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Privatizzare i diritti costituzionali?

Post n°201 pubblicato il 15 Maggio 2007 da sparus_rm
Foto di sparus_rm

Il blog di Polystirene è stato chiuso. Con mio grande rammarico, per almeno due buoni motivi: anzitutto perché quello che fa attraverso il blog è interessante e mi piace molto, ma soprattutto perché il modo in cui è stato chiuso rappresenta un intollerabile atto d’arbritrio, anzi di imperium. Un caso, tra l’altro, che non può dirsi isolato. E questo mi piace ancora meno perché esprime l’esercizio di un potere assoluto, feudale, che si pone al di fuori di tutte le regole che valgono nella cosiddetta “vita reale”. Quasi che ciò che continuiamo a chiamare anacronisticamente ”mondo virtuale” possa vantare una sorta di statuto di extraterritorialità rispetto ai principi dellla Costituzione (art. 21) e alle leggi di questo paese, in particolare a quelle sull’editoria. Un’idea che non solo è ontologicamente sbagliata, ma che configura la possibilità da parte di un qualsiasi fornitore di servizi internet, nella fattispecie l’amministratore delegato di Wind Infostrada di imporre ai suoi clienti-utenti “accordi” vessatori che limitano (e fortemente) l’esercizio delle libertà costituzionali, che possono così diventare oggetto di semplici contratti di diritto privato. Ancor più preoccupante è il fatto che l’esercizio di un potere completamente sbilanciato a favore del gestore di TLC nei confronti dell’utente - cittadino che si stabilisce in conseguenza della “privatizzazione” dei diritti costituzionali sia utilizzato nell’odiosa forma di una censura che seleziona le notizie e orienta il dibattito per compiacere una ben precisa parte politica, che – guarda i casi – è anche quella che si è opposta al processo di liberalizzazione voluto dall’attuale governo e che ha comportato un giro di vite sulle aziende di TLC, costrette ad esempio, ad eliminare i costi di ricarica per la telefonia cellulare. Sempre guardando gli strabilianti casi della vita, Wind Infostrada, è stata la compagnia che più fortemente ha fatto pressione sul governo per protestare contro l’abolizione dei costi di ricarica, schierandosi apertamente contro il governo e contro il ministro Bersani. Caso peraltro non nuovo, vista l’imbarazzante e anomala tendenza degli operatori di TLC italiane a costituirsi come “stato nello stato”, com’è avvenuto per l’oscura vicenda delle intercettazioni di TIM. Da questo punto di vista, l’operato dello staff di Libero / Digiland appare veramente strabiliante. All’indomani dell’omicidio di Vanessa Russo, si apre il consueto forum per strumentalizzare la vicenda slegando i mastini del populismo, del razzismo nei confronti degli immigrati e della protesta generalizzata contro il governo, indicato da una formulazione estremamente faziosa dell’invito a partecipare al forum come responsabile morale dei fatti terribili della metropolitana di Roma. Ora, che il blog di Polystirene e la sua attività di performer e artista possano piacere o meno è perfettamente legittimo, e alla fine che piaccia o meno è in fin dei conti un falso problema. Quello che invece preoccupa è la manipolazione del consenso e del conflitto in rete. Da parte della politica e del mondo della comunicazione e dell’informazione, e in particolare di quanti hanno preso a cuore le vicende della libertà di stampa e il diritto di parola in questo paese, c’è un atteggiamento di sostanziale miopia nei confronti di questo problema. Che è anzitutto un problema ideologico: quando si tratta di difendere la libertà d’espressione conviene farlo solo se ci sono di mezzo i mass media, e in particolare l’informazione su carta stampata e sui telegiornali, i classici canali che storicamente i partiti hanno usato per la mobilitazione del consenso politico. E allora si parla di servizio pubblico, di Biagi, Santoro e Travaglio. Tutto legittimo, per carità. Ma quando si tratta di difendere la possibilità per i cittadini di comunicare, stabilita peraltro dall’Art. 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, si girano dall’altra parte, non se ne occupano, non gli interessa. Si appiattiscono sull’idea che questo riguardi soltanto un cliente e il suo fornitore di servizio, come se tutto questo non rappresentasse un fatto intrinsecamente ed inscindibilmente politico, uno di quelli su cui si misura concretamente il livello di libertà di un paese. E allora, bisogna parlarne, comprendere che la questione non è riducibile al fatto che Polystirene sia per qualcuno una performer dissacrante con le foto del suo sangue mestruale che scorre sulle gambe o di uno spinello in bocca, ma che riguarda la libertà di ciascuno. E bisogna imparare a utilizzare le risorse politiche disponibili. Segnalando, anzitutto, ciò che sta accadendo e i pericoli che corriamo con una bella mail ad Articolo 21: redazione@articolo21.com. In fondo, il Grande Fratello (quello di Orwell) o gli incubi della Cina non sono così lontani.

 
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