RIASCOLTATI PER VOI – FABRIZIO DE ANDRE’ – STORIA DI UN IMPIEGATO ( 1973 ) di Jankadjstrummer

de andrè
RIASCOLTATI PER VOI – FABRIZIO DE ANDRE’ – STORIA DI UN IMPIEGATO ( 1973 )
“ora sappiamo che è un delitto / il non rubare quando si ha fame”
INTRODUZIONE
2.
CANZONE DEL MAGGIO
3.
LA BOMBA IN TESTA
4.
AL BALLO MASCHERATO
5.
SOGNO NUMERO DUE
6.
CANZONE DEL PADRE
7.
IL BOMBAROLO
8.
VERRANNO A CHIEDERTI DEL NOSTRO AMORE
9.
NELLA MIA ORA DI LIBERTA’
https://youtu.be/w75KaCK9MQo
Della produzione di De Andrè niente risulta poco poetico ed ispirato ed è difficile per me indicare il disco migliore, posso solo esprimere la mia preferenza in questo momento che scrivo, perché nel tempo mi sono
legato a tutti i lavori del Faber. In questa fase della mia vita e della situazione politica che sta attraversando l’Italia, l’album che più calza questi sentimenti è senz’altro “Storia di un impiegato” perché è entrato, nel bene e nel male e con prepotenza nelle nostre storie personali e ci ha consegnato spunti di riflessione sutante problematiche ancora molto attuali, la lotta, i rapporti tra le generazioni, la violenza, il carcere. Un
disco, scritto nel 1973 con Nicola Piovani ( musica ) e Fabrizio Bentivoglio (liriche), un concept-album che insieme a “La buona Novella” (1970)
e “Non al denaro non all’amore nè al cielo” (1971) fa parte di una
trilogia in cui si riflette su grandi tempi. Un album particolare, di cui si è molto parlato e da taluni addirittura contestato perché sembrava quasi un incitamento alla ribellione mentre secondo me rappresenta un
quadro, sotto forma di poesia, in cui viene descritto un importante periodo storico. Un ritratto molto marcato ma assolutamente privo di qualsiasi pretesa di insegnare o ispirare azioni violente, anche se è innegabile la sua forza fatta di melodie e nuove sonorità che unite ai tanti temi caldi e sentiti si fondono in una miscela esplosiva. “Storia di un impiegato” è un disco sull’illusione che nasce da quel grande movimento di massa che fu il 1968. E’ un romanzo in musica in cui si traccia il percorso di un giovane che
partendo dall’ascolto di una canzone di lotta del ’68 (La canzone del Maggio) riflette sulla sua incapacità di prendere parte alla lotta, perchè ormai troppo integrato nella società borghese, ma è una canzone in cui c’è
una presa di coscienza dei problemi sociali e della necessità di lottare per cambiare la situazione; si parla di lotta: ricorda gli avvenimenti accaduti durante la rivolta nata dagli studenti e, rivolgendosi a quelli che alla
lotta non hanno partecipato, li accusa e ricorda loro che chiunque, anche chi, in quelle giornate, si è chiuso in casa per paura, è ugualmente coinvolto negli avvenimenti. La canzone contiene l’affermazione che la
rivolta non è finita ma ci sarà nuovamente, in futuro, più forte. L’impiegato riflette sulla sua vita fatta di mediocrità, paura e tanto individualismo e si paragona a quei ragazzi che hanno voluto, invece, ribellarsi al
sistema che li opprimeva, questa riflessione risveglia in lui sopiti ideali di protesta, che lentamente si fanno strada nella sua mente e nei suoi sogni (Al ballo mascherato e Sogno numero due), in cui pensa di risolvere
individualmente tutti i problemi. Decide così di gettare una bomba ad un ballo mascherato al quale partecipano tutti i miti, i valori della cultura e del potere borghese. E comincia a sognare di assistere agli effetti della deflagrazione su coloro che per anni ha rispettato, assiste all’agonia di tutti, del padre e della madre e dell’amico che gli ha insegnato a ribellarsi. Il sogno prosegue: la voce di un giudice lo informa che il potere borghese era al corrente dei suoi atti, addirittura lo stava seguendo dalla nascita così come segue tutti i suoi sudditi. L’accusa di omicidio, di strage, si trasforma in ringraziamento per aver eliminato vecchi residui che davano fastidio al potere stesso, che ormai ha trovato altri modi per governare. Il giudice lo
informa che ha usato correttamente gli strumenti della legge e che il suo gesto non è altro che la ricerca del potere personale. Così lo accolgono tra coloro che contano, tra coloro che decidono, tra coloro che governano e dispongono della altrui e della propria libertà. Un nuovo sogno, o una nuova puntata dei sogni precedenti, e l’impiegato prende il posto del padre da lui stesso sacrificato alla ricerca di uno spazio personale. Rivive una vita lancinante, fatta di illusioni e di relative delusioni, di difese disperate della propria integrità, del proprio denaro, delle proprietà, non è più un sogno, ma un incubo e l’impiegato si sveglia. Ha capito che in qualunque modo è un uomo finito, senza nessuna possibilità di recupero, che i suoi gesti
saranno sempre individualisti, tesi al proprio bisogno personale e che salendo la scala del potere non si sfugge comunque alla propria condizione di isolamento, d’angoscia. La bomba che nel sogno era stata
gettata con forza, con rabbia, per vendetta, ora, nella realtà, diventa un momento di ebbrezza e, ovviamente, di lucidità. Il sogno si trasforma in incubo quando l’uomo sogna suo padre, che lui stesso ha
ucciso “in un sogno precedente ”, e capisce di essere uguale a lui ( Canzone del padre). L’impiegato si sveglia consapevole di essere in tutto e per tutto funzionale a quella società che odia. L’impiegato sa cosa fare, sa dove andare, sa chi deve colpire e perché. Va dritto al parlamento a gettare una bomba vera per ammazzare gente vera, ma la sua abilità era soltanto un sogno: la bomba rotola giù verso un’edicola di giornali e l’unica
cosa che colpisce è, come una previsione, la faccia della sua fidanzata che sta su tutte le pagine dei giornali.
E alla fidanzata del mostro, l’impiegato scrive una lettera dal carcere nel quale è rinchiuso (Verranno a chiederti del nostro amore), e poi, nell’ultima traccia del disco, assume finalmente una nuova consapevolezza del suo ruolo all’interno di una collettività, in questo caso il carcere, e della lotta (Nella mia ora di libertà ). Nel carcere, in una realtà non più individualista, ma forse il massimo dell’essere uguali, l’impiegato non più impiegato scopre un nuovo modo di capire la vita e le cose che lo circondano. Scopre la
realtà della parola “collettivo” e della parola “potere”. Quand’ecco, proprio l’incarcerazione fa compiere al ragazzo l’ultimo passo per raggiungere la piena consapevolezza di ciò che è giusto fare: la lotta in carcere da
individuale si rifà collettiva e la rinuncia all’ora d’aria, come rinuncia all’individualismo prepara il terreno al sequestro dei secondini con l’ausilio di tutti i prigionieri, uniti, per riconquistare la vera aria, la vera libertà
che gli era stata, ingiustamente, sottratta.* Una grande novità stilistica del disco sta nel linguaggio, un linguaggio moderno che anziché racconto diventa immagini a volte psicologiche a volte oniriche in un pout-
pourri di elementi reali e non. Nove tracce che delineano un percorso in cui si rincorrono le diverse fasi della sua coscienza, sogni a volte carichi di lirismo ( Lottavano così come si gioca/i cuccioli del maggio era
normale/loro avevano il tempo anche per la galera/ad aspettarli fuori rimaneva/la stessa rabbia la stessa primavera), e di ironia (c’è chi lo vide piangere/un torrente di vocali/vedendo esplodere/un chiosco di
giornali). Una menzione speciale spetta ad un capolavoro “Verranno a chiederti del nostro amore” , una delle più intense canzoni d’amore se sia stata mai scritta, la lettera dal carcere del bombarolo alla sua donna
: partendo dal loro rapporto De Andrè si spinge ad una riflessione più ampia sui compromessi della coppia borghese…. “non sei riuscita a cambiarmi / non ti ho cambiata lo sai.”
*Molte informazioni sono riprese dalle note di copertina del disco a cura di Roberto Danè e dal libro di Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, pp. 175-176
BUON ASCOLTO O RIASCOLTO DA JANKADJSTRUMMER
RIASCOLTATI PER VOI – FABRIZIO DE ANDRE’ – STORIA DI UN IMPIEGATO ( 1973 ) di Jankadjstrummerultima modifica: 2020-04-01T12:53:16+02:00da giancarlopellegrino