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Il diario di Nancy

Pensieri e storie tra il vero, il verosimile e l'inganno.

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Il binomio fantastico

Post n°142 pubblicato il 09 Marzo 2007 da bimbadepoca
 
Foto di bimbadepoca

Nei giorni scorsi ho comprato il primo fascicolo di "Scrivere". Il suggerimento che viene dato agli aspiranti scrittori è quello di sviluppare la propria immaginazione (ma và!!! Si parte proprio dall'a bi ci).
Meno male che per farlo viene consigliata una tecnica di Gianni Rodari, chiamata binomio fantastico, che consiste nell'aprire il vocabolario a caso e scegliere alla cieca due parole. Le due parole saranno il binomio fantastico sul quale costruire una storia.
L'ho fatto! Ed il caso ha voluto affidarmi due parole, parco e stoffa, da trasformare in una qualsiasi trama.

Signori... prove tecniche di narrazione:

Il telegiornale della sera faceva scorrere i titoli di testa.
L'uomo cenava come ogni sera, da solo, la televisione come brusio di sottofondo per farsi compagnia.
"Cresce l'allarme per il maniaco del parco" A quella notizia strillata nei microfoni, l'uomo rimase con la posata sospesa a mezz'aria.
Il telegiornale cominciò la sua sfilza di guai e lui riprese a mangiare tranquillamente. Ma poi andò in onda quel servizio sul parco, alcune donne raccontavano piangendo la loro brutta esperienza, avevano l'aria smarrita di un cucciolo bastonato. Il telecronista non risparmiava all'indirizzo del maniaco epiteti gratuiti, "Mostro", "Folle", "Psicopatico", e poi con la telecamera indugiava in quegli occhi spauriti, per cercarvi il terrore da dare in pasto alla morbosità della gente.

L'uomo aveva alzato il volume ed ascoltava incredulo quella notizia. Perché no, non potevano avercela con lui, non potevano parlare proprio di lui, perché lui non era un mostro. No, non lo era.
E corse in camera sua per non ascoltare oltre, si buttò sul suo letto affondando il viso nel cuscino.
Per respirare l'odore.
Per ritrovare quell'unico profumo.

Tirò fuori dalla federa del cuscino brandelli di stoffa di vario colore, li sparpagliò sul copriletto fino a formare un macabro mosaico.
Li sfiorò con le dita delicatamente, nella testa continuava a ripetersi quella terribile parola "Mostro".
Prese un frammento di stoffa leggero, chiffon chiaro per abiti estivi, e se lo portò alle narici per aspirarne il profumo rimasto.
Ricordava ancora la ragazza a cui apparteneva, aveva lunghi capelli bruni ed era seduta su una panchina del parco, la stessa panchina che piaceva anche a loro, quella di fronte alla vasca centrale, ombreggiata dai rami dei tigli.
La ragazza leggeva quando lui le si sedette accanto, la guardava timidamente e lei non seppe trattenere un sorriso compiaciuto mentre accavallava le gambe con studiata noncuranza, in modo tale che la stoffa del suo vestito leggero le scivolasse morbidamente sul grembo.
Fu allora che lui tirò fuori la forbice nascosta nella giacca e nel ricordarlo quasi tremò di piacere.
Lei rimase impietrita quando lui le tagliò un pezzetto di gonna.

L'uomo appoggiò quella stoffa leggera insieme alle altre. Se avessero potuto vedere la delicatezza di quel gesto nessuno mai avrebbe potuto chiamarlo mostro.
E poi che ne sapeva quel giovanotto impomatato di quella primavera che lui aveva passato nel parco, quando loro ancora si promettevano amore.
Che ne sapeva di quante notti era rimasto sveglio abbracciato al cuscino a respirare l'odore di tutte le donne per cercare di risentirne uno solo.
Quell'odore di femmina che il solo pensiero gli induriva il membro. Inutilmente. Crudelmente.

Prese tra le mani un altro pezzo di stoffa, di fustagno color ciclamino, apparteneva allla giacca di quella signora seduta ad ammirare i suoi bambini che giocavano poco lontano.
La ricordava bene perché aveva lo stesso vezzo di arrotolarsi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Ma non aveva il suo odore di pelle, quel profumo di buono che già cominciava a sbiadire nelle cose appartenute al passato.
Non riusciva più a ricordarlo, aveva impresso nel naso soltanto l'odore dell'ultimo giorno, il puzzo di disinfettante dell'ospedale e di sangue rappreso.
Ma no, non era questo che doveva ricordare e con un gesto brusco risistemò i pezzetti di stoffa nella federa del cuscino.

Si distese di nuovo sul letto cercando di ricordare il modo in cui lei rideva, le passeggiate nel parco ed i progetti teneri e arditi.
Era tutto così nitido che si ritrovò a sorridere di gioia. Ma poi ripensò al suo profumo che continuava a sfuggirgli. Doveva ritornare nel parco, trovare un'altra donna ed un altro lembo di stoffa. Inseguire un altro odore sperando che gli somigliasse.
Già, ma poi qualcuno avrebbe potuto riconoscere il mostro. E dargli la caccia come ad una volpe braccata. E sbatterlo dentro.

Fu allora che ritrovò nelle orecchie il suo ultimo grido, prima dello schianto, lei che chiamava il suo nome. E poi furono solo lamiere accartocciate ed odore di morte.
E d'improvviso sentì nella testa anche le altre urla, quelle a cui non aveva mai badato.
Urla di sorpresa. Urla di spavento. Urla di rabbia. Urla mute di  troppa paura. Voci di donne che imploravano pietà.
Ed era un mostro per aver tagliato loro solo un pezzo di vestito.

Nascose il suo viso nel cuscino per respirare ancora una volta un odore che non c'era.
Sul comodino accanto al letto aveva le forbici per tagliare altre stoffe.
Nelle mani prese le forbici con cui decise di pugnalarsi il cuore
.

 
 
 
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Così vero
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