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Messaggi del 30/03/2020

Una scoperta in Etiopia

Post n°2677 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Etiopia: scoperte orme di bambino di 700 mila anni fa

impronte umane gombore - Etiopia: scoperte orme di bambino di 700 mila anni fa

19 febbraio 2018


Ricercatori Sapienza scoprono orme di bambino risalenti a 700 mila anni fa in

un sito archeologico in EtiopiaIl ritrovamento eccezionale ha pochissimi precedenti:

i siti con impronte umane più antichi di 300.000 anni si contano nel mondo sulle

dita di una sola manoI siti con impronte umane più antichi di 300.000 anni si contano

nel mondo sulle dita di una sola mano e anche per questo la recente scoperta in

Etiopia aumenta in modo significativo le nostre conoscenze.

Si tratta di un livello improntato, perfettamente datato, perché direttamente coperto

da un tufo vulcanico di 700.000 anni fa, di Gombore II-2 sito che è parte di Melka

Kunture, una località dell'alto bacino del fiume Awash, a 2.000 metri slm.

Qui da anni si svolgono le campagne di ricerca di uno dei Grandi scavi di ateneo,

finanziato da Sapienza e dal Ministero Affari Esteri.

La zona scavata corrisponde ad un'area intensamente frequentata, ai margini di

una piccola pozza d'acqua in cui probabilmente si abbeveravano, oltre agli ominidi,

anche animali prossimi agli attuali gnu e gazzelle, nonché uccellini, equidi e suidi;

anche gli ippopotami hanno lasciato tracce dei loro passaggi.


Le impronte umane rinvenute a Gombore II-2.

Le impronte delle varie specie si intersecano tra di loro, e si sovrappongono a

tratti a quelle degli esseri umani, individui in parte adulti e in parte di 1, 2 e 3 anni.

In particolare uno di questi bambini in tenera età propriamente non camminava,

ma era in piedi e si dondolava: la sua è l'impronta di un piede che calpesta

ripetutamente il suolo, rimanendo appoggiato sui talloni.

Ha quindi lasciato impressa una serie di piccole dita (più di cinque) in parte

sovrapposte dalla ripetizione del movimento.

"È stata un'emozione molto intensa" spiega Flavio Altamura, il giovane il giovane

dottore di ricerca, prima firma dell'articolo appena uscito sugli Scientific Reports

di Nature, a cui si deve la scoperta a cui si deve la scoperta delle orme dei bambini

"A Gombore II-2 abbiamo quanto possa esistere di più simile ad una "foto di vita

preistorica". Si può quasi dire che qui abbiamo, 700.000 anni fa, "i primi passi di

un bambino", mentre il resto del gruppo ed altri piccoli si dedicavano alle attività

quotidiane".

Il sito infatti conserva traccia di una serie completa di attività: scheggiatura della

pietra (ossidiana e altre rocce vulcaniche) con la produzione di strumenti litici, e

macellazione della carne di più ippopotami.

C'erano dei carnivori, ma sono venuti solo dopo a cibarsi dei resti lasciati dagli

ominidi.

Infatti, i morsi dei carnivori sulle ossa si sovrappongono alle tracce lasciate

precedentemente dagli strumenti di pietra che avevano tagliato la carne.

Quindi il gruppo umano era in pieno controllo dell'ambiente.


(Foto © K. D'Aout, University of Liverpool)

"Gombore II-2 è importante non solo perché sono rari i siti con impronte

umane, ma perché per la prima volta non abbiamo un semplice "percorso

nel paesaggio", come a Laetoli, per esempio, ma invece un sito archeologico

in cui sono documentate le attività quotidiane nel loro insieme" spiega Margherita

Mussi, coordinatrice dello scavo - "Inoltre, per la prima volta ci sono impronte

di bambini molto piccoli, che indicano la loro presenza costante anche quando gl

i adulti scheggiavano e macellavano.

Sappiamo anche di che specie di ominide si tratta, perché resti fossili di Homo

heidelbergensis - l'antenato comune nostro e dei Neandertaliani - sono stati

trovati a breve distanza, ma in un livello archeologico più antico, risalente a

850.000 anni fa".

La ricerca, coordinata da Margherita Mussi del Dipartimento di Scienze

dell'antichità è frutto degli scavi condotti da laureandi e dottorandi del Dipartimento

stesso.

In particolare, la scoperta è opera del primo firmatario dell'articolo appena pubblicato

sull'argomento, Flavio Altamura, che su questa ha svolto il suo progetto di dottorato

in Archeologia.

Lo studio delle impronte è frutto di una cooperazione scientifica a livello nazionale

e internazionale.Info: www.melkakunture.it

 
 
 

Una grande scoperta a Napoli

Post n°2676 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet.

Ritrovate a Ercolano le Historiae di Seneca il Vecchio

21 maggio 2018


Scoperta eccezionale di una giovane ricercatrice alla Biblioteca

Nazionale di Napoli

Importante scoperta alla Biblioteca Nazionale di Napoli annunciata

dal direttore Francesco Mercurio, dove lo studio del papiro P. Herc.

1067, conservato nell'Officina dei Papiri Ercolanesi, ha permesso

con certezza l'attribuzione dei frammenti analizzati alla Historiae

ab initio bellorum civilium di Lucio Anneo Seneca il Vecchio, conosciuto

come "il Retore" e padre del filosofo Seneca, opera di cui finora non

esisteva alcuna notizia diretta di tradizione manoscritta.

Valeria Piano, filologa e papirologa, ricercatrice dell'Università

degli Studi di Napoli Federico II, nell'ambito del progetto europeo

Platinum, ha impiegato un anno di lavoro certosino nella ricomposizione

degli scampoli, tutti catalogati con lo stesso numero di inventario e

dunque provenienti dallo stesso rotolo.

Gli studi e le analisi eseguite su questi sedici pezzi, sul loro contenuto

e sui calcoli cronologici, hanno condotto alla certa attribuzione all'autore

di quest'opera di natura storico-politica, che interessa i primi decenni

del principato di Augusto e Tiberio (27 a.C. - 37 d.C.).

Grazie ai risultati conseguiti, il riconoscimento è stato accolto positivamente

anche da altri studiosi e paleografi.

"Sono particolarmente lieta che questa scoperta di assoluto valore

sia avvenuta alla Biblioteca nazionale di Napoli - dichiara il Direttore

generale Biblioteche e istituti culturali del MiBACT, Paola Passarelli

- grazie al lungo ed appassionato lavoro di una ricercatrice

dell'Università degli Studi di Napoli Federico II e nell'ambito di un

rilevante progetto europeo.

È un segnale positivo di come fare sistema possa portare a questi

risultati ed uno stimolo incoraggiante a proseguire in questo senso".

"Il binomio tutela e ricerca - conclude il Segretario generale del Mibact

Carla di Francesco - porta oggi un risultato straordinario e restituisce

al mondo un'opera della letteratura latina finora ritenuta perduta".


Il P. Herc. 1067 è uno dei più noti papiri latini della collezione di

Ercolano, conosciuto come Oratio in Senatu habita ante principem,

e finora si riteneva conservasse un discorso di tenore politico

composto da Lucio Manlio Torquato e pronunciato in Senato al cospetto

dell'imperatore.
L'attribuzione a Seneca il Vecchio, oltre a restituirci parte di un'opera

finora ritenuta persa, conferma quanto la Villa dei Pisoni con la sua

biblioteca fosse un vitale centro di studi fino a poco prima dell'eruzione

del Vesuvio.

I papiri carbonizzati di Ercolano riservano così un'altra straordinaria

scoperta, mostrando come nella villa dei Pisoni vi fosse l'opera di uno

dei grandi assenti della letteratura latina.

(Foto: Biblioteca Nazionale di Napoli​)

 
 
 

Altre notizie su Oetzi....

Post n°2675 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet.

Esame al cuore di ÖtziEcco i risultati...

Esame al cuore di Otzi

27 maggio 2018


Esame al cuore di Ötzi

Pubblicato uno studio radiologico dell'Ospedale di Bolzano

Alla presunta età di 46 anni, l'Uomo venuto dal ghiaccio aveva

tre calcificazioni coronariche.

A questa diagnosi è giunta un'équipe guidata dalla radiologa

bolzanina Patrizia Pernter. I risultati dell'esame sono stati pub-

blicati nel numero di gennaio 2018 della rivista scientifica

specializzata "RöFo - Fortschritte auf dem Gebiet der

Röntgenstrahlen".

La quantità di calcio rilevata è paragonabile a quella che si può

riscontrare in un uomo di carnagione chiara dei giorni nostri di

età compresa tra i 40 e i 50 anni.

Dal momento che Ötzi non aveva uno stile di vita sedentario,

gli autori concludono che la predisposizione genetica è un fattore

scatenante significativo per l'arteriosclerosi.

A causa della nota posizione del braccio di Ötzi, fino al 2013

non è stato possibile eseguire una scansione tomografica

computerizzata continua.

Solo quando l'Ospedale di Bolzano si è dotato di nuove

apparecchiature TC per i pazienti provviste di un'apertura più

ampia, è stato possibile effettuare per la prima volta la scansione

di tutta la mummia in un unico passaggio.

Le immagini complete dell'area toracica così ottenute sono state

successivamente esaminate da Patrizia Pernter, Beatrice Pedrinolla

e Paul Gostner, ex primario del reparto di radiologia dell'Ospedale

di Bolzano.

Nel corso dell'analisi sono state subito notate tre calcificazioni

nella zona del cuore.

Un confronto effettuato dall'équipe medica con altre aree del corpo

nelle quali si rileva frequentemente la presenza di depositi di calcio

- ad esempio, come nel caso di Ötzi, la zona della carotide e le arterie

alla base del cranio - ha confermato il risultato.

La prova delle calcificazioni viene stabilita quantitativamente con un

sistema di misurazione che si basa sulla loro densità e il loro volume.

A questo proposito vi sono differenze tra etnie, per sesso e per età.

Per Ötzi i valori di paragone utilizzati sono quelli dei caucasici

(quindi di persone di carnagione chiara), come definiti da Agatston,

che ha sviluppato questo metodo.

"Se è presente calcare, significa che vi sono placche arteriosclerotiche.

Se si trasferissero le calcificazioni sul cuore di un uomo in vita, il

valore misurato in Ötzi corrisponderebbe a quello di un essere umano

di sesso maschile di ca. 45 anni di età," così Patrizia Pernter spiega

i risultati delle analisi mediche sull'Uomo venuto dal ghiaccio.

E illustra anche cosa ciò avrebbe significato per la vita successiva

di Ötzi o per persone di oggi della stessa età: "La presenza o l'assenza

di depositi di calcio può avere un valore nel calcolo del rischio

cardiovascolare di un paziente; cioè, accanto ad altri fattori di rischio

(grassi nel sangue, fumo, pressione sanguigna elevata, diabete, ...),

la presenza di calcificazioni delle coronarie può costituire un'indicazione

aggiuntiva di un accresciuto rischio di avere o di sviluppare

in futuro una malattia cardiaca coronarica."

Nel 2012 è stato pubblicato il genoma dell'Uomo venuto dal ghiaccio

ed è stata rilevata una predisposizione genetica a patologie

cardiovascolari.

Per Patrizia Pernter è dunque evidente che la mummia non costituisce

solo uno dei più antichi casi di calcificazione vascolare, ma anche

"un esempio medico del fatto che una predisposizione genetica è forse

il principale fattore scatenante per l'arteriosclerosi e la sclerosi

coronarica".

Informazioni: www.iceman.it


Foto: South Tyrol Museum of Archaeologiemuseum / O. Verant

 
 
 

Ancora news sul nemico N.1

Post n°2674 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Mutazioni del Coronavirus e ceppi virali

 28 Marzo 2020

L'analisi del genoma del Coronavirus permette di
identificarne le mutazioni per area geografica.

Mentre la pandemia da COVID-19 prosegue il suo corso,

 continuano le ricerche sulle mutazioni del Coronavirus;

dai primi risultati che postulavano l'esistenza di due ceppi,

alle nuove scoperte.

D'altro canto, era prevedibile. 

La mutazione del Coronavirus è spiegata dalla sua stessa struttura.

Trattandosi di un virus RNA, è soggetto a maggiori possibilità di

mutare genoma per errori durante la sua replicazione.

Le mutazioni che si stanno registrando nel corso della diffusione

pandemica del COVID-19 non rappresentano la comparsa di un

nuovo virus.

Il salto di specie è avvenuto a Wuhan, in Cina, e ha permesso al virus

di passare dal contagio interanimale al contagio da uomo a uomo.

Queste varianti sono ciò che i virologi chiamano ceppi o lignaggi.

Il virus del COVID-19 rimane tale, presenta piccole modifiche ma

mantiene la sua essenza.

La maggior parte del materiale del suo RNA è uguale al primo ceppo

anche se una piccola porzione è mutata.

Mutazioni del Coronavirus: perché avvengono?

Le mutazioni del Coronavirus sono rese possibili dalla sua stessa

struttura.

 Il SARS-Cov-2 è un virus RNA, ovvero il suo genoma, dunque le sue

informazioni genetiche, è codificato in acido ribonucleico.

L'RNA è la crittografia o la codifica delle caratteristiche del virus.

Una volta entrato all'interno di un organismo, il virus si serve delle

cellule ospiti per moltiplicarsi. Si comporta come un parassita,

sfruttando le strutture altrui per la propria replicazione.

Uno dei problemi dei virus RNA è che il loro sistema preposto a

correggere gli errori che avvengono durante la replicazione non

è efficiente.

Ciò a differenza del DNA (acido desossiribonucleico), il quale è dotato

di un sistema di rilevamento e correzione degli errori.

Quando il Coronavirus fa copie di se stesso all'interno della cellula,

commette degli errori.

Questi errori nell'RNA sono le cosiddette mutazioni del Coronavirus

che danno origine ai diversi ceppi virali.

Fintanto che queste mutazioni non alterano troppo il comportamento,

si continua a parlare dello stesso virus.

Come mutano i virusQuando il Coronavirus si replica all'interno della cellula
commette degli errori da cui nascono nuovi ceppi virali.

Leggete anche: Vaccino contro il Coronavirus in via sperimentale

Ipotesi sui due ceppi del Coronavirus

Le ricerche sul genoma del nuovo Coronavirus hanno individuato

due ceppi principali, identificati con le lettere L e S. 

Il ceppo L è quello che si è presentato nel dicembre 2019 a Wuhan.

Secondo i dati disponibili, è il più letale dei due ed è rimasto

confinato in Cina.

L'altra varietà del virus, il ceppo S, è meno aggressivo dal punto di

vista del tasso di mortalità, ma si diffonde più facilmente, caratteristica

che gli ha consentito di uscire dalla Cina.

Vi è anche l'ipotesi che il ceppo S si sia potuto diffondere in quanto

inizialmente non individuabile.

Essendo i test diagnostici tarati sul ceppo L, il tipo S ha avuto campo

libero per provocare la pandemia.

La veloce diffusione del ceppo S è collegata anche al ritardo

nell'applicare le misure di contenimento.

 Dall'isolamento del nuovo Coronavirus, avvenuto a dicembre 2019,

alla quarantena di Wuhan, è trascorso quasi un mese.

Immagine al microscopio del CoronavirusI ceppi principali del nuovo coronavirus sono identificati dalla lettera S e L.

Leggete anche: Disinfettare il cellulare, i consigli degli

esperti

Le mutazioni del Cironavirus: mappa geografica

Secondo l'Istituto Superiore di Sanità, "il ceppo virale cosiddetto

lombardo, così come alcuni ceppi isolati in altri paesi europei,

presenta una elevata similitudine con il virus di Wuhan".

Questo potrebbe spiegare la sua alta aggressività.

L'IIS aggiunge inoltre che "Si prevede, a breve, di fornire anche

la sequenza completa di un ceppo virale isolato in Veneto al fine

di valutare correlazioni o differenze geografiche".

Nel frattempo il ministero della sanità brasiliana riferisce che il

primo caso di Covid-19 presenterebbe 16 mutazioni rispetto al

ceppo di Wuhan.

E sicuramente continueranno ad arrivare notizie con risultati

simili.

La mutazione del nuovo Coronavirus non deve cambiare, almeno

per il momento, l'atteggiamento nei confronti della pandemia.

 Le misure di prevenzione e di igiene restano le stesse della fase

iniziale.

L'isolamento domiciliare, volontario o imposto, è la strategia che

al momento si sta imponendo nei paesi coinvolti.

Trattandosi di un virus RNA, si prevedono continue mutazioni. 

I suoi antenati, come i Coronavirus che hanno causato la SARS 

e la MERS hanno continuato a mutare mentre si diffondevano.

Il ruolo fondamentale della ricerca nei confronti delle mutazioni

del Coronavirus

Abbiamo il vantaggio di vivere in un'era in cui la comunicazione è

immediata.

Le equipe di ricerca di tutto il mondo possono condividere dati in

tempo reale e collaborare.

Le mutazioni del Coronavirus sono parte del suo percorso di diffusione

e possono essere tracciate. L'uso responsabile di queste informazioni

ci permetterà di sconfiggerlo.

 
 
 

Archimede a Siracusa.

Post n°2673 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Archimede a SiracusaExperience exhibition

Archimede a Siracusa

29 maggio 2018


Un viaggio immersivo nella città antica, per conoscere la storia

e le invenzioni del più grande scienziato dell'antichità

La  mostra "Archimede a Siracusa", ospitata alla Galleria Civica

Montevergini di Siracusa fino al 31 dicembre 2019, offre ai

visitatori l'occasione unica di conoscere da vicino una delle più

geniali figure dell'intera storia dell'umanità.

Grazie alle più avanzate applicazioni multimediali è possibile

immergersi nella città di Siracusa nel III secolo a.C., vera e propria

capitale della Magna Grecia e del Mediterraneo centrale, dove il

grande scienziato è vissuto, ha concepito le sue straordinarie invenzioni

ed è stato infine ucciso da un soldato romano appena entrato in

città da conquistatore.

La mostra si apre nella ex Chiesa (oggi Galleria) di Montevergini,

in un ampio ambiente attrezzato con 16 video proiettori per una

visione multimediale a 360 gradi, che conduce il visitatore in un

vero e proprio viaggio nel tempo, per "immergersi" all'interno della

città di Archimede nel III secolo a.C.

Una ricostruzione spettacolare e filologicamente accurata mostra

alcuni degli edifici simbolo (dal Castello di Eurialo al Teatro Greco

e al tempio di Atena) che fecero di Siracusa uno dei più importanti

centri del Mediterraneo anche dal punto di vista artistico e culturale.

Una serie di animazioni progettate da Lorenzo Lopane e realizzate

con gli allievi dell'INDA rendono viva la presenza degli antichi

siracusani e tra loro del grande scienziato.

Emerge in tal modo l'importanza della città e quindi del contesto,

troppo spesso trascurato, in cui si è formata la personalità di

Archimede.

Basata sulle fonti storiche e archeologiche, una suggestiva narrazione

disponibile in 4 lingue e affidata in italiano alla voce di Massimo Popolizio,

consente di seguire gli eventi che portarono, sul finire della seconda

guerra punica, allo scontro con Roma.

Le straordinarie macchine da guerra ideate da Archimede e messe in

atto nella battaglia scoppiata nelle acque di fronte a Ortigia, diventano

così le protagoniste della parte finale che si conclude con l'uccisone

del grande siracusano.

Ma è solo l'inizio di un articolato percorso di approfondimento

interattivo, che presenta oltre venti modelli funzionanti di macchine

e dispositivi che la tradizione attribuisce a Archimede: dalla vite

idraulica alla vite senza fine, dagli specchi ustori all'orologio ad acqua

che gli autori arabi del Medioevo gli attribuiscono, dal "cannone a

vapore" che secondo Leonardo da Vinci il Siracusano avrebbe ideato

fino al planetario meccanico portato a Roma come parte del bottino

di guerra dopo la presa della città. Ciascuno degli exibite è corredato

da video interattivi, testi didascalici e citazioni delle fonti.

Il fascino che l'immagine di Archimede ha sempre esercitato non è

infatti dovuto solo alle straordinarie macchine di cui la tradizione gli

attribuisce l'ideazione, ma anche agli importantissimi risultati

raggiunti dalle sue ricerche e dei quali restano tracce nei suoi scritti.

Le geniali intuizioni geometriche e meccaniche di Archimede,

generalmente comprensibili solo per un ristretto numero di specialisti,

sono presentate in modo piano e accessibile.

I modelli funzionanti illustrano infatti sia gli aspetti salienti delle ricerche

compiute dal Siracusano e gli straordinari obiettivi raggiunti anche sul

piano delle applicazioni pratiche.

L'immagine di Archimede attraversa intatta 23 secoli di storia.

Il suo inesauribile desiderio di conoscenza e la profondità degli

studi ne hanno fatto l'antesignano dell'inventore per eccellenza,

capace di realizzare dispositivi meccanici destinati a entrare

nell'immaginario collettivo di tutte le generazioni: al punto che

ancora oggi il suo nome è sinonimo di invenzione e innovazione

nel campo della produzione industriale e del design.

Ammirato dagli uomini di cultura di ogni epoca, ad Archimede

vengono attribuiti, sin dall'antichità e per tutto il Medioevo latino

e arabo, gli appellativi di inventore, astronomo, matematico ed

esperto costruttore di dispositivi meccanici...

Informazioni: Tel. 0931.24902
www.mostraarchimede.it

Foto: ©️Vittoria Gallo

 
 
 

Shoes nella storia..

Post n°2672 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

A piedi... Nella storia. Calzature per tutti: uomini e divinità!

Dall'antichità a oggi

Archeologia Viva n. 199 - gennaio/febbraio 2020
pp. 22-28

di Anna Maria Nardon e Martina Rodinò

A partire dalla preistoria la ricerca della "buona scarpa" ha

sempre accompagnato l'umanità fino ai nostri giorni dove

anche la tecnologia più sofisticata è messa in campo per dar

vita a sempre nuove proposte di funzionalità ed eleganza

E i calzolai? Platone li considerava alla stregua degli

scienziati mentre Plutarco ci ricorda che a Roma i sutores

 avevano una loro ben rispettata corporazione 

Le scarpe dicono molto della persona che le indossa.

Forma, colore, materiale, decorazioni rivelano il sesso del

proprietario, il mestiere, la condizione economica, il gusto

estetico...

La cultura erudita del XVII e XVIII secolo dedicò particolare

attenzione all'argomento, dando vita a un originale filone di

ricerca che ebbe in Francia e Germania il suo epicentro.

Il primo studio organico sulla calzatura classica si deve al

francese Benoit Baudouin, il quale, figlio di un calzolaio e

laureato in teologia a Parigi, fu l'autore del De calceo antiquo,

pubblicato ad Amsterdam nel 1667.

Questo volume rappresentò l'atto di nascita di quella che oggi

si chiama calceologia, la disciplina che si occupa dello studio

della calzatura.

Baudouin definì Dio come "primo calzolaio della storia", traendo

spunto dal passo della Genesi secondo cui, al momento di cacciare

Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, il Signore fornì loro di che

coprirsi.

Purtroppo, la ricerca archeologica ha spesso riservato un'attenzione

incostante e superficiale a questa classe di oggetti, talvolta

considerati di secondaria importanza.

Solo negli ultimi vent'anni si è venuta costituendo una branca

della disciplina che coniuga un approccio archeometrico all'indagine

iconografica e letteraria, dando valore a questo prezioso accessorio

che, fin dall'antichità, ha accompagnato l'uomo... nel suo cammino. [...]

 
 
 

Un felino moderno un milione di anni fa..

Post n°2671 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Ecco il ghepardo gigante!Svelato l'identikit del ghepardo

gigante:

il predatore vissuto un milione e mezzo di anni fa

Svelato l'identikit del ghepardo gigante: il predatore vissuto un milione e mezzo di anni fa

29 maggio 2019


Meno agile del ghepardo, ma potente come una

pantera e con il peso di un leone: le peculiarità

dell'antico felino sono emerse dall'analisi del cranio

effettuata con un acceleratore di particelle presso

l'European synchrotron radiation facility (ESFR)

di Grenoble, con la collaborazione di Sapienza

Un nuovo studio, coordinato da Raffaele Sardella e Dawid

Adam Iurino del Dipartimento di Scienze della Terra della

Sapienza con l'Università di Perugia e in collaborazione con

l'ESRF di Grenoble e l'Università di Verona, ha permesso di

rivelare, a partire da un frammento di cranio fossile, l'identikit

di un ghepardo gigante.

Si tratta di uno dei più feroci predatori che i primi uomini entrati

in Europa hanno dovuto fronteggiare un milione e mezzo di anni fa.

Il frammento, rinvenuto nella prima metà del '900 alle pendici

del Monte Argentario, era inglobato in una dura matrice rocciosa,

costituendo per decenni un enigma per gli studiosi: classificato

come leopardo a metà degli anni '50 e successivamente come

giaguaro eurasiatico pleistocenico nel primo decennio degli anni

2000, solo pochi anni fa, quando il fossile è divenuto disponibile

per studi scientifici, ne è stata identificata la vera natura.

Il cranio è quello di Acinonyx pardinensis, meglio conosciuto

come ghepardo gigante, l'antenato dell'attuale felino.

 

Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Scientific Reports,

mette in luce le caratteristiche peculiari di questo predatore: se

la dentatura e parte del muso sono infatti simili a quelle degli

attuali ghepardi, i velocisti della savana africana, altre

caratteristiche del cranio avvicinano questo fossile alle vere

pantere.

Un mosaico di caratteri quindi che consente di ridefinire

l'evoluzione dei ghepardi e apre interessanti interrogativi su

quale ruolo ecologico un simile predatore abbia avuto negli

ecosistemi europei dell'inizio del Pleistocene.

Meno agile del ghepardo, ma potente come una pantera,

con il peso di un leone.

Per giungere a questo importante risultato il team di ricerca

internazionale ha effettuato una scansione del reperto alla luce

di sincrotrone, la radiazione elettromagnetica generata

dall'acceleratore circolare dell'European synchrotron radiation

facility (ESRF) di Grenoble (Francia), a una velocità vicina a

quella della luce.
Ciò ha permesso di "entrare" all'interno del reperto stesso e

di ottenere files che, attraverso l'elaborazione di potenti

computer, hanno prodotto un modello estremamente dettagliato

del fossile, pronto per essere restaurato virtualmente

e "stampato" in 3D.

"Analizzare un frammento datato circa 1.5 milioni di anni con

una delle strumentazioni più avveniristiche disponibili fra i più

importanti centri di ricerca - spiega Raffaele Sardella - ci ha

permesso di usufruire di prestazioni ad altissimo livello senza

compromettere la conservazione del reperto; cosa che invece

poteva accadere con un complesso lavoro di restauro".

Informazioni: Tel. 0649.914159


Riferimenti: Synchrotron radiation reveals the identity of the

large felid from Monte Argentario (Early Pleistocene, Italy) -

Marco Cherin, Dawid A. Iurino, Marco Zanatta, Vincent

Fernandez, Alessandro Paciaroni, Caterina Petrillo, Roberto

Rettori & Raffaele Sardella - Scientific Reports volume 8,

doi:10.1038/s41598-018-26698-6

 
 
 

Dall'età arcaica in Calabria..

Post n°2670 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

 

Testa della Sfinge della Passoliera

1 agosto 2018


La Testa della Sfinge della Passoliera, un bellissimo esempio

di scultura in terracotta di età arcaica attualmente esposta

presso il MArRC di Reggio Calabria e rinvenuta a Kaulonia agli

inizi del Novecento, ritorna per la prima volta nel luogo di

provenienza per essere esposta al Museo dell'antica Kaulon.

Il reperto fu rinvenuto da Paolo Orsi (1859-1935) nel sito della

Passoliera (Monasterace - Rc) in fosse di scarico insieme a elementi

architettonici di un santuario extraurbano demolito già in antico,

costituito da più edifici databili tra fine VI e prima metà V sec. a.C.

Parti di questi elementi architettonici, caratterizzati dalla presenza

di teste leonine dalla vivace policromia, oggi costituiscono un

interessante settore espositivo del Museo archeologico di Kaulonia

afferente al Polo Museale della Calabria.

La Testa richiesta in prestito è un bellissimo esempio di scultura

in terracotta, policroma - forse elemento decorativo, forse offerta

votiva - databile alla seconda metà del VI sec. a.C. e ha sempre

affascinato i visitatori del museo reggino fin dai tempi della sua

prima esposizione.

La sua importanza e il legame con il sito della Passoliera già

documentato, nell'esposizione museale cauloniate, costituiscono

un'opportunità importante per ammirare un reperto mai esposto

nel territorio in cui fu rinvenuto.

Informazioni: Tel. 340.0742442

 
 
 

Orrore di Auschwitz

Post n°2669 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Orrore di AuschwitzA Firenze (ri)nasce il Memoriale

Firenze: Memoriale italiano di Auschwitz

8 maggio 2019


di Giulia Pruneti - "Archeologia Viva"

Monito per la memoria, simbolo tragico di una storia ancora

attuale, luogo di riflessione per tutti.

In occasione della data convenzionale della fine della seconda

guerra mondiale in Europa (8 maggio 1945) è stato inaugurato

a Firenze il Memoriale italiano di Auschwitz.

 Allestito nel campo di sterminio polacco nel 1979, esattamente

quarant'anni dopo viene presentato nel capoluogo toscano al

termine di una lunga vicenda che in Polonia ne ha portato prima

alla chiusura al pubblico e poi alla minaccia di smantellamento

da parte della direzione del museo perché l'allestimento era

ritenuto "non in linea con le finalità pedagogiche-illustrative

richieste".

Una delle prime installazioni multimediali al mondo

Il Memoriale fu progettato e collocato nel Blocco 21 del

campo di Auschwitz dall'Aned (Associazione nazionale ex deportati

nei campi nazisti) grazie alla collaborazione di un gruppo di intellettuali

tra i quali spiccavano i nomi degli architetti Lodovico e Alberico

Belgiojoso, dello scrittore Primo Levi, del regista Nelo Risi, del pittore

Pupino Samonà e del compositore Luigi Nono, che produssero una

delle prime installazioni multimediali al mondo.

 L'opera è costituita da una passerella lignea circondata da una spirale

a elica all'interno della quale il visitatore cammina come in un tunnel

accompagnato dalla musica di Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz,

di Luigi Nono.

Firenze: Memoriale italiano di Auschwitz
Il Sindaco Dario Nardella all'inaugurazione.
(Foto Giulia Pruneti)

Restauro lungo e difficile

Quella sul Memoriale rappresenta un'operazione di restauro

eccezionale su un'opera d'arte contemporanea, considerate le

grandi dimensioni, le sue caratteristiche multimediali intrinseche

e le innovative tecniche di conservazione rese necessarie dal

cattivo stato di conservazione in cui è arrivata.

L'opera "rinasce" dunque grazie a un complesso progetto che ha

visto lavorare fianco a fianco Comune di Firenze, Regione Toscana,

MiBACT e la stessa Aned, proprietaria dell'opera.


(Foto Enrico Ramerini / CGE Fotogiornalismo)

Perché nessuno dimentichi mai...

«Questo memoriale - ha detto il sindaco di Firenze Dario Nardella

- serve perché i giovani che non hanno, per fortuna, vissuto la

guerra sappiano però che cosa porta con sé un conflitto: sterminio,

distruzione violenza.

Soprattutto quando la guerra parte da un concetto atroce che è

quello della pulizia etnica (ex Jugoslavia docet - 

ndr) e dell'annientamento delle altre culture e delle diversità».

Per questo motivo nel complesso in cui sorge il memoriale (nel

quartiere fiorentino di Gavinana) è stata realizzata una mostra

permanente sulla storia della memoria della deportazione italiana

attraverso i decenni.

Il Memoriale è visitabile gratuitamente (su prenotazione e con

accessi guidati) ogni sabato, domenica e lunedì.

Info: info@muse.comune.fi.it   055.2768224

(Foto apertura: Enrico Ramerini / CGE Fotogiornalismo)

 
 
 

La più antica fornace di Roma..

Post n°2668 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato da Archeonews.

La più antica fornace di Roma?È sotto l'Accademia

dei Lincei

La più antica fornace di Roma? È sotto l'Accademia dei Lincei

22 maggio 2019


La più antica fornace di Roma?
È sotto l'Accademia dei Lincei

«Il più antico laboratorio produttivo nel centro di Roma,

una fornace, si trova sotto il giardino di Palazzo Corsini,

sede dell'Accademia del Lincei, quartiere Trastevere».

A dare la (straordinaria) notizia è la Soprintendenza Speciale

di Roma che ha diretto gli scavi e che parla di un'anteprima

assoluta: una testimonianza della vita lavorativa nell'Urbe,

della sua economia basata sull'alto artigianato e della capacità

di trasformazione di materie prime provenienti dai quattro

angoli dell'impero.

La più antica fornace di Roma? È sotto l'Accademia dei Lincei

Ceramica di buona qualità

L'indagine, iniziata con un sondaggio di archeologia preventiva

nell'aprile del 2018 e proseguita da febbraio scorso con uno scavo

stratigrafico, ha messo in luce una fornace per la produzione di

ceramica, di ceramica invetriata e forse di vetro.

Poco distante è riemersa invece una gran quantità di anfore per

il trasporto dell'olio, probabilmente riutilizzate per il drenaggio

dell'acqua.

Al muro in laterizio della fornace si addossa infatti un canale

formato da due muri paralleli e con salti di quota: probabilmente

un sistema di raccolta, canalizzazione e decantazione delle acque

che scendevano dal Gianicolo verso il fiume.

Prima e media età imperiale

La complessità stratigrafica sia della fornace che del resto dell'area

scavata, indica un'occupazione articolata nel tempo.

A un primo esame dei materiali è possibile solo una schematica

datazione, che copre dal I all'inizio del III sec. d.C., ma parte delle

strutture ritrovate, tra uso e riusi, arrivano ai secoli successivi.

Dall'accertamento del calore raggiunto durante le lavorazioni si

potrà risalire, ad esempio, al tipo di materiale prodotto; mentre,

nonostante la presenza di numerosi resti di lucerne è da

confermare che vi fosse una produzione "stabile" di questo tipo di

lampade.

 

La più antica fornace di Roma? È sotto l'Accademia dei Lincei

Chi si rivede... Cincinnato!

Palazzo Corsini, con il giardino dove sono avvenuti i ritrovamenti,

è situato nella piana che si estende tra le pendici orientali del

Gianicolo e la riva destra del Tevere, nella XIV Regio augustea

trans Tyberim.

La zona era caratterizzata da forti diversità urbanistiche legate

alla morfologia del territorio. Nella prima età repubblicana è

prevalente il carattere rurale, per cui l'occupazione del territorio

da parte dei privati è ridotta all'utilizzo dei fondi rustici.

Tra questi, i Prata Quinctia, appartenuti al celebre Lucius Quinctius

Cincinnatus, che si estendevano nei pressi dell'attuale Porta

Settimiana.

Al di fuori della Porta, lungo la strada diretta al Vaticano, nella

prima età imperiale vi erano estesi horti e impianti di stoccaggio.

Più all'interno sorgevano invece modeste abitazioni, attività

commerciali e artigianali anch'esse da collegare al ruolo

commerciale e più in generale all'uso dell'acqua e a funzioni

di periferia urbana.

La più antica fornace di Roma? È sotto l'Accademia dei Lincei

Per conoscere meglio Trastevere

I ritrovamenti del Giardino Corsini saranno coperti con materiale

protettivo e subito dopo nuovamente interrati per metterli al

riparo dagli agenti atmosferici.

Tuttavia è già in programma una nuova serie di indagini, intorno

all'area già scavata, per ampliare il quadro dei ritrovamenti e

contestualizzarli nel modo migliore.

I reperti trovati verranno inoltre esposti al pubblico nella sede

stessa dei Lincei e saranno oggetto di una serie di incontri

dedicati a tutti coloro che vorranno conoscere meglio la storia

della città e di un quartiere storico come Trastevere.

 
 
 

L'edicola dei Fantascritti

Post n°2667 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet.

Torna a splendere l'Edicola dei FantiscrittiRestauro

22 luglio 2019


Il monumento proviene da una cava storica delle Alpi Apuane

Dopo mesi di paziente lavoro è ritornata al suo posto, nel cortile

rinascimentale di palazzo Cybo-Malaspina sede dell'Accademia

di Belle Arti di Carrara, l'Edicola dei Fantiscritti. Si tratta di un

manufatto scultoreo del III sec. d.C. raffigurante Giove con Ercole

e Bacco, che fino a metà Ottocento si trovata in una cava delle

Apuane (che ha preso nome dallo stesso bassorilievo).

Collocata nel 1863 nel cortile dell'Accademia di Belle Arti di

Carrara, l'edicola costituisce una testimonianza di arte romana,

oltre che essere un documento prezioso su quanti visitarono la

cava apponendovi le proprie firme a ricordo imperituro.

Tra gli altri: Canova, Michelangelo, Gianbologna, oltre a viaggiatori

del Grand Tour, come il conte Aleksandr Osterman - Tolstoi,

emissario dello Zar per l'acquisto di opere d'arte, che lasciò

la sua firma in caratteri cirillici.

Dalla stessa cava venne estratto il marmo per la Colonna

Traiana.

Pulitura con la tecnica dell'impacco

Rimasta per secoli alle intemperie all'interno della cava, l'edicola

era già in cattive condizioni nel XIX secolo, quando venne asportata.

Il restauro, effettuato da Luana Brocani, docente di Restauro dei

materiali lapidei, con gli studenti del suo corso, ha restituito nuova

leggibilità al manufatto: «L'opera si presentava interamente ricoperta

da una patina scura formata da uno strato superficiale di polvere, di

discreto spessore, e, al di sotto, da uno strato più radicato di natura

grassa, che rendevano illeggibili molti nomi e date che testimoniano

l'avvicendarsi di visitatori illustri fino al suo distacco dalla cava dei 

Fantiscritti e successiva collocazione all'interno dell'Accademia di

Belle Arti di Carrara.

La pulitura è stata effettuata con la tecnica dell'impacco, consistente

in un impasto formato da polpa di cellulosa in ammonio carbonato che

è stato applicato e lasciato agire per il tempo necessario; in seguito è

stato rimosso con spatole e la superficie marmorea è stata risciacquata

con acqua e spazzole.

Inoltre, è stata rimossa una stuccatura che

rendeva illeggibili le iscrizioni». Oggi, ricollocata al proprio posto,

l'edicola ha riacquistato un nuovo splendore e le iscrizioni sono

pronte per raccontare una storia che attende di essere narrata.

 
 
 

News dalla Lombardia preistorica..

Post n°2666 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet.

Piroga e giogo preistoriciImportante scoperta

in Lombardia

26 luglio 2019


Importante scoperta in Lombardia

Un giogo e una piroga scavata nel tronco di una grande quercia,

risalenti a circa 4.000 anni fa: sono questi gli ultimi reperti in

legno rinvenuti nella campagna di scavo dell'Università degli Studi

di Milano presso la palafitta preistorica di Lavagnone (Desenzano

del Garda-Lonato, Bs).

Il sito palafitticolo dell'età del Bronzo (2200-1200 a.C.), dal 2011

incluso nel patrimonio Unesco, non è nuovo alle grandi scoperte:

famoso il ritrovamento degli scorsi anni Settanta di uno degli aratri

più antichi al mondo, ora esposto presso il Museo Civico

Archeologico "G. Rambotti" di Desenzano del Garda.


Il giogo.

Le ricerche dirette da Marta Rapi

I reperti dei recenti scavi dell'Università degli Studi di Milano

sono davvero eccezionali, come sottolinea Marta Rapi, docente

di Preistoria e Protostoria presso il Dipartimento di Beni culturali

e ambientali che dirige il progetto di ricerca con la partecipazione

degli studenti del corso di laurea in Archeologia e della Scuola di

specializzazione in Beni archeologici: «Per quanto riguarda la

piroga, sono stati trovati due segmenti di monossile; forse

formavano lo stesso natante che è stato intenzionalmente tagliato

a metà e deposto in verticale tra i pali di fondazione delle

abitazioni palafitticole.

All'interno di uno scafo abbiamo trovato

un'altra sorpresa: un lungo bastone, l'ipotesi è che possa essere

un remo.

Il giogo invece era a poca distanza, deposto sul fondo dell'antico

lago intero e mai utilizzato, forse un'offerta alle acque».


La piroga con il remo.

Per garantirne la conservazione, i reperti sono stati immersi

in una vasca con acqua appositamente allestita a Milano presso

il Laboratorio di restauro del legno bagnato della Soprintendenza

Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Como, Lecco, Sondrio e

Varese e a breve inizierà il restauro.

Si tratta di un lungo percorso: il primo passo è il consolidamento

per impregnazione con una resina a base di glicole di polietilene

(P.E.G.), che impiega molti mesi, poi l'essicca

zione e infine il restauro vero e proprio.


Il gruppo di archeologi della Statale di Milano impegnati negli

scavi a Lavagnone.

 
 
 

Signora di Vix

Post n°2665 pubblicato il 30 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato da Archeonews

Signora di Vix. Ritorno sulla tomba della principessa celtica

Archeonews

23 settembre 2019


La scoperta risale a quasi settant'anni fa, ma le sorprese

non sono ancora finite.

Siamo nei pressi del villaggio di Vix, sul Mont Lassois vicino

a Châtillon-sur-Seine, nel cuore della regione francese della

Borgogna.

È il lontano inverno del 1953 quando a tornare alla luce è niente-

meno che la tomba di una principessa celtica (VI sec. a. C.)

praticamente intatta.

I primi scavi

Le prime segnalazioni di uno strano dosso nel terreno e

un'insolita concentrazione di ghiaia erano giunte da alcuni

operai della zona.

La conferma che si trattasse di qualcosa di eccezionale

arrivata grazie all'archeologo autodidatta René Joffroy

che aveva dato ufficialmente inizio agli scavi.

Sotto il terreno c'era una camera sepolcrale di legno

circondata da quattro ruote di carro.

Al centro, sui resti della carrozza, giaceva una donna

sui quarant'anni riccamente decorata con un bracciale

in oro, fibule di bronzo e oro, corallo e ambra.

In un angolo della tomba gli archeologi scoprirono un

gigantesco cratere greco di bronzo (540-530 a.C.)

abbellito con opliti, cavalli e carri.

Le anse decorate con gorgoni e leoni rampanti.

Dello straordinario corredo facevano parte anche

una patera d'argento, un 

ainochoe (vaso simile una brocca) e un bacile di

bronzo.

Ritorno sul sito

Dagli anni Sessanta a oggi molto si è detto e scritto sul sito

di Vix.

Fino alla recente decisione di tornare a scavare: le ricerche,

appena partite, sono condotte dal CNRS/Université de Bourgogne

-Franche-Comté, sotto la direzione dell'Inrap e la collaborazione

del laboratorio archeologico ARTEHIS.

Luogo di potere e di élites

La tomba in questione fu edificata a valle, ai piedi del Mont Lassois,

un promontorio fortificato con bastioni affacciato sulla Senna.

Sulla sua sommità gli archeologi hanno portato alla luce un

insediamento probabile sede della locale aristocrazia e composto

da edifici absidati e granai.

Il tumulo tombale di grandi dimensioni e ricoperto di pietre fu

progettato per essere ben visibile anche da lontano e celebrare

così per sempre la memoria della Signora.

Ritorno a... Vix

Oggi si torna sullo scavo utilizzando le più moderne tecnologie

tra cui i droni, gli studi fotogrammetrici e l'elaborazione di modelli

tridimensionali.

Tra le molte domande rimaste in sospeso, una su tutte: è

possibile che esista una seconda camera sepolcrale?

Nel frattempo alcune novità arrivano dai sondaggi che si stanno

effettuando su ciò che resta del tumulo funerario.

Analisi sul monumento funebre

Poco si sapeva fino a oggi riguardo alla struttura funeraria in sé

. Recenti indagini geofisiche hanno ipotizzato che tipo di aspetto

dovesse avere in origine: il tumulo, di quaranta metri di diametro,

era composto da un mix di terra e pietre di vario genere.

Alcuni blocchi particolarmente grandi e ben visibili lungo il

perimetro della struttura non provenivano da montagne vicine;

erano dunque stati scelti e trasportati per l'occasione.

Il monumento, pensato per l'eternità, fu distrutto in realtà

poco tempo dopo la sua costruzione.

Il tumulo, volutamente spianato, fu reso invisibile agli occhi

dei più permettendo alla sepoltura di arrivare intatta fino ai

giorni nostri.

Nuovi reperti e ... indizi

In cima a quello che resta del tumulo, una sorta di cappello

di ghiaia delimitava l'ubicazione della camera sepolcrale.

Sulla sua superficie gli archeologi hanno rinvenuto dei piccoli

chiodi di bronzo probabilmente facenti parte degli ornamenti

del carro.

Al di là del valore intrinseco rappresentano i primi indizi sul

fatto che tanto ancora rimane da scoprire.

 
 
 

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