ALESSANDRO MANNARINO IL CIRCO DELLA VITA di jankadjstrummer

IL CIRCO DELLA VITA di ALESSANDRO MANNARINO

(“arzà un dito pe’ esse diverso fa più fatica che
spostà tutto l’Universo”.)

ALESSANDRO MANNARINO, romano, stornellatore e moderno cantastorie compone musiche senza tempo e senza terra, ispirate ai personaggi, ai luoghi e ai suoni popolari di quella Roma ormai diventata luogo contaminato, multietnico in cui la tradizione popolare italiana è fusa e trae linfa vitale dalla cultura gitana e balcanica.

Le storie raccontate da Mannarino sono intrise di folklore e scavano nei sentimenti di personaggi molto spesso dimenticati perché la nostra società li ritiene reietti, emarginati, storie di zingari innamorati, ubriachi avventori di osterie, pagliacci che vagano in un Roma fiabesca e surreale, lui, con leggerezza, riescea renderli vivi e carichi di umanità. Nonostante la sua giovane età, Mannarinoha maturato molta esperienza da musicista e da cantautore, ha iniziato come ama definirsi come ” dj con la chitarra” esibendosi nelle periferie della capitale, presto matura la decisione di formare una band i ” Kampina “, con questa formazione inizia il periodo roseo, ha la possibilità di esibirsi e far valerele sue doti in tutti i clubs della capitale e come ospite fisso nel programmaRai della Dandini, su RADIO 2 con Fiorello. L’esordio discografico lo consacra come astro nascente tra gli artisti emergenti perché la sua musica è viscerale, condita da tante influenze, una sorta di patchanka mediterranea che fa da base musicale e ritmica ad un mondo immaginato carico di malessere, prevaricazione e razzismo strisciante. Il “Bar della rabbia” ( titolo del suo primo album)immagino sia il suo mondo dove i vari personaggi riescono ad avere dignità, possono riscattarsi delle loro pene ed avere un loro momento. AlessandroMannarino, con la sua chitarra, l’eterno cappello ed i baffi da gitano, fa rivivere queste strampalate storie raccontate dagli avventori mentre sorseggiano un liquore o un vino scadente in questo bar d’estrema periferia. Lui con la musica ci sa fare, riesce a creare l’ambiente soffuso, denso di fumo e dialcool imbracciando la sua chitarra acustica, facendosi accompagnare da musicisti che conoscono bene la “partitura”. E’ facile per l’ascoltatore farsi guidare in questo viaggio tra i ricordi di gente rassegnata, disillusa che è convinta della vacuità della propria vita, ascoltare grandi uomini convinti di avere il sapere nel proprio cervello, personaggi che non si sono mai spostati da li ma che raccontano viaggi straordinari ed immaginari che ti insegnano come va il mondo, mentre la musica va, con ritmo lieve e con una chitarra sfiorata da
dita sapienti che scivolano sulle corde. E’ facile quindi farsi rapire da un racconto d’amore impossibile fra una ragazza e un vecchio ubriacone in La strega e il diamante, dagli strani effetti che produce annusare uno sconosciuto fiore tropicale in Elisir d’amor oppure dalla malinconia di un pagliaccio a cui non è consentito piangere per non turbare il pubblico né  Il
pagliaccio
. Storie romanzate probabilmente inventate per far intenerire ma
scritte con sincero trasporto che fanno emergere una autentica poesia. Nel suo secondo disco uscito a fine marzo 2011 dal titolo ” supersantos” (come il pallone di gomma arancione compagno di tante partitelle di calcio nei campetti delle borgate della capitale ) c’è la conferma
del valore del personaggio, anche qui una carrellata di personaggi che
raccontano il loro viaggio , dal tramonto all’alba, in attesa che arrivi la
fine del mondo, storie che si intrecciano tra loro, come lui stesso dichiara,
tra “ritmi forsennati, gonne al vento, vino e lanterne, feste a crepacuore,
ballate struggenti, lamentazioni funebri e sciarade” raccontate in undici braniben costruiti. Un personaggio da tenere d’occhio non fosse altro che perl’originalità dei suoi lavori e per capacità di insinuare un tarlo nella nostratesta che ci induce a pensare e a riflettere sul senso della vita.

(“la cosa più sfortunata e pericolosa che m’è
capitata nella vita è la vita…
” da il Bar della Rabbia )

Jankadjstrummer

 

 

LA MIA INTERVISTA A FABI IL ZALLES DEL GRUPPO RAGGAE ” SPASULATI BAND” di Jankadjstrummer

zalles

LA MIA INTERVISTA A FABI IL ZALLES DEL GRUPPO RAGGAE ” SPASULATI BAND” di jankadjstrummer.

La Spasulati Band nasce nel ‘96 a Santa Sofia d’Epiro (CS), enclave albanese di 3000 anime, che a dispetto delle condizioni ambientali non proprio stimolanti, negli anni ’80 è stata culla di ben quattro radio pirata. L’eredità è stata raccolta da Radio Epiro che, grazie al festival annuale “Emigration Song” ha tenuto a battesimo la Spasulati Band.
Il gruppo presenta un reggae, influenzato dalle atmosfere dub e del rai e dall’energia dello ska contaminato con la lingua e la cultura arbereshe: una interpretazione della patchanka! Dopo i faticosi inizi e le prime partecipazioni ad alcuni festival, la Spasulati Band ha gettato un ponte tra Radio Bemba e Radio Epiro e ha aperto il concerto milanese di Manu Chao dello scorso giugno.

Ecco la mia intervista esclusiva a Fabio:

Jankadjstrummer: un’ intervista inizia sempre ripercorrendo le tappe del percorso musicale di una band, nel caso degli Spasulati non può che iniziare da Santa Sofia d’Epiro, in quell’ angolo di mondo in cui è ben radicata la tradizione
e la cultura arbereshe, mi chiedo cosa spinge un gruppo di ragazzi a suonare
il reggae?

FABI IL ZALLES : In Realtà la nostra partenza non è avvenuta con il Reggae ma ti confesso che da ragazzini suonavamo il rock degli anni’80 : U2, Bruce “the boss”. Ricevevamo questo tipo di musica in eredità dalla prima generazione dei
fondatori di Radio Epiro nei primi anni 90. Nel ’96 poi ci fu un cambio di
guardia Radio Epiro e ci furono nuovi speaker e Dj. Avevo visto da pochissimo il concerto di “The Wailers” a Crotone, e quel tipo di suono e di mood mi lasciò davvero senza fiato. La seconda generazione dei gestori di Radio Epiro
( noi facevamo parte della terza), trasmetteva quotidianamente musica reggae
proveniente sia dalla Jamaica che dall’Inghilterra insieme a musica
indipendente italiana. Da questo momento in poi ci venne naturale iniziare a
strimpellare il reggae…l’influenza degli ascolti aveva contaminato pienamente il nostro sound.

Jankadjstrummer: Siete legati a filo doppio con Radio Epiro quella che voi chiamate la radio pirata, è importante in una piccola città avere un punto di aggregazione, una emittente aperta che rimane un po’ fuori dal coro?
FABI IL ZALLES : Leggere di Santa Sofia come “una piccola città” mi fa piacevolmente sorridere perchè è un piccolo paese di meno di 3000 anime. Avere Radio Epiro come punto di aggregazione era per noi importantissimo, anzi, probabilmente fondamentale. Puoi immaginare in un contesto sociale come questo un posto frequentato da giovani “rasta” è indubbiamente “un po’ fuori dal coro”. Epiro in alcuni momenti è stata contemporaneamente per noi ancora di salvezza e allo stesso tempo “ghetto” per gli altri. Un vero e proprio circolo di Musica e Cultura che ci faceva viaggiare lontani dalle dinamiche che a dei ragazzi come noi in quel momento potevano calzare anche un po strette.

Jankadjstrummer : il raggae non rappresenta uno stile musicale di massa anzi direi che forse in questi ultimi anni, in Italia, stà un po’ annaspando: pochi spazi in cui è possibile suonare, i grandi festival come il Rototom Raggae Sunsplash
di Osoppo hanno lasciato definitivamente l’Italia, Arezzo Wave è ormai
ridimensionato e poco incline ad inserire nel cartellone il reggae, ritenete che siano dei segnali preoccupanti ?

FABI IL ZALLES : I segnali preoccupanti arrivavano già da allora per noi. Quando abbiamo iniziato a suonare, vivevamo in una regione dove era difficilissimo anche registrare un tuo brano e dove diventava complicatissimo spostarsi per andare in giro a suonare. Ogni viaggio era davvero un avventura per noi, giravamo l’Italia e non solo con un furgone che ci abbandonava spessissimo per strada…ma ci divertiva anche quello.Oggi il Reggae ha molti meno spazi ancora rispetto a qualche anno fa, ma se mi guardo intorno mi rendo conto che gli spazi sono meno anche per tutto il resto. Ho come l’impressione che tutto sia diminuito in proporzione. Ora gli
spazi dobbiamo cercarli e inventarceli di volta in volta; i fondi pubblici perla cultura stanno via via sparendo completamente…con uno spirito molto “rasta” mi approccio al futuro e anche al presente. (Ride)

Jankadjstrummer: Per i 15 anni di attività della band, avete regalato ai fans una bella selezione della vostra produzione musicale e ve ne siamo grati, mi chiedo se questa operazione rispecchia una vostra idea della musica o è un caso isolato? Per capirci, pensate che la musica possa e debba essere usufruita gratuitamente o che sia giusto, come del resto avviene per tutte le espressioni artistiche, che il disco debba essere commercializzato?
FABI IL ZALLES : Questo disco e questo tour sono un idea nata insieme alla nostra etichetta MKRecords, un etichetta che investe tanto in progetti che partono dal Sud Italia e in cose Speciali come “Musica contro le mafie”; una squadra di persone illuminate che ancora oggi investono nella musica suonata e sudata. Ci faceva piacere condividere la gioia di questo traguardo dei 15 anni con i nostri sostenitori regalando loro un pezzo del nostro percorso…da rivivere insieme ascoltando questo Cd Speciale che è e reta un progetto spaciale. Riguardo alla musica, penso che sia giusto commercializzare il proprio lavoro, è come il panettiere che fa il pane e lo vende per mangiare, noi creiamo musica per  nutrire orecchie e cuori ed è il nostro pane! Poi credo che siano delle cose da rivedere e un bel pò di problemi nella filiera del commercio della musica, ma non credo che regalare le proprie opere sia la strada per risolverli. “Da Radio Epiro a Papachango” è una raccolta di brani già commercializzati e un brano inedito in regalo : Motra Jone (trad: nostra sorella)

Jankadjstrummer: In un certo senso siete un gruppo “fortunato” perché in poco tempo avete avuto l’opportunità di raggiungere il grande pubblico con l’apertura del Concerto di Manu Chao di Milano, passaggi televisivi, e poi con la
partecipazione ai vari raduni reggae, cosa vi è rimasto di questa esperienza?

FABI IL ZALLES: Quelle che hai elencato e tantissime altre che abbiamo vissuto sono esperienze che ogni volta ti riempiono quella valigia che trasporti, il famoso bagaglio di esperienze.  Ogni esperienza ti lascia dentro qualcosa di importante per il prosieguo del cammino. Il nostro percorso prosegue ancora e forse non si è mai arrestato, non siamo mai stati molto attenti alle metodologie della promozione proprio per la nostra natura “Roots” e popolare nel senso più vero di questa parola. Le  esperienza che vivi ti fanno crescere professionalmente e come uomo; ti fa
crescere il concerto di piazza Duomo a Milano e paradossalmente ti fa crescere ancora di più quello nel club con 15 persone. Una dimensione che stiamo
fortemente cercando in questo nuovo Tour in trio.La valigia di cui ti parlo è molto capiente e intendo riempirla ancora per  molto tempi

Jankadjstrummer: La dimensione live è un vostro punto di forza, i vostri concerti sono molto colorati, allegri, cercate sempre il coinvolgimento e il divertimento ancora di più quello nel club con 15 persone.

Fabi il Zalles: Una dimensione che stiamo fortemente cercando in questo nuovo Tour in trio. La valigia di cui ti parlo è molto capiente e intendo riempirla ancora per molto tempo

Jankadjstrummer: La dimensione live è un vostro punto di forza, i vostri concerti sono molto colorati…dal pubblico ma senza banalizzare il messaggio, mi chiedo cosa donate e cosa ricevete dai vostri fans?

FABI IL ZALLES : Quando si è in scena, sul palco, è un momento magico, e sai benissimo che in quel momento ogni persona che ti ascolta e ti vede è li per ricevere qualche cosa: una sensazione, un emozione, una risposta o semplicemente essere li pubblico ma senza banalizzare il messaggio, Noi abbiamo il dovere di dire qualcosa con la nostra musica, di trasmettere, mandare un messaggio. Si ha l’opportunità di dire qualcosa a qualcuno in maniera diversa con un mezzo dirompente come quello della musica e a noi piace dare messaggi e vibrazioni positive. Un concerto é uno scambio biunivoco, è una sinergia tra il dare e il ricevere…il pubblico ti rimanda quello che gli dai. Alla fine dei concerti qualcuno viene a stringerti la mano, ad abbracciarti, con la nostra musica, di trasmettere, mandare un messaggio. Si ha l ’ opportunità di dire qualcosa a qualcuno in maniera diversa con un mezzo dirompente come quello della musica e a noi piace dare messaggi e vibrazioni positive. Un concerto é uno scambio biunivoco, è una sinergia tra il dare e il r…7) Veniamo alla vostra musica definita “reggarbareche” perchè fonde il raggae, il dub, lo ska con qualche influenza di ritmi balcanici e privilegiando nei testi la lingua albanese arcaica parlata dai vostri nonni stabilitisi in Italia meridionale, cosa rappresenta per voi il senso di appartenenza ad una comunità, ad una minoranza linguistica, è forse una ricerca delle proprie radici (roots) culturali? O cosa?

FABI IL ZALLES : Appartengo ad una comunità a cui mi sono sentito molto legato al folklore, o ad una ricerca delle radici della mia cultura, perché le mie radici le conosco e le ho assodate; ho la consapevolezza di essere portatore della mia radice …e mi piace filtrarla a mio modo: sono arbëreshë anche se non canto le melodie tradizionali. La nostra non è stata una vera e propria ricerca in senso stretto…è stata molto più un naturale sviluppo delle nostre sonorità. Canto in arbëreshë perché è la mia lingua madre e perché ho sempre voluto trasmettere e fare conoscere questa lingua che rimane per tanti ignota. Non mi faccio tante pippe pseudo-intellettuali…chi mi conosce lo sa; mi piace esser vero e dire la verità…sempre !

Jnkadjstrummer: A proposito di roots reggae mentre è molto chiaro il vostro messaggio di libertà, di fratellanza, di pace, solo raramente avete sviluppato temi
relativi alla religione rastafari. Cosa rappresenta per voi Jah, il misticismo e in generale la cultura giamaicana?

FABI IL ZALLES : Sono sempre stato rispettoso e attratto dai messaggi che sono cardine della religione rastafari: Libertà, fratellanza, rispetto, pace ecc. Non ho mai trattato questi temi nelle mie canzoni perchè che mi sento in opposizione a qualsiasi forma di credo religioso soprattutto quando diventa, e spesso accade, fanatismo. Come ti dicevo le rispetto e non sono quindi fanatico nemmeno nel
rifiutarle.  Sono aperto a qualsiasi forma di pensiero diverso dal mio perché sono le
differenza e il confronto che ci fanno crescere.

Jankadjstrummer: Lo Spasulato- pensiero può essere racchiuso in questi vostri versi: “Il mio corpo danza su questa musica e il mio cuore urla/ la mente per
comprendere / le mani per lavorare/ i piedi per percorrere il mondo e la fanatismo. Come ti dicevo le rispetto e non sono quindi fanatico nemmeno nel rifiutarle. Sono aperto a qualsiasi forma di pensiero diverso dal mio perché sono le differenza e il confronto che ci fanno crescere. “Tutti pensano a cambiare il mondo ma nessuno pensa a cambiare se stesso“. Questa frase di Tolstoi può rispondere a questa domanda. Dobbiamo provare a cambiare noi stessi, nel nostro piccolo, prima di pretendere di cambiare gli altri o addirittura, il mondo.
Jankadjstrummer: Il meridione forse soffre molto di più rispetto al resto del paese ma dalla nostra abbiamo la caparbietà e tanta intelligenza, siete d’accordo che il vaso è colmo ed è viva sempre di più l’esigenza di unità, di un comune sentire nei giovani, capace di raddrizzare la deriva culturale e politica verso cui
siamo finiti?

FABI IL ZALLES Il meridione soffre, è vero, ma mi piacerebbe risponderti con le stesse parole di prima. Dobbiamo cambiare noi stessi, fare la nostra rivoluzione
interiore, rivoluzionarci dentro per poter anche solo pensare di giovani, capaci di raddrizzare la deriva culturale e politica verso cui siamo finiti.

Jankadjstrummer: L’intervista si conclude quasi sempre con la domanda: Potete darmi una anticipazione dei vostri progetti musicali per il futuro? Io non mi sottraggo a questa richiesta…

FABI IL ZALLES – Intanto proseguire con questo Tour che ci porterà alle porte dell’estate con tantissime date che stanno venendo fuori sempre più…e questa cosa mi rende felice perchè mi fa rendere conto che in questi anni abbiamo seminato bene e c’è gente che vuole sentire i nostri “racconti”… Per il resto sono da sempre e resto un fatalista, una persona che non fa progetti troppo in avanti proiettato nel futuro ma che vive nel presente, attimo per attimo. Poi se non ricordo
male c’era qualcuno che diceva che la vita è quello che ti accade quando stai facendo altri progetti.

Jankadjstrummer Ti ringrazio della disponibilità anche a nome dei lettori di  e
spero di avervi

RIASCOLTATI PER VOI: DAVID BOWIE – The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars – di Jankadjstrummer

RIASCOLTATI PER VOI: DAVID BOWIE
– The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars
1.Five Years 2. Soul Love 3. Moonage Daydream 4.Starman 5. It Ain’t Easy
6.Lady Stardust 7.Star 8.Hang On To Yourself 9.Ziggy Stardust 10.Suffragette City 11.Rock ‘N’ Roll Suicide
ziggy
https://youtu.be/3qrOvBuWJ-c
Nel firmamento celeste brilla una stella da quasi 40 anni, Ziggy Stardust, l’uomo delle stelle di Bowie che giunge sulla terra per diventare un idolo rock, un punto di riferimento per i giovani, pronti a ribellarsi a tutto: alla società, alla scuola, alla famiglia. Ziggy è l’ incarnazione del Bowie eclettico,
sempre pronto al cambiamento in nome dell’arte, il disco, allora, diventa un opera a tutto tondo in cui convive il teatro con la musica fino al cinema. Siamo in perfetto clima post-sessantottino in Inghilterra, il rock diventa una sorta di carnevalata non si assiste più ai grandi raduni pacifisti degli
hippys dai forti connotati ideologici e politici ma a feste freak in cui resta inalterato il sentimento di base del “peace and love”, ma assume colori sgargianti : lustrini, luci al neon, paillettes, travestitismo,ambiguità sessuale, siamo nell’era del Glam-rock o più semplicemente del “Rock’n’roll col rossetto” come lo definì John Lennon. Il disco sprigiona energia e tanta creatività,ogni brano presente nell’album è poi divenuto un classico del rock che insieme diventa un folle viaggio concettuale. Una raccolta di ballate romantiche e di rock’n’roll tiratissimo da suonare a tutto
volume, una sorta proto-punk. Le undici tracce sono un concentrato di chitarre affilate e melodie struggenti, canzoni trasgressive, ironiche che ridicolizzano la morale prevalente. Il disco inizia con “Five Years” un brano che descrive con chiarezza la crisi dell’umanità e il desiderio, l’esigenza di
cercare un nuovo Messia da crocifiggere, lo trova in Ziggy, uno strano personaggio dall’aspetto ambiguo e dai tratti androgini, unica ancora di salvezza della Terra a cui restano 5 anni di vita prima del suo annientamento “We had five years left to cry in”. Musicalmente il brano parte con una batteria che segna il tempo di una ballata che a poco a poco assume forma, cresce fino al grido liberatorio di Bowie, preludio alla temuta apocalisse. Continua e si cade in un sogno ad occhi aperti “Moonage Daydream”,in cui arriva il messia, il redentore che impersona anche la prostituta del rock&roll – come la definisce Bowie – : I’m an alligator, I’m a mama-papa coming for you/ I’m the space invader, I’ll be a rock ‘n’ rolling bitch for you”. Il brano è esaltante, la chitarra elettrica di Ronson disegna suoni distorti che si amalgamano e diventano tutt’uno con la voce effeminata diBowie, mentre un assolo di sax chiude definitivamente il cerchio. Ziggy Stardust/David Bowie diventa così una star del rock, l’uomo delle stelle di cui si parla in “Starman”, un brano azzeccatissimo, con un ritornello strepitoso (“There’s a starman waiting in the sky/ He’d like to
come and meet us/ But he thinks he’d blow our minds”)peraltro ancora attualissimo. Ancora clima etereo, trasognato per “Lady Stardust” un bel brano per piano, chitarre e canto e per “It Ain’t Easy”, un brano leggero che diventa quasi un gospel nel ritornello. Al contrario, Il suono diventa elettrico e sparato a tutta velocità quando gli Spiders From Mars, il gruppo che accompagna Bowie in questa avventura, attaccano con “Hang On To Yourself”, brano che influenzò ed ispirò la celeberrima “God Save The Queen” dei Sex Pistols i e poi in “Suffragette City”, in cui declama le prostitute della città, il brano è colorato da gemiti orgasmici e sarà utilizzato per mimare l’atto sessuale sul palco durante i concerti/ performance riuscendo a portare in scena perfettamente l’ambiguità del personaggio. Ad aumentare in maniera esponenziale questo clima di
scandalo fu l’ammissione di omosessualità di David Bowie che confessò al Melody Maker di “ essere sempre stato gay”. Ziggy Stardust è ormai una star, la magica chitarra di Ronson accompagna la storia del brano che come tutte le belle storie del rock è destinato a finire nell’oblio. Bowie fa morire il suo alter ego, la sua creatura ormai in preda agli incubi della sua celebrità e dal suo malessere. Il finale del disco è il “suicidio del rock and roll”, una conclusione naturale che si celebra in maniera romantica, teatrale, con una sigaretta accesa in bocca “Time takes a cigarette, puts it in your mouth”, chiedendo ai fans le loro mani in segno d’affetto “Gimme your hands, cause
you’re wonderful”, un finale plateale che farà, definitivamente, spegnere la stella Ziggy. Molto bella l’immagine del film girato nel 1973, alla fine del tour Ziggy Stardust in cui Bowie in calzamaglia, capelli d’oro a caschetto davanti e lunghi dietro, carico di lustrini va incontro al pubblico ed annuncia la morte di Ziggy tra le lacrime dei suoi fans. Un disco fondamentale per la carriera di Bowie che è riuscito a cucirsi addosso una sua icona rock, un artista carico di passioni e di tanta fantasia, un ragazzo qualunque di Brixton che non voleva solo suonare ma essere un idolo,una
superstar e che riesce a raccogliere in sé romanticismo e pulsioni bisex, melodramma e fantascienza. Un album da scoprire o riscoprire, ne vale la pena.
JANKADJSTRUMMER

RIASCOLTATI PER VOI – FABRIZIO DE ANDRE’ – STORIA DI UN IMPIEGATO ( 1973 ) di Jankadjstrummer

de andrè
RIASCOLTATI PER VOI – FABRIZIO DE ANDRE’ – STORIA DI UN IMPIEGATO ( 1973 )
“ora sappiamo che è un delitto / il non rubare quando si ha fame”
INTRODUZIONE
2.
CANZONE DEL MAGGIO
3.
LA BOMBA IN TESTA
4.
AL BALLO MASCHERATO
5.
SOGNO NUMERO DUE
6.
CANZONE DEL PADRE
7.
IL BOMBAROLO
8.
VERRANNO A CHIEDERTI DEL NOSTRO AMORE
9.
NELLA MIA ORA DI LIBERTA’
https://youtu.be/w75KaCK9MQo
Della produzione di De Andrè niente risulta poco poetico ed ispirato ed è difficile per me indicare il disco migliore, posso solo esprimere la mia preferenza in questo momento che scrivo, perché nel tempo mi sono
legato a tutti i lavori del Faber. In questa fase della mia vita e della situazione politica che sta attraversando l’Italia, l’album che più calza questi sentimenti è senz’altro “Storia di un impiegato” perché è entrato, nel bene e nel male e con prepotenza nelle nostre storie personali e ci ha consegnato spunti di riflessione sutante problematiche ancora molto attuali, la lotta, i rapporti tra le generazioni, la violenza, il carcere. Un
disco, scritto nel 1973 con Nicola Piovani ( musica ) e Fabrizio Bentivoglio (liriche), un concept-album che insieme a “La buona Novella” (1970)
e “Non al denaro non all’amore nè al cielo” (1971) fa parte di una
trilogia in cui si riflette su grandi tempi. Un album particolare, di cui si è molto parlato e da taluni addirittura contestato perché sembrava quasi un incitamento alla ribellione mentre secondo me rappresenta un
quadro, sotto forma di poesia, in cui viene descritto un importante periodo storico. Un ritratto molto marcato ma assolutamente privo di qualsiasi pretesa di insegnare o ispirare azioni violente, anche se è innegabile la sua forza fatta di melodie e nuove sonorità che unite ai tanti temi caldi e sentiti si fondono in una miscela esplosiva. “Storia di un impiegato” è un disco sull’illusione che nasce da quel grande movimento di massa che fu il 1968. E’ un romanzo in musica in cui si traccia il percorso di un giovane che
partendo dall’ascolto di una canzone di lotta del ’68 (La canzone del Maggio) riflette sulla sua incapacità di prendere parte alla lotta, perchè ormai troppo integrato nella società borghese, ma è una canzone in cui c’è
una presa di coscienza dei problemi sociali e della necessità di lottare per cambiare la situazione; si parla di lotta: ricorda gli avvenimenti accaduti durante la rivolta nata dagli studenti e, rivolgendosi a quelli che alla
lotta non hanno partecipato, li accusa e ricorda loro che chiunque, anche chi, in quelle giornate, si è chiuso in casa per paura, è ugualmente coinvolto negli avvenimenti. La canzone contiene l’affermazione che la
rivolta non è finita ma ci sarà nuovamente, in futuro, più forte. L’impiegato riflette sulla sua vita fatta di mediocrità, paura e tanto individualismo e si paragona a quei ragazzi che hanno voluto, invece, ribellarsi al
sistema che li opprimeva, questa riflessione risveglia in lui sopiti ideali di protesta, che lentamente si fanno strada nella sua mente e nei suoi sogni (Al ballo mascherato e Sogno numero due), in cui pensa di risolvere
individualmente tutti i problemi. Decide così di gettare una bomba ad un ballo mascherato al quale partecipano tutti i miti, i valori della cultura e del potere borghese. E comincia a sognare di assistere agli effetti della deflagrazione su coloro che per anni ha rispettato, assiste all’agonia di tutti, del padre e della madre e dell’amico che gli ha insegnato a ribellarsi. Il sogno prosegue: la voce di un giudice lo informa che il potere borghese era al corrente dei suoi atti, addirittura lo stava seguendo dalla nascita così come segue tutti i suoi sudditi. L’accusa di omicidio, di strage, si trasforma in ringraziamento per aver eliminato vecchi residui che davano fastidio al potere stesso, che ormai ha trovato altri modi per governare. Il giudice lo
informa che ha usato correttamente gli strumenti della legge e che il suo gesto non è altro che la ricerca del potere personale. Così lo accolgono tra coloro che contano, tra coloro che decidono, tra coloro che governano e dispongono della altrui e della propria libertà. Un nuovo sogno, o una nuova puntata dei sogni precedenti, e l’impiegato prende il posto del padre da lui stesso sacrificato alla ricerca di uno spazio personale. Rivive una vita lancinante, fatta di illusioni e di relative delusioni, di difese disperate della propria integrità, del proprio denaro, delle proprietà, non è più un sogno, ma un incubo e l’impiegato si sveglia. Ha capito che in qualunque modo è un uomo finito, senza nessuna possibilità di recupero, che i suoi gesti
saranno sempre individualisti, tesi al proprio bisogno personale e che salendo la scala del potere non si sfugge comunque alla propria condizione di isolamento, d’angoscia. La bomba che nel sogno era stata
gettata con forza, con rabbia, per vendetta, ora, nella realtà, diventa un momento di ebbrezza e, ovviamente, di lucidità. Il sogno si trasforma in incubo quando l’uomo sogna suo padre, che lui stesso ha
ucciso “in un sogno precedente ”, e capisce di essere uguale a lui ( Canzone del padre). L’impiegato si sveglia consapevole di essere in tutto e per tutto funzionale a quella società che odia. L’impiegato sa cosa fare, sa dove andare, sa chi deve colpire e perché. Va dritto al parlamento a gettare una bomba vera per ammazzare gente vera, ma la sua abilità era soltanto un sogno: la bomba rotola giù verso un’edicola di giornali e l’unica
cosa che colpisce è, come una previsione, la faccia della sua fidanzata che sta su tutte le pagine dei giornali.
E alla fidanzata del mostro, l’impiegato scrive una lettera dal carcere nel quale è rinchiuso (Verranno a chiederti del nostro amore), e poi, nell’ultima traccia del disco, assume finalmente una nuova consapevolezza del suo ruolo all’interno di una collettività, in questo caso il carcere, e della lotta (Nella mia ora di libertà ). Nel carcere, in una realtà non più individualista, ma forse il massimo dell’essere uguali, l’impiegato non più impiegato scopre un nuovo modo di capire la vita e le cose che lo circondano. Scopre la
realtà della parola “collettivo” e della parola “potere”. Quand’ecco, proprio l’incarcerazione fa compiere al ragazzo l’ultimo passo per raggiungere la piena consapevolezza di ciò che è giusto fare: la lotta in carcere da
individuale si rifà collettiva e la rinuncia all’ora d’aria, come rinuncia all’individualismo prepara il terreno al sequestro dei secondini con l’ausilio di tutti i prigionieri, uniti, per riconquistare la vera aria, la vera libertà
che gli era stata, ingiustamente, sottratta.* Una grande novità stilistica del disco sta nel linguaggio, un linguaggio moderno che anziché racconto diventa immagini a volte psicologiche a volte oniriche in un pout-
pourri di elementi reali e non. Nove tracce che delineano un percorso in cui si rincorrono le diverse fasi della sua coscienza, sogni a volte carichi di lirismo ( Lottavano così come si gioca/i cuccioli del maggio era
normale/loro avevano il tempo anche per la galera/ad aspettarli fuori rimaneva/la stessa rabbia la stessa primavera), e di ironia (c’è chi lo vide piangere/un torrente di vocali/vedendo esplodere/un chiosco di
giornali). Una menzione speciale spetta ad un capolavoro “Verranno a chiederti del nostro amore” , una delle più intense canzoni d’amore se sia stata mai scritta, la lettera dal carcere del bombarolo alla sua donna
: partendo dal loro rapporto De Andrè si spinge ad una riflessione più ampia sui compromessi della coppia borghese…. “non sei riuscita a cambiarmi / non ti ho cambiata lo sai.”
*Molte informazioni sono riprese dalle note di copertina del disco a cura di Roberto Danè e dal libro di Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, pp. 175-176
BUON ASCOLTO O RIASCOLTO DA JANKADJSTRUMMER