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Ritorno al passato.

Post n°12 pubblicato il 26 Marzo 2007 da PierGiorgio18091969
 

Post tratto dal blog di Satine Rouge

(leggete il post prima del commento)


immagine
Commento di un cattolico eretico-progressista.

Cara Satine, vorrei innanzi tutto ringraziarti per questo post che mi fornisce lo spunto per affrontare tematiche che mi stanno molto a cuore in quanto cattolico praticante.
Premetto che se avessi scritto questo mio commento appena due giorni fa, il tono del mio intervento nei confronti delle autorità ecclesiastiche sarebbe stato molto più duro.
Purtroppo avverto il disagio di vivere un tempo in cui appare sempre più difficile ricondurre una discussione su binari pacati e civili. I pessimi esempi che ci vengono quotidianamente forniti dalla politica e dai dibattiti televisivi hanno portato ad un’esasperazione delle diatribe a qualunque livello. Le perverse logiche del muro contro muro, dell’insofferenza e dell’intolleranza sembrano infatti prevalere in ogni ambito qualora si manifestino posizioni divergenti. E' questo un chiaro sintomo di un imbarbarimento della società in cui viviamo.
Questo clima crea nella mia indole pacata, non violenta e poco incline alle risse verbali una sorta di disagio che si manifesta attraverso la rinuncia alla discussione, alla diatriba a meno che non si affrontino questioni di principio. In parole povere se la cosa non mi tocca da vicino e non offende la mia persona lascio correre perché spesso è inutile discutere con chi non è disposto ad ascoltare l’altro. La mancanza di un dialogo e di un confronto costruttivo sortiscono però l’effetto di radicalizzare le mie posizioni tanto da generare in me un senso di insofferenza nei confronti di chi si pone su posizioni distanti dalle mie, vedi teocon, teodem, destra berlusconiana ecc. tanto da indurmi a “bollarli” come incivili.
Mi rendo perfettamente conto che questo mio atteggiamento è sbagliato, che è il frutto di un disagio dovuto al periodo storico in cui viviamo e che contrasta con quella che è la mia visione del mondo, una visione “ecumenica”, in cui il dialogo e l’ascolto dovrebbero essere alla base dei rapporti tra i singoli individui e le diverse comunità.
Ecco quindi che ho impiegato ben due giorni per riflettere e non vomitare addosso alla Chiesa cattolica, di cui mi sento parte in quanto credente, ciò che penso di certe posizioni che non condivido.
Premetto che per me come per tantissimi giovani la figura di Giovanni Paolo II ha rappresentato un grande punto di riferimento, un riferimento morale ed ideale che non ho trovato ad esempio nei politici di questo ultimo periodo. Karol Wojtyla è stato soprattutto un “padre” per noi credenti. Nelle sue parole ho ritrovato l’affetto del genitore a cui sta a cuore la felicità dei propri figli. Quando ci diceva “Aprite, spalancate le porte a Cristo”, “Non abbiate paura” riusciva a far battere il nostro cuore, a infonderci la speranza in una società più giusta in cui la dignità umana non fosse mortificata dallo sfruttamento, dalle guerre, dalle ingiustizie sociali. Giovanni Paolo II riusciva a fare in modo che tu avvertissi l’importanza del  tuo piccolo contributo quotidiano alla costruzione di un mondo migliore. In questo modo scoprivi di avere un ruolo e ti sentivi protagonista della tua vita. Ti sentivi veramente figlio, all’interno di una grande famiglia, la Chiesa. Come in tutte le famiglie ci sono motivi di discussione, diversità di vedute per cui poi ognuno su alcune posizioni etiche, penso ad esempio ad una certa libertà sessuale, al tema delle convivenze, si regola secondo coscienza in maniera più o meno osservante senza grandi traumi con la consapevolezza comunque che il riferimento culturale, ideale non viene ad essere intaccato.
Pertanto devo ammettere che mi è difficile rintracciare nel successore di Wojtyla la stessa figura paterna. Troppo diverse appaiono le due personalità. Ratzinger è il professore, il teologo, l’ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ex Sant’Offizio, ex Santa Inquisizione. Come non identificare allora Benedetto XVI con “il cane da guardia” dell’ortodossia? In questo la penso come te. Giustamente tu facevi riferimento al ripristino della vecchia liturgia in latino e del canto Gregoriano. In questa proposta  si potrebbe vedere un ritorno al passato, a posizioni preconciliari vicine addirittura agli scismatici lefevriani.
Sarebbe molto strano soprattutto se penso all’importante ruolo svolto dal giovane teologo bavarese Ratzinger  nell’ambito del Concilio Vaticano Secondo. L’attuale pontefice a quei tempi era visto come un liberale, un progressista. Forse il motto “nasci incendiario e muori pompiere” sembrerebbe calzare a pennello al successore di Giovanni Paolo II. Sinceramente non lo so, perché non conosco gli scritti di Ratzinger. E’ tuttavia molto probabile che nell’ecumensimo e nel dialogo interreligioso che hanno caratterizzato il pontificato di Karol Wojtyla un ruolo importante lo abbia svolto l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede.
Una cosa però mi è chiara. L’universo cattolico appare oggi fortemente variegato e soprattutto attestato su posizioni che sono tutt’altro che univoche. La parte più progressista identifica  Benedetto XVI con il “grande restauratore”, mentre una certa parte del conservatorismo cattolico giudica invece l’attuale pontefice fin troppo liberale. Dov’è la verità e soprattutto quale deve essere il ruolo del pontefice in seno alla Chiesa? Nell’ottica di una gestione più “collegiale” della Chiesa cattolica che una parte degli alti prelati auspicherebbe, al santo padre spetterebbe il compito di mediatore fra i diversi orientamenti al fine di giungere ad una “posizione di sintesi”. 
Sinceramente non ho apprezzato i ripetuti inviti  da parte del Papa e della CEI a boicottare i DICO e all’obiezione di coscienza rivolti ai medici, ai politici ed anche alla magistratura cattolica. Personalmente sono un accanito sostenitore della laicità dello Stato e quindi della politica. La Chiesa a mio avviso può esprimere un suo giudizio su determinate questioni di ordine morale o sociale, ma non può vincolare i politici all’osservanza di precetti e di norme che non siano quelle dello stato. Il “non possumus” costituisce pertanto un diktat  che viola il Concordato tra Stato e Chiesa.  I patti di comune solidarietà sono da alcuni anni una realtà in altri paesi europei e non vedo il motivo per cui non debbano essere proposti, sostenuti ed approvati anche in Italia. D’altro canto la Chiesa non ha sollevato in altre parti d’Europa il putiferio che si sta verificando in questi giorni da noi. A mio avviso la Conferenza episcopale italiana dovrebbe riflettere sulle ragioni che hanno portato alla crisi del matrimonio piuttosto che ostacolare chi in qualche modo cerca di costituire una famiglia seppur di fatto.
Il nocciolo della questione, secondo il mio parere, sta tutto nel riconoscimento delle coppie gay in nome dell’osservanza di una presunta “legge naturale”.
Giustamente tu sostieni nel tuo post che l’omosessualità non è una “malattia”. 
Qualche giorno fa in risposta al messaggio n° 60 di shockportatile ho scritto che: 
La prima e più importante legge, la sola indispensabile, è l'amore. Scriveva S. Agostino:"Ama e fai quel che vuoi". Non credo che il buon Dio abbia creato talune persone allo scopo di farle soffrire ponendo "leggi" per loro penalizzanti. Certe leggi che a volte chiamiamo "naturali" sono il frutto della cultura e delle tradizioni di alcuni popoli e a mio avviso non hanno nulla a che vedere con la volontà divina. Se è vero che siamo tutti figli di Dio non penso che un padre metta al mondo dei figli per farli soffrire. L'omosessualità è una colpa solo per coloro che la ritengono tale, solo per coloro che pensano di interpretare il pensiero e la volontà divina sentendosi depositari della verità assoluta. Così facendo discriminano altri individui causando la loro sofferenza. Parlo da credente, per me l'omosessualità non è una colpa, nè un peccato, nè qualcosa di cui vergognarsi. Sono quelli che la pensano diversamente semmai che dovrebbero vergognarsi. L'omosessualità non è una malattia, una devianza, è un'altra manifestazione della sessualità e come tale deve essere rispettata.
Pertanto sono convinto che la battaglia in favore dei DICO sia prima di tutto un fatto di civiltà.
Quando sostieni che, “se si deve cercare un modo per riavvicinare la gente alla Chiesa, in particolare i giovani, mi sembra che il sentiero imboccato con queste idee sia proprio quello che ha le migliori possibilità di sortire l'effetto contrario” poni una questione di grande rilievo.
Sono convinto del fatto che la Chiesa dovrebbe innanzi tutto mettersi in ascolto, cercando di comprendere quali siano le problematiche, le esigenze, le prerogative della gente ed in modo particolare dei giovani. Purtroppo non sempre accade così. E’ solo partendo dall’ascolto e dalla comprensione che è possibile fornire una valida alternativa ai non valori che la cultura massificante ci propina quotidianamente.
Nel tuo intervento hai tirato in ballo con il riferimento alla vicenda di Piergiorgio Welby lo spinoso problema dell’eutanasia. E’ giusto e sacrosanto che la Chiesa difenda la vita come valore e “come dono” che ci è stato dato da Dio. E’ però vero anche che la Madre Chiesa ha abbandonato Welby nella sua sofferenza lasciandolo da solo. Il rifiuto da parte della Curia romana di un funerale religioso, motivato da una questione di principio, è stato un grave errore perché in svariati casi di suicidio non mi risulta che sia stata proibita la celebrazione del rito funebre. Tenere in debita considerazione i motivi che spingono un individuo a preferire la morte alla vita, soprattutto quando questa scelta è maturata in seguito alla malattia e alla sofferenza, è un atto di umanità. Perché negare quindi un gesto di misericordia quando si è in presenza di un accanimento terapeutico? Condannare la scelta di Welby non è stato forse come un voler sostituire il giudizio umano a quello divino? Cosa ne sappiamo noi se Dio nella sua infinita bontà non si sia commosso per quella sofferenza?
Di una cosa sono fermamente convinto, del fatto che certe battaglie laiche vadano combattute.
La Chiesa fa bene a difendere quei valori che ritiene fondanti e proprio questa difesa è per l credenti una garanzia della loro validità. Se infatti venissero continuamente stravolti non sarebbero valori, ma delle mode. E’ come se ad ogni legislatura si cambiasse la Costituzione della Repubblica Italiana. Verrebbero meno sia il suo significato fondante, che la certezza dello stato. Si sfocerebbe nel relativismo assoluto. 
Però è anche vero che una certa morale e certe credenze sono il frutto di un determinato periodo storico. Alcuni costumi si evolvono e qui mi riferisco  a certe abitudini sessuali. Il richiamo alla verginità, ad esempio, appare alquanto anacronistico al giorno d’oggi.
Passando dal tema della sessualità a quello della famiglia, ho sempre ritenuto ipocrita un certo atteggiamento della Chiesa che, da un lato proclamava e difendeva l’indissolubilità del vincolo matrimoniale dall’altro, e questo soprattutto negli ultimi anni, concedeva sempre più frequentemente l’annullamento da parte della Sacra Rota. E’ pur vero che da un punto di vista giuridico annullamento e divorzio sono due cose completamente diverse. Annullare significa render nullo per cui è come se il matrimonio non fosse mai stato celebrato. Nella sostanza però lo scioglimento è l’escamotage con cui si consente ai fedeli di risposarsi una seconda volta in chiesa. Non è il divorzio perché non è ammesso, però nella sostanza di questo si tratta.
Probabilmente se a livello politico non fosse stata vinta con il referendum la battaglia laica in favore del divorzio, oggi   gli annullamenti dei matrimoni da parte della Sacra Rota non sarebbero così tanti. Con questo voglio semplicemente asserire che la Chiesa per tradizione è molto più lenta a recepire i cambiamenti di costume ed è proprio per questo che noi in quanto credenti abbiamo il dovere di combattere certe battaglie laiche in cui crediamo affinché, anche all’interno della Conferenza episcopale, con il tempo si prenda atto dei mutamenti che sono intervenuti.
Ti lascio un’ultima considerazione perché certamente ti sarai rotta le scatole di leggermi
In merito alla proposta di ripristinare la Messa in latino, e allora perché no anche in greco antico, la CEI dovrebbe seriamente riflettere sulla necessità di fornire i fedeli di appositi traduttori tanto diffusi  tra gli studenti del classico (anch’io ne ho fatto uso), anche perché già per molti è complicato comprendere l’italiano figuriamoci la lingua latina! 
Sul Gregoriano concordo pienamente con il Santo Padre. Meglio i Canti  gregoriani che certe “claudio chieffate pseudo cantautoriali” che tanto piacciono ai ciellini  e che siamo costretti a sorbirci durante la messa domenicale. Stremato…ti saluto. PG

 
 
 
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