AK-47

Post n°282 pubblicato il 17 Settembre 2007 da zingarodelvento

 

Ci sono piccioni a Palermo,

cantano sotto tegole scosse

tra spine di fichi di san Giovanni.

 

Emanuela ha un sorriso di piombo,

una striscia di carta sui sogni,

un amore che paga le mancate doglie.

 

Il gobbo ha campane fesse a Roma,

quel generale troppo impaziente,

quel generale ha disegni di Aldo.

 

Morire a Palermo,

solo piccioni per testimoni,

solo spine tra i fichi d’india.

 

Gettano fiori al tuo funerale,

piangono lacrime di potere,

ma hanno anime scollate..

 

AK-47 disegnano tradimenti,

vendono menzogne,

generale partigiano.

 

Un gatto ragiona di malinconia,

sotto la targa di Carlo Alberto,

per il sorriso dolce d’Emanuela.

 
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Ciliegie

Post n°281 pubblicato il 09 Agosto 2007 da zingarodelvento

 

A volte mi capita di ricordare il giorno in cui arrivai alla tua spiaggia Francesca.

Come ero sporco e lacero quel giorno.

Lavasti tutte le mie ferite e mi cercasti qualcosa da mettere addosso, perché ero quasi nudo e non avevo più niente di mio.

Mi facesti trascinare sino all’albero delle ciliegie, quello non distante dal mare.

Io vedevo appena i tuoi occhi ed ero stanco, tanto stanco Francesca, al punto di voler mollare tutto di questa stupida mia vita.

Con quanta pazienza mi portasti il cibo alle labbra dicendomi che amore, amore non poteva essere, ma che avresti curato tutte le miei ferite, tutte.

Non mi hai dato un bacio vero quel giorno, non con le labbra almeno, ma con l’anima si.

Vedevo il cielo tra i rami screziati di rosso e tu per gioco prendesti due coppie di ciliegie e te le mettesti come orecchini.

Matta, che matta che sei Francesca, matta e dolce come quei frutti senza alcun peccato.

Curare un elfo oscuro, non ti rendevi conto del pericolo? Io ero andato oltre ormai, oltre tutte le convinzioni di buona famiglia e la mia spada era si scheggiata, si senza filo, ma ancora capace di uccidere e per poco, per poco un giorno non rischiasti di morire, ricordi?

Guerriero, mi chiamasti guerriero e ogni volta che io ti dicevo che non lo ero più tu mi accarezzavi le labbra con le mani per farmi tacere e continuavi.

Poco alla volta mi risollevai da terra, poco alla volta iniziai a riprendere le forze e come per magia la spada riprese il suo filo di taglio e di punta.

Le ciliegie ormai erano cadute tutte, ma sotto quell’albero andavamo ancora a guardare il mare e il bacio ora era vero, vero Francesca e profondo.

Sapevi che la guerra mi avrebbe di nuovo allontanato, ma tu dicevi che avresti saputo aspettare, che non importava.

C’è un bel sole oggi Francesca, un bel sole e la pianura è piena di soldati, alcuni hanno volti da paura, altri sembrano angeli innocenti, ma non tutto quello che si vede è come è davvero.

Tornerò da te Francesca, tornerò dove mi hai lasciato dopo questa battaglia, se non mi toccherà morire, oggi.

Dimenticavo una cosa, ho scritto il tuo nome sul mio scudo e ci sono due ciliegie rosse come simbolo di guerra.

Due ciliegie come quegli orecchini, come quel giorno in cui mi chiamasti amore, amore mio.

 
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Ero con lui

Post n°280 pubblicato il 18 Luglio 2007 da zingarodelvento

C’era tanta gente, mai vista tanta nella mia vita ed erano tutti venuti per sentirlo. C’era una gran puzza di sudore e di escrementi ovunque.

Qualche cane abbaiava e un venditore di focacce urlava per attirare acquirenti.

Era bello lui, soprattutto i suoi occhi, sembrava guardare sempre ciascuno negli occhi.

Le donne impazzivano per lui, ma nessuna si diceva potesse averlo, ma la gente mormorava di una.

Una voce, una voce unica la sua, incantava tutti con le sue favole.

Rideva, si che rideva quando gli chiedevo perché e batteva la sua mano sulla spalla.

Sua madre era dolce, il suo bambino era un uomo grande e grosso ora e di suo padre non sapevo nulla.

C’erano alcuni con lui, alcuni che lo seguivano sempre, non come me che ero li solo per curiosità e per amicizia.

I soldati controllavano i documenti, lo prendevano in giro, parlavano di lui come di un folle e i preti peggio ancora, ma si sa che i preti non vogliono mai nulla che mini il loro potere.

Lui rideva di tutto questo e mi dava pacche sulla spalla e rise ancora di più quando gli chiesi se ero io il demonio di cui a volte parlava.

Io gli dicevo che la gente non capiva, che raccontavano di lui cose assurde e impossibili e che si stavano approfittando della sua buona fede.

Solo allora, solo allora smise di ridere e mi guardò negli occhi.

Stava per dirmi qualcosa, ma si fermò e alzò le spalle ancora una volta.

C’era tanta gente quel giorno e quando iniziò a parlare la puzza sparì di colpo e tutti rimasero in silenzio per ascoltarlo.

Le donne guardavano i suoi occhi, le donne s’innamoravano di lui, ma lui sembrava non darsene conto.

Poi moltiplicò quei pesci e quei pani e io inizia davvero a pensare di essere io il demonio di cui tanto parlava, ma mi misi a ridere anche io come lui.

 
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Lo straccione cantastorie, l'asino scorreggione, una principessa, uan contadina.

Post n°279 pubblicato il 30 Giugno 2007 da zingarodelvento

Questa è la storia di uno straccione, aveva un asino che portava il peso delle sue storie, ondeggiava al carico di fili di fate di bosco e cavalieri di sementi acute.

Incontrò una contadina, dagli occhi dolci e i capelli sfatti, serva di un barone che soddisfaceva con lei le voglie, due figli senza denti, un padre con un occhio guercio.

L’amore, si l’amore sparò vene sotto la quercia e il barone disse che era strega.

Lo straccione corse dal re con il suo asino con un orecchio solo e gli chiese udienza.

Raccontò le sue favole, incantò la figlia del monarca, lei s’innamorò dello straccione.

Amore, si amore che non capisce condizione o puzza alquanto stramba.

 

La figlia del re gli diede il suo corpo per una notte, per intercedere con suo padre per quella strega.

 

Bruciava il rogo della contadina, c’era la gente del paese voltagabbana, non fece in tempo il messo e arrivò prima l’asino a scorreggiare sul barone, sulle guardie e sulla figlia del re.

Lo straccione urlò il suo dolore al cielo e una pioggia improvvisa spense il rogo.

 

“Principessa di mille voglie,

la mia donna è una contadina,

ho soddisfatto tutte le tue voglie,

ma lei brucia non sarà mai una regina.

 

Principessa il tuo barone,

ha un buco profondo nel suo sedere,

lui è il vero stregone,

la mai donna solo per il di lui piacere.

 

Di streghe il mondo ora è pieno,

come dopo il caldo i campi di fieno,

sono solo donne bistrattate,

che la vostra genia ha condannate.”

 

Lo straccione abbracciò la sua donna, la strega libera dal suo destino, ma solo un rantolo aveva di voce e spirò presto tra le sue braccia.

L’asino venne trafitto, da mille frecce per la sua maleducazione e il cantore cadde per terra, il suo cuore esplose come in fuoco.

 

“Così finisce una storia di periferia,

cantata sotto il ponte e in un’osteria,

perchè la poesia non è rivoluzione,

al massimo il grido di un ubriacone.”

 
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Africa

Post n°278 pubblicato il 10 Giugno 2007 da zingarodelvento

Hai la pelle nera Africa

la tua gente vale meno di uno spot

e il telegiornale passa sempre oltre,

 

ma le giraffe leccano la luna

e gli elefanti succhiano la terra.

 

Hai tanto sangue Africa

e sotterranei cupi

dei tuoi genocidi

meno di un gelato al limone,

 

ma le giraffe leccano la luna

e gli ippopotami giocano con il sole.

 

Ti stanno massacrando Africa,

tra risorse di Aids e preservativi rotti,

tra uranio e giacimenti di petrolio,

 

ma i rinoceronti bucano la savana

e i leoni ruggiscono alla strega.

 

Tamburi e musica di coloni,

divise e carri armati

e assassini tribali,

 

ma le giraffe leccano la luna

e gli elefanti succhiano la terra.

 
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