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Post n°66 pubblicato il 26 Settembre 2012 da nefertiti704
COSTANTINOS KAVAFIS (1863 – 1933) (amando molto questo Poeta, ho cercato d’immaginare passo per passo lo scorrere lento una sua giornata, di capire(con umiltà) i suoi stati d’animo, il suo mal di vivere e la sua difficoltà per essere omosessuale).
Costantinos ripiegò le mezze maniche da impiegato, nere come la sua noia. Aprì faticosamente il cassetto della scrivania e le ripose con cura. Domani, come ieri, le avrebbe indossate per sfogliare pratiche polverose e inutili come il pianto dei vecchi. Si alzò lentamente. Il viso magro pareva mal sopportare il peso degli occhiali cerchiati di nero. Scese in strada inalando l’odore del mare, misto a quello delle spezie coloratissime sui banchi dei venditori arabi. L’aria ne era satura. Ebbe un leggero capogiro. Uscire dall’angusta stanza dell’ufficio per ingoiare la luce violenta della città gli procurava sempre un sottile malessere. Avrebbe voluto andarsene. Fuggire. Rincorreva nel sogno genti, fiumi, strade, tetti di altre città. Ma era un pensiero sbiadito. Non avrebbe preparato la valigia e non sarebbe partito. Mai. Sarebbe rimasto nella sua Alessandria d’Egitto. Un monolite scribacchino. Per vivere gli bastava leggere e rileggere fino all’innamoramento le poesie di Omero, Saffo, Alceo, Anacreonte. Amava la grandiosità della Grecia si tuffava nelle antiche letture, ritrovava la sua Itaca e dimenticava così il Ministero dei lavoro pubblici, luogo del suo lavorare. Costantinos continuò a camminare. Da un angolo remoto della mente si affacciò evanescente il viso di sua Madre. Il rimpianto di quella morte gli procurava sempre un groviglio alla gola. Cercò di dipanarlo respirando forte. Aveva nostalgia dei loro viaggi in Francia, Turchia e Grecia. Le non c’era più da anni ma la sua assenza lo faceva ancora soffrire. Molto. Si sedette s’una panchina lasciando che l’odore salmastro del mare gli salasse la pelle. Prese il suo taccuino e stava per cominciare a scrivere quando lo fermò il rumore del passo svelto di un ragazzo. Corpo agile, capelli scuri, andatura arrogante di chi ha consapevolezza d’esser giovane e bello. I loro occhi s’incrociarono un istante..Costantinos avvertì un brivido lungo la schiena. Un breve attimo esitativo e il ragazzo si era già allontanato con un breve cenno del capo. Costantinos era rimasto immobile. In quel soffio di tempo aveva desiderato fisicamente quel ragazzo dallo sguardo sfrontato. Avrebbe voluto fermarlo. Non aveva potuto. Da sempre la società ottura e bigotta lo costringeva ad amare solo nelle ore sgualcite della notte. Al riparo da occhi accusatori. Si alzò riponendo il quaderno degli appunti nell’ampia tasca del suo cappotto. Arrivò in Via Cherif, aprì il portoncino di legno scuro, salì i due piani di scale e fu sul pianerottolo. Cercò la chiave, aprì e fu nel piccolo appartamento. C’era odore di solitudine, addolcito però da un altro profumo, quello delle sue poesie. Le parole che scriveva, erano ovunque. Scendevano dal soffitto, si allungavano sulla poltrona, uscivano dai cassetti, correvano sopra il divano, si arrampicavano sulle pareti per riposare, infine, sul tappeto. Logoro. Quel torrente di parole per Costantinos significavano famiglia amore dolore fiaba morte. Un mondo d’inchiostro carta frasi virgole punti. Il suo mondo. Si sentì felice ed appagato. Si tolse il pastrano e lo appese con cura all’ingresso. Si avvicino alla scrivania e accese la lampada. I vetri colorati spruzzavano gocce di bagliori sul ripiano di pelle verde. Intinse il pennino nel calamaio e scrisse:
Se raccontassi di te / non ti renderei giustizia/ mio giovane sconosciuto amore/ mi colse il desiderio della tua bocca audace/ del tuo corpo perfetto/ la fitta lancinante nel mio inguine/ è passata/ e tu sei il Sogno.
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