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Messaggi del 28/03/2020

Quando il giorno era di 23 ore..

Post n°2664 pubblicato il 28 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

La giornata dei dinosauri scorreva più veloce della nostra

Al tempo dei dinosauri, nel Cretaceo superiore, un giorno

durava 23 ore e 31 minuti: lo dimostrerebbe (pensate un po')

questo fossile di "vongola".

bivalve-del-cretaceoIl fossile di un bivalve rudista del Cretaceo.

 | WIKIMEDIA COMMONS  

Per i dinosauri del Cretaceo superiore, le ore del giorno

non dovevano bastare mai: soprattutto perché non erano

24 ma 23:31 - come sostiene un nuovo studio pubblicato

su Paleoceanography and Paleoclimatology.

L'analisi dettagliata di un guscio fossilizzato di un bivalve

ha permesso di stabilire che, 70 milioni di anni fa, la Terra

compiva 372 rotazioni all'anno e non 365, un "dettaglio"

che permette di comprendere meglio i giochi di forza e la

distanza tra Terra e Luna. 

CALENDARI FOSSILI.

 Un gruppo di geochimici della Vrije Universiteit di Bruxelles

ha esaminato con dispositivi laser minuscole sezioni del guscio

di un gruppo di bivalvi estinti con l'impatto dell'asteroide di

Chicxulub, le vongole rudiste.

Gli scienziati si sono concentrati su una specie in particolare,

la Torreites sanchezi, rinvenuta in Oman: l'animale che viveva

nelle acque tropicali cresceva rapidamente espandendo il guscio

con anelli di materiale giornalieri, simili nella struttura agli

anelli di crescita degli alberi.

Insieme all'acqua i molluschi assorbivano le sostanze

chimiche presenti nei mari.

La loro analisi ha permesso di ricostruire temperatura e

composizione delle acque nel Cretaceo superiore, ed

associarle ai ritmi stagionali.

Le variazioni periodiche delle stagioni registrate nel guscio

sono servite a identificare l'età - in anni - dei bivalvi,

mentre la conta degli anelli di crescita ha determinato

il numero di giorni in un anno.

DANZA CELESTE.

 La lunghezza dell'anno è rimasta costante nella storia

della Terra, perché l'orbita della Terra attorno al Sole è

rimasta invariata.

Gli scienziati hanno contato 372 stratificazioni giornaliere

per anno: sono così risaliti alla duranta del giorno, più

corta di mezz'ora rispetto a quello odierno.

Che in passato i giorni fossero più corti era un fatto noto,

ma il dato ottenuto è il più accurato disponibile per il 

Cretaceo superiore.

Da allora il giorno si è allungato per effetto dell'attrito

causato dalle maree oceaniche dovute alla gravità lunare,

che rallentano la rotazione terrestre.

Mano a mano che la Terra rallenta, l'attrazione delle

maree allarga l'orbita lunare e spinge il nostro satellite

un po' più in là - al momento, la Luna si allontana i 4 cm

all'anno, anche se la sua velocità di recessione non è

costante.

COSTRUTTORI DI FONDALI. Un'altra scoperta riguarda

la natura dei bivalvi rudisti, che dovevano svolgere per gli

antichi oceani un ruolo simile a quello dei moderni coralli.

L'analisi delle stratificazioni del guscio dimostra che esso

cresceva più rapidamente di giorno che di notte: così come

i polipi dei coralli, la vongola viveva probabilmente in simbios

i con un organismo capace di fotosintesi.

 
 
 

La chirurgia degli Inca.

Post n°2663 pubblicato il 28 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

 

Le sorprendenti capacità chirurgiche degli Inca

La sorprendente percentuale di successo delle operazioni

di perforazione cranica in epoca Inca.

chirurgia-cranica_aperturaMolti teschi rinvenuti in Perù nel corso degli anni

mostrano segni di interventi di trapanazione cranica. |

 UNIVERSITY OF MIAMI  

Vi sottoporreste a un intervento chirurgico di trapanazione

cranica senza anestesia e senza antibiotici? Tranquilli,

non c'è chirurgo al mondo che ve lo proporrebbe, oggi,

ma in passato le cose andavano diversamente, e non due

o trecento anni fa: dagli Inca alla Grecia antica, era una

pratica più diffusa di quanto si credesse finora - e in certi

periodi con ottimi risultati.

Al tempo di quelle antiche civiltà molti sono stati sottoposti

a simili interventi e, lo dimostrano i reperti, molti sono

sopravvissuti per mesi e anni.

Oggi si conoscono centinaia di casi di trapanazioni eseguite

dai "medici" Inca con percentuali di successo sorprendentemente

alte, fino all'80-90 per cento - un tasso di sopravvivenza

di molto superiore ad analoghi interventi eseguiti, per esempio,

durante la Guerra Civile americana, circa 400 anni dopo, che

non ha mai superato il 50 per cento.


trapanazione del cranio, medicina Inca, cervello, membrana del cervello, storia della medicina

Reperti conservati al museo Inca di Cusco.

 

| MUSEO INCA CUSCO

FINO AL 91%! David Kushner (neurologo, Università di

Miami), John Verano (bioarcheologo, Tulane University, New

Orleans) e Anne Titelbaum (bioarcheologa, Università

dell'Arizona) hanno condotto una ricerca - pubblicata su

World Neurosurgery (sommario, in inglese) - sul tasso di

successo della chirurgia cranica lungo culture e periodi

storici diversi.

Spiega Kushner: «È possibile che le trapanazioni siano

state inizialmente pensate per ripulire fratture craniche

e alleviare la pressione del sangue sul cervello dopo i

colpi alla testa», tuttavia non tutti i crani trapanati esaminati

dal team mostrano segni di ferite, quindi è possibile che

l'intervento chirurgico sia stato utilizzato anche per trattare

particolari malattie, come i mal di testa cronici e le malattie

mentali.

Teschi con vari tipi di trapanazione sono stati rinvenuti in

tutto il mondo,

ma il Perù, con il suo clima secco e le eccellenti condizioni di

conservazione, ne vanta centinaia.

Il gruppo di ricercatori ha esaminato 59 teschi provenienti

dalla costa meridionale del Perù, datati tra il 400 e il 200 a.C.

(I gruppo), 421 reperti provenienti dagli altopiani centrali

del Perù, datati dal 1000 al 1400 d.C. (II gruppo), e 160

teschi provenienti dagli altopiani di Cusco, la capitale

dell'impero Inca, datati tra gli inizi del 1400 d.C. e la metà

del 1500 d.C. (III gruppo).

 

trapanazione del cranio, medicina Inca, cervello, membrana del cervello, storia della medicina

Una serie di fori prodotti probabilmente per ridurre

un'infezione: in questo caso lo stato delle ossa

suggerisce che il paziente sopravvisse. 

DANIELLE KURIN

I SOPRAVVISSUTI. 

L'indizio sul successo o meno dell'intervento lo dà

lo stato dell'osso attorno alla trapanazione: se non

ci sono evidenti segni di guarigione, il paziente deve

essere morto durante o poco dopo l'intervento.

Al contrario, un perimetro liscio attorno all'apertura

dimostra che il paziente è sopravvissuto per mesi o

anni dopo l'intervento.

I risultati dello studio sono sorprendenti: solo il 40 per

cento del primo gruppo è sopravvissuto all'intervento,

ma poi si passa al 53 per cento per il secondo gruppo e

all'83 per cento durante il periodo Inca (III gruppo).

C'è poi un sorprendente 91 per cento di pazienti soprav-

vissuti in un altro campione, per la verità piccolo, di nove

crani provenienti dagli altopiani settentrionali, datati tra

il 1000 e il 1300 d.C.

 

trapanazione del cranio, medicina Inca, cervello, membrana del cervello, storia della medicina

Perforazioni su un cranio del periodo Inca.

 | DANIELLE KURIN

SEMPRE MEGLIO. Stando ai ricercatori le tecniche sono

migliorare nel tempo: fori più piccoli e meno invasivi,

evidentemente per ridurre il rischio di danneggiare la

membrana protettiva del cervello.

«Abbiamo potuto "vedere" un progressivo affinamento

nei metodi di trapanazione in un processo durato un

migliaio di anni: quei chirurghi non erano semplicemente

fortunati, erano davvero abili! Diversi pazienti sembrano

essere sopravvissuti anche a trapanazioni multiple: un

cranio di epoca Inca mostra addirittura cinque interventi

chirurgici guariti», afferma il ricercatore.


SEMPRE PEGGIO.

 Kushner e Verano hanno poi confrontato i risultati conseguiti

dalla medicina Inca con interventi cranici eseguiti con metodi

simili sui soldati durante la Guerra Civile americana.

Anche i chirurghi di quei campi di battaglia hanno curato le

ferite alla testa tagliando le ossa mentre cercavano di non

perforare la delicata membrana del cervello.

Stando alle cartelle cliniche dell'epoca, però, dal 46 al 56

per cento dei pazienti sono deceduti, rispetto al 17-25

per cento dei pazienti Inca.

 

Storia dell'anestesia: dal colpo in testa ai narcotici. |

«Queste differenze sono in parte giustificate dalla natura

delle lesioni: sui campi di battaglia della Guerra Civile i

traumi dovevano essere ben diversi da quelli collezionati al

tempo degli Inca», afferma Emanuela Binello, neurochirurgo

(Università di Boston), che ha condotto analoghi studi sulle

tecniche di trapanazione nell'antica Cina.

Molti soldati della Guerra Civile hanno sofferto di ferite da

arma da fuoco e da palle di cannone e sono stati trattati

in ospedali affollati e drammaticamente sporchi, cosa che

ha certamente favorito le infezioni, «ma il tasso di soprav-

vivenza alle trapanazioni in Perù ha comunque dell'incredibile»,

conclude Binello.

 
 
 

LA TELEPATIA

Post n°2662 pubblicato il 28 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportatodall'Internet

La telepatia è scientificamente possibile?

Non esattamente come nei film, ma qualcosa di simile alla telepatia esiste.

E la ricerca fa progressi.

cervello| PASIEKA/SCIENCE PHOTO LIBRARY/CORBIS  

I ricercatori escludono che possa esistere la telepatia in senso stretto, ovvero

la possibilità di trasmettere informazioni da una persona a un'altra senza attività

sensoriale o strumenti artificiali.

La comunicazione tramite il solo pensiero è ancora relegata agli ambiti della

parapsicologia e della fantascienza.

In termini scientifici, invece, si parla di brain-to-brain communication

 (comunicazione tra cervelli) e alcuni esperimenti condotti negli ultimi anni

dimostrano che è possibile mettere in connessione i cervelli di più individu

attraverso un'interfaccia neurale computerizzata, chiamata BCI, dall'inglese

 brain-computer interface. Questo strumento registra, codifica e decodifica

impulsi elettrici, i quali possono essere trasmessi via radio, wi-fi, internet

e via dicendo.


Brain to brain communication


L'INSTANT MESSAGING DEL PENSIERO. Nel 2014 la rivista 

PLOS ONE ha pubblicato i risultati di un esperimento condotto dai

ricercatori di Starlab Barcelona.

Il team, composto da neuroscienziati e ingegneri robotici, si è chiesto

se fosse possibile mettere in comunicazione diretta due cervelli a

distanza di migliaia di chilometri: utilizzando una BCI basata su

elettroencefalogramma e internet hanno veicolato un breve messaggio da

un mittente in India a un destinatario in Francia.


Brain to brain communication

CHE COSA C'È DI NUOVO?

 Altri ricercatori sono riusciti a collegare il cervello umano a un computer

tramite elettrodi e a decodificare alcuni semplici pensieri, arrivando a muovere

per esempio la coda di un ratto o una sedia a rotelle.

La novità di questo esperimento è che all'altro capo della "connessione"

c'era un altro cervello umano.

L'esperimento è stato condotto collegando il cervello del mittente a un

computer, che ha tradotto l'elettroencefalogramma in codice binario e ha

trasmesso i dati a un secondo computer connesso, sempre in modo non

invasivo, al cervello del ricevente.

Il messaggio? Un semplice «ciao». Tanto è bastato per dimostrare che la

telepatia non è un concetto così lontano dalla realtà, almeno nella sua

versione digitale.

 
 
 

COVID-19

Post n°2661 pubblicato il 28 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

COVID-19:

perché così pochi casi in Russia e Africa?Trasporti, controlli,

clima, mancanza di trasparenza: tutte le possibili ragioni

dell'apparente bassa diffusione della COVID-19 in Russia

e in altri Paesi.

covid-19-diffusione-nel-mondoLa COVID-19 non conosce confini: perché allora alcune aree

geografiche sembrano esserne immuni, o quasi? Vedi anche

: la mappa della diffusione del nuovo coronavirus nel tempo | 

SHUTTERSTOCK  

Come mai diversi Paesi che hanno intense relazioni commerciali

o turistiche con la Cina riportano ancora pochissimi casi di

COVID-19? Perché in Africa la diffusione del nuovo coronavirus

sembra essere per il momento limitata? E quanto è attendibile il

dato di soli 63 casi in Russia al 17 marzo? La domanda e le possibili

risposte sono al centro di un articolo pubblicato su 

I CONTI NON TORNANO. Anche in caso di pandemia, è normale che

alcune aree geografiche siano raggiunte più lentamente dall'onda

dei contagi.

Tuttavia, la Russia non è meno legata alla Cina di altri Paesi (come

Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti) che sono ora alle prese con

elevati livelli di trasmissione comunitaria del nuovo coronavirus.

Un altro dato significativo è che nei 15 Paesi che confinano via

terra o via mare con la Cina, sono stati riportati in totale soltanto

310 casi: solo l'India ne ha dichiarati più di 100, e dieci Paesi ne

registrano meno di 5.

Inoltre, mentre gli epidemiologi di tutto il mondo temono la diffusione

della COVID-19 in Africa, i 54 Paesi africani riferiscono appena 253

casi degli oltre 167 mila mondiali (dati aggiornati al 17 marzo).

Perché questi numeri così contenuti?

SILENZI IRRESPONSABILI.

 La prima ragione che viene in mente - e anche la più pericolosa -

è la mancanza di test ai casi sospetti, o la scarsa trasparenza nel

riferirli.

In molti Paesi sono sottoposti a tampone solo i cittadini con una storia

di viaggio nelle aree più colpite, o quelli che accusano sintomi già

gravi.

Ciò determina una sottostima dei casi di contagio destinata a

prolungare i tempi di lotta alla pandemia, come ha di recente ricordato

l'OMS.

In alcuni Paesi mancano le risorse per affrontare campagne di test

su larga scala; altri temono le ripercussioni economiche associate

alla denuncia dei casi (come la contrazione del turismo) o non

vogliono attirare l'attenzione del mondo su sistemi sanitari

impreparati all'urto della COVID-19.

Questa opacità rischia di creare degli hotspot in cui il nuovo

coronavirus continuerà a proliferare anche quando saremo usciti

dalla fase più critica.


SCAMBI RIDOTTI

Alcuni dei Paesi con meno contagi hanno effettivamente scambi molto

ridotti con la Cina, amplificati dalle restrizioni introdotte dal Paese

con lo scoppio dell'epidemia, che potrebbero aver ritardato la diffu-

sione della COVID-19.

Se questo fosse vero, i contagi in questi luoghi aumenteranno

purtroppo nelle prossime settimane, visti gli elevati contatti con

l'Europa, nuovo epicentro dell'epidemia. 

C'è poi il caso di Paesi come il Giappone o Singapore, che mantengono

un intenso scambio di merci e persone con la Cina e nei quali però

la COVID-19 sembra procedere più lentamente.

Controlli più stringenti alle frontiere nelle prime fasi dell'emergenza

potrebbero aver tenuto a bada la trasmissione locale (senza contare

il fattore Olimpiadi, che potrebbe riportarci al paragrafo precedente).

Se l'ipotesi di una sorveglianza più attiva si rivelasse fondata, quest

i Paesi dovrebbero registrare un andamento più lento nella crescita

dei contagi.


IL FATTORE GEOGRAFICO.

 La maggior parte dei casi si registra oggi sopra il Tropico del Cancro.

A sud di esso si riportano, mentre scriviamo, solo 2.025 casi d

i COVID-19.

Nei Paesi tropicali o dell'emisfero australe sono concentrati solo

l'1,29% dei casi globali.

Questo dato potrebbe essere un riflesso di più scarsi legami con la

Cina, o piuttosto del tipo di clima preferito dal coronavirus SARS-CoV-2;

ma è anche possibile che le altre infezioni diffuse in queste aree

geografiche mascherino le infezioni da COVID-19, scambiate per

altre malattie.

Se la causa fossero i limitati contatti con la Cina (discorso che non

tiene, per l'Africa), allora anche in queste zone i casi dovrebbero

aumentare nelle prossime due settimane, portati dall'Europa.

Se dipende dal clima, dovremmo vedere un cambiamento della

situazione con l'estate (nostra) e l'inverno australe; se infine c'entrano

le altre infezioni (o i farmaci già presi per arginarle: 

come gli antimalarici, sperimentati anche contro la COVID-19)

il numero di nuovi casi dovrebbe rimanere contenuto.

 
 
 

La chirurgia del Neolitico..

Post n°2660 pubblicato il 28 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Chirurgia: l'uomo del Neolitico si esercitava sui bovini?

Un teschio di mucca di 5.000 anni fa presenta un foro

simile a quelli degli interventi di trapanazione su crani

umani: un momento di compassione o un esempio di

sperimentazione animale?

mucca_neoliticoGli interventi veterinari del Neolitico: a beneficio

degli animali, o dei successivi pazienti umani?

 | SHUTTERSTOCK  

Un foro grande come un biscotto trovato in un teschio

bovino dell'Età della pietra ha lasciato sorpresi gli archeologi,

che si chiedono se rappresenti uno dei primi esempi noti di

pratica chirurgica veterinaria o al contrario di speri-

mentazione su animali.


FATTI CON LO STAMPINO

Il reperto, che risale almeno al 3000 a.C. ed è stato trovato

nel sito neolitico di Champ-Durand, in Francia, presenta le

stesse caratteristiche strutturali dei fori ottenuti con la

 trapanazione del cranio, un tipo di intervento praticato

su "pazienti" umani già 10 mila anni fa.

La tecnica usata è apparentemente la medesima, come raccont

a un articolo pubblicato su Scientific Reports.

Il procedimento che prevedeva di praticare un foro nella

parte superiore del cranio, asportando parte delle ossa, era

diffuso e - contrariamente a quanto si potrebbe pensare -

in molti casi efficace: poteva alleviare gli effetti di traumi o

emorragie, e le ossa rimarginate visibili su alcuni teschi

umani indicano che in molti casi si sopravviveva.

Finora però un simile intervento non era ancora stato osservato

su reperti animali.

 

Ricostruzione in 3D del teschio di mucca del Neolitico,

con il foro visibile dall'esterno (a sinistra) e dall'interno

(a destra). La barra bianca di lato corrisponde a 10 cm

di lunghezza. | FERNANDO RAMIREZ ROZZI

NESSUNA CAPOCCIATA.

 Fernando Ramirez Rozzi, archeologo del Centre national de

la recherche scientifique di Parigi, racconta di aver scartato

l'ipotesi iniziale di un foro provocato dal combattimento con

un'altra mucca.

Il buco, largo 6,4 cm, non presentava intorno alcuna frattura

o scheggiatura, né c'erano i segni di un'infezione o di un tumore.

Piuttosto, mostrava sui bordi la raschiatura tipica degli interventi

di trapanazione (come si vede nell'immagine qui sopra).

SFORTUNATA.

 In questo caso però, la paziente non sopravvisse: sul teschio

della mucca non ci sono segni di guarigione ossea.

Può darsi che l'intervento sia avvenuto sull'animale in fin di vita

nel tentativo di salvarlo, oppure su una mucca già morta, per

esercitarsi sull'animale senza danneggiare esseri umani ancora

vivi.

La prima ipotesi appare più improbabile: dopo tutto, di bovini

ci si nutriva.

Perché salvarne uno per ucciderne altri? Se valesse invece

l'ipotesi di una "prova generale" prima di operare crani umani,

si tratterebbe forse della più antica prova archeologica di

sperimentazione su animali.

 
 
 

La nascita del commercio...

Post n°2659 pubblicato il 28 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Quale fu la prima merce di scambio globalizzata?

Un manufatto complesso da produrre, e bello da vedere.

Un'arma.

Quale fu la prima merce di scambio globalizzata?|  

Il primo manufatto da "mercato unico" fu probabilmente

un'ascia, quella che oggi chiamiamo amigdala

 (uno strumento di pietra a forma di grossa mandorla),

secondo gli esperti della American Association for the

Advancement of Science.

Questo strumento appare quasi standardizzato nella

maggior parte delle comunità preistoriche, anche molto

lontane fra loro, già centinaia di migliaia di anni fa:

perciò gli archeologi hanno ipotizzato che potesse essere

una sorta moneta di scambio.

TECNOLOGIA E STILE. A differenza dei chopper, ricavati

dal distacco di una parte di un sasso, o delle lame di pietra,

le amigdale richiedevano molto lavoro e la tecnica veniva

tramandata, ed erano anche "belle" da vedere. L'invenzione

dell'amigdala e il suo uso diffuso furono uno dei motivi di

acquisizione della capacità di astrazione, utile allo sviluppo

del cervello e del pensiero "tecnologico".

23 MARZO 2020 

 
 
 

I rimedi del passato..

Post n°2658 pubblicato il 28 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte; articolo riportato dall'Internet

I rimedi del passato contro il mal di testaSucco di millepiedi,

salassi e pomate di pesce siluro: così gli antichi provavano a

curare la cefalea. Con i risultati che potete immaginare.

cruikshank_-_the_head_ache|  

Per secoli le cause del mal di testa sono rimaste oscure e

anche i più grandi medici del passato hanno brancolato nel

buio avanzando congetture curiose per dare una spiegazione

a un malessere apparentemente incurabile.

Così sono fioriti rimedi fantasiosi, di rado utili, spesso schifos

i e a volte sadici.

Oggi le cose vanno molto meglio, ma il mal di testa non è

ancora stato del tutto compreso e sconfitto.


Statua di Zeus. Anche lui soffriva di mal di testa.

Secondo il mito chiese a Efesto di aprirgli la testa

con un colpo d'ascia: da lì uscì Atena, dea della

sapienza e delle arti. |

Millenni fa si pensava che la causa del mal di testa

fossero gli dèi.

Molti testi assiro-babilonesi datati attorno al 1500 a.C.

non a caso maledicevano il "demone della testa".

Per guarire, gli antichi Egizi, usavano invece esorcismi

e formule magiche.

Nei casi più gravi arrivavano alla trapanazione del cranio,

praticata affinché gli "spiriti maligni" uscissero dalla

testa del poveretto.

C'erano anche rimedi più fantasiosi, come legare sulla

testa del paziente un piccolo coccodrillo di argilla con

in bocca del grano sacro, oppure pronunciare fras

i scaramantiche cospargendosi di pomate miracolose.

Il Papiro medico di Ebers (ca. 1550 a.C.). consigliava

di cuocere nell'olio un cranio di pesce siluro, spalmando

sulla testa l'unguento così ottenuto per quattro giorni.


UNA VISIONE DEL FUTURO. Il medico Ippocrate di Kos

 (V secolo a.C.), nell'antica Grecia, è stato il primo a

descrivere i disturbi visivi che talvolta precedono un

attacco di emicrania.

Suggerì, come rimedio, l'uso di una polvere amara estratta

dalla corteccia del salice.

L'intuizione in questo caso era buona: molti secoli dopo,

in farmacologia, si parlerà dei salicilati (farmaci antinfiammatori),

precusrsori della moderna aspirina.

 

Pratica del salasso. Era una degli interventi medici più

diffusi nell'antichità: consisteva nel prelevare una

considerevole quantità di sangue dal paziente per

riequilibrarne gli umori. |

CHE SALASSO!

A provocare l'emicrania si pensava fosse l'eccesso di bile

gialla o nera che si accumulava nel fegato, nel sangue e

nello stomaco

. Per curarlo si consigliavano lassativi che liberavano stomaco

e intestino dagli "umori" biliari in eccesso, oppure salassi

che "alleggerivano" fegato e sangue della bile accumulata.

 


Estrazione della pietra della follia in un dipinto di

Hieronymus Bosch. Nel Rinascimento si parlava di

"pietra della follia" per indicare l'osteoma, una

formazione ossea benigna che si pensava causasse

violenti mal di testa al punto che c'erano barbieri-

chirurghi che non esitavano ad estrarlo. |

SUCCO DI MILLEPIEDI?

 Come ha raccontato Clauda Giammatteo in un articol

uscito su Focus Storia (n. 40, febbraio 2010), nel Seicento

l'anatomista inglese Thomas Willis (1621-1675) intuì che

il mal di testa nasceva da un "ingorgo" dei vasi sanguigni

cerebrali, che era provocato dalle più svariate cause

(il freddo, il troppo sole, le abbuffate) e che era associato

a sintomi quali una fame "imperiosa", nausea e vomito,

poliuria (un'urina acquosa e abbondante).

Di conseguenza, vietava ai sofferenti "il vino, le carni

speziate, i bagni, i rapporti sessuali", ma anche le "turbe

violente della mente e del corpo" mentre raccomandava

poco invitanti "clisteri, salassi, decotti" e persino un succo

di millepiedi e di tarme ben mescolato.

E OGGI? Con l'avvento della biochimica e con i progressi

nella conoscenza del sistema nervoso le cose sono per fortuna

cambiate e la medicina ha ottenuto significativi successi

nella guerra contro l'emicrania. Nel 1988 la Società

internazionale di mal di testa (Ihs) ha pubblicato una classifica-

zione dei molti tipi possibili di cefalea (identificando 12 categorie).

E non mancano studi volti a capire come arginarla.

Eppure ancora oggi nessuno è ancora riuscito a decifrare del

tutto le cause che la scatenano e a sconfiggerla completamente.

 
 
 

Sul terrapiattismo....

Post n°2657 pubblicato il 28 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Quando è nato il terrapiattismo?

Non nel Medioevo, come molti pensano, ma molto

tempo dopo.

Tutta colpa di un certo Samuel Birley Rowbotham,

come spiega Gianluca Ranzini, astrofisico e giornalista

di Focus, nel suo nuovo libro.

terra-piattaSi salvi chi può! |  

Nell'era di Internet e delle stazioni spaziali, degli

smartphone e del Gps, che cosa ci fanno in giro i terrapiattisti?

Come è possibile che qualcuno pensi davvero che la Terra sia

fatta come un frisbee o come una pizza? Si tratta di un ritorno

alle credenze del passato? No, perché a parte le visioni che ci

vengono da alcuni popoli antichi, come gli Egizi e i Babilonesi,

che immaginavano il mondo come un luogo piatto, già nel IV

secolo a.C. era chiaro che la Terra fosse un globo. 

 Il terrapiattismo nasce in realtà nell'Inghilterra del XIX secolo.

E negli ultimi anni sta avendo un successo crescente.

Le ragioni sono diverse.

Da un lato ci sono i moderni mezzi digitali che consentono di

portare le proprie idee, anche le più strampalate, a una platea

mondiale.

E questo è un bene, un segno di democrazia.

Ma allo stesso tempo è diventato troppo facile confondere la

popolarità con l'autorevolezza.

Ecco allora che se una persona famosa (uno sportivo, un attore,

un cantante) dice la sua su qualsiasi argomento, i suoi fan lo

prendono in parola.

 

Perché dicono che la terra è piatta. Il nuovo fenomeno dei terrapiattisti spiegato in 20 punti

"Perché dicono che la terra è piatta.

Il nuovo fenomeno dei terrapiattisti spiegato in 20 punti

" è il libro da cui è estratto questo capitolo.

È disponibile in libreria e anche su Amazon. Giovedì 6

febbraio alle 18.00 verrà presentato alla libreria Hoepli di Milano. |

Nel caso del terrapiattismo americano, è capitato di recente

con la star dell'NBA Kyrie Irving (che poi ha "ritrattato") e

con il rapper B.o.B, che ha iniziato un crowdfunding di scarso

successo per raccogliere il denaro necessario a inviare un

satellite nello spazio, per verificare la forma della Terra.

Come se di satelliti non ce ne fossero già migliaia.

 Della forma della Terra si può anche sorridere; ma il terrapiat-

tismo è in realtà la manifestazione più stravagante di un

disagio sempre più diffuso nei confronti della scienza ma

anche delle istituzioni, di qualsiasi tipo siano.

Per questo, è interessante capire come nascano questi

fenomeni e come si alimentino ai giorni nostri. 


Di tutto questo tratta il libro Perché dicono che la Terra è

piatta (Centauria Libri, 2019), scritto da Gianluca Ranzini,

astrofisico e giornalista di Focus, del quale pubblichiamo

qui di seguito il capitolo che riguarda la nascita del

terrapiattismo.

IL RITORNO DEI TERRAPIATTISTI

Rowbotham, Carpenter e gli altri che posero le basi della Flat

Earth Society

 La teoria della Terra piatta riprende vigore nel XIX secolo

grazie a Samuel Birley Rowbotham, personaggio poliedrico

e controverso.

Nato in Inghilterra nel 1816, lo troviamo poco più che

ventenne come segretario in una comune socialista radicale.

Sono gli anni in cui inizia a indagare la forma della Terra

studiando quella della superficie dell'acqua.

Ha a disposizione un tratto rettilineo del Bedford Canal, un

canale artificiale realizzato nel Seicento nella contea di

Cambridge. L'idea di Rowbotham, concettualmente corretta,

è che se la Terra è curva anche la superficie delle acque

deve incurvarsi seguendo la forma del pianeta.

Il suo primo esperimento è del 1838: entra a un capo del

canale con un telescopio, tenuto a 20 centimetri dal pelo

dell'acqua, e guarda verso il capo opposto.

Nello strumento, sostiene di vedere le persone che fanno

il bagno a sei miglia di distanza, e di constatare che una

barca che si allontana rimane visibile nella sua interezza;

se la Terra fosse sferica, la parte più bassa del panorama

(bagnanti e scafo della barca) finirebbe sotto l'orizzonte.

Quindi non c'è curvatura: la Terra è piatta.

 

 

Samuel Birley RowbothamSamuel Birley Rowbotham (1816 - 1884) è stato un

inventore e scrittore britannico noto con lo pseudonimo

di Parallax. |

Rowbotham pubblica i risultati dei suoi esperimenti nel

1849 con lo pseudonimo di Parallax in un fascicolo di 16

pagine intitolato Zetetic Astronomy: A Description of

Several Experiments which Prove that the Surface of the

Sea is a Perfect Plane, and that the Earth is not a Globe,

che nel 1865 diventerà un volume di oltre 200 pagine.

Dopo il breve periodo nella comune, si reinventa medico

da un lato e conferenziere itinerante dall'altro.

Sul primo fronte, anche se non ci sono prove certe che

si sia mai laureato in medicina, pratica in diverse città

inglese come Dr. Birley Ph.D.

Il suo campo di maggiore interesse è come prolungare

la vita umana a migliaia di anni o, meglio ancora, come

diventare immortali.

Sul secondo, comincia a promuovere le sue idee sulla

Terra piatta, che da un lato contengono tracce di una

visione biblica radicale, dall'altro sono proposte come

strumento per le menti libere contro i dogmi della scienza

tradizionale. È un ottimo oratore, di modi cortesi, e 

ha il gusto della polemica.

Nelle sue prima uscite pubbliche a volte si trova in difficoltà,

ma con il tempo acquisisce sicurezza.

E impara a cavarsela d'impaccio nei momenti più delicati

svicolando davanti alle domande più insidiose o ribaltando a

proprio favore alcune osservazioni che sembrano contraddirlo.

Dopo la morte di Rowbotham, le sue idee vengono portate

avanti da alcuni seguaci, che nel 1892 trasformano in

Universal Zetetic Society la Zetetic Society fondata da

Parallax poco prima di morire.

L'obiettivo è «la divulgazione della conoscenza relativa alla

Cosmogonia Naturale a conferma delle Sacre Scritture,

basata sull'indagine pratica».

Le idee di Rowbotham intanto arrivano anche negli Stati

Uniti, dove si trasferisce uno dei suoi adepti più motivati,

lo stampatore William Carpenter.

Che insegna stenografia ed è un seguace del mesmerismo,

cioè la cura delle malattie attraverso l'applicazione di

calamite. Nel 1885, a Baltimora, pubblica il libro One Hundred

Proofs the Earth is Not a Globe (Cento prove che la Terra non

è un globo).

 

William Carpenter

(1830 - 1896) fu lo stampatore che promosse e diffuse le

idee terrapiattiste di Rowbotham negli Stati Uniti. |

Nel 1956 Samuel Shenton, inglese, di professione pittore

di insegne, s'innamora, poco più che ventenne, delle idee

di Parallax imbattendosi nel suo libro mentre studia un

aeromobile che può rimanere fermo a mezz'aria in attesa

che la Terra ruoti sotto di esso fino a portare i passeggeri

alla meta desiderata. E fonda la Flat Earth Research Society,

naturale evoluzione della Zetetic Society ma con una

connotazione religiosa meno accentuata.

Alla sua morte, nel 1971, ne prende le redini l'americano Charles

K. Johnson; all'epoca, la società tocca il record di circa

3000 membri.

Ma quando anche Johnson muore, nel 2001, il terrapiattismo

sembra essere un po' passato di moda.

Tuttavia, Johnson ha il tempo di togliersi una soddisfazione:

in un'intervista del 1980 sottolinea infatti che il logo delle

Nazioni Unite (una rappresentazione del globo terrestre

in proiezione azimutale equidistante) sembra esattamente

la mappa della Terra piatta disegnata da Rowbotham.

E dichiara: «Lo zio Joe [Stalin], Churchill e Roosevelt

posero il piano generale per una New Age sotto l'egida

delle Nazioni Unite. [...] Dopo la guerra, il mondo

sarebbe stato dichiarato piatto e Roosevelt sarebbe stato

eletto primo presidente del mondo.

Quando la Carta delle Nazioni Unite fu redatta a San

Francisco, presero la mappa della Terra piatta come

loro simbolo».


© 2019 - Centauria Libri, Milano

Pubblicato su licenza di Centauria Libri, Milano

5 FEBBRAIO 2020 

 

 
 
 

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