Creato da sparus_rm il 14/08/2005
La mia personale giungla cambogiana
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"They who can give up essential liberty to obtain a little temporary safety, deserve neither liberty nor safety. "
Benjamin Franklin, 1755
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Par condicio, me ce ficco
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In punta di piedi
Oggi sono uscito un po’ prima dal lavoro. I soliti dodici chilometri di motorino, solo che stavolta ho rischiato quattro volte di fare un incidente. L’ultima, nella strada di casa, a venti metri dal cancello. Un bambino in bici che è uscito di colpo da un cancello. Ci siamo guardati increduli, le ruote che si sono fermate a pochi centimetri, senza poter dire chi fosse più stupito e dispiaciuto. Si vede che ho la testa persa nei miei mille pensieri. E questo maledetto senso d’angoscia che mi stringe alla bocca dello stomaco. Sono successe alcune cose, oggi, quasi collegate tra loro da un filo rosso. Vorrei avere il dono di sapere come entrare ed uscire nella vita delle persone in punta di piedi. Finisco sempre di essere goffo, disattento, troppo preso da quello che succede a me per riuscire a stabilire veramente un contatto con gli altri. Un contatto profondo, che riesca ad andare al di là degli esorcismi vuoti di senso, che pratico ormai quasi senza convinzione, che mi servirebbero per scongiurare le distanze, le incomprensioni, la mia incapacità di comunicare. Gli esorcismi della battuta, dello sdrammatizzare, del “facimme ammuìna”. Inadeguato, quando c’è da essere serio finisco per essere pesante o per deragliare verso la mia parte da cazzaro, quando c’è da ridere e scherzare finisco per fare Nick Cave. E alla fine rompo comunque i maroni. Così come vorrei avere il dono di sapere come uscire in punta di piedi dalla sofferenza per questa storia che è finita, ma che mio malgrado continua a cercarmi e a chiamarmi. Da questo lavoro che ogni giorno mi violenta. E nel frattempo, continuo a dormire e a svegliarmi da solo, con le due sveglie che suonano a cinque minuti di distanza, il caffè già pronto sul fuoco dalla sera prima per non fare tardi, l’accappatoio azzurro, i vestiti ordinati sul letto, il rito della barba ad inaugurare una giornata grigia, in completo grigio, con la cravatta grigia, che spero solo che finisca presto per riconsegnarmi – quasi come un pacco postale - alle mie cose, ai miei affetti, alla mia casa. Due mondi separati da una barriera ormai sempre più sottile, da un diaframma che sta per rompersi, come una diga pronta a tracimare a valle acqua, fango e bestemmie. Penso a quante parole, quante chiacchiere vuote da dire e da ascoltare ogni giorno. A quanti saluti e sorrisi di circostanza a persone che non stimo nemmeno. A quanta energia ho speso a preoccuparmi per cose inutili. E a quanto mi manca la semplicità di un abbraccio, di una carezza, quando era più facile darne ed averne. Quando ero ragazzo e potevo dire fare e disfare, fottendomene di tante cose, senza la paura paralizzante di deludere o di far male, senza quei dolori che ci hanno segnato nell’anima e di cui non riusciamo più a dire, senza il peso di questa vita sempre sospesa, di respiri e sospiri trattenuti a fatica. Ma adesso è tutto più complicato. E ancora una volta, una porta che si chiude dietro di me, mentre vado incontro a questa giornata grigia e invece vorrei restare. E domani si ricomincia. In punta di piedi.
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