IL PERIGEO: QUANDO LA FUSION INCONTRA IL PROGRESSIVE – recensione dei primi 4 album a cura di Jankadjstrummer

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IL PERIGEO:  QUANDO  LA  FUSION  INCONTRA  IL PROGRESSIVE

Il Perigeo rappresenta a tutt’oggi uno dei più brillanti e geniali tentativi di fondere  musica jazz, classica e rock progressive. Il progetto musicale, ideato da  Giovanni Tommaso, uno dei migliori contrabbassisti italiani, prende forma all’inizio degli anni ’70 con una formazione composta da grandi jazzisti italiani: Bruno Biriaco alla batteria,Tony Sydney alla chitarra, Franco D’Andrea al piano e Claudio Fasoli al sax. La band propone un sound elettrico che ricorda la fusion di Miles Davis e come spesso accade viene subito bollata come “eretica” dai puristi del jazz ma è proprio questa miscela che attira il pubblico, siamo nel periodo di massimo splendore del “progressive” e il sound del Perigeo ne è infarcito, cosi la fama del gruppo varca i confini con tournèe trionfali in Francia, Inghilterra, Germania e poi successivamente negli Stati Uniti dove viene stampato e distribuito anche il loro album del 1976 “Non è poi così lontano”, il successo è tale che diventano il gruppo spalla nel tour dei Weather Report e sono osannati dalla stampa specializzata. Il Perigeo si sciolse nell’agosto 1976, dopo il concerto d’addio tenuto a Pescara. Di seguito le schede dei primi 4 album pubblicati fino al 1976 perché le vicende che poi hanno accompagnato il loro ritorno come gruppo New Perigeo dal 1981 in poi in realtà non hanno lasciato nessuna traccia, si tratta di album mediocri che viravano verso il pop.

Azimut     (1972)

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“Azimut” è il disco di esordio del gruppo, si tratta di un lavoro in perfetto stile jazz-rock, con le sonorità del piano fender in netta evidenza, con perfetti  assoli di chitarra e con il sassofono di matrice jazz che si rincorrono, retti da una ritmica incalzante e precisa, marcata dal grande contrabbasso di Giovanni Tommaso e dalla batteria di Bruno Biriaco.
Incipit magistrale e dalle atmosfere misteriose e rarefatte mentre il pianoforte di Franco d’Andrea segna la strada che tutto il disco percorrerà. Magnifico il brano “Posto di non so dove “ in cui una nenia cantata di Giovanni Tommaso fa da base ad una intrigante incursione di basso e pianoforte mentre il lungo brano “Grandangolo” è un bel crescendo di ritmo e strumenti portati fino all’esasperazione, sono i 9 minuti più belli del disco. “Aspettando il nuovo giorno” è, invece, un gradevole intermezzo che pone le basi al secondo brano più rappresentativo dell’album “ Azimut” in cui è in grande evidenza il contrabbasso e un bell’assolo di pianoforte.  Altro breve intermezzo e poi il brano “36° parallelo”, che chiude il disco  caratterizzato da un sassofono squisitamente jazz e dalla batteria di Biriaco che si cimenta in un assolo molto ampio e variegato, un perfetto virtuosismo per un gigante delle percussioni. Un grande disco che mette il luce le radici jazz dei 5 musicisti ma che non riesce ad essere particolarmente dinamico, il sound risulta un po’ acerbo  ma la  musica e gli arrangiamenti di Giovanni Tommaso creano una magica atmosfera onirica.

 

Track list:

  1. Posto di non so dove
  2. Grandangolo
  3. Aspettando il nuovo Giorno
  4. Azimut
  5. Un respiro
  6. 36° Parallelo

Abbiamo Tutti un Blues da Piangere (1973)

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E’ il disco che sta facendo emergere la maturità stilistica dei musicisti impegnati in virtuosismi complessi che dimostrano, se ce ne fosse bisogno, una grande  preparazione tecnica. E’ un lavoro che ha un’impronta nettamente rock anche se non mancano alcuni accenti jazzati che toccano il loro punto massimo in “Vento, pioggia e sole” un approccio che mette le basi di quel suono originale voluto da Tommaso, il jazz rock progressive. Si apre con un brano cantato sempre con una timbrica eterea “ non c’è tempo da perdere” accompagnato da un bellissimo pianoforte contrapposto alla batteria e ad un lunga coda di chitarra. Molti i pezzi dalle atmosfere meste, la title track  “Abbiamo tutti un blues da piangere” che gioca con pochi accordi e un tranquillo arpeggio di chitarra. Un  pianoforte ed uno strano violino danno il via a “Déja Vu” che prosegue con l’inserimento di un sax  tra le pieghe di una dolce chitarra acustica. Ottimi brani  sono anche “Country” e “Nadir” dolci melodie segnate da ottimi interventi di sax e chitarra elettrica. Un disco un po’ meno immediato e se vogliamo un po’ più ostico per vie dei numerosi assoli e delle improvvisazioni di cui è ricco.

Track list:

  1. Non c’è tempo da perdere
  2. Déjà vu
  3. Rituale
  4. Abbiamo tutti un blues da piangere
  5. Country
  6. Nadir
  7. Vento, pioggia e sole

Genealogia (1974)

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Premetto che il disco mi piace molto ma non posso non constatare che dal punto di vista musicale si tratta di una battuta d’arresto rispetto ai precedenti lavori, c’era negli album precedenti più ricerca del suono e più raffinatezza nel proporre melodie jazz particolarmente innovative mentre in questo lavoro forse si lasciano sorprendere dal successo e vogliono forse piacere a tutti i costi quando cercano suoni più orecchiabili, più puliti e con meno improvvisazioni. Sono lontane le atmosfere  di “Abbiamo tutti un blues da piangere”, nel disco prende probabilmente il sopravvento in sinth che sbroglia i temi complessi a cui ci avevano abituati.  Siamo nel 1974, ed il gruppo è ormai un punto di riferimento della musica jazz-rock italiana e non solo. Oltre ai componenti storici del gruppo, troviamo in aggiunta, alle percussioni in “Polaris” e alla batteria conga in “Via Beato Angelico”, il grande percussionista brasiliano Mandrake. Il titolo, “Genealogia”, vuole sottolineare il background personale che si riflette sul fatto musicale e compositivo, con un recupero cauto e discreto (e comunque immerso nella realtà contemporanea) di echi e tradizioni vissute in prima persona. In effetti, in tutto il disco si ritrovano riferimenti ai luoghi di origine o di vita degli artisti (le montagne e la vecchia Vienna di D’Andrea; la Torre del Lago e la via Beato Angelico del toscano Tommaso, Fasoli riprende i grandi spazi della sua laguna, ecc.). Significativo, inoltre, che in copertina, sotto il titolo di ogni brano, i componenti del gruppo abbiano voluto inserire una frase di un celebre poeta o scrittore, che dovrebbe compendiare il senso della canzone presentata (ne cito una per tutte, secondo me la più bella, che si trova a margine del titolo “Grandi Spazi”, ed attribuita a Bertold Brecht: “Fra le cose sicure, la più sicura è il dubbio”).La perla del disco è la splendida “Polaris”, anche se una menzione particolare merita il brano “Torre del Lago”, con echi che ricordano “After the rain” di Coltrane (un pianoforte molto Tyneriano), in un brano poco jazz senza struttura e senza tema. Straordinario l’assolo di Claudio Fasoli, che si incrocia con quello di Tony Sidney nel brano “(in) vino veritas”. Orecchiabile e famosa, “Via Beato Angelico” potrebbe definirsi la “hit” del disco. Da ascoltare anche con attenzione “Old Vienna”, altro autentico capolavoro del disco. Per concludere, cito le parole di copertina di Franco Fayenz, che così auspicava: “… i cinque componenti del Perigeo hanno concretato un vero gruppo stabile, ben cementato sotto il profilo ideologico e umano, che nel futuro dovrebbe dare frutti sempre migliori.” Bellissima, infine, la copertina realizzata da Ren Pearson .

  1.             Genealogia
  2.             Polaris
  3.             Torre del lago
  4.             Via beato angelico
  5.             (In) vino veritas
  6.             Monti pallidi
  7.             Grandi spazi
  8.             Old Vienna
  9.             Sidney’s call

 

La Valle Dei Tempi (1975)

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Credo che sia questo il disco più conosciuto ed amato del Perigeo, ricordo di averlo registrato in cassetta da un amico e l’ascoltavo negli ultimi anni del liceo, il suono era lieve e forse molto indirizzato verso la fusion, per questo mi accompagnava spesso anche durante lo studio. Un disco molto romantico nell’accezione più nobile del termine, la copertina che raffigura la valle dei templi di Agrigento illuminata era di per sé evocativa e sognante. Il suono è ricco di chitarre e di incursioni di sax che creano quella magia che li ha resi unici nel genere. La caratteristica principale del disco è che è completamente strumentale  ma dinamico, già dal primo brano “Tamale” si denota la carica di energia che pervade tutto questo lavoro anche la sezione ritmica è particolarmente vitale grazie all’intervento del percussionista napoletano Toni Esposito, gli altri brani “La Valle dei templi” e “Cantilena” sono particolarmente intense, nella prima il basso detta il ritmo del piano mentre il sax disegna un tema orecchiabile mentre la chitarra spicca il volo per condurci nell’iperspazio; in “cantilena”, invece, le atmosfere si addolciscono con un bel connubio tra sax e piano, intercalato da lunghi accordi di chitarra. Anche qui viene fuori un buon disco che testimonia la grande abilità dei componenti che affascina per la modernità e per la sua completezza anche se è evidente che guardavano forse un po’ troppo al mercato.

  1.             Tamale
  2.             La valle dei templi
  3.             Looping
  4.             Mistero della firefly
  5.             Pensieri
  6.             Periplo
  7.             Eucalyptus
  8.             Alba di un mondo
  9.             Cantilena
  10.             2000 e due notti
  11.             Un cerchio giallo

Formazione:

Claudio Fasoli: Sax Bruno Biriaco: Batteria Franco D’Andrea: Tastiere  Tony Sidney: Chitarra Giovanni Tommaso: Basso

JANKADJSTRUMMER

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IL PERIGEO: QUANDO LA FUSION INCONTRA IL PROGRESSIVE – recensione dei primi 4 album a cura di Jankadjstrummerultima modifica: 2020-05-17T12:29:42+02:00da giancarlopellegrino