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Filppetta Mariano3

CAVALIERE DI SUTRI esistono ancora i cavalieri blu?

Cavaliere disposto ad impugnare la sua spada al servizio dell’Arte – e rudi prove di forza e sopportazione, ferite rituali e prove di destrezza; sublime: c’è del divino nel doppio inscritto nel mondo visibile, nel momento in cui si mostra presente, si rivela come se non fosse di qui, come se appartenesse a un altrove. Ecco Mariano Filippetta mi ha sempre impressionato per le evocazioni del suo doppio. La forza di un corpo astrale,  il corpo nascosto, il suo gemello invisibile  in stretta connessione con i contatti sensoriali fisici e la coscienza di altri piani superiori. Si libera e libera da vincoli oppressivi. Parte della sua azione ci appare sonnambula,  è lo stesso artista ad emergere dal fondo di un eco onirico col suo alter-ego, integrato ai simboli rischiarati, ai vortici degli elementi naturali, le forze  animali, mostrando il vigore dell’intuizione che lo attraversa. E ci accompagna nel sommosso. Nella sua appercezione.

La mostra personale di Mariano Filippetta alla Galleria Alice Schanzer di Sutri  curata da Annarita Rossi, è introdotta dai testi critici di Marcello Chinca Hosch e Bruno Ceccobelli. Il titolo della raccolta nasce da un momento conviviale, homo ludens, di tre artisti calatesi nella scena dell’arco etrusco sutrino che la curatrice riprende, e sviluppa nel progetto: “Non siamo mai così lontani dalle immagini dell’infanzia e in certo modo è lì che ancora vive il sublime”  – scrive.

E ben altra conquista, nel reverse della donazione di memoria longobarda, s’incarna in Filippetta il gesto di grande significato simbolico, la donazione di un’Arte Regale. “Lui è il Sublime” – scrive Ceccobelli. “ll sublime è parte dell’umano ed è la nostra parte più sacra, originaria, intangibile a che, da molti secoli è diventata per via razionale e cattolica una merce… l’arte regale è presente in ogni opera artistica che vibri e ci trasformi, che viva e lavori per noi.” Dunque esistono ancora i cavalieri, blu? Lo scopriremo in quelle sagome “di sensualità e sinuosa dinamicità del corpo in azione e proteso verso uno scopo” – scrive  Hosch. “Di un artista che predilige l’acrilico, a volte miscelato con colori ad olio,  blu di Persia, indaco e cobalto o nero petrolio su fondo bianco gesso.”

E ancora, nel bel passo: “questo lasciarsi alle spalle ogni indugio e afferrare l’ontologia del bisogno della propria dislocazione esistenzianziale e produttiva.”

Il corpo nascosto è la sagoma dell’uomo centauro, Mariano cavaliere, un Chirone perfetto la cui astuzia è il tiro d’arco e in questo modello il suo affrancarsi indomito dal tragico della storia. “Ed essere di nutrimento per il bene dell’universo”  – chiosa nelle sue riflessioni Valentina Iacovissi. “Tutto esiste già. Tutto è nella Legge si deve solo riconoscere con il pensiero e portare sul piano reale in pieno accordo con la vita, che a quel punto diventerà per colori assolutamente e incredibilmente meravigliosa.”

 

Galleria Alice Schanzer Piazza del Comune n. 53 Sutri ( VT)

Vernissage: 11 novembre alle ore 18.00

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Mariano FIlippetta

Marcello Chinca Hosch

Mariano Filippetta, classe 1964, scoperto nel 1993 da Achille Bonito Oliva, rilanciato da Vittorio Sgarbi venti anni dopo, ha collaborato ed esposto con la galleria l’Attico di Sargentini a Roma, partecipato a collettive di rilievo allo Stadtmuseum di Berlino, alla Biblioteca di Pleguien in Francia, presso il Van Abbemuseum di Eindhoven e The Museum of Istant Images di Beckershagen, quindi al Centro di Arte Contemporanea di Maastricht, a seguire esposizioni presso il Centro Calego di Arte Contemporanea in Spagna, lo Zentrum Art Center di Wraclov, l’ Arsenale di Bertonico, la Fondazione delle Arti di Omegna, in ultimo presso il Museo Macro e il Museo Maam di Roma. Fa parte degli artisti che espongono alla 54 edizione della Biennale di Venezia.

Artista che predilige l’acrilico, a volte miscelato coi colori ad olio, blu di Persia, indaco e cobalto, verde di Schweinfurth, rosso carminio, oppure nero petrolio su fondo bianco gesso. La figurazione è sempre una sagoma (uomo, cane, toro) posto in controluce o in penombra, il volto non è mai visibile ed il movimento viene come fissato in un’articolazione corporea disagiata la cui resa rilascia come in Matisse tutta la sensualità e sinuosa dinamicità del corpo in azione, proteso verso uno scopo.

La gravità ne plasma il moto in un fotogramma che è l’istantanea di uno squilibrio, il quale ingenera un nuovo equilibrio in embrione, in cui l’azione deve ancora superare le proprie barriere. Il moto qui costituisce l’essenza dell’Essere e la sua estensibilità ricalca lo spazio come farebbe la massa in orbita sulle dimensioni spazio-temporali. Un’ emancipazione per noi che è anche patema come si fosse impreparati alla rilevazione.

Il tutto rende l’emergere irrevocabile e perentorio della Volontà sopra la materia, che è perseveranza nel vivere, nel mantenere questo anelito, questa rincorsa verso la Vita, questa ibris, questo lasciarsi alle spalle ogni indugio, afferrare l’ontologia del bisogno della propria dislocazione esistenziale e produttiva, se dietro, attorno o remoti grondano interi universi che non ci chiedono spiegazioni.

La folgorazione simbolica di questa tensione tutta umana (ma anche animale) che Mariano rileva sulla tela deve molto alla riproposizione della figurazione nel senso espresso da Sandro Chia, Enzo Cucchi e dell’intera Transavanguardia, solo qui la figurazione si propone dentro il contesto cromatico complessivo, la figura non spicca fuori dal suo dispositivo, al contrario ne è parte integrante, perciò il lavoro di Mariano deve molto ad un certo Espressionismo che va da Edvard Munch sino alle Die Neuen Wilden.

Ciò non solo per il cromatismo violento e la figurazione elementare che li accomuna ma per lo stesso spettro visore con cui il tragico della Storia, dopo l’implosione sovietica nel 1991, viene assimilato dentro una visione onirica ed al contempo ontologica dell’essenza umana, in cui funzione dell’arte nella Polis è sempre centrata nei termini sociali della sua istanza primaria di pace tra i popoli ed uguaglianza tra tutti i cittadini. Istanza che avrebbe rivendicato agli inizi del ‘900 l’intero movimento della Der blue Reiter e del Bahaus. In Mariano questa suggestione della resa cromatica, questa stessa centralità politica del corpo, riescono ad emergere dalla tela anche con un uso di due tre cromie. È il suo stile, la sagoma è come compressa tra la sua evanescenza nello spazio storico in piena crisi capitalista la degenerazione climatica e il suo affrancarsi indomito fuori dal tumulo di questo disastro eco-sociale.

Alcune opere ricordano Fautrier in cui la figura disciolta quasi si mescola nella ragnatela della campitura. Essenziale allora diventa per chi guarda ricomporre la figura nella sua refutazione in controluce, distinguerla nel suo contorno effimero, carpirne l’intenzionalità comunque espressa, il suo segnale di allarme o la sua rassegnata resilienza allo stato delle cose.

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MARIANO FILIPPETTA CAVALIERE DI SUTRIultima modifica: 2023-11-11T09:52:28+01:00da Dizzly