IL DUBBIOLa vita non è fatta solo di terra da arare o produttiva, ma anche di montagne di sogni e di sotterranei di dolore ¨ Abraham Heschel |
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LA POESIA
"Quando il potere spinge l'uomo all'arroganza, la poesia gli ricorda i suoi limiti. Quando il potere restringe il campo dei suoi interessi, la poesia gli ricorda la ricchezza e diversità della sua esistenza. Quando il potere corrompe, la poesia purifica"
John Fitzgerald Kennedy - pochi mesi prima di essere assassinato ...
DEDICATO ALLA CLASSE POLITICA ITALIANA
"Bisogna sempre tener presente questi due principi: primo, agire unicamente secondo ciò che ti suggerisce il bene dell'umanità; secondo, cambiar parere se trovi qualcuno capace di correggerti, rimuovendoti da una certa opinione. Questo nuovo parere, comunque, deve sempre avere una ragione, come la giustizia o l'interesse comune, ed esclusivamente tali devono essere i motivi che determinano la tua scelta, non il fatto che ti sia parsa più piacevole o tale da procurarti maggior gloria."
Tratto dai "Ricordi dell'imperatore Marco Aurelio (121-180 D.C.)
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Qui di seguito un editoriale di Pierluigi Battista del Corriere della Sera riguardo all’ultima proposta leghista di introdurre dei simboli regionali accanto alla bandiera italiana:
IL GUSTO (INUTILE) PER IL CHIASSO
Non se ne farà niente (per fortuna), ma se ne parlerà molto (per sfortuna) e chi si è fatto promotore dell’ultima scheggia di chiacchiericcio nazionale ne resterà ugualmente appagato. Cambiare la Costituzione per spezzare il monopolio del tricolore come vessillo d’Italia con l’aggiunta di stendardi regionali sulle pareti degli edifici pubblici? È solo la deriva della sindrome identitaria, l’idea che la politica debba ridursi a rivendicazione simbolica e che con la manipolazione degli emblemi o del lessico consacrato si possa mettere a segno chissà quale fruttuosa «provocazione».
La Lega è maestra in questo rivendicazionismo simbolico. Dall’invenzione della «Padania » alla mitologia di Pontida, dal Barbarossa al Parlamento alla riscoperta dei dialetti è una sequenza infinita e fantasiosa di simboli identitari da scaraventare nel cuore dell’immaginario politico. La Lega, unicum in Italia, è molto apprezzata, anche dai suoi più severi avversari, per il suo radicamento territoriale, per la solidità dei legami con la propria terra. Ma sente anche un incoercibile bisogno di folclore come moneta da spendere nel mercato della politica e pure del governo. Non ci saranno conseguenze pratiche nemmeno stavolta, la proposta di legge costituzionale non passerà o sarà addolcita per renderla più digeribile.
Resta la percezione, estesa purtroppo anche oltre i confini dell’Italia, che una classe dirigente impegnata in una crisi senza precedenti negli ultimi decenni è invece costretta a discettare sulle bandiere regionali (tutte da scoprire, peraltro) e sul loro rapporto con il tricolore bianco rosso e verde. A tuffarsi nelle dispute sui dialetti. A perdersi nelle fumose discussioni sulla nostra (presunta) storia. Non se ne farà niente. Solo la soddisfazione di un po’ di chiasso.
Pierluigi Battista
Inoltre, sempre sulla stessa stregua, un’ironica lettera di Claudio Magris al ministro della pubblica istruzione Gelmini:
lettera aperta alla Gelmini
Dante e Verga? Basta. Mi son de Trieste
Ministro, cambiamo i programmi: «El moroso de la Nona» al posto della Divina Commedia
Signor ministro, mi permetto di scriverLe per suggerirLe l'opportunità di ispirare pure la politica del Ministero da Lei diretto, ovvero l'Istruzione — a ogni livello, dalla scuola elementare all'università — e la cultura del nostro Paese, ai criteri che ispirano la proposta della Lega di rivedere l'art. 12 della Costituzione, ridimensionando il Tricolore quale simbolo dell'unità del Paese, affiancandogli bandiere e inni regionali. Programma peraltro moderato, visto che già l'unità regionale assomiglia troppo a quella dell'Italia che si vuole disgregare.
Ci sono le province, i comuni, le città, con i loro gonfaloni e le loro incontaminate identità; ci sono anche i rioni, con le loro osterie e le loro canzonacce, scurrili ma espressione di un’identità ancor Penso ad esempio che a Trieste più compatta e pura. l'Inno di Mameli dovrebbe venir sostituito, anche e soprattutto in occasione di visite ufficiali (ad esempio del presidente del Consiglio o del ministro per la Semplificazione) dall’Inno «No go le ciave del portòn», triestino doc.
Ma bandiere e inni sono soltanto simboli, sia pur importanti, validi solo se esprimono un'autentica realtà culturale del Paese. È dunque opportuno che il Ministero da Lei diretto si adoperi per promuovere un'istruzione e una cultura capaci di creare una vera, compatta, pura, identità locale.
La letteratura dovrebbe ad esempio essere insegnata soltanto su base regionale: nel Veneto, Dante, Leopardi, Manzoni, Svevo, Verga devono essere assolutamente sostituiti dalla conoscenza approfondita del Moroso de la nona di Giacinto Gallina e questo vale per ogni regione, provincia, comune, frazione e rione. Anche la scienza deve essere insegnata secondo questo criterio; l'opera di Galileo, doverosamente obbligatoria nei programmi in vigore in Toscana, deve essere esclusa da quelli vigenti in Lombardia e in Sicilia. Tutt'al più la sua fisica potrebbe costituire materia di studio anche in altre regioni, ma debitamente tradotta; ad esempio, a Udine, nel friulano dei miei avi. Le ronde, costituite notoriamente da profondi studiosi di storia locale, potrebbero essere adibite al controllo e alla requisizione dei libri indebitamente presenti in una provincia, ad esempio eventuali esemplari del Cantico delle creature di San Francesco illecitamente infiltrati in una biblioteca scolastica di Alessandria o di Caserta.
Per quel che riguarda la Storia dell’Arte, che Michelangelo e Leonardo se lo tengano i maledetti toscani, noi di Trieste cosa c’entriamo con il Giudizio Universale? E per la musica, massimo rispetto per Verdi, Mozart o Wagner, che come gli immigrati vanno bene a casa loro, ma noi ci riconosciamo di più nella Mula de Parenzo, che «ga messo su botega / de tuto la vendeva / fora che bacalà».
Come ho già detto, non solo l’Italia, ma già la regione, la provincia e il comune rappresentano una unità coatta e prevaricatrice, un brutto retaggio dei giacobini e di quei mazziniani, garibaldini e liberali che hanno fatto l'Italia. Bisogna rivalutare il rione, cellula dell'identità. Io, per esempio, sono cresciuto nel rione triestino di Via del Ronco e nel quartiere che lo comprende; perché dovrei leggere Saba, che andava invece sempre in Viale XX Settembre o in Via San Nicolò e oltretutto scriveva in italiano? Neanche Giotti e Marin vanno bene, perché è vero che scrivono in dialetto, ma pretendono di parlare a tutti; cantano l’amore, la fraternità, la luce della sera, l’ombra della morte e non «quel buso in mia contrada»; si rivolgono a tutti — non solo agli italiani, che sarebbe già troppo, ma a tutti. Insomma, sono rinnegati.
Ma non occorre che indichi a Lei, Signor Ministro, esempi concreti di come meglio distruggere quello che resta dell’unità d’Italia. Finora abbiamo creduto che il senso profondo di quell’unità non fosse in alcuna contraddizione con l'amore altrettanto profondo che ognuno di noi porta alla propria città, al proprio dialetto, parlato ogni giorno ma spontaneamente e senza alcuna posa ideologica che lo falsifica. Proprio chi è profondamente legato alla propria terra natale, alla propria casa, a quel paesaggio in cui da bambino ha scoperto il mondo, si sente profondamente offeso da queste falsificazioni ideologiche che mutilano non solo e non tanto l’Italia, quanto soprattutto i suoi innumerevoli, diversi e incantevoli volti che concorrono a formare la sua realtà. Ci riconoscevamo in quella frase di Dante in cui egli dice che, a furia di bere l'acqua dell’Arno, aveva imparato ad amare fortemente Firenze, aggiungendo però che la nostra patria è il mondo come per i pesci il mare. Sbagliava? Oggi certo sembrano più attuali altri suoi versi: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!».
Con osservanza
Claudio Magris
Personalmente, essendo marchigiano, non saprei proprio che cosa potrebbe contraddistinguere culturalmente una regione come la mia. Oltre alle inebrianti liriche di Rossini oppure agli splendidi affreschi di Raffaello non trovo un qualcosa di sentire comune tra la gente della mia regione.
Come dice la pubblicità, le Marche sono una regione plurale, con dialetti totalmente diversi tra di loro oltre alla grandissima varietà di cibi e vini.
E allora mettiamo anche un gonfalone di piccolo comune e paesello sperduto tra le colline marchigiane insieme alla bandiera italiana?
Tutto ciò considerando anche che tra 2 anni (17 marzo 2011) ricorreranno i 150 ANNI trascorsi dall’unità d’Italia. Ma quale unità e soprattutto quale identità da festeggiare se ci sono ancora delle sparate del genere?
Diceva il principe austriaco di Metternich che “l’Italia non è altro che una mera espressione geografica” ….
A pensarci bene, forse, neppure quella ….
Un saluto a tutti
Vito
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