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L’Italia, la terra della frutta. Dalla mela all’albicocca, dalle prugne ai cachi e ai fichi d’India. Solo un frutto ci mancava: la banana. Ecco, ora abbiamo anche quello. In Sicilia. Per la verità, da secoli nell’isola esiste una varietà denominata appunto banana comune di Sicilia, diffusa soprattutto tra Messina e Cartania. Una variante frutti piccoli, coltivata però solo in maniera amatoriale, per autoconsumo, o destinata al ristretto ambito locale a causa della sua bassa produttività.
La scommessa di una giovane imprenditriceDal 2012, però, c’è anche una vera e propria coltivazione non della piccola banana siciliana, ma di quella normalmente prodotta nell’area tropicale. L’idea è stata di Letizia Marcenò, imprenditrice agricola 23enne. Che a Sud di Palermo, nella Valle dell’Oreto, accanto ai limoni e alle nespole ha deciso di coltivare banane specie Musa x paradisiaca subspecie sapientum: 6 ettari per un centinaio di caschi l’anno, una produzione ancora limitata ma in crescita e dal futuro promettente, almeno per il mercato locale. Certo, prima di fare concorrenza a realtà come l’Ecuador, l’India o il Brasile, di strada ce n’è ancora da fare. Ma il clima e il terreno fertile rendono la banana italiana un sogno possibile. Le banane richiedono infatti un clima mite, senza troppi sbalzi di temperatura, una discreta umidità e un vento non troppo forte. La temperatura ideale è di 21-24°C, e comunque non al di sotto dei 10°C.
Surriscaldamento globaleI cambiamenti climatici, con un Sud sempre più tropicale, hanno permesso in Sicilia anche la nascita della prima coltivazione italiana di avocado, nei pressi di Giarre. Mentre, al Nord, al di fuori della Pianura Padana sempre più umida – e dove la coltivazione del pomodoro è in netta crescita – sta avanzando la coltivazione dell’ulivo. Sui costoni soleggiati del versante retico della Valtellina, dove da secolo nascono impareggiabili vini come l’Inferno, il Grumello e il Sassella, oggi si contano circa 10mila ulivi su quasi 30mila metri quadrati di terreno. La nuova frontiera alpina dell’olio, oltre il 46esimo parallelo, è monitorata dai tecnici della Coldiretti, che sempre più spesso si sentono chiedere dagli agricoltori di inserire nel proprio fascicolo aziendale i terreni a uliveto.
L’altra faccia della medagliaSulle Alpi la presenza della vite è arrivata ormai a quasi 1200 metri d’altitudine, come a Morgex e a La Salle in Valle d’Aosta. Ma gli effetti del riscaldamento della temperatura, anche per quanto riguarda l’enogastronomia, non sono sempre positivi, anzi. Secondo Coldiretti, esso “provoca anche il cambiamento delle condizioni ambientali tradizionali per la stagionatura dei salumi, per l’affinamento dei formaggi o l’invecchiamento dei vini. Una situazione che di fatto – continua la Coldiretti – mette a rischio di estinzione il patrimonio di prodotti tipici made in Italy che devono le proprie specifiche caratteristiche essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico”.
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