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Creato da nefertiti704 il 02/07/2011

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Preghiera

               

 

Nobile Signore

della Dimenticanza

 

ridammi

il tempo ch’io non vissi

perché cantar io possa

le antiche ballate dell’Amore.

 

Ridammi

indietro nello spazio

l’infanzia dei miei figli

per loro narrare di padri

di fate, di  poeti e di briganti.

 

Compatta è la tela e antico

il tessuto di quel tempo andato

e ciò che avevi ordito

non si può disfare.

 

Donami ora

 

la ballata roca di mio padre il Mare

l’odore resinato del querceto antico

mani bambine da riscaldare

e dal ventre del nulla

io rinascerò

pregna di  sanguigna linfa

che nuova vita esige.

 

 

 

 
 
 

Per non dimenticarli

Post n°68 pubblicato il 10 Ottobre 2012 da nefertiti704
 

                                 

 

NASSIRIYA 12 novembre 2003                                        

 

Spettrali fuochi d’artificio

incendiano la notte

latranti stelle

schizzano in un cielo senza Dio.

Ricadono brandelli

crisantemi scarlatti

che macchiano una terra

che non è la loro.

Nel volo, un ragazzo ha urlato

il nome d’una donna

altri son rimasti muti

risucchiati dall’onda lunga

di stalattiti nere.

In alta uniforme

si leggono discorsi.

Litanie di morte.

Poggiate su cuscini

con le frange d’oro

fredde medaglie alla memoria.

Verranno appese  

nel salotto buono.

Medaglie, parole

parole,  medaglie

non scalderanno corpi femminili

non cresceranno figli

e non invecchieranno.

Diciannove  le lucide bare

diciannove  le vite sprecate

diciannove  le vite rubate.

La tromba geme il silenzio.

L’ultimo.

 

…e passami il sale

la minestra è sciapa…

 
 
 

Incomunicabilità

                            

 

Il mio canto è cessato.

 

Ti viaggiavo a fianco, ombra nella bruma.

Blateravi di te, delle tue notti insonni

del tuo seme ibernato, dei tuoi spettri maligni

dell’ossessione per la tua vecchiaia

parole tue  per te.

 

Per noi, per me, estranei silenzi.

Mi sono arresa e t’ho lasciato andare.

Nella sera di maggio cilestrina i tuoi

egoisti schizzi salivari soffocavano la fiamma.

 

 
 
 

Omaggio a C.K.

Post n°66 pubblicato il 26 Settembre 2012 da nefertiti704
 

      

 

COSTANTINOS  KAVAFIS  (1863 – 1933)

(amando molto questo Poeta, ho cercato d’immaginare passo per passo  lo scorrere lento una sua giornata, di capire(con umiltà) i suoi stati d’animo, il suo mal di vivere e la  sua  difficoltà per essere omosessuale).

 

Costantinos ripiegò le mezze maniche da impiegato, nere come la sua noia. Aprì faticosamente il cassetto della scrivania e le ripose con cura. Domani, come ieri, le avrebbe indossate per sfogliare pratiche polverose e inutili come il pianto dei vecchi.

Si alzò lentamente. Il viso magro pareva mal sopportare il peso degli occhiali cerchiati di nero. Scese in strada inalando l’odore del mare, misto a quello delle spezie coloratissime sui banchi dei venditori arabi. L’aria ne era satura. Ebbe un leggero capogiro. Uscire dall’angusta stanza dell’ufficio per ingoiare la luce violenta  della città gli procurava sempre un sottile malessere. Avrebbe voluto andarsene. Fuggire. Rincorreva nel sogno genti, fiumi, strade, tetti di altre città.  Ma era un pensiero sbiadito. Non avrebbe preparato la valigia e non sarebbe partito. Mai.  Sarebbe rimasto nella sua Alessandria d’Egitto. Un monolite scribacchino.

Per vivere gli bastava leggere e rileggere fino all’innamoramento le poesie  di Omero, Saffo, Alceo, Anacreonte. Amava la grandiosità della Grecia  si tuffava nelle antiche letture, ritrovava la sua Itaca e dimenticava così il Ministero dei lavoro pubblici, luogo del suo lavorare.

Costantinos continuò a camminare. Da un angolo remoto della mente si affacciò evanescente il viso di sua Madre. Il rimpianto di quella morte gli procurava sempre un groviglio alla gola. Cercò di dipanarlo respirando forte.  Aveva nostalgia dei loro viaggi in Francia, Turchia e Grecia. Le non c’era più da anni ma la sua assenza lo faceva ancora soffrire. Molto.

Si sedette s’una panchina lasciando che l’odore salmastro del mare gli salasse la pelle. Prese il suo taccuino e stava per cominciare a scrivere quando lo fermò il rumore del passo svelto di un ragazzo. Corpo agile, capelli scuri, andatura arrogante di chi ha consapevolezza d’esser giovane e bello. I loro occhi s’incrociarono un istante..Costantinos avvertì un brivido lungo la schiena. Un breve attimo esitativo e il ragazzo si era già allontanato con un breve cenno del capo.

Costantinos era rimasto immobile.  In quel soffio di tempo aveva desiderato fisicamente quel ragazzo dallo sguardo sfrontato. Avrebbe voluto fermarlo. Non aveva potuto. Da sempre la società ottura e bigotta lo costringeva ad amare solo nelle ore sgualcite della notte.  Al riparo da occhi accusatori.

Si alzò riponendo il quaderno degli appunti nell’ampia  tasca del suo cappotto. Arrivò in Via Cherif, aprì il portoncino di legno scuro, salì i due piani di scale e fu sul pianerottolo. Cercò la chiave, aprì e fu nel piccolo appartamento.  C’era odore di solitudine, addolcito però da un altro profumo, quello delle sue poesie.

Le parole che scriveva, erano ovunque. Scendevano dal soffitto, si allungavano sulla poltrona, uscivano dai cassetti, correvano sopra il divano, si arrampicavano sulle pareti per riposare, infine, sul tappeto. Logoro.

Quel  torrente di parole per Costantinos significavano famiglia amore dolore fiaba morte. Un mondo d’inchiostro carta frasi virgole punti. Il suo mondo. Si sentì felice ed appagato. Si tolse il pastrano e lo appese con cura all’ingresso. Si avvicino alla scrivania e accese la lampada. I vetri colorati spruzzavano gocce di bagliori  sul ripiano di pelle verde. Intinse il pennino nel calamaio e scrisse:

 

Se raccontassi di te /

non ti renderei giustizia/

mio giovane  sconosciuto amore/

mi colse il desiderio della tua bocca audace/

del tuo corpo perfetto/

la fitta lancinante nel mio inguine/

è passata/ e tu sei il Sogno.

 

 

 
 
 

Nella Valle di Giza

Post n°65 pubblicato il 20 Settembre 2012 da nefertiti704
 

 

 

Dolente, svuotata dell’Io

inquisivo la Sfinge dagli occhi pietrosi

mentre  la  nebbia dorata occultava

antiche  menzogne

con arabesche volute.

 

Lei presagiva di me

più dei  grassi prelati

ed i falsi profeti incrociati

nei vicoli bui dell’infanzia.

 

Leggeva su pagine d’ambra

della sfiorata pazzia

e vedeva l’angelo Yezael

dispiegare le  ali di blu colorate

a vegliare la donna

che sola danzava nel prato.

 

Era Lei

la realizzazione del Centro

Lei  della mente l’approdo

e ai suoi piedi, chino il capo

ho deposto il  mio dono:

lacrime bambine, gocce di cristallo

intrise di veleno.

 

 

(La Sfinge non è l’enigma è la risposta)

               Jean Cocteau

 
 
 
 
 

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