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Messaggi del 13/03/2020

Altre news dalla preistoria.

Post n°2570 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

 

Mammut congelato per 12.400 anni,

il suo corpo è rimasto intatto

AMBIENTE Rinaldo Cilli 7:00 5 Aprile 2016

Considerando l'aumento globale delle temperature e lo scioglimento

del permafrost che ricopre numerose e vaste zone della Siberia,

diversi antichi oggetti nascosti stanno gradualmente emergendo.

Cinque anni fa un gruppo di scienziati era alla ricerca di alcune

zanne di Mammut Lanoso che, se vendute, possono portare ad

un'ingente somma di denaro.

Quello che è successo, però, ha dell'incredibile: gli esperti, infatti,

hanno rinvenuto quello che è il muso di un cucciolo di mammut

congelato nel ghiaccio del Pleistocene.

Già nel 2015 venne scoperto un altro cucciolo proprio vicino a

quello ritrovato in questi giorni e gli scienziati ritengono assai

probabile che possano trattarsi di due fratelli.

Quel che è importante, tuttavia, è che entrambi i corpi si sono

conservati in questi anni in maniera davvero incredibile, ottimale.

mammut congelato

Mammut congelato per 12.400 anni, il suo corpo è rimasto intatto

Recentemente, un team di scienziati riuniti nella regione della

Yakutia ove sono stati rinvenuti i reperti, hanno scoperto che il

corpo del piccolo cucciolo dimammut era ripiegato e ricoperto

di fango; gli artigli spuntavano fuori dai piedi pelosi, mentre i

denti ingialliti erano ancora racchiusi all'interno della bocca,

che parzialmente ha perso la sua colorazione originale.

Gli scienziati hanno rimosso il cervello del cucciolo che,

come da loro stessi riferito, era intatto per il 70/80%.

"E' rarissimo trovare un mammifero carnivoro intanto con la pelle

, la pelliccia e gli organi interni e pochissime volte è accaduto

nella storia" riferisce Sergei Fyodorov, capo del Museo Mammoth,

nel nord-est della Yakutia.

RINALDO CILLI

ARTICOLI CORRELATI

 
 
 

Dall'antica Norvegia..

Post n°2569 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Norvegia: lo scioglimento dei ghiacci rivela reperti dell'Età del Bronzo

ATTUALITÀ Angelo Petrone 18:11 23 Giugno 2017

Tra i pochi effetti positivi del riscaldamento globale c'è sicuramente

il ritorno alla luce di reperti nascosti da millenni nelle profondità dei

ghiacci.

E' quanto è accaduto nei giorni scorsi in Norvegia dove sono stati scoperti,

al di sotto dei ghiacciai, oggetti di oltre 4.500 anni fa.

Una scarpa, un bastone da passeggio, ma soprattutto delle antichissime

iscrizioni runiche in grado di far luce sul mondo lontanissimo dell'Età

del Bronzo.

I ritrovamenti fanno luce sul passato delle regioni settentrionali della

Scandinavia e precisamente dell'altopiano di Hardangervidda dimostrando

come anche queste aree così remote fossero pienamente integrate sui

processi di sviluppo che hanno caratterizzato il continente migliaia

di anni prima di Cristo.

Norvegia: lo scioglimento dei ghiacci rivela reperti dell'Età del Bronzo

Le tracce dimostrano come l'area fosse abitata da un tipo di insediamento

stagionale, forse attivo solo dal mese di giugno ad ottobre sia nell'Età

della Pietra (8.000-5.000 a.C.) che nell'Eta' del Bronzo (3500 a.C. al

1200 a.C.). Secondo gli esperti gli abitanti erano impegnati soprattutto

nell'allevamento delle renne con la produzione di pettini, spille e vai

attrezzo attraverso le corna mentre le pelli erano usate per il vestiario

da utilizzare durante l'inverno.

Un'attivtà economica che ha caratterizzato la Norvegia nei secoli a seguire.

 
 
 

Un altro Dyno..

Post n°2568 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Canada: scoperto il fossile

di dinosauro meglio conservato

di sempre

ATTUALITÀ Angelo Petrone 16:55 4 Agosto 2017

E' il fossile di dinosauro meglio conservato di sempre quello

portato alla luce dai Paleontologi del museo Royal Tyrrell del

Canada.

Si tratta del Borealopelta markmitchelli un genere di nodosauro

, una particolare specie di dinosauro erbivoro, corazzato ed

appartenente al gruppo degli anchilosauri.

La scoperta risale al 21 marzo del 2011, quando un lavoratore di

una miniera nella provincia di Alberta, in Canada, avvistò una

strana formazione toccata da un escavatore.

Dopo un duro lavoro di sei anni il dinosauro è stato estratt

o interamente mostrando delle caratteristiche uniche nel suo

genere.

Canada: scoperto il fossile di dinosauro meglio conservato di sempre

Una straordinaria conservazione caratterizza il fossile che mostra

l'armatura in tutti i suoi dettagli come anche la pelle. Grazie alla

scoperta di melanosomi, gli esperti sono stati in grado di risalire

anche alla colorazionedell'animale tipicamente rossastra.

Una serie di caratteristiche che hanno spinto gli esperti a definire

il dinosauro appena scoperto come la "Monna Lisa dei fossili". 

IlBorealopelta markmitchelli, questo è il nome dato dagli esperti,

 visse circa 110 milioni di anni fa, nel Cretaceo, era caratterizzato

da una lunghezza di 5,5 metri per un peso di 1,5 tonnellate.

Per sfuggire ai predatori l'animale aveva assunto una particolare

tonalità così da mimetizzarsi nell'ambiente circostante.

 
 
 

Il disco di Libarna.

Post n°2567 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Disco di Libarna: rivelata la funzione dell'antico oggetto

ATTUALITÀ Angelo Petrone 11:17 9 Ottobre 2017

Un piccolo oggetto di forma circolare, portato alla luce in

Piemonte, ha fatto discutere gli studiosi italiani e non sulla

sua reale funzione. Si tratta del Disco di Libarna, uno strumento

risalente al primo secolo avanti Cristo e, secondo le ricerche degli

esperti, utilizzato per individuare il nord celeste e l'alternarsi delle

fasi lunari.

A rivelare la reale funzione del disco è Guido Cossard, docente di

archeo-astronomia.

L'obbiettivo degli esperti, nella costruzione delle città, era che fos-

sero in armonia con lo spazio.

disco di libarna

Disco di Libarna: rivelata la funzione dell'antico oggetto

Per raggiungere questo scopo, spiega l'esperto, era necessario che il

cardo, ovvero la strada principale che determinava l'orientamento

dell'insediamento, fosse in posizione con quello dello spazio.

I cinesi effettuavano la determinazione del corretto orientamento

della città attraverso un disco forato, chiamato Pi, già dal sesto secolo

avanti Cristo. Un funzione molto simile al Disco di Libarna,scoperto

dagli archeologi nella città che omonima localizzata a Serravalle, in

Piemonte.

Il disco misura pochi centimetri di diametro, si compone di due facce,

una divisa in tredici lunette, l'altra in quattro settori di forma circolare

ad indicare l'andamento delle stagioni legate alle tre lunazioni ed ai

quattro anni solari.

IlDisco di Libarna verrà presentato a Genova il 27 ottobre nell'ambito

del Festival della Scienza.

 
 
 

Perchč i coccodrilli non si sono estinti.

Post n°2566 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Notizie scientifiche.it

Ecco come hanno fatto i coccodrilli a sopravvivere alle estinzioni di massaHOMETOP NEWS

11 Marzo 2020 Top newsZoologia

Come hanno fatto i coccodrilli a restare in vita nonostante le varie

estinzioni di massa occorse da quando hanno messo piede sulla Terra?

È la domanda cui un team di ricercatori del Milner Center for Evolution

dell'Università di Bath ha cercato di rispondere.

I coccodrilli sono effetti uno dei lignaggi più antichi sopravvissuti fino ad

oggi.

Sono sopravvissuti in particolare a due estinzioni: quella del tardo cretaceo,

ossia quella più nota che ha cancellato dal globo i dinosauri 66 milioni di

anni fa, e un estinzione minore dell'eocene, avvenuta 33,9 milioni di anni fa,

l'estinzione che comunque ha spazzato via tantissime specie acquatiche.

Non è il primo studio che tenta di dare una risposta a questo enigma.

Gli studi precedenti hanno suggerito che la dieta potrebbe aver aiutato

questi animali a far fronte a queste condizioni difficili così come il loro

comportamento semi acquatico (in sostanza non sono né animali marini

e neanche animali terrestri).

Un nuovo studio, apparso sul Biological Journal of the Linnean Society,

suggerisce però che la risposta è da ricercare nella loro particolare biologia

riproduttiva.

Il sesso di piccoli di coccodrillo, infatti, è determinato dalla temperatura

alla quale vengono incubati dato che questi animali non hanno cromosomi

sessuali.

Più alta è la temperatura durante la fase dell'incubazione, più è probabile

che nascano maschi.

È un po' il discorso delle tartarughe solo che per quest'ultime è vero il contrario.

Proprio per questo i cambiamenti climatici, che stanno vedendo un riscalda-

mento globale in corso, stanno in parte cominciando ad influenzare anche le

biologia riproduttiva di questa tipologia di animali.

Ad esempio in alcune popolazioni di tartarughe l'80% nasce femmina,

qualcosa che potrebbe portare a conseguenze devastanti per questi animali

nel prossimo futuro.

Ritornando ai coccodrilli, gli scienziati hanno analizzato 20 specie diverse,

provenienti da ogni parte del mondo, scoprendo che le specie più piccole

tendono a vivere più vicino all'equatore mentre le specie più grandi tendono

a vivere a latitudini più elevate e in climi più temperati.

Hanno inoltre scoperto che le temperature di incubazione non sono correlate

alla latitudine.

Questo significa che i coccodrilli potrebbero non essere minacciati in futuro,

così come lo sono invece le tartarughe, dai cambiamenti climatici in relazione

ai livelli di natalità. Inoltre c'è da aggiungere che gli stessi coccodrilli, a

differenza delle tartarughe, si prendono cura dei piccoli (le tartarughe

depongono le uova sulle spiagge e lasciano poi i piccoli da soli).

Ed è proprio questo approccio più pratico alla genitorialità che ha evidente-

mente permesso ai coccodrilli di sopravvivere alle succitate estinzioni di massa.

Ciò non vuol dire che coccodrilli non siano globalmente minacciati: ci sono

attività umane che, per questi animali, potrebbero essere considerate un

fattore più minaccioso di un'estinzione di massa.

 
 
 

La futura estinzione di massa dei coralli

Post n°2565 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Notizie scientifiche.it

I coralli si stanno preparando

ad una nuova estinzione di

massa

5 Marzo 2020 Top newsZoologia

Un interessante studio pubblicato su Scientific Reports

mostra che i coralli pietrosi, specie di coralli molto importanti

perché forniscono alimenti e ripari a moltissime specie marine

oceaniche, si stanno santamente preparando ad un importante

evento di estinzione.

I ricercatori hanno infatti scoperto che questi coralli stanno

cominciando a mostrare una serie di caratteristiche, in relazione

ai tentativi di sopravvivere, che corrispondono alle stesse carat-

teristiche che sembrano essere occorse poco prima della loro

ultima grande estinzione di massa, avvenuta 66 milioni di anni fa.

I ricercatori hanno rintracciato queste caratteristiche antiche

grazie alle analisi dei fossili che questi coralli hanno lasciato nei mari.

Confrontando questi fossili con i dati inseriti nella lista rossa della

International Union for Conservation of Nature (IUCN), un

database con diverse informazioni sullo stato di conservazione di

diverse specie animali, compresi i coralli, i ricercatori hanno

trovato risposte inquietanti.

David Gruber, biologo marino di Graduate Center, CUNY e Baruch

College, afferma chiaramente che sembra che i coralli si stiano

preparando ad evitare una nuova estinzione di massa.

L'ultima estinzione avviene 66 milioni di anni fa, nel periodo che

seguì all'impatto dell'asteroide e della scomparsa, tra gli altri,

anche di dinosauri.

I coralli sembrano oggi, così come in quel periodo, affrontare una

diminuzione del 18% delle colonie, una diminuzione del 18% nella

fotosimbiosi e una riduzione del12% nell'occupazione degli habitat

poco profondi.

Inoltre hanno notato che i coralli stanno crescendo più lentamente, il

che è una selezione evolutiva che aumenta le possibilità di sopravvivenza.

Tutte caratteristiche simili a quelle riscontrate nei fossili di quel periodo.

Gli scienziati credono che il tempo di recupero, a seguito di un'estinzione,

dei coralli sarà di 2-10 milioni di anni.

Tuttavia i coralli che sopravviveranno non saranno come quelli che

conosciamo oggi: non potranno "costruire" scogliere come quelle

delle barriere coralline ma saranno piccoli, vivranno in colonie piccole

e a crescita lenta e vivranno più in profondità, come spiega Gal Dishon,

biologo marino dell'Università della California e primo autore dello studio.

"I coralli sono un gruppo così sensibile di creature marine, sono

essenzialmente il canarino nella miniera di carbone", dichiara Gruber.

 
 
 

Le altre funzioni del tartufo canino.

Post n°2564 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Notizie scientifiche.it

 

HOMETOP NEWS

Scoperto nuovo senso dei cani: rilevano calore tramite il naso

2 Marzo 2020 Top newsZoologiaTermografia di cane a temperatura ambiente: si può

notare la punta del naso molto più fredda dell'area

circostante perché più umida (credito:

 Doi: 10.1038/s41598-020-60439-y |

 Scientific Reports)

È una sorta di "nuovo senso" quello scoperto nei nasi

dei cani da un team di ricerca dell'Università del

Colorado a Boulder. Si tratta di una "scoperta affascinante",

come la descrive l'etologo Marc Bekoff, un esperto di fiuto

canino non coinvolto nello studio.

Secondo i ricercatori, infatti, i cani con i loro nasi possono

non solo fiutare ma anche percepire i livelli di calore

corporeo dei mammiferi senza un tocco diretto e quindi

ad una certa distanza.

Non si tratta di una capacità unica in assoluto: quella di

percepire il calore radiante da parte degli esseri viventi è

una caratteristica presente anche in alcuni coleotteri, in

alcune specie di serpenti e in una specie di mammifero,

il pipistrello vampiro.

I ricercatori hanno infatti scoperto che la rinaria dei cani, l

a zona nuda e liscia sulla punta del naso intorno alle narici,

è umida, più fredda della temperatura ambiente ed è

molto ricca di nervi.

Proprio in base a queste caratteristiche, i ricercatori

hanno subito pensato che il naso dei cani potesse essere

capace non solo di rilevare l'olfatto ma anche il calore.

Per ottenere una conferma hanno eseguito esperimenti su

tre cani da compagnia i quali dovevano scegliere un

particolare oggetto caldo e uno a temperatura ambiente.

I ricercatori posizionavano gli oggetti a 1,6 metri di distanza.

Tutti e tre i cani rilevavano con un certo livello di successo

gli oggetti che emettevano una radiazione termica.

A questo punto i ricercatori hanno scansionato il cervello

di altri cani di varie razze tramite risonanza magnetica

funzionale nel momento in cui presentavano ai cani

degli oggetti che emettevano radiazioni termiche oppure

oggetti che non le emettevano.

I cani si mostravano molto più sensibili allo stimolo termico

caldo rispetto a quegli oggetti neutri che non emettevano

alcuna reazione.

Questi esperimenti confermano dunque che i cani possono

percepire il calore tramite il naso, qualcosa che innesca

probabilmente una particolare regione del cervello

. Probabilmente gli stessi cani hanno ereditato questa

abilità dal loro antenato diretto, il lupo grigio, il quale

può fiutare i corpi caldi durante la caccia.

Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports.

 
 
 

Notizie sugli antichi 4 zampe

Post n°2563 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Notizie scientifiche.it

 

HOMEBIOLOGIAPALEONTOLOGIA

Studiati denti e diete dei primi canidi nati dall'addomesticamento dei lupi

22 Febbraio 2020 PaleontologiaI ricercatori hanno analizzato denti fossili dei primi

canidi risalenti a 28.500 anni fa (credito: Università

dell'Arkansas, Journal of Archaeological Science)

Nuove analisi di denti ritrovati in un sito della

Repubblica Ceca risalenti a 28.500 anni fa forniscono

prove che già allora erano in atto tentativi di addomestica-

mento precoce dei lupi.

I ricercatori hanno eseguito analisi dei denti di quelli che

possono essere considerati come i primi canidi, chiamati

anche "protocani", scoprendo due diete diverse, una carat-

terizzato da cibi duri e fragili, e una caratterizzata principal-

mente da carne, proveniente probabilmente dai mammut.

Il fatto che questi primi canidi consumassero cibi più duri

testimonia il fatto che essi probabilmente consumavano

ossa e altri scarti di cibo nelle aree degli insediamenti

umani e fornisce una prova del fatto che in questi siti

umani esistevano almeno due tipologie di canidi, ognuno

con la sua dieta distinta, cosa che dimostra sua volta le

prime prove di addomesticamento dei lupi.

Questo studio potrà essere utile per cercare di risolvere

il dibattito scientifico relativo all'addomesticamento dei

lupi e quando questi animali, tramite l'addomesticamento,

si siano poi trasformati in cani, qualcosa che dovrebbe

essere avvenuto tra 15.000 e 40.000 anni fa.

 
 
 

Sulla dieta...

Post n°2562 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli


HOMEMEDICINA E SALUTESCIENZA DELLA NUTRIZIONENotizie scientifiche.it

Mangiare di meno allunga la vita e contrasta invecchiamento nei topi

29 Febbraio 2020 Scienza della nutrizione


Abstract grafico dello studio (credito: DOI: 10.1016/j.cell.2020.02.008 - Cell)

Bisogna mangiare meno cibo se si vogliono ridurre le infiammazioni

del corpo e in generale vivere più a lungo: è questa, in sostanza, la

conclusione di un un nuovo studio apparso su Cell.

La ricerca parla chiaramente di "restrizioni caloriche" in termini di

benefici per il corpo a seguito di esperimenti fatti sui topi sottoposti

a diete ipocaloriche.


Non è la prima ricerca che mostra che mangiare di meno allunga

sostanzialmente la vita ma si tratta del primo studio che mostra

che le restrizioni caloriche hanno influenze a livello di singola cellula

e singoli tessuti, come spiega Juan Carlos Izpisua Belmonte, autore

senior dello studio.

Queste informazioni potrebbero essere utilizzate per sintetizzare

nuovi farmaci onde trattare tutte quelle malattie legate all'invecchiamento.

Nel corso degli esperimenti i ricercatori hanno confrontato le reazion

dei ratti che consumavano il 30% in meno di calorie rispetto ai tratti

di un altro gruppo.

Ai ratti del primo gruppo venivano imposte restrizioni caloriche dall'età

di 18 mesi fino a 27 mesi (un'età paragonabile a quella dai 50 ai

70 anni per gli esseri umani).

Isolando 40 tipi di cellule nei ratti degli esperimenti, cellule provenienti

da varie parti del corpo come tessuti adiposi, reni, pelle, fegato, midollo

osseo, cervello, eccetera, e sequenziando geneticamente le cellule,

i ricercatori notavano cambiamenti che si verificavano, a seguito

dell'invecchiamento, nei ratti che seguivano una dieta normale.

Nei ratti sottoposti a restrizione calorica, questi cambiamenti non si

verificavano e molti tessuti e cellule continuavano ad assomigliare a

quelli dei ratti giovani.

In generale, il 57% dei cambiamenti legati all'età nella composizione

delle cellule osservati nei tessuti dei ratti che seguivano una dieta

normale non avvenivano nei ratti sottoposti a restrizione calorica.

Le cellule e i geni maggiormente influenzati dalla restrizione calorica

erano quelli correlati all'immunità, alle infiammazioni e al metabolismo

lipidico. Nei ratti che mangiavano di meno, il numero delle cellule

immunitarie non veniva influenzato dall'invecchiamento.

Ad esempio nel tessuto adiposo bruno, la restrizione calorica

ripristinava i livelli di espressione di molti geni antiinfiammatori.

Secondo Jing Qu, un autore dello studio nonché professore

dell'Accademia Cinese delle Scienze, il risultato principale dietro

questo studio sta nel fatto che la risposta infiammatoria legata

al sopraggiungere dell'invecchiamento potrebbe essere repressa,

anche negli esseri umani, dalla restrizione calorica.

 
 
 

Le possibili cause del Coronavirus.

Post n°2561 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

    La Rivista della Natura

    COMMERCIO ILLEGALE DI SPECIE SELVATICHE

    Coronavirus, come si è trasmesso all'uomo?

     

    Alcuni scienziati cinesi sospettano che il

    Coronavirus 2019-nCoV si sia trasmesso

    all'uomo attraverso i pangolini, piccoli mammiferi

    ricoperti di scaglie, fortemente a rischio estinzione

    a causa di un drammatico commercio illegale in

    Asia e Africa.

    Dai pipistrelli ai pangolini

    Pangolino

    Il Pangolino (Manis) o formichiere squamoso, unico

    mammifero con le squame. © WWF-Malaysia Stephen

    Hogg.jpg

    Secondo i ricercatori cinesi della South China

    Agricultural University, a facilitare la diffusione del

    coronavirus potrebbe essere stato il pangolino, un

    genere di piccoli mammiferi a rischio di estinzione

    (8 le specie conosciute), ma intensamente commerciati

    illegalmente soprattutto per le scaglie che ne ricoprono

    il corpo.

    Il genoma del virus rinvenuto nei pangolini, che si

    suppone essersi sviluppato originariamente nei pipistrelli

    , è quasi identico (al 99%) al Coronavirus 2019-nCoV

    rinvenuto nelle persone infette.

    L'ipotesi non è ancora ufficiale

    Sebbene i risultati di questo studio non siano ancora

    stati pubblicati, è noto tuttavia che il commercio illegale

    di animali selvatici vivi e di loro parti del corpo è veicolo

    per vecchie e nuove zoonosi, aumentando il rischio di

    pandemie che potrebbero avere grandissimi impatti sanitari,

    sociali ed economici su tutte le comunità coinvolte.

    Non è la prima volta, infatti, che si sospetta che l'ospite

    intermedio di una malattia infettiva sia un animale vivo

    venduto in un mercato cinese: circa 17 anni fa, la

    sindrome respiratoria acuta grave (SARS), è comparsa in

    un mercato cinese che vendeva civette delle palme (dei

    piccoli mammiferi viverridi). Altre famose pandemie come

    l'Aids ed Ebola sono state ricollegate ad un passaggio

    tra animali selvatici (come scimpanzé e gorilla probabilmente

    bracconati in foresta) e l'ospite umano.

    Commercio illegale

    Il commercio del pangolino è illegale dal 2016, quando

    una risoluzione della CITES (la Convenzione Internazionale

    che regola il commercio delle specie animali e vegetali

    minacciate di estinzione) ha bandito qualsiasi tipo di

    commercio di parti o derivati delle specie di pangolino

    esistenti.

    Sono proprio le scaglie, la sua "corazza", che lo rendono

    ambito dal commercio illegale: fatte di cheratina, come

    le unghie, secondo diverse superstizioni sarebbero una

    panacea per molti mali e vengono utilizzate dalla

    medicina orientale.

    A questo si aggiunge il fatto che la carne di pangolino

    viene considerata da alcune comunità asiatiche e

    africane una vera e propria prelibatezza: ecco perché

    oggi il mite pangolino è divenuto l'animale più contrab-

    bandato al mondo. La sottospecie cinese è declinata

    del 90% dal 1960, proprio a causa del commercio illegale.

    «La crisi sanitaria legata alla diffusione del coronavirus

    conferma di come il commercio e l'uso insostenibile

    degli animali in via di estinzione e delle loro parti, sia

    per il consumo di cibo che per le credenze su un mai

    provato valore curativo, non solo rappresenti un danno

    enorme per la natura ma anche un pericolo sempre più

    grande per la salute del genere umano.

    Gli animali selvatici e gli ecosistemi che li ospitano

    devono essere protetti e rispettati perché le conseguenze

    delle nostre azioni miopi hanno effetti su tutta l'umanità

    in tanti sensi, compreso la distruzione di equilibri

    delicati che sono alla base della nostra salute» dice

    Isabella Pratesi, Direttore conservazione del WWF Italia.

    Il WWF, attraverso TRAFFIC (programma internazionale

    dedicato al contrasto di commercio illegale di fauna e

    flora selvatici) lavora per la conservazione della

    biodiversità e lo sviluppo sostenibile in tutto il mondo.

     
     
     

    Dai Colli Albani...

    Post n°2560 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

    GEOLOGIALa ricarica magmatica dei Colli Albani,

    il vulcano a sud di Roma

    La ricarica magmatica dei Colli Albani, il vulcano a sud di Roma

    Andrea Di PiazzaANDREA DI PIAZZA2 AGO 2018

    120

     

    Circa due anni fa, la pubblicazione di uno studio sul

    sistema vulcanico dei Colli Albani fece crescere

    nell'opinione pubblica il timore - probabilmente amplificato

    dai media e dalla concomitanza con lo sciame sismico

    nell'Italia Centrale - di una possibile imminente ripresa

    dell'attività eruttiva del vulcano a sud di Roma.

    Le conclusioni a cui è giunto questo studio, pubblicato

    sul Geophysical Research Letters, ovvero che il sistema

    magmatico sia in fase di ricarica, vengono oggi

    confermate da un nuovo lavoro a firma di ricercatori

    dell'Ingv di Roma, in collaborazione con la Facoltà di

    Scienze Ambientali dell'Università Babes-Bolyai di

    Cluj-Napoca (Romania), l'Istituto di Geologia

    Ambientale e Geoingegneria - CNR IGAG di Roma,

    l'Ohio State University, l'Università degli Studi della

    Campania e il CNR di Napoli.

     

    La ricarica magmatica dei Colli Albani

    La nuova ricerca, pubblicata sulla rivista Geochemistry

    Geophysics Geosystems ad aprile di quest'anno, mostra

    come il sistema magmatico del vulcano a sud di Roma

    stia 'ringiovanendo'.

    Come confermato dai dati satellitari InSAR, con cui si

    monitora la deformazione del suolo, negli ultimi 20 anni 

    si è osservato un significativo rigonfiamento del settore

    occidentale e meridionale del vulcano e contemporaneamente

    una generale subsidenza del suo settore centrale.

    Questi dati, combinati con la tettonica dell'area e con

    le misure di importanti parametri geochimici, hanno

    permesso di sviluppare un modello di deformazione che

    si spiega con la cristallizzazione ed il raffreddamento di

    un corpo magmatico al di sotto dell'area centrale del

    vulcano (contrazione e dunque subsidenza), e con due

    zone di lento accumulo di magma al di sotto del settore

    occidentale e meridionale del vulcano (iniezione di

    magma e dunque rigonfiamento).

    Il Vulcano Laziale

    L'attività vulcanica dei Colli Albani - o Vulcano Laziale -

     è iniziata circa 600mila anni fa e si è conclusa circa

    36mila anni fa.

    Ad oggi il complesso vulcanico si considera in fase

    'quiescente', ovvero in una condizione caratterizzata

    da manifestazioni di vulcanismo secondario (es. fumarole,

    mofete, acque calde) senza eruzione di nuovo magma.

    La composizione geochimica dei fluidi emessi dal vulcano

    del resto conferma la presenza di una sorgente

    magmatica profonda ancora attiva.

    Tra il 1989 ed il 1990, la zona è stata interessata da

    un importante sciame sismico con oltre 3000 eventi

    di magnitudo compresa tra 1.5 e 4.0 ed accompagnato

    dal rilascio di grandi quantità di fluidi ricchi in CO2.

    Le grandi faglie che tagliano questo settore di crosta

    terrestre, infatti, agiscono da via preferenziale per la

     risalita di fluidi e di magma.

    Tutti questi indizi fanno capire come il sistema

    magmatico dei Colli Albani si stia lentamente ricaricando,

    fattore che deve incoraggiare lo sviluppo di una fitta

    rete di monitoraggio di tutti i parametri geofisici e

    geochimici con il fine di controllare ogni minimo sussulto

    del vulcano.

    Le deformazioni del suolo misurate, inoltre, potrebbero

    portare a futuri episodi di instabilità dei versanti: questo

    pone un ulteriore rischio a breve termine per la presenza

    dei numerosi centri abitati, di importanti infrastrutture

    e per la vicinanza con la grande area metropolitana di

    Roma.

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    Post n°2559 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

    La Rivista della Natura

    PROGETTO ITALIANOL'orto spaziale per coltivare

    le verdure su Marte

    L'orto spaziale per coltivare le verdure su Marte

    Marta FrigerioMARTA FRIGERIO27 DIC 2017

    12

     

    C'è anche il dipartimento di Fisica dell'Università

    Statale di Milano tra i partecipanti all'esperimento di

    biologia HortExtreme, selezionato per la missione

    Amadee-18 e realizzato in sinergia con l'Agenzia

    Spaziale Italiana (ASI), Agenzia nazionale per le

    nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico

    sostenibile (ENEA).

    Il progetto è stato selezionato perché in grado di

     sviluppare ecosistemi chiusi per la produzione in situ

    delle risorse necessarie alle missioni umane di esplora-

    zione del Sistema Solare.

    I ricercatori del dipartimento di Fisica dell'Università

    Statale di Milano sono impegnati da anni a realizzare

    esperimenti in Antartide, sulle Alpi e nello Spazio.

    «Grazie all'esperienza maturata svolgendo

    esperimenti scientifici in ambienti estremi e ostili e

    alla necessità di sistemi di sopravvivenza sia degli

    umani che della strumentazione, forniremo il contributo

    necessario all'installazione dei sistemi di coltivazione

    idroponica - hanno spiegato Francesco Cavaliere e

    Marco Potenza del dipartimento di Fisica dell'ateneo

    lombardo -.

    Questo è il naturale proseguimento dello sviluppo

    di moduli abitativi resistenti fino a -80°C e a venti

    oltre i 100 km/h, che porterà allo sviluppo di serre

    gonfiabili dotate di una rete di sensoristica avanzata

    per tutti i parametri indispensabili alla vita umana

    e vegetale su Marte».

     

    Garantire una dieta equilibrata anche nello spazio

    L'obiettivo dell'orto maziano è quello di garantire un

    corretto apporto nutrizionale ai membri dell'equipaggio,

    assicurando un'alimentazione di alta qualità grazie a

    un sistema di coltivazione idroponica e senza l'uso

    di pesticidi e agrofarmaci.

    Per la missione sono state scelte piantine di cavolo

    rosso e radicchio, verdure che completano il loro ciclo

    vitale in sole due settimane.

     

    Dal deserto allo spazio

    Il prototipo dell'orto spaziale sarà spedito il prossimo

    15 gennaio da Innsbruck al campo base allestito in

    Oman, dove a partire dal mese di febbraio e per quattro

    settimane, l'astronauta Claudia Kobald, insieme ad

    altri quattro colleghi, porterà avanti la sua missione

    di simulazione coltivando le verdure.

    L'orto marziano sarà posizionato nel deserto del Dhofar,

    scelto come sito per la missione per via di alcune

    caratteristiche che lo accomunano al Pianeta Rosso

    Tra queste ci sono le strutture sedimentarie risalenti

    al Paleocene e all'Eocene, le cupole saline del South

    Oman Salt Basin e le antiche aiuole fluviali, le superfici

    sabbiose e rocciose con grande variabilità nell'inclina-

    zione e un clima tropicale-desertico, con temperature

    previste a febbraio che variano tipicamente tra 16 e

    27 °C. Le precipitazioni sono scarse e in quel periodo

    raggiungono i 10 mm.

     

    Gli scopi della missione Amadee-18

     

    La missione Amadee-18, che è giunta alla sua dodicesima

    edizione, punta a studiare e validare gli equipaggiamenti

    che potranno essere impiegati nel corso delle future

    missioni umane su Marte; inoltre, si occupa di fornire

    piattaforme per tecniche di geofisica e per l'identificazione

    di tracce di vita, nonché valutare la mobilità di rover su

    un terreno analogo a quello marziano e in una condizione

    di supporto del team da remoto.

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    Dal mondo delle piante

    Post n°2558 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

     

    STUDIO DEL ROYAL BOTANIC GARDENSCi sono 28mila

    piante che hanno proprietà medicinali ma che sono

    ancora poco conosciute

    Ci sono 28mila piante che hanno proprietà medicinali ma che sono ancora poco conosciute

    Marta FrigerioMARTA FRIGERIO24 MAG 2017

    31

     

    Il segreto per sconfiggere alcune tra le più gravi

    malattie del nostro tempo è nelle piante.

    Secondo uno studio del Royal Botanic Gardens di

    Kew, infatti, sarebbero ben 28mila le piante con

    importanti proprietà medicinali.

     Un tesoro immenso e importantissimo che, se da

    un lato è ancora tutto da scoprire, dall'altro rischia

    di scomparire.

    E, nonostante il loro immenso potenziale, solo il

    16% di queste piante è preso in considerazione dal

    mondo scientifico.

     

    Cure per Parkinson e malaria

    Il report evidenzia come due piante - Cinchona calisaya

     e Artemisia annua - siano particolarmente efficaci nel

    trattamento della malaria, malattia che ogni anno causa

    la morte di migliaia di persone.

    Dalle piante potrebbe arrivare anche la cura per il morbo

    di Parkinson.

    I ricercatori del Royal Botanic Gardens, infatti, hanno

    annunciato che ci sono nove differenti specie di

    rampicanti recentemente scoperte che potrebbero

    essere usate con successo nel trattamento di questa

    malattia.

    Scoperte nuove specie

    Per censire le piante hanno collaborato 128 studiosi

    provenienti da 12 Paesi. Grazie anche alle immagini

    satellitari raccolte è stato possibile classificare per

    la prima volta 1.730 nuove specie.

     Tra queste ci sono cinque nuove piante del genere

    Manihot scoperte in Brasile, sette nuove varietà

    della famiglia Fabaceae trovate in Sud Africa e che

    venivano utilizzate per produrre la celebre bevanda

    rooibos, ma anche una nuova varierà di pastinaca,

    scoperta in Turchia.

    Lo studio ha però evidenziato come questo ricco

    tesoro sia fragile e minacciato.

    Ogni anno, infatti, 340 milioni di ettari di vegetazione

    vanno perduti a causa del disboscamento, degli incendi

    e della crescente urbanizzazione e non senza danni

    anche economici.

    Le stime, infatti, parlano di danni per 500 miliardi di euro.

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