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A WAR OF OTHERS

Post n°87 pubblicato il 28 Marzo 2011 da stradeperdute2
 

 

 

N.d.R 

Domando assolutamente scusa per la lunghezza delle 3 cartelle ma l'essere più sintetico di così avrebbe inficiato non poco la descrizione dei fatti quali si sono svolti.

Domando altresì scusa per il linguaggio necessariamente crudo, ma (spero) mai gratuito.

Un caro Saluto alle mie affezionate lettrici e lettori.

Ciao.

 

_________________________________________________________________________

 

Albeggiava di nuovo sulle rovine di quella che doveva essere stata una città ricca e gloriosa.

 

Eravamo acquattati ai piedi d'un enorme palazzo sventrato fra rottami di risulta d'ogni tipo.

Erano segnalati strani movimenti all'interno di quel palazzo e dicevano che lì una giovane donna era stata uccisa per gioco, dopo che i mercenari nostri avversari ci si erano divertiti a lungo.

 

Mercenari: le labbra mi si piegarono in un sorriso senza gioia; noi invece, che cosa eravamo?

 

E chi cazzo ero io, "uno che si credeva Dio" come mi aveva urlato in faccia con disprezzo mio padre, quando gli avevo comunicato la mia intenzione di partire per questo fronte.

Un fronte come tanti. E come molti altri ce ne sarebbero stati in futuro.

 

Faceva freddo per la latitudine alla quale ci trovavamo e distratto guardai le spalle larghe e ornate dei gradi dorati del capitano muoversi rapidamente scosse da un brivido lieve. - Il freddo, o l'attesa? -

 

Sbadigliai a lungo: avevo dormito poco e male ultimamente. I turni e le marce erano tutte forzate, ma non era neanche questo, quanto i fantasmi che avevano cominciato a ballare.

 

I fantasmi delle mie vite passate e anche di questa che stavo facendo, come no.

 

Comunque fosse ci apprestavamo ad entrare seguendo il solito schema di sicurezza di sgombero: in pochi elementi per ciò che avremmo potuto trovare all'interno e buona fortuna e stasera dai che si va a puttane etc.

 

Non molto distante si udivano i colpi secchi dell'artiglieria che si apriva un varco e tutte le altre operazioni della guerra fottuta.

Riflettei solo per un attimo sulla porca vita che mi trascinavo da quando ero venuto al mondo, il passato trascorso nella periferia, la boxe, le risse e adesso quella porca guerra a giusto coronamento.

Un colpetto al gomito d'uno dei miei mi riportò alla realtà: l'operazione cominciava.

Ammiccai alla sagoma d'una bambola rotta che mi fissava con i suoi occhioni azzurri spalancati dalla cima d'un cumulo di macerie e da praticamente sdraiato mi alzai in piedi di colpo, facendo venire un mezzo infarto agli altri.

"Cristo" disse uno di essi "quando la finirai con queste cazzate".

Si chiama il salto del poltrone non cazzata, prova a farlo tu se ti riesce, risposi sottovoce.

Grugnì qualcosa che non capii e ci dividemmo secondo l'ordine prestabilito. Rimanemmo in tre, il capitano un soldato scelto ed io. Inforcai i ray ban per vederci meglio fra le ombre incerte del palazzo. Ed entrammo.

 

Quando fummo all'interno del grosso edificio in brandelli ciò che subito mi colpì fu l'odore persistente di umanità.

Il tipo di umanità indigente e precaria della guerra intendo.

Un tappeto di rifiuti in terra, niente vetri alle finestre e l'odore, quell'odore inconfondibile d'uomo, di caffè e sudore rancidi, di cucina approssimativa e polvere da sparo.

Poi veloce, molto veloce una sagoma e la sua ombra alla mia sinistra si mossero verso noi, o meglio verso l'uscita spalancata alle nostre spalle.

Ebbi il tempo di scorgere nel ghigno dell'uomo che correva nel chiarore incerto, uno degli uomini a noi segnalati. Visto già nelle foto che tenevamo in tasca.

Ebbi solo il tempo di pensare scioccamente alle sue movenze feline, da uomo addestrato alla guerra. Poi piantai bene i piedi in terra e feci scattare entrambe le mani che reggevano il Fal da l'alto verso il basso.

Il calcio del Fal si schiantò con un crac sul mento e la mandibola dell'uomo che cadde di lato come una pera matura cade dall'albero, sputando un paio di denti.

Feci cenno al soldato che lo ammanettò alle tubature del muro di rimanere in custodia e passammo oltre.

Adesso eravamo io e il capitano, soli con noi stessi. Lo sentivo respirare appena accanto a me ogni volta che entravamo in una stanza dell'ala del palazzo, le armi in pugno, schiena contro schiena i nervi tesi e rilassati al contempo, i muscoli pronti allo scatto che significava vita o morte.

La guerra è solo bianca e nera, non concede soste nè indulge a sfumature di sentimenti e colori né spazi oltre al sentire che non sia basico: fame, sete, sforzo, scopare, vita, ferita, morte. Non esiste altro.

L'orrore se ne sta buono buono da qualche parte in fondo alle viscere e viene fuori dopo, solo dopo a torturarti, da vero macellaio coscienzioso.

Salimmo con grande prudenza quelle enormi scale che parevano non voler finire mai.

Non sapevamo certo chi o che cosa avremmo trovato alla loro sommità, ma sapevamo certamente che non ci sarebbe stato il paradiso per noi lassù.

O forse si? L'eventualità che qualcuno mi attendesse, ci attendesse per regalarci la nostra dose di piombo era tutt'altro che remota.

Dentro me conoscevo fin troppo bene ciò che si diceva nell'ambiente di noi (fra noi) che alla guerra non eravamo obbligati. "Vanno lì perchè nel loro destino c'è una pallottola con su scritto il loro nome. Tutto qui, si cercano a vicenda essi e la loro pallottola finchè uno dei due non troverà l'altro e i giochi saranno compiuti."

Ci pensavo sempre a questo detto come ad un eterno refrain, un motivo che non mi abbandonava mai: "anche tu? Anche tu sei in cerca della pallottola con su scritto il tuo nome?" Si il mio è inciso a caratteri d'oro, mi dicevo, e ciascuno di noi lo pensava, senza nessuna allegria.

Poi giungemmo in assoluto silenzio all'ampio locale che dava sulle scale e fu lì che lo vidi: era un uomo robusto ma atletico, stava comodamente seduto sulla sua sedia di formica, il fucile di precisione con il cannocchiale ed il silenziatore montati e prendeva accuratamente la mira. Sparava ai suoi, a quelli della sua stessa razza. Faceva il mestiere della guerra: faceva il cecchino.

 

Gli arrivai alle spalle senza che lui si accorgesse di nulla come l'angelo della morte, della sua morte. Con delicatezza gli appoggiai la canna della Beretta alla nuca e sollevai il cane che fece un dolce "tlic" di ingranaggio ben oliato.

Ricordo che non pensai proprio a nulla, la mia mente era semplicemente vuota, come un panno bianco ero pronto, pronto a sparare, a uccidere. Era la guerra, era solo un lavoro come un altro, io non entravo nelle storie personali e non ci volevo entrare, men che mai in questa.

 

Trasalì appena da animale avvezzo e senza proferir verbo alzò le mani in segno di resa.

Mentre il capitano gli sequestrava il fucile mi chinai su di lui quasi guancia contro guancia e gli soffiai all'orecchio: "dammi solo un motivo per spararti."

Poi lo afferrai brutalmente per la collottola da dietro e lo scagliai a terra insieme alla fottuta sedia. Urlò qualcosa in modo soffocato e accennò bruscamente a rialzarsi ma la suola vibram del mio anfibio gli martoriò il collo, schiacciandolo al suolo.

Lo risollevammo e lo portammo via reggendolo giù per le scale, di corsa, ed io sentivo come un rimbombo nella testa: "uccidi! Uccidi! Uccidi!" come l'imperio d'una urgenza, d'una istanza non più procrastinabile che adesso fosse tornata spietata ad esigere un vecchio debito.

 

In breve lo consegnammo ai soldati di sotto, di ritorno dal sopralluogo del perimetro dell'edificio e andammo nel locale adiacente a rilassarci e a fumare una sigaretta.

 

Fu un attimo, il tempo d'una veloce colluttazione con i soldati lontano dagli occhi miei e del capitano ed il cecchino, il dannato professionista della guerra, riuscì a liberarsi.

 

Lo guardai entrare nella stanza dove noi eravamo, i tratti del volto contratti in una smorfia d'odio puro e di cieco terrore affondare la mano in una delle tasche della giubba color kaki e cavarne una lunga robusta forbice del tipo da uffici. Scagliarsi forbice in pugno, come nella trama d'un film senza lieto fine contro il capitano, più vicino di me a lui.

La mia mente allenata in quell'istante mi comunicò stupidamente solo: "forbici, arma impropria", ma la mia mano no.

La mia mano fece il suo dovere, scese rapida alla fondina ed estrasse la Beretta ancora armata.

Presi la mira con calma relativa, poi il dito andò al grilletto e lo accarezzò piano per non "strappare" il colpo. Fra le mura si udì un rumore assordante come di mille spari che si facessero la eco di morte l'un l'altro.

La rincorsa del cecchino verso il capitano come di incanto cessò a mezz'aria e rivolse a me uno sguardo colmo di risentimento e di sorpresa. Poi cadde, come un'esecuzione al rallentatore, si rannicchiò su se stesso e cadde come schiantato a terra.

Appena sopra il suo ginocchio guardai aprirsi un'enorme chiazza rosso scura colare copiosa e coprire tutto. Il pavimento, gli abiti, tutto.

Avevo mirato giusto: avevo salvato la vita del capitano e anche la mia e non avevo ucciso. Non ero Dio, in fondo, non avevo diritto di prendermi la vita d'un uomo, nemmeno quella d'un cecchino. Nemmeno quella d'un professionista della guerra e della morte che sanguinava come un maiale qualsiasi, nulla più nulla meno.

 

Epilogo:

 

Nel corso d'un successivo sopralluogo in un grande edificio abbandonato adibito prima dello scoppio della guerra ad officina adiacente a quello da noi perlustrato trovammo il cadavere d'una donna orribilmente mutilato e lavorato di coltello che i due da noi catturati, messi sotto pressione confessarono di aver ucciso.

 

Io qualche tempo dopo detti segno di quello che in gergo si chiama "stress da guerra" o "nevrosi da combattimento" e durante una normale operazione logistica senza importanza misi le mani addosso ad un commilitone pivello, reo di aver fatto pesanti battute sul piacere che si prova a fare anche solo 10 minuti di guerra, scaraventandolo giù da una autoblindo in corsa.

 

Fui promosso per la brillante azione precedentemente condotta e per altre operazioni ebbi encomi e riconoscimenti vari, ma di fatto la mia carriera "operativa" volgeva al termine ed io e tutti gli altri lo sapevamo.

 

Non ci fu bisogno di dare spiegazioni ulteriori quando mi presentai negli Uffici del Comando Generale e firmai le mie dimissioni. Nessuno fiatò.

 

Passai velocemente in rassegna le camerate dell'Unità di crisi e salutai frettolosamente il capitano e gli altri.

Poi fui rimpatriato.

Tornai "allamiaperiferiamicatantotranquillapureintempodipace" italiana, da dove sarei ancora fuggito, questa volta per sempre.

 

Ma questa è un'altra storia.

 

La mia pallottola non la trovai (o lei non trovò me) e la mia guerra degli altri cessò.

Ma vi posso assicurare che la mia guerra con la vita quotidiana è appena agli inizi...

 

Sentitamente Vostro

                                                                               stradeperdute2

 

 

 

 

 

 

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Commenti al Post:
assia.k
assia.k il 29/03/11 alle 19:09 via WEB
L'amicizia è anche amore che ti prende la mente e ti rapisce il cuore perché ne senti la felicita'e il dolore, ma basta una sua parola che si trasforma in carezza e ti ridona la certezza per affrontar le ore con la serenità nel cuore. clicca e buona serata. Kathia
 
 
stradeperdute2
stradeperdute2 il 29/03/11 alle 21:44 via WEB
puoi ben dirlo ;-)) ciao buona serata a te carissima.
 
   
paolacravero1963
paolacravero1963 il 31/03/11 alle 09:53 via WEB
Che è ... ti stai dilettando con la narrativa?
 
     
stradeperdute2
stradeperdute2 il 31/03/11 alle 11:28 via WEB
:) come lo trovi, gradevole?
 
     
paolacravero1963
paolacravero1963 il 31/03/11 alle 11:42 via WEB
Gradevolissimo
 
     
stradeperdute2
stradeperdute2 il 31/03/11 alle 11:58 via WEB
ah, son soddisfazioni ;-)
 
     
paolacravero1963
paolacravero1963 il 31/03/11 alle 21:15 via WEB
Ciao bau
 
     
stradeperdute2
stradeperdute2 il 01/04/11 alle 01:09 via WEB
Ciao bellissima, ti dò un megabacione. smackkkkkkkkkkkkk, anzi due...
 
     
paolacravero1963
paolacravero1963 il 01/04/11 alle 19:48 via WEB
grazie, grazie ma quanto affetto ... anche a te un megabacione!.Curioso di conoscere la mia nuova amicizia eh? Bè intanto che ci sei dimmi almeno che te ne pare, hai visto i suoi quadri?
 
     
stradeperdute2
stradeperdute2 il 01/04/11 alle 21:16 via WEB
sono andato ora a guardarli. Si, sono molto belli :-) ciao!
 
TheBlueOyster
TheBlueOyster il 31/03/11 alle 16:08 via WEB
Testo sicuramente interessante. Molto d'impatto sia per il tema che per la scrittura, profonda e nervosa. Mi ha ricordato il film della Bigelow, The Hurt Looker. Il tema della guerra, affrontato dal punto di vista dei soldati, il più vero, quello in cui la guerra non è retorica e vagha intenzione, ma la morte. L'unica vera protagonista di un atroce scelta.
 
 
stradeperdute2
stradeperdute2 il 01/04/11 alle 01:05 via WEB
Il piacere della scrittura sta anche qui. Nel ricevere commenti (positivi) ma soprattutto attenti e profondamente circostanziati. Un sorriso.
 
 
stradeperdute2
stradeperdute2 il 01/04/11 alle 01:00 via WEB
:-))
 
satanona
satanona il 31/03/11 alle 21:50 via WEB
Buona serata a presto..Asia
 
 
stradeperdute2
stradeperdute2 il 01/04/11 alle 01:01 via WEB
Buona notte Asia, un bacione.
 
satanona
satanona il 01/04/11 alle 23:47 via WEB
Dolcissimo sia il tuo week end baci baci Asia
 
 
stradeperdute2
stradeperdute2 il 02/04/11 alle 00:21 via WEB
:-) molto carina, grazie altrettanto.
 
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