Christian Tommasini a Roma a celebrare, e il sindaco pd di Bolzano Luigi Spagnoli all' alzabandiera in città. Lo stato maggiore di Fli (Bocchino, Menia e Granata) è sceso in piazza davanti al palazzo della Provincia. Mentre la deputata pdl Micaela Biancofiore si è esibita in una performance pro Unità d' Italia. Intanto sempre ieri la separatista Eva Klotz ha diffuso un polemico invito ai sudtirolesi: «Dato che è festa, andate a fare shopping in Austria». Interpellata, ha aggiunto: «Non abbiamo niente da festeggiare. Noi siamo stati annessi all' Italia senza la nostra volontà. Non si possono imporre sentimenti patriottici. Io sono tirolese». Alcuni sindaci, poi, non per ragioni antipatriottiche ma di critica verso il governo, hanno scelto proprio un giorno simbolico per protestare. Quello di Lampedusa, Bernardino De Rubeis, ha annunciato laconico, riferendosi all' emergenza immigrazione nell' isola: «L' Italia non ci è vicina e per questo tengo la bandiera a mezz' asta». E il sindaco dimissionario dell' Aquila, Massimo Cialente, ha occupato il pericolante palazzo Margherita, sede del Comune, in protesta contro l' immobilismo sulla ricostruzione post terremoto: «Nella festa dell' Unità d' Italia era importante lanciare un segnale al Paese». Un tricolore di protesta, poi, è comparso sulla torre di Marghera, in Veneto, dove da giorni protestano i lavoratori della Vinlys per la crisi dell' azienda. Infine, non sono mancate le proteste dei separatisti meridionali. In Sicilia Pasquale Zavaglia, dell' associazione «Due Sicilie Nicola Zitara», ha organizzato a Villa San Giovanni una contromanifestazione: «Tutta retorica. Da quando è stata fatta l' Unità d' Italia il Sud è diventato una colonia. L' Italia, nata 150 anni fa da un tradimento, continua a reggersi sulla menzogna». A Napoli, invece, dove sono stati pochi i tricolori esposti alle finestre e dove alcuni monumenti sono stati imbrattati di rosso, i neoborbonici hanno dato vita in varie piazze a contromanifestazioni di protesta. Ha spiegato Alessandro Romano, leader del movimento, al Corriere del Mezzogiorno: «Ho listato a lutto la mia bandiera, quella del Regno delle Due Sicilie. Per noi lo Stato italiano è nato nel 1946». Un' ultima curiosità: il sito della società «Calcio Napoli», ieri, è stato preso d' assalto da tifosi simpatizzanti neoborbonici, che hanno espresso più di un parere contro le celebrazioni.                             

 

 
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150 anni di occupazione

Post n°1589 pubblicato il 17 Marzo 2011 da luger2
 

Oggi non si festeggia l'unità del paese, si celebra la creazione dell'impero coloniale piemontese che assoggettò popolazioni intere, depredò le loro casse nazionali, espropriò i loro beni, spogliò le loro fabbriche, sterminò i loro patrioti che si opponevano al feroce occupante. Qualcuno mi spieghi cosa c'è da festeggiare ..... Non mi sembra un buon inizio quello di sterminare paesi interi, creare milioni di emigranti e milioni di poveri nell'80% del territorio. Quello è stato per noi papalini, per i meridionali, per i veneti ed i tridentini l'inizio ... della fine! Riguardo la mia Patria, quella con la P maiuscola, quest'anno celebra 1259 anni di storia. Una storia millenaria fatta, perlomeno negli ultimi secoli, di pace, prosperità economica e sociale.

Felice Spicocchi da ORGOGLIO PAPALINO

 
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Italia 150, il comunicato del Veneto serenissimo governo e il commento della patriota veneta Caterina Ossi

Post n°1588 pubblicato il 17 Marzo 2011 da luger2
 

VENETO SERENISSIMO GOVERNO

Ufficio di Presidenza

Basta con le frottole! L’italia è uno Stato criminale!

Basta con il vomito di menzogne nazionalistiche che il regime italiano ci continua a propinare. L’italia è uno Stato criminale che si è macchiato dei crimini più efferati nella sua storia. Le sue istituzioni, che si dicono eredi del risorgimento e della storia unitaria italiana, devono essere giudicate dalla corte penale internazionale per i crimini commessi nei 150 anni di cosiddetta storia patria.

I crimini commessi durante tutte le guerre di aggressione italiane sono rimasti senza colpevoli: nessuno ha pagato per l’etnocidio umano e culturale perpetrato nei confronti dei Popoli della Penisola; nessuno ha pagato per le decimazioni fatte nei confronti dei militari nella prima guerra mondiale; nessuno ha pagato per la complicità italiana nella Shoah; nessuno ha pagato per i crimini italiani commessi in Libia, Etiopia, Somalia, Croazia, Grecia, Albania, Slovenia, Russia, ecc.; nessuno ha pagato per l’emigrazione biblica in ogni angolo del globo dei Popoli della penisola avvenuta a causa dell’unità italiana e con la complicità dei governi italiani; nessuno ha pagato e paga per i crimini ambientali che causano periodicamente sciagure e tragedie.

 

Cosa ci sarà mai da festeggiare? Milioni di morti e crimini contro l’umanità? Chi vuole rendersi complice di ciò è libero di farlo, e ne risponderà alla propria coscienza e alla storia.

Noi come Veneto Serenissimo Governo, erede e continuatore della storia, cultura e tradizioni della Veneta Serenissima Repubblica, visti tutti i crimini italiani e le continue violazioni da parte dello Stato italiano del diritto internazionale, prendiamo per l’ennesima volta totalmente le distanze dall’Italia e dalle azioni nefande da essa commesse nei suoi 150 anni di storia.

Il Veneto Serenissimo Governo chiede al tribunale penale internazionale dell’Aja e a tutti gli organismi internazionali che i vertici dello Stato italiano (Presidente della Repubblica, Presidente del Senato, Presidente della Camera, Presidente del Consiglio, Presidente della Corte Costituzionale) siano giudicati per i crimini commessi durante l’occupazione italiana del Veneto perpetrata dal 1866 ad oggi, occupazione consumata in violazione degli accordi internazionale del 1866 (Armistizio di Cormons - Convenzione per le Venezie - Pace di Vienna). Occupazione che tutt’ora continua con danni umani, materiali, morali e sociali incalcolabili.

Inoltre il Veneto Serenissimo Governo chiede che i rappresentati dello Stato Italiano vengano giudicati per i crimini compiuti durante tutte le guerre di aggressione intraprese dall’Italia dalla sua costituzione ad oggi.

Viva San Marco!

Viva la Libertà dei Popoli!

Per il Veneto Serenissimo Governo

Il Presidente

Luca Peroni

Sono d'accordissimo che non c'è nulla da festeggiare giusto per i motivi che sono stati ben elencati... e si può senz'altro dire che l'insistenza alla noia di tutti i media (con quel che ci costano!) per convincere a festeggiare è la prova lampante che sanno essere moltissimi i convinti del contrario... naturalmente chissà che sventolio di tricolori e che discorsi roboanti!

Da notare che per la difesa di questa benedetta/maledetta unità  Rai 1 domenica sera in un programma di approfondimento si è ridotta a ingaggiare una miss inglese, che ha scritto chissà che opera su Garibaldi, scopiazzando qua e là! meritava di essere stoppata per la sua stupida quanto enorme presunzione  e forse solo l'educazione dei due giornalisti, il conduttore e Bruno Guerri, l'ha salvata! ...

Scusatemi se ve lo chiedo, ma quando chiedete che un tribunale internazionale giudichi, è perchè avete intrapreso qualche formale iniziativa? In caso affermativo, fatecelo sapere... almeno c'è un'attesa e una speranza. Sono sempre dell'idea comunque che nessuno regala niente e bisogna prenderselo se si ha la forza...(in futuro,speriamo vicino)

Grazie

Caterina Ossi 

 
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IO NON FESTEGGIO!

Post n°1587 pubblicato il 17 Marzo 2011 da luger2
 

Io oggi ho il cuore listato a lutto. E il mio pensiero corre alle migliaia di meridionali che hanno pagato con la vita l'amore per la propria terra. Ai milioni di “terroni” sparsi per il mondo, apolidi per sempre, per sempre privati di radici, per sempre lontani da ciò che hanno di più caro. Solo chi ha dovuto abbandonare il luogo in cui è nato e cresciuto sa quanta fatica costa ricominciare tutto daccapo, in una terra straniera, senza i profumi e i sapori dei luoghi dell'infanzia. Perciò oggi io accenderò una candela per ricordare che il benessere di questo Paese è stato costruito con il sangue di tutti noi meridionali. Questa nazione che ci umilia e non ci riconosce come cittadini ma ci tratta come sudditi ha un debito enorme con noi, perché senza le nostre braccia, il nostro sudore, i nostri sacrifici, senza le nostre lacrime, oggi l'Italia non esisterebbe. Perciò tremate politici tutti, che nemmeno una parola avete dedicato a questo tributo che la mia gente paga da 150 anni. Che continuate a fingere che i Savoia abbiano portato benessere e progresso al Sud.  Una nuova generazione consapevole ed informata si affaccia al mondo: la mia.  Per anni abbiamo vissuto nell'oblio e nell'ignoranza storica, grazie ai revisionisti che hanno scritto falsità sul Risorgimento. Ma adesso sappiamo e la conoscenza è un'arma potente e indistruttibile. Tremate, perché la resa dei conti è vicina.

(PATRIZIA PENNA)

 
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Manifesto di contestazione al Pantheon

Post n°1586 pubblicato il 17 Marzo 2011 da luger2
 
Foto di luger2

"Io non festeggio genocidi, la vita è  bella".

Il cartello fatto togliere, un po' bruscamente, da un uomo della sicurezza dopo pochi minuti. 

Fuori programma al Pantheon, durante le celebrazioni per il 150esimo anniversario dell'unità d'Italia. Subito dopo l'ingresso delle autorità, da un balcone di piazza della Rotonda è stato infatti issato un grosso manifesto con la scritta "Io non festeggio genocidi, la vita è bella", fatto togliere, un po' bruscamente, da un uomo della sicurezza dopo pochi minuti.
Poco prima dell'arrivo del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per l'omaggio alla tomba di Vittorio Emanuele II, un solitario contestatore ha fischiato l'ex erede al trono Vittorio Emanuele.

 http://qik.com/nonmiarrendo

 
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Unità d'Italia. Il parlamento istituì i lager per i soldati borbonici

Post n°1585 pubblicato il 17 Marzo 2011 da luger2
 

          DOCUMENTO INEDITO

Il 17 marzo 1861 si sa, fu il giorno in cui il parlamento italiano si riunì per la prima volta a Torino, ragion per cui la stessa data è stata scelta per celebrare il 150° compleanno dell'Unità d'italia. Ci sarebbe molto da discutere sull'individuazione della data, visto che ancora mancavano all'appello il Trentino, il Veneto e Roma, ma Gaeta e Messina erano cadute ed il Regno delle Due Sicilie era stato già conquistato (eccetto il presidio di Civitella del Tronto), ragion per cui i lavori parlamentari potevano finalmente iniziare.Il giovane parlamento si dovette però ben presto misurare con le emergenze militari che ancora funestavano il meridione d'Italia tormentato dalla guerra civile. Bande di insorti comoposti da contadini armati ed ex-soldati borbonici guidavano la guerriglia contro l'esercito piemontese ed i suoi fiancheggiatori.C'era poi il problema di migliaia di soldati rimasti fedeli a Francesco II che di giurare fedeltà a Vittorio Emanuele non ne volevano sapere (uno Dio ed uno Re). Fu allora che, anticipando di quasi un secolo i campi di concentramento nazisti, il parlamento torinese decise di istituire i primi lager della storia. Fenestrelle e San Maurizio Canavese, sono nomi ormai tristemente famosi per chi ha avuto modo di scoprire l'altra faccia del Risorgimento.Questo documento inedito, che riporta la relazione del Senatore Menabrea presentata in Senato il 25 aprile 1862, rivela un Italia ancora in guerra con se stessa a più di un anno dal fatidico 17 marzo, un Italia in cui il Parlamento è costretto ad istituire dei campi di concentramento per internare "gli individui dell'ex-esercito borbonico". Nel secondo documento inedito, proveniente dagli archivi storici di Fenestrelle, l'atto di morte di "Montalto Michele" un soldato borbonico siciliano ("Castelvitrano, circondario di Trapani") di soli 25 anni, deceduto a Fenestrelle nel 1866. Dopo ancora 5 anni dunque, ex militari del Regno delle Due Sicilie continuavano a marcire e morire presso i lager sabaudi.

di Davide Cristaldifonte da: http://comitatosiciliano.blogspot.com/2011/03/unita-ditalia-il-parlamento-istitui-i.html

 
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Ma quale Cavour, il padre della patria è Arlecchino

Post n°1584 pubblicato il 17 Marzo 2011 da luger2
 

Festeggiamo l'Unità d'Italia. In altri paesi lo avrebbero fatto commuovendosi, col cuore in mano davanti alla bandiera e facendo a gara a chi è più patriottico. Noi l'abbiamo buttata in vacca come al solito. Non è un caso. Inutile ripetere qui le molte ragioni per cui non siamo una nazione e riflettere ancora sul Risorgimento. È cosí e forse è il caso di farsene una ragione. Ma anziché celebrare con finto spirito unitario a cui non crede nessuno e offrendo il destro all'antiretorica e al gusto di una dissacrazione facile facile, avremmo potuto (e siamo ancora in tempo) festeggiare l’Italia unita celebrando il fatto di non essere una nazione. E fare di questo aspetto non un limite ma una realistica peculiarità, di cui andare anche un po’ orgogliosi, se permettete.È persino controproducente oltre che ottuso pensare che dovremmo essere una nazione unita e compatta come la Francia. E ogni volta a rimpiangere di non avere l'attaccamento degli americani e il patriottismo commosso e orgoglioso degli argentini, o il senso di appartenenza dei tedeschi.E certo che non ce l’abbiamo, siamo italiani!E vai con gli storici a dolersi sul Corriere e su Repubblica dei limiti del Risorgimento, dell’unità d’Italia come fissazione di un’elite ma estranea al popolo, e così via. Tutto vero, ma forse ora è più interessante capire come stanno le cose anziché rimpiangere come avrebbero dovuto andare. Non si capisce perché (ma soprattutto come) dovremmo emendarci per adeguarci a un modello per altro astratto di amor patrio, il tutto rimanendo italiani.Chi ha detto che per essere una nazione dobbiamo essere tutti uguali? Non a caso spesso si fa ironia sulla Svizzera, presa a esempio di omogeneo grigiore. Anziché nascondere maldestramente le differenze sotto una patina grigia di unitarietà, andrebbero celebrate le differenze, la pluralità, i pizzoccheri e gli arancini, la pigrizia intrisa di umorismo meridiano e la laboriosità seria e rigorosa di chi vive oltre il Po.L'Italia non sono Milano e Roma ma ottomila comuni in cui basta spostarsi di pochi chilometri per veder cambiar dialetti, facce, mentalità, cibo, abitudini, sguardi, nomi e cognomi e persino visioni del mondo, della vita e della morte. Piaccia o no sono italiani Ricucci e Umberto Eco, Bocelli e Leone di Lernia, Armani e Fabrizio Corona, Mastroianni e Alvaro Vitali, Paolo Conte e Berlusconi, Cattelan e De Mita.Antropologicamente l’italiano non esiste, e se esiste egli partecipa di un modello astratto di italiano, quello - a voler rimanere solo ai difetti - scostante come un genovese, cazzone come un napoletano, con la prosopopea del palermitano, la paraculaggine del romano, bamboccione come un bolognese, vanesio come un milanese, scaltro come un barese, gentile come un torinese, saccente come un fiorentino. Questa è l'Italia e questo sono gli italiani: una composizione arlecchinesca, un patchwork di culture e punti di vista, senza nemmeno avere il melting pot degli Usa. È forse questo il motivo della nostra originalità e dell'essere un unicum al mondo. E quindi festeggiamo il vero padre della patria, che non è Cavour ma Arlecchino.Di Giuseppe Morello

 
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Italia 150, ma Caserta è borbonica...

Post n°1583 pubblicato il 17 Marzo 2011 da luger2
 

Siamo nel 1859 o nel 2011? Questa la domanda che è passata nella mente a chi ha potuto godere dello spettacolo andato in scena questa mattina in piazza IV novembre a Caserta. Siamo al 17 marzo, giorno dei “festeggiamenti” per l’annessione del Sud al regno di Sardegna e della proclamazione del Grande Piemonte, eppure a Caserta il tempo pare essersi fermato a quando il Re delle Due Sicilie difendeva l’onore e l’orgoglio della propria terra. A farmi pensare ciò è l’azione di alcuni ignoti briganti che, forse scesi dalle montagne dell’alta Terra di Lavoro o forse ascesi dall’agro nolano, sono passati all’azione e hanno deciso di ricordare il proprio passato.

Quale migliore testimonianza della Caserta borbonica che non dimentica il proprio passato, se non quella di infilare sotto il naso delle autorità politiche, militari, e amministrative della provincia di Caserta il vecchio bianco vessillo delle Due Sicilie? Tanto “audace” questo progetto che è stato messo in pratica dagli ignoti briganti moderni che nella notte tra il 16 e il 17 marzo sono saliti sui gradini del monumento ai caduti e hanno inalberato la bandiera duo siciliana, in memoria dell’antica grandezza e a dimostrazione di una voglia di lottare per uscire dallo stato di minorità in cui siamo precipitati dopo il 1860. Una notte di briganti visto che oltre alla bandiera in piazza IV novembre sono spuntati un po’ dappertutto i vecchi simboli della perduta nazione napoletana. In piazza Dante come pure in viale Unità Italiana, cuore di questi “festeggiamenti” casertani sono riapparsi i gigli borbonici, simbolo imperituro della grandezza della usurpata monarchia napoletana, e le scritte “W o’rre!”.

 La scena più bella è stata quella che si è consumata proprio al monumento ai caduti. Sin dalla prima mattinata le forze dell’ordine sono cominciate ad affluire numerose sul luogo in cui dovevano avere inizio i grandi festeggiamenti e tutti sono rimasti incuranti di fronte al bianco vessillo che, complice il vento, garriva nella fresca aria mattutina di Caserta. A porsi il problema sono stati i curiosi cittadini che sono arrivati sul posto per la cerimonia o di passaggio verso altre destinazioni. Intorno alle 9 un anziano signore in bicicletta ha indicato la bandiera ai carabinieri e, interrogato da un’altra passante dubbiosa sul significato del vessillo duo siciliano, ha prontamente risposto: “E’ la bandiera borbonica. Vuless’ o’ciel’ turnasser’ i Borbone!”. Tutti contenti, insomma dell’azione brigantesca. Nemmeno il tempo di godere dello spettacolo a Caserta che una notizia si è diffusa tra gli addetti ai lavori giunti sul posto. Gigli neri e una scritta W i Borbone è apparsa tra Capua e Santa Maria Capua Vetere a coprire l’indegna lapide di Porta Capua (che in realtà è l’arco di Adriano!) che ricorda l’azione garibaldina

durante la battaglia del Volturno. Omettendo, ovviamente, il ruolo britannico visto che gli artiglieri (e forse l’artiglieria) erano inglesi giunti in aiuto del pirata dei due mondi. Un “w i Borbone” e tre gigli che, posso solo immaginarlo, sono stati lì messi in memoria di quanti caddero nei tristi giorni della fine del regno. Mi piace pensare che questo gesto brigantesco sia dedicato al capitano De Mollotdilaniato proprio all’arco di Adriano da una raffica di mitraglia anglo – garibaldina. L’azione brigantesca dell’altra notte ha dimostra che tra tutte le città dell’ex regno delle Due Sicilie, Caserta resta la figlia prediletta dei Borbone. Il popolo casertano, a differenza dei suoi politici e amministratori, non può dimenticare quanto la città tutta deve ai Borbone che nel suo territorio hanno eretto la Reggia e la Real Colonia di San Leucio, elevando il piccolo villaggio Torre al rango di vice capitale del regno più prospero e potente della penisola. La scelta di quei pochi che hanno voluto lanciare un segnale forte, issando quella bandiera e disegnando quei gigli, dimostra che Caserta e tutta Terra di Lavoro non ha dimenticato il grande impegno dei Borbone per questa terra. Impulsi economici e industriali, dalle bonifiche all’incentivazione alla creazione di industrie (tessile e cartiere dell’alta Terra di Lavoro, industria militare a Capua), dalla salute all’istruzione (con la fondazione di licei e scuole, l’ultima scuola aperta durante il regno delle Due Sicilie è l’attuale Itc Terra di Lavoro di Caserta, ex ragioneria, voluta da Francesco II).

La bandiera ha continuato a sventolare, in memoria di un grande passato e di tutti i caduti delle Due Sicilie morti per contrastare (prima e dopo il 1860) l’invasione sardo piemontese, fino all’arrivo delle autorità. La storia è stata allora messa da parte e il bianco vessillo, che ha fatto ritornare indietro nel tempo i casertani (almeno per una notte), è stato ammainato per lasciare il posto al tricolore repubblicano. Prefetto, Questore, presidente della Provincia, sindaci e amministratori hanno intonato l’Inno di Mameli. I bersaglieri della “Garibaldi” affollano piazza IV novembre, ennesimo ricordo di un triste passato. “Viva l’Ita(g)lia!”. Siamo tornati a questo stramaledetto 2011, con tutte le sue celebrazioni televisive e non.

Scritto da Roberto Della Rocca (Istituto di ricerca storica delle Due Sicilie).

     
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    Il popolo voleva i Borboni

    Post n°1582 pubblicato il 17 Marzo 2011 da luger2
     

    «Senza piloto ’a varca nun cammina» è l’antico proverbio napoletano che all’indomani dell’unità d’Italia sarebbe riecheggiato fra le strade dell’ex capitale borbonica, intendendo che quando manca una buona amministrazione una nazione non prospera.

    Fu nel settembre 1860 che l’esercito piemontese passando attraverso lo Stato pontificio entrò nel Regno di Napoli, sconfiggendo sul Volturno l’ultimo presidio delle truppe borboniche, già duramente messe alla prova dai garibaldini. Quindi, con i plebisciti convocati da Cavour, si decideva l’annessione del Regno di Napoli al resto dell’Italia in via di unificazione, la quale poteva finalmente superare l’antica frammentazione, mentre il Sud perdeva la sua secolare anacronistica autonomia.
    Eppure, la tanto agognata unità si rivelò ben presto per il neonato governo una questione difficile da affrontare, non solo per i problemi che il processo d’unificazione inevitabilmente comportava, ma per l’emergere di profonde differenze sociali, economiche e culturali fra le regioni del nuovo stato.
    L’urgenza di dare un assetto politico all’Italietta, che doveva affacciarsi timidamente tra i colossi della piazza europea, fece prevalere la più facile soluzione del piemontismo, con il quale si estendevano gli ordinamenti piemontesi su tutta Italia, mettendo a tacere con la forza le diverse esigenze locali.
    Non stupisce, perciò, se agli occhi del popolo meridionale l’intera faccenda risorgimentale si era conclusa con una “conquista piemontese”, che aveva ignorato altre proposte come il federalismo o il decentramento moderato suggerito da Cavour.
    Il Regno borbonico perse per sempre la sua fisionomia di stato, trasformandosi in un insieme di province che da quel momento in poi divennero il Sud povero e arretrato di un’Italia già stanca e distratta al suo nascere.
    Le industrie del Mezzogiorno furono presto colpite dalla concorrenza esterna con l’abolizione delle vecchie tariffe protezionistiche imposta dal nuovo governo.
    Napoli, l’antica capitale, si vedeva privare delle sue importanti funzioni amministrative ed economiche, con la chiusura di uffici e ministeri, la soppressione della corte e dell’esercito borbonico, con la conseguente partecipazione marginale alla politica e alla cura dei propri problemi.
    Restava irrisolta la vecchia questione agraria, che anzi s’aggravò per il forte peso fiscale e la coscrizione obbligatoria per la leva che privava per cinque anni le campagne delle sue forze più giovani.
    L’incapacità della classe di governo a cogliere le aspettative del Sud e l’avvio di processi di industrializzazione solo al Nord segnarono subito negativamente il rapporto tra le due realtà italiane.
    Lo scontento e la delusione si tradussero dopo pochi anni nel fenomeno del brigantaggio, strumentalizzato dagli stessi Borboni nella speranza di riconquistare il trono, aiutati dalla Chiesa.
    Nel 1863 il governo, che temeva per l’unità, emanò la Legge Pica con la quale si autorizzava l’esercito a combattere contro i briganti. I paesi meridionali scenario delle eversioni, furono cinti d’assedio e repressi duramente con migliaia di morti e ventimila condanne ai lavori forzati. La vicenda ebbe fine nel 1865, ma servì a sensibilizzare la società italiana sulla questione, trasformando il problema meridionale in problema nazionale, e alimentando una torrenziale produzione letteraria e giornalistica, tesa ad indagarne le cause, nella quale emersero gli scritti acuti di studiosi quali Fortunato, Franchetti, Sonnino.
    Il vessillifero della “questione meridionale” fu Pasquale Villari, con le sue Lettere Meridionali del 1875, prima denuncia del degrado civile e dello sfruttamento del Sud. Lo storico napoletano analizzava l’intero processo risorgimentale, asserendo che quest’ultimo aveva portato «solo una rivoluzione politica» non sociale. Il profondo malcontento scaturiva come reazione di una popolazione che non era stata preparata all’evento e che aveva visto quel nuovo potere estraneo e nemico, in quanto aveva deposto con la forza l’antica legittima dinastia: i Borboni del Regno delle due Sicilie.
    Del resto, già subito dopo l’unità, lo Stato si era rivelato assente verso quella parte dell’Italia, al punto che in occasione di alcuni terremoti devastanti le regioni del Sud, si deliberò di non intervenire nell’opera di ricostruzione, lasciando l’iniziativa ai privati. Bisognerà attendere un settantennio prima dell’adozione di una incisiva e idonea politica d’intervento sul territorio, mentre il Meridionalismo se da un lato attirava l’attenzione sul problema, d’altra parte alimentava, non meno d’oggi, una visione parziale del Sud, legata ai suoi limiti di miseria e arretratezza.
    Si finì così per l’offuscare un passato pur ricco di slanci economici e culturali, malgrado gli evidenti errori della precedente amministrazione borbonica.
    Infatti, un forte incentivo all’ammodernamento di istituzioni quasi immobili era avvenuto già durante il dispotismo illuminato dei regni di Carlo Borbone e Ferdinando IV, in cui operò una figura di grande rilievo, esperto di diritto: il toscano Bernardo Tanucci. Egli si impegnò in un’opera di riorganizzazione della giustizia e si scagliò contro i privilegi baronali ed ecclesiastici, arrivando nel 1767 a far espellere i Gesuiti dal Regno di Napoli. Sul piano economico invece i Borboni si avvalsero dei validi contributi tecnici dei migliori esponenti del ceto intellettuale napoletano, quali Genovesi, Palmieri, Galanti, Pagano, Cuoco, mentre Filangieri e Caracciolo condussero una battaglia contro l’inadeguatezza dei vecchi istituti giuridici. Fu nel 1788 che Domenico Caracciolo, come ministro di re Ferdinando IV, abolì il feudale tributo della chinea al soglio papale, cooperando a frantumare un sistema secolare di anacronistiche consuetudini medievali. Queste ultime furono poi spazzate via del tutto allorquando il Regno di Napoli fu travolto dai fermenti francesi e conobbe prima, nel 1799, una breve stagione repubblicana e poi, nel 1806, il benefico governo napoleonico di Giuseppe Bonaparte, nel quale si scomposero le grandi proprietà fondiarie del baronaggio.
    Con l’aumento demografico, eredità del fertile settecento europeo, il restaurato governo borbonico si assunse la responsabilità di strappare terre alle paludi malariche, realizzando una “Amministrazione generale delle bonificazioni” che impegnò valenti uomini, come Bartolomeo Grasso e Afan de Rivera, in una considerevole opera di riequilibrio ambientale. Si veniva a creare così una “cultura del territorio”, fatta di conoscenze ed esperienze di generazioni che si sarebbe perduta nel 1860, quando il governo italiano lasciò anche l’attività bonificatrice all’iniziativa privata.
    La produzione ortofrutticola e quella dei gelsi, delle viti e degli olivi, avevano sempre contraddistinto l’immagine solare del rigoglioso giardino mediterraneo, favorito dal clima mite, ma dopo l’unificazione prevalse una visione di un Sud rurale e arido, senza grandi risorse né slanci rinnovativi. Tuttavia va ricordato che il regno borbonico con efficaci misure protezionistiche aveva alimentato non solo diverse imprese industriali, ma il lavoro casalingo di varie manifatture. Si pensi all’antica tradizione della sericoltura, vanto della Calabria nel cinquecento, alle imprese laniere di Arpino, Isola Liri e Sora, alle lavorazioni del vetro e delle maioliche napoletane, alle famose porcellane della Real Fabbrica di Napoli – città tra l’altro nota, insieme con Solofra, per le sue concerie di pelle (molto richiesti erano i guanti bianchi) – e alle rinomate filande specializzate in velluti, che si affiancarono all’antica fabbrica di San Leucio, creata proprio dai Borboni.
    Inoltre il Regno vantava del cantiere-arsenale di Castellammare e della fonderia di Pietrarsa. Fruttuose erano poi le industrie alimentari di Torre Annunziata e Gragnano, e grazie anche al capitale straniero, quelle della carta, tra cui la Lefebvre, che esportava nei maggiori mercati europei. Ed è grazie all’intraprendenza estera di un meccanico francese e alla collaborazione di un ingegnere calabrese che nel 1833-34 a Capodimonte nasceva la Macry & Henry, industria metalmeccanica.
    Dunque i benefici della rivoluzione industriale avevano sedotto persino la dinastia borbonica, che, per consolidare la propria immagine in Europa, nel 1818 fece partire da Marsiglia il primo battello a vapore: il Ferdinando I, di produzione francese.
    E non si dimentichi che nel 1839 s’inaugurava, per di più, la prima linea ferroviaria d’Italia: la Napoli-Portici.
    Tuttavia, il mutamento istituzionale, la politica liberistica e filonordista del nuovo governo e il consolidarsi in parte del Sud di una mentalità antagonista con lo Stato centrale – che portò a infeconde forme occulte di potere illegale, per il procacciamento e la gestione di risorse locali – produssero gli storici danni dell’economia meridionale, e alimentarono ben presto lo stereotipo impopolare contro cui il Mezzogiorno tutt’oggi lotta, malgrado gli evidenti segni di una ripresa.
    Alla tenacia degli eredi dell’ex Regno di Napoli, con le infauste vicende storiche di cui fu scenario, sia d’augurio l’antico proverbio napoletano:
    «chi sémmena ’mmiez’a ’e lacreme, arrecoglie ’mmiezo a’ priézza», intendendo che chi pur nella sofferenza ha seminato, poi raccoglie nella gioia.

    Professoressa Nevia Buommino, insegnante di Lettere da  http://www.portanapoli.com

     
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    17 marzo 2011: Festa per i 150 anni dell’Unità d’Italia o festa per l’occupazione delle Due Sicilie?

    Post n°1581 pubblicato il 17 Marzo 2011 da luger2
     

    Oggi 17 marzo 2011 si celebra la Festa per i 150 anni dell’Unità d’Italia; per noi meridionali, però, sarebbe più corretto chiamarla “Festa per l’occupazione militare delle Due Sicilie”.

    Perché?

    La tabella che segue riporta la forza lavoro censita nel 1871 e nel 1911 per singola Regione.

    Nel 1871, Campania e Sicilia erano rispettivamente al secondo e terzo posto, su 16 Regioni italiane, per forza lavoro censita; la Calabria era al 7° posto, le Puglie al 9°, gli Abruzzi con il Molise al 10°, la Basilicata al 14°.

    Nel 1911, 40 anni dopo, il peso percentuale delle sei Regioni del Sud sul totale nazionale era diminuito, vedi la Calabria (- 3,76%), la Campania (- 2,60%), la Sicilia (- 2,80%) (e le altre), a favore, principalmente, della Lombardia (+ 4,91%), del Piemonte (+ 2,95%), della Toscana (+ 2,09%) e della Liguria (+ 1,76%).

    In alcune Regioni, vedi Calabria, Abruzzi-Molise e Basilicata, la forza lavoro, 40 anni dopo, era addirittura diminuita, in Campania, Sicilia e Puglie era aumentata, ma in misura notevolmente inferiore a quella delle Regioni del CentroNord, la cui forza lavoro si era incrementata, per tutte, in maniera considerevole.

    Se l’Unità d’Italia significava depauperare il Sud a livello di sviluppo economico e, soprattutto, di LAVORO ovvero di OCCUPAZIONE, possiamo dire che la missione dei Mille e dell’esercito piemontese è pienamente riuscita, a maggior ragione lo possiamo dire nel 2011…

     di Luca Longo

    vicepresidente nazionale Comitati Due Sicilie

     
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    Italia 150, Bolzano non vuole festeggiare ma è strapagata e coccolata da Roma

    Post n°1580 pubblicato il 16 Marzo 2011 da luger2
     

    Come ci si sente a non festeggiare i 150 anni dell’Unità d’Italia? A Bolzano, almeno nell’ufficio del presidente della provincia autonoma, Luis Durnwalder, ci si sente benissimo. «E che siamo italiani, noi?», è il suo refrain: «Siamo sotto l’Italia», incalza il governatore altoatesino, «e quindi accettare va bene, ma festeggiare no. L’ho detto a suo tempo anche al presidente Ciampi, quando mi chiese se mi sentivo italiano. Io gli risposi: mi sento sudtirolese, parte della minoranza austriaca che ha passaporto italiano e vive in Italia». Ci vive, e ci vive non bene ma di più: benissimo! Anche perchè da Roma - chissà se anche loro la chiamano, alla maniera del Bossi, «Romaladrona» (e l’Alto Adige non perdona?) - la provincia autonoma di Bolzano riceve tali e tanti di quei benefit che tutti, dal Manzanarre al Reno, dalle Piramidi in su e in giù, per non dire dei poveri bellunesi che invidiano i vicini pazzescamente, vorrebbero vivere nel bengodi delle Dolomiti. Con 1.121 euro all’anno, la provincia di Bolzano intasca dal governo centrale circa il doppio dei soldi procapite assegnati a Roma (591 euro), a Firenze (555 euro), a Torino (535 euro) o a Cosenza (523) e circa il triplo di quelli che vanno a Reggio Calabria, Mantova, Novara e circa il quadruplo di quelli destinati a Lecce o a Piacenza. Una sperequazione che ha spinto il governatore della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, a sbottare: «Basta con i privilegi del Trentino-Alto Adige. E’ venuto il momento di rivedere i parametri di distribuzione delle risorse». Ecco, festeggino o meno i sudtirolesi (il Comune di Bolzano lo farà, grazie al sindaco Luigi Spagnolli del Pd e nonostante il «nein danke» del presidente della Provincia), di certo per loro lo Stato centralista e romano non s’è rivelato predone ma più che generoso. E la fase di debolezza del governo berlusconiano s’è rivelata l’ennesima fortuna per la regione dolomitica. La concessione della gestione di una fetta dell’ex Parco dello Stelvio è stato il regalo con cui Palazzo Chigi ha ricambiato il favore dei due deputati altoatesini dell’Svp, Helga Thaler e Karl Zeller, che si sono astenuti nel voto di fiducia al governo. Contribuendo, insieme ai Responsabili, a tenerlo in piedi. Seguiranno altre forme di ringraziamento e di risarcimento? «Abbiamo ancora molto da chiedere», avvertono da Bolzano. Si vedrà.Intanto, le cifre dicono questo. I cittadini dell’Alto Adige spendono più di tutti gli altri nel resto d’Italia per mantenere la burocrazia locale. La pubblica amministrazione costa ad ognuno di loro 1231 euro. I piemontesi ne sborsano 112, i lombardi 58. La regione autonoma della Sardegna spende per i suoi uffici e istituzioni 283 euro a persona all’anno, un quinto di quanto si paga per le stesse funzioni a Bolzano. E così via. Il ministro, non certo sudista, Roberto Calderoli ha accusato Durnwalder di guadagnare trentaseimila euro all’anno, più di Barack Obama. Il presidente sudtirolese si difende: «Prendo meno del direttore generale della Cassa di Risparmio locale e penso di meritarmi questo stipendio». Forse ha ragione lui. Quel che è certo è che un sindaco dell’Alto Adige ha a disposizione il 78,2 per cento di risorse in più rispetto a un sindaco del Bellunese. Per ogni euro incassato da Belluno, Bolzano ne incassa 63,56.La provincia bolzanina si tiene in loco il 90 per cento delle tasse. E trattiene anche il novanta per cento dell’Iva pagata sul territorio, delle imposte sul registro, su successioni e donazioni, delle tasse automobilistiche, sulla benzine e sulle sigarette. Oltre ai proventi del lotto e al cento per cento dell’imposta sull’energia elettrica. Le regioni a statuto ordinario hanno diritto solo al 45 per cento dell’Iva locale. Che il Veneto soffra d’invidia è naturale. E non è l’unico, ovviamente. Basti pensare a quanto anche il governatore lombardo, Formigoni, non sopporti più questi tipo di squilibri geo-politico-finanziario-tributari. E per tornare al Veneto, così è stato scritto su un quotidiano nazionale: «I bellunesi guardano l’Alto Adige come la piccola fiammiferaia guardava l’oca arrostita sulla tavola della famiglia ricca». L’immagine rende l’idea. E ripetuti sono stati i tentativi (falliti) dei cugini poveri del vicino Veneto di farsi adottare di cugini ricchi del Trentino-Alto Adige. Referendum stravinti dal fronte dell’annessione, ma restati lettera morta. Cresce intanto sempre di più il numero di coloro che, al Nord e al Sud, si chiedono: nell’Europa senza frontiere di oggi, e con i conti pubblici in rosso, ha ancora un senso - soprattutto economicamente - questa autonomia alto-atesina estesa alla confinante provincia di Trento? Questioni accademiche, puri sofismi, e niente cambierà. Compreso il fatto che lassù, nel governatorato di Durnwalder, dei 150 se ne infischiano. E Napolitano, ma non solo lui, ci soffre.

     

     di Mario Ajello da http://www.ilgazzettino.it/

     
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    «L'Italia celebra una menzogna, è solo retorica»

    Post n°1579 pubblicato il 16 Marzo 2011 da luger2
     

    Il capitano Romano parla della necessità di riscrivere  la storia:«Italiani dal 1946 e ricordare le stragi del Sud»  

    Capitano Alessandro Romano... A proposito, perché la devo chiamare capitano?
    «Èun titolo onorifico che mi fu dato dalla principessa Urraca diBorbone per le mie ricerche storiche». 
    Suona un po’ antico...
    «L’esercito borbonico aveva due sovranità, su armi e spirito. La prima non c’è più, resta quella morale». 
    M alei è borbonico o neoborbonico?
    «Assolutamente neoborbonico». 
    La differenza dov’è?
    «Ilneoborbonico fa parte di un’associazione che si occupa dellarilettura storica». 
    Un revisionista?
    «Assolutamenteno. Noi vogliamo un risveglio identitario del popolo meridionale perfarlo riscattare dalla sua condizione. Il nostro non è revisionismo,è una rivoluzione culturale». 
    E il borbonico?
    «Be’,l’essere borbone significa entrare in una sfera politica, aspirarea creare un ordinamento. Noi non facciamo politica: ci sono esponentirepubblicani, monarchici. Ognuno ha le sue idee». 
    Ma riconoscete Carlo di Borbone?
    «Certo. È il simbolo vivente della nostra storia, delle nostre tradizioni. Rappresenta la nostra nazione».
    Alessandro Romano da Ponza, classe '54, casa a Latina dove vive con la moglie ele due figlie,è un funzionario della Protezione civile con l’hobby (l’avrete capito) della storia. È uno dei principali animatori del movimento neoborbonico italiano. Ed è uno di quelli che domani, giorno della festa nazionale dell’Unità italiana, listerà a lutto la sua bandiera. Quella del Regno delle due Sicilie, ovviamente.

    Capitano,mi dice una sola buona ragione per non festeggiare la nostraPatria? 
    «Gliene dico tre. 
    Iniziamo dalla prima
    «Innanzitutto non è vero che il 17 marzo del1861 si unificò l’Italia. La nostra nazione si completò altermine della prima guerra mondiale». 
    La seconda?
    «Laproclamazione dell’Italia fu fatta in lingua francese». 
    Suvvia,vorrà farne mica questione di lingua ufficiale? 
    «È la prova che l’Italia fu annessa al Piemonte. E qui arriviamo alla terza buona ragione». 
    Dica.
    «Le legislaturedell’Italia unita hanno continuato a seguire la numerazione di quelle piemontesi. E invece dovevano ripartire da zero». 
    E quindi chissene frega della festa nazionale? 
    «Guardi cheun anniversario lo celebriamo. Solo che per noi lo Stato italianoinizia il 2 giugno 1946. Tutto ciò che c’è stato prima èaberrante». 
    Be’, rassegnatevi a cambiar data.
    «Scusi,ma adesso le cito giusto due numeri: 685.000 morti e 500.000prigionieri durante l’occupazione dei piemontesi che repressero acannonate la rivolta delle popolazioni». 
    E i numeri dei briganti? Ricorda anche quelli?
    «Macché briganti, erano partigiani. Il popolo che si ribellò all’invasione. E fu massacrato. Mi spiega secondo lei cosa c’è da festeggiare?». 

    Vede che ha ragione chi vi critica? Voi siete contro l’Unità d’Italia. 
    «No, purché si faccia». 
    S’è già fatta, non se n’è accorto?
    «Ah sì? E dove? Il Risorgimento divide, non unisce. È un risorgimento del Nord, non dell’intero Paese. Scusateci, ma a noi proprio non ci viene da celebrare qualcosa. La verità è che mezz’Italia festeggerà su una menzogna, sulla retorica». 
    Pensate mai di esagerare?
    «Diciamo che in alcuni casi alziamo toni, è vero. Forziamo la mano. Ma senza provocazioni continueranno le solite bugie». 
    Quindi è meglio un bel ritorno alpassato?
    «Quello non esiste. Noi chiediamo, vogliamo, pretendiamo solo la riscrittura della storia». 
    Ieri i consiglieri della Lega della Regione Lombardia sono andati al bar aprendere il caffè mentre suonava l’inno di Mameli. Non è che infondo v’assomigliate, voi e quelli del Nord «predatore»?
    «Macché. L’azione della Lega è finalizzata a interessi territoriali, non ha un’idea di popolo. Noi invece difendiamo l’identità nazionale,non siamo contro l’Italia una». 
    Sarà. Però qualcosa in comune con i Serenissimi mi sa che c’è. 
    «Ci unisce la voglia di verità. La nostra esigenza è la stessa dei Serenissimi, dei toscani, di tutti gli stati preunitari che hanno subìto un’invasione. E ora si ribellano». 
    Non pensa sia passato un po’ troppo tempo? 
    «Il problema è che nessuno ci dà la parola. E allora la gente chiede la separazione. Io dico: sediamoci davanti a un tavolo e condividiamo la storia. Quella vera, però». 

    C’è qualcosa che le dà particolarmente fastidio in quella ufficiale?
    «Il negazionismo delle stragi al Sud, il silenzio calato su quegli 84 paesi distrutti. Ecco, questa è una cosa che mi offende, che mi manda in bestia». 
    Domani l’Italia festeggia il tricolore, ma i neoborbonici saranno in piazza con bandiere del Regno listate a lutto. Ci manca solo l’inno da contrapporre a quello di Mameli... 
    «Ce l’abbiamo. È l’Inno al Re diPaisiello. È del 1778, e giovedì suonerà».
    Il kit del perfetto neoborbonico è servito. Non è che c’è anche qualche testo da consultare con particolare attenzione? 
    «Ci sono cinque volumi che nella libreria di un neoborbonico non possonomancare». 
    Li ricorda tutti?
    «Certo. Malaunità, scritto da varie persone. Perché non festeggiamo i 150 anni dell’unità d’Italia, anche questo di autori vari, tra cui io. Terroni, di Pino Aprile. E poi due libri di Gigi Di Fiore:Controstoria dell’Unità d’Italia e Gli ultimi giorni di Gaeta,l’assedio che condannò l’Italia all’unità» .Avete ancheuna sede?
    «Certo. A Napoli, Benevento, Avellino, Caserta,Bari, Lecce, Brindisi, Lucera e Potenza. Venticinque in tutto». 
    Roba da finire sui giornali... 
    «Abbiamo anche quello. È un giornale telematico, e si chiama Rete di informazione del Regno delledue Sicilie. Conta la bellezza di 13.850 iscritti».

    Cos’è,da Federico II a internet?
    «La rete aiuta tantissimo. Abbiamotre siti dedicati: www. neoborbonici. itwww.reteduesicilie. itwww. ilnuovosud. it». 
    E c’è gente che vi segue in queste vostre battaglie?
    «Non ha idea di quanti siano: neoborbonici, filoborbonici, simpatizzanti.Tantissimi». 
    Una cifra.
    «Duecento attivisti. Epoi ci sono gli aderenti». 
    Numero? 
    «Tre o quattromila. Senza considerare i simpatizzanti». 
    Aggiungiamolial conto: quanti? 
    «Milioni». 
    Via,milioni...
    «Giuro, milioni». 
    Qualche nome?
    «No,i nomi no». 
    Capirà che è facile dire milioni se poinon si tira fuori neppure un nome, no?
    «Facciamo solo quellidei simpatizzanti, allora». 
    Li faccia.
    «Ilsottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano». 
    È neoborbonico?
    «No, ma è uno che sa dov’è la verità nellastoria». 
    Altri «simpatizzanti»?
    «Il sindaco diBari Michele Emiliano, l’ex sindaco di Caserta Luigi Falco, ilconsigliere del Comune di Napoli Nino Funaro, l’ex assessore delComune di Caserta Antonio Ciontoli. E poi Maurizio Marinella. Tuttagente che conosce la storia vera». 
    Dimentica la Sicilia.Raffaele Lombardo e Gianfranco Micciché?
    «No, con loro nonvogliamo alcun rapporto. Sono opportunisti». 
    Voi no?
    «Lavicenda è molto più semplice di quel che si pensi. Noi abbiamo unoStato, l’Italia. E una nazione, la nostra, che invece è iniziatacon Federico II di Svevia e Ruggero il Normanno. Sono due realtà chepossono convivere pacificamente. Il problema è che se ci fannoincazzare, allora la nostra nazione diventerà anche il nostro Stato».


    Gianluca Abate da http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it

     
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    Controfesteggiamenti Sardi

    Post n°1578 pubblicato il 16 Marzo 2011 da luger2
     

    Giovia17dae sa 9.30 sit in suta sa regione via Roma contra sa festa italiana de sos 150 annos. Non manchedas depimus esser in medas.

    Giovedì 17 alle 9.30 sit in sotto la regione in Via Roma, contro i festeggiamenti in Sardegna del 150.mo dell'unità d'Italia. Portate la bandiera sarda listata a lutto con un piccolo drappo nero. Venite in tanti!!!!

    A totus sos sardos: ispratzide custa nova. Depimus esser medas abboghinende ca custa festa no la cherimus ca no est sa nostra!!!!

    A tutti i sardi: diffondete la notizia. Dobbiamo essere in tanti a gridare che questa festa non è la festa dei sardi.

     
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    L’Italia compie 150 anni: alzi la mano chi vuole festeggiare!

    Post n°1577 pubblicato il 16 Marzo 2011 da luger2
     

    Da 150 anni, l’Italia è una nazione. Nonostante ciò i festeggiamenti per l’Unità non sono accolti all’unanimità. Il paese vive una crisi di umore che stride con l’allegria italiana. I leader sono gli stessi da quindici anni, un partito che non si riconosce nella patria conquista consensi sempre più grandi, il regionalismo divora lo spirito nazionale. Il 17 marzo sarà festa nazionale: ma gli italiani non erano d’accordo neppure su questo.

    Il 17 marzo 1861, Vittorio Emanuele II venne proclamato re d’Italia. Oggi, 150 anni dopo, la questione di festeggiare o meno l’Unità d’Italia suscita animati dibattiti. Risale al mese scorso la decisione del governo italiano di trasformare il 17 marzo in un giorno festivo. I ministri della Lega Nord hanno votato contro. Avrebbe sorpreso una scelta diversa dal momento che questo partito politico ha come obiettivo finale rendere il nord d’Italia, la terra che chiamano Padania, indipendente dal resto del Paese. Da parte sua, Emma Marcegaglia, la presidente di Confindustria, aveva detto che data la situazione economica del paese gli italiani non potevano permettersi di lavorare un giorno in meno.

    Un guerriero vichingo a Pontida, nella valle in cui si svolge il più importante meeting della LegaUn guerriero vichingo a Pontida, nella valle in cui si svolge il più importante meeting della Lega | Il simbolo della Lega Nord richiama il guerriero Alberto da Giussano e punta a richiamare i valori della lega lombarda medievale

    Boicottaggio a nord come a sud

    Il 150° anniversario dell’Unità d’Italia sarà festeggiato con mostre, conferenze e concerti  in quasi tutte le città italiane. Sì, quasi tutte,  perché il presidente della provincia di Bolzano, Luis Durnwalder, del SVP (partito popolare del sud Tirolo) non ci pensa minimamente: «Ci riteniamo appartenenti a una minoranza austriaca e non abbiamo scelto di far parte dell’Italia»

    Ma gli oppositori ai festeggiamenti non abitano solo nel nord d’Italia. Alcuni movimenti indipendentisti si trovano anche al sud, come i Comitati delle due Sicilie, un nome che ricorda il regno dei Borboni e un’organizzazione che non esita a parlare di un secolo e mezzo di colonialismo da parte del nord. Contro l’unità d’Italia impugnano lo stendardo delle Due Sicilie. La loro argomentazione? L’unificazione, dettaRisorgimento, venne fatta contro il loro volere e in maniera sanguinolenta. In generale, il processo di unificazione è classificato come «rivoluzione dall’alto», a volte addirittura di «invasione illegale» e di «massacri» perpetrati nel sud della penisola. D’altra parte è impressionante constatare come, al momento dell’unificazione, la maggior parte degli italiani non parlasse italiano, ma dialetti o lingue regionali che tuttora rivestono un ruolo importante. La diffusione della lingua italiana è avvenuta in particolare attraverso la televisione.

    La maggioranza degli italiani favorevoli, ma senza spirito festivo

    Secondo il rapporto Gli italiani e lo Stato, l’88% degli intervistati considerano il processo d’unificazione nazionale come positivo o piuttosto positivo. Un recente sondaggio rivela inoltre che la sinistra aspetta il 17 marzo con un po’ più d’impazienza che la destra. Ciononostante, se la maggior parte degli italiani sono dell’idea che è giusto celebrare l’unificazione italiana, il loro cuore non è riempito di spirito festivo. Per la sociologa Maria Grazia Ruggerini, il 17 marzo non sarà un giorno molto diverso dagli altri, anche se è importante che sia festivo per non cedere alle rivendicazioni corporative della Lega Nord. La Dott.ssa Ruggerini egoista«Spero vivamente - dice la sociologa -  che la festa diventi un’occasione per ripensare agli elementi del Risorgimento, che a  tutt’oggi non sono stati ancora del tutto accettati».

    Cucina, famiglia e regionalismo

    Basilico, mozzarella, pomodoro: gli unici elementi che mettono d'accordo gli italianiBasilico, mozzarella, pomodoro: gli unici elementi che mettono d’accordo gli italianiOltre agli slanci di indipendenza regionale, le reticenze nei confronti di tale festa, rivelano che l’identità italiana non è per nulla un’evidenza. «A parte in occasione delle grandi festività e delle partite di calcio, non mi sento veramente italiana», ammette Ilaria, una studentessa che si identifica più con il Salento, una zona della Puglia. Da cosa è caratterizzato dunque un italiano? Secondo Ilaria gli italiani sono riconosciuti dagli stranieri per il loro modo di vestirsi, di parlare e per una certa spontaneità espressiva. Secondo Ilvo Diamanti, presidente fondatore dell’Istituto di ricerche in sociologia Demos, si aggiungono qualità come «l’arte di arrangiarsi, l’attaccamento alla famiglia e al contesto locale». La cultura e soprattutto la cucina sono gli elementi che rendono un gran numero di italiani fieri del loro Paese, anche coloro che non sono per nulla patriottici.

    L’Italia esiste, gli italiani no

    La decisione di rendere il 17 marzo un giorno festivo ha evidenziato le separazioni in seno al governo. Tali divisioni sono minime in confronto alla netta frattura tra i sostenitori di Berlusconi e i suoi avversari. In occasione di una manifestazione, avvenuta il 24 febbraio scorso di fronte al Parlamento a Roma, contro le violenza in Libia, un oratore ha invitato gli italiani a seguire l’esempio delle rivoluzioni magrebine. Ma, nonostante la fiducia dei cittadini nei confronti del premier sia ai minimi storici (30%), l’idea di una rivoluzione italiana resta improbabile. La manifestazione del 13 febbraio che ha riunito un milione di persone, soprattutto donne, ha ricordato un’altra importante divisione, quella tra italiani e italiane. Con il motto «Se non ora quando», le manifestanti hanno denunciato il machismo incarnato dal berlusconismo. Dietro l’espressione “bunga bunga”, si cela un intero sistema di potere.

    La frattura nord/sud non esprime solamente il conflitto ideologico tra i diversi movimenti indipendentisti, ma rivela anche e soprattutto delle differenze economiche inaccettabili. Le quali contribuiscono a creare lo stereotipo secondo il quale il nord è ricco e «egoista» mentre il sud è povero e vero e proprio «fardello» per il nord. Oggi come oggi, al di là delle commemorazioni tumultuose, una cosa è certa: se l’unità d’Italia non fa l’unanimità, la ricchezza regionale del Paese rimane viva e le parole cheMassimo d’Azeglio pronunciò 150 anni fa rimangono attuali: «Abbiamo fatto l’Italia. Ora dobbiamo fare gli italiani».

    Questo articolo è stato pubblicato su babelmed.net, webmagazine sul Mediterraneo in quattro lingue

     
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    ITALIA 150, I CONTROFESTEGGIAMENTI DI INSORGENZA CIVILE A NAPOLI, FIRENZE, ROMA E REGGIO EMILIA

    Post n°1576 pubblicato il 16 Marzo 2011 da luger2
     

    COMUNICATO STAMPA: ITALIA 150, I CONTROFESTEGGIAMENTI DI INSORGENZA CIVILE  

    A NAPOLI, FIRENZE, ROMA E REGGIO EMILIA

     Movimento Di Insorgenza Civile

     

    Per ricordare le radici e l'identità del Sud, per non dimenticare i nostri morti, per non unirci al coro acritico che celebra i 150 anni di Unità d'Italia, il 17 MARZO Insorgenza Civile ha organizzato  presidi e banchetti di "controinformazione" sulle bugie del Risorgimento a Napoli (piazza Dante, dalle 11 alle 20), Reggio Emilia, (fuori al Museo del Tricolore), Roma (piazza della Rotonda, dalle 11 alle 14) e Firenze (via Roma, angolo via Tosinghi,  dalle 14,30)

    Si tratterà di un'iniziativa dedicata alla memoria storica e alle speranze future della nostra terra. Senza alcun folclore, senza alcuna nostalgia, con consapevolezza, contro la rassegnazione indotta: tre giorni dedicati alla controinformazione di ieri,  di oggi e di domani. Perché il Sud non vuole essere più una colonia.

     Segue il testo del volantino che sarà distribuito in piazza...

     

     150 ANNI DI UNITA’, NIENTE DA FESTEGGIARE

     IERI

     “Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce” (Scritta all’ingresso del

    Carcere di Fenestrelle, Piemonte, primo lager d’Europa)

    SE SAI CHE MOLTO PRIMA DI AUSCHWITZ MIGLIAIA DI MERIDIONALI

    FURONO FATTI MORIRE A FENESTRELLE COME PUOI FESTEGGIARE?

     

    "Quel Popolo che si ribellò fu marchiato con la parola “BRIGANTE” dall’

    idioma francese brigant che significa delinquente, bandito".

    SE SAI CHE LA PRIMA PULIZIA ETNICA EUROPEA AVVENNE IN

    SUD ITALIA CON LA LEGGE PICA (1863) CHE CONSENTI’ LA “LIBERA”

    FUCILAZIONE DI DONNE E BAMBINI COME PUOI FESTEGGIARE?

     

    «È agli elementi africani ed orientali (meno i Greci), che l’Italia deve,

    fondamentalmente,la maggior frequenza di omicidi in Calabria, Sicilia

    e Sardegna, mentre la minima è dove predominarono stirpi nordiche

    (Lombardia)». Cesare Lombroso, L'Uomo delinquente.

    SE SAI CHI E’ CESARE LOMBROSO COME PUOI FESTEGGIARE?

     

    “Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco

    l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i

    contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare col marchio di

    briganti”. (Antonio Gramsci)

    SE SAI CHE AL SUD IL TASSO DI OCCUPAZIONE PRIMA DEL 1861 ERA

    TRA I PIU’ ALTI E CHE L’EMIGRAZIONE, NATA ALLORA, CONTINUA

    TUTT’OGGI CON 250MILA PERSONE CHE LASCIANO IL SUD OGNI

    ANNO COME PUOI FESTEGGIARE?

     

     

    OGGI

    150 ANNI DI UNITA’, NIENTE DA FESTEGGIARE

    MENO INFRASTRUTTURE

    Investimenti Ferrovie dello Stato negli ultimi cinque anni: 7 volte meno al Sud

    Infrastrutture, Fondi Cipe 2010: 21 Miliardi al Nord, 240 milioni sul Sud

    Istat: Dati del Sud rispetto al Nord: Reti Idriche -57% , Reti elettriche -80%,

    Reti Gas -40%, Infrastrutture di trattamento rifiuti -55%, infrastrutture

    aeroportuali -39%, Infrastrutture energetico ambientali -35%, Capacità di

    movimentazione merci - 99%

    MENO SERVIZI

    Spesa corrente pro capite (dati Istat) inferiore del 44% al Sud per cultura e

    servizi ricreativi, inferiore del 30 % per lo smaltimento rifiuti

    Ripartizione regionale pro capite fondi per interventi sociali (ultimi dati Istat):

    Lombardia 120 euro, Valle d'Aosta 262 euro, Veneto 110 euro, Piemonte

    139 euro, Trentino 245, Emilia 167 euro, Toscana 130 euro, Lazio 134

    euro, Abruzzo 62 euro, Molise 40 euro, Campania 51 euro, Puglia 55 euro,

    Sicilia 70 euro, Calabria 29 euro.

    MENO SANITA'

    Spese in "conto capitale" dal 2001 a oggi per gli ospedali al Sud - 22 % della

    media nazionale

    Spese per infrastrutture e trasporti (escluso strade) - 23% della media

    nazionale

    MENO GIUSTIZIA

    Giustizia: Durate di un processo di 1° grado al Sud rispetto al Nord + 42%.

    Durata di un processo penale al Sud rispetto al Nord + 78, 4 %

     

    SE DOPO 150 ANNI ESISTE ANCORA UNA “QUESTIONE MERIDIONALE”

    COME PUOI FESTEGGIARE?

     

    Per informazioni www.insorgenza.it

    www.radioinsorgenza.net

    3488011412/3357601149

     
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    Friulani o italiani?

    Post n°1575 pubblicato il 15 Marzo 2011 da luger2
     

    Questione di identità - All’aut aut, che sorge spontaneo in vista dei 150 anni di unità nazionale, c’è chi si sente e si dichiara europeo

    Bandiera Friuli -

    bandiera italiana tricolore -

    bandiera Ue -

    Ti senti, italiano o friuliano?All’aut aut, che sorge spontaneo in vista dei 150 anni di unità nazionale, rispondo che tra i due mali non ne scelgo nessuno. O, meglio, indico una terza via: mi sento europeo.

    Non è per distinguermi o per sfuggire alla scelta. E’ una questione di principio. Da quando ho la capacità di pensiero e di espressione, il dilemma mi si ripresenta. A volte per gioco, altre perché sollecitato (ultima occasione, la vergognosa pubblicità della Rai sui dialetti, sic), altre ancora per disperazione. Il fatto è che non vorrei compiere una scelta, che pure mi è imposta.

    Il problema principale riguarda la lingua friulana: è veramente tale, come sostengono tutti linguisti del mondo, esclusi gli italiani? O è un dialetto, da dimenticare e da sacrificare sull’altare della patria? La contrapposizione è uguale a se stessa da troppo tempo, da quando, 154 anni fa, il Friuli diventò parte del Regno.

    Ciò che contesto è proprio la contrapposizione. Il fatto di avere una lingua madre diversa da quella ufficiale è un problema qui in Italia. Ma non lo è in Svizzera. Non lo è nel Regno unito. Non lo è, almeno in parte, nemmeno in Spagna. Perché?

    La risposta, credo, si nasconda dietro allo stesso processo che ha portato all’Unità nazionale. Allora la nazione (una lingua, una patria) nacque in contrapposizione con l’Impero, che di nazionalità proprio non ne voleva sentir parlare. Anzi, se leggiamo le pagine dell’Uomo senza qualità di Musil, ci si rende conto di come nella logica imperiale le differenze non erano un problema, ma una ricchezza. Qui, peraltro, i friulani vengono definiti popolo a se stante e non italiani, come i veneti o i lombardi. Il fatto è che, in uno Stato che deve tenere assieme decine di etnie (i manuali militari erano redatti in tutte le lingue dei popoli sudditi), lo scontro va evitato. L’incontro, invece, promosso.

    Le logiche dello Stato nazionale sono l’esatto opposto: si include chi fa parte dell’etnia e si esclude il resto. Salvo, poi, passare sopra a tale principio nel caso dell’Alto Adige. Che, giustamente, non ha in questi giorni nulla da festeggiare.

    Il bello è che da 10 anni a questa parte, le logiche che avevano governato l’Impero si sono imposte nuovamente. A riportarle alla luce è stata l’Ue che, peraltro, include il friulano tra le lingue minoritarie (l’Italia ha tenuto duro 140 anni prima di capitolare). In Europa mi sento fratello non solo degli italiani, ma anche dei tedeschi, dei francesi, dei polacchi. Mi sento tale perché so che loro ascoltano me, uomo di madrelingua friulana che ha imparato l’italiano sui banchi di scuola, come io ascolto loro. Con rispetto e voglia d’imparare. In Italia, se si escludono i popoli che hanno problemi simili, come i sardi, vengo guardato come un nemico. Come uno che non vuole essere italiano.

    La questione, insomma, va posta in maniera diversa rispetto al dilemma iniziale: io mi sento italiano fintanto che posso sentirmi friulano senza vergogna. Se non mi si riconosce, se mi si vuole buttare dentro al calderone, allora non posso sentirmi italiano. Per questo mi sento profondamente europeo.
    Hubert Londero da http://www.ilfriuli.it/
     
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    Peppe, l'ultimo italiano rimasto a Tokyo!

    Post n°1574 pubblicato il 15 Marzo 2011 da luger2
     

    GIUSEPPE ERRICCHIELLO, 26 ANNI, FA IL PIZZAIOLO NELLA CAPITALE GIAPPONESE

    «Peppe, sei l’ultimo italiano rimasto a Tokyo. Ti prego, scappa». Inizia così la telefonata dell’ambasciatore italiano in Giappone, ricevuta questa mattina da Giuseppe Erricchiello, in arte Peppe, pizzaiolo nato 26 anni fa ad Afragola, vicino a Napoli, e residente a Tokyo da cinque anni. 

    Peppe nella sua pizzeriaPeppe nella sua pizzeriaPeppe è un mio amico. Peppe è uno dei molti che hanno fatto grande l’Italia all’estero. L’ho conosciuto in uno dei miei viaggi in Giappone, ho mangiato la sua pizza ed ho ascoltato la sua storia. Una storia che mi ha fatto comprendere il valore, il coraggio, la dolcezza e la straordinaria semplicità di questo ragazzo dal naso partenopeo. Peppe non padroneggia un italiano perfetto e l’inflessione dialettale è predominante, ma ciò che dice e racconta arriva sempre dritto al cuore: aveva circa 20 anni quando venne accoltellato perché - sembra impossibile, ma è storia di oggi - si era innamorato di una ragazza di cui non doveva innamorarsi. Era stato avvertito del rischio della sua scelta, ma le motivazioni che gli erano state fornite erano impossibili da comprendere per un ragazzino della sua età. Peppe rimane qualche mese in coma e al suo risveglio chiede aiuto a sua nonna, la donna che lo ha cresciuto: «Nonna, io non voglio rimanere in Italia, ho paura. La cosa che so fare meglio di tutte è la pizza. Secondo te, qual è il Paese dove piace di più la pizza?». La nonna rispose che le pareva che ai giapponesi la pizza piacesse, e Peppe, raccolto tutto il suo denaro, parte da solo per Tokyo, città dove inizia immediatamente a lavorare. Come garzone, aiuto cuoco e poi, finalmente, come pizzaiolo. 

    Pizza dopo pizza, ristorante dopo ristorante, Peppe in soli cinque anni riesce ad avere una pizzeria tutta sua – che ha chiamato La Bicocca - e a fare breccia nel cuore della gente della città, che lo ama. Oggi, o meglio, sino allo scorso venerdì, Peppe era diventato un personaggio pubblico: andava nelle scuole ad insegnare ai bambini giapponesi a fare la pizza napoletana; era a fare ospitate sulla televisione nazionale per raccontare i segreti del suo impasto; era all’ambasciata italiana, a fondare l’associazione dei pizzaioli napoletani in Giappone. E tutte le sere nel suo locale, a lavorare sodo, sempre, fino a tarda notte. 

    Oggi Peppe è l’ultimo italiano rimasto a Tokyo, tutti gli altri sono già tornati in Italia o si sono spostati in altre città del Giappone. Ha paura, ma non vuole andarsene. Non vuole scappare dalla città che lo ha accolto, non vuole abbandonare la gente che gli vuole bene. L’ho chiamato questa mattina per sentirlo, per sapere come e dove stesse vivendo queste incredibili ore, e l’ho trovato ancora a Tokyo. «Venerdì è stata durissima: ho avuto il tempo di pregare, di chiedere scusa per tutti i miei peccati e ho chiuso gli occhi pensando che tutto sarebbe sparito. Poi ho riaperto gli occhi e tutto era ancora lì, ma era caduto per terra. Stamattina mi ha chiamato l’Ambasciatore per dirmi di andare via subito, che è pericoloso. Ma mi dispiace lasciare questa gente. Se non faccio io la pizza, nessuno va più al ristorante. La città è vuota, per le strade non c’è più nessuno: sono tutti chiusi nelle case. I negozi sono serrati e gli alimentari non hanno più nulla da vendere, in alcune zone della città non c’è l’acqua e l’elettricità funziona solo ogni tanto. Sembra di essere in una città fantasma». Proprio ieri la moglie di Peppe, che si è sposato con una bella ragazza giapponese, ha scoperto di essere incinta e lui, fiero, mi ha detto che diventerà papà. E questo è l’unico motivo per cui Peppe oggi prenderà un treno e si sposterà per qualche giorno nel sud del Giappone. «Ma voglio tornare, perché la mia vita è tutta in questa città».

    Massimo Triulzi da http://www.corriere.it

     
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    “MALAUNITA’, 150 anni portati male”

    Post n°1573 pubblicato il 15 Marzo 2011 da luger2
     

    Il libro-verità sul Risorgimento e sulla “questione meridionale”

    Angelo Forgione - Martedì 15, grandissimo appuntamento nella “Sala della Loggia” del Maschio Angioino alle ore 17:00 per la presentazione del libro-verità sui 150 anni d’unità d’Italia.                                                                                                                    Un lavoro a più mani frutto del “gioco di squadra” dei più quotati giornalisti e ricercatori del meridionalismo contemporaneo, e per questo sono onoratissimo e fiero di essere stato selezionato in questa “nazionale” che si oppone in questa ricorrenza a quella dei tanti intellettuali che in un secolo e mezzo di Italia unita non hanno mai avuto il coraggio di affrontare l’argomento “unificazione” in maniera obiettiva e realistica. Nel mio capitolo “Un quadro da restaurare”, con la collaborazione di Pompeo De Chiara, ho ricostruito meticolosamente lo scenario reale degli avvenimenti del Risorgimento riunendo le frasi originali dei protagonisti dell’epoca e integrandovi quelle dei tanti pensatori più o meno contemporanei che hanno dato un contributo in questi 150 anni al restauro di un quadro deturpato dalla retorica e dalle verità nascoste.Al Maschio Angioino ci saremo tutti: da Pino Aprile, reduce dal successo di “Terroni” a Lorenzo Del Boca, da Gigi Di Fiore a Ruggero Guarini, da Lino Patruno a Eddy Napoli che ha curato e cantato i due brani musicali del cd allegato al libro; e ancora Felice Abbondante, Antonio Boccia, Pompeo De Chiara, Gennaro De Crescenzo, Vincenzo Gulì, Salvatore Lanza, Antonio Picciano, Alessandro Romano, Lorenzo Terzi e, chiaramente, Angelo Forgione. Tutti riuniti dall’abbraccio d’oltralpe di un grande uomo di cultura amante di Napoli che ha curato la prefazione: Jean-Noël Schifano. Sarà l’appuntamento d’apertura delle “tre giornate di Napoli” (dal 15 al 17) con le quali intenderemo celebrare la verità contrapponendoci alla retorica che sta colpevolmente caratterizzando questo terzo giubileo d’unità nazionale.                                              

     
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