Creato da rteo1 il 25/10/2008
filo aperto con tutti coloro che s'interrogano sull'organizzazione politica della società e che sognano una democrazia sul modello della Grecia classica

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Messaggi di Novembre 2016

GOVERNO TECNICO O GOVERNO POLITICO ?

Post n°868 pubblicato il 28 Novembre 2016 da rteo1

GOVERNO TECNICO O GOVERNO POLITICO ?

SI APPROSSIMA LA DATA DEL REFERENDUM COSTITUZIONALE (FINALMENTE !).

UN RITORNELLO CHE STA CARATTERIZZANDO QUESTA FASE E' QUELLO  CHE QUALORA VINCA IL "NO" SARA' INEVITABILE FORMARE UN NUOVO GOVERNO, UN "GOVERNO TECNICO". 

FINO QUI NESSUN PROBLEMA: MORTO UN PAPA SE NE FA UN ALTRO. DA SECOLI ACCADE QUESTO E LA TERRA CONTINUA INDIFFERENTE A GIRARE SU SE STESSA E INTORNO AL SOLE.

INVECE A LEGGERE I QUOTIDIANI, A SENTIRE I MEZZI TELEVISIVI E I LEADERS POLITICI (SEMPRE DI PIU' MODESTO SPESSORE CULTURALE E, SOPRATTUTTO, MORALE), QUALORA DOVESSE RENDERSI NECESSARIO FORMARE IL "GOVERNO TECNICO" PER L'ITALIA SAREBBE LA FINE.

ONESTAMENTE NON SO SE PIANGERE O SE RIDERE DI FRONTE A TANTA IGNORANZA (O MALAFEDE).

SENZA DILUNGARMI (COME SAREBBE PUR GIUSTO FARE, MA PREFERISCO RACCOGLIERE UNA RACCOMANDAZIONE DI UN AMICO DEL BLOG DI ESSERE "STRINGATO") FACCIO NOTARE CHE IL "DILEMMA" GOVERNO TECNICO O GOVERNO POLITICO E' UN FALSO PROBLEMA, E CHE IN ITALIA SONO STATI FINORA ENTRAMBI SPERIMENTATI, CON RISULTATI POSITIVI MA ANCHE NEGATIVI SIA DA PARTE DELL'UNO CHE DELL'ALTRO.

IL "DILEMMA" TUTTAVIA E' SEMPRE STATO FRUTTO DELL'ERRORE (O DELLA PROPAGANDA DEMAGOGICA): IN DEMOCRAZIA, INFATTI, NON VA MAI POSTO IL PROBLEMA SUL TIPO DI GOVERNO MA DELLA RAPPRESENTANZA O MENO DELL'ASSEMBLEA PARLAMENTARE.

SE FOSSIMO IN UNA DEMOCRAZIA, PERCIO', LA "POLITICA" LA DOVREBBE FARE IL PARLAMENTO, PER CUI IL GOVERNO (TECNICO O NON TECNICO) DOVREBBE SOLTANTO ESEGUIRE, DARE ATTUAZIONE (PERCIO', GIUSTAMENTE, PRIMA SI DICEVA "ESECUTIVO") ALLE LEGGI ESPRESSIONE DELLA VOLONTA' GENERALE DEI CITTADINI.

NON SIAMO PIU' IN DEMOCRAZIA ?

E ALLORA BASTA DIRLO IN MODO CHIARO, SENZA PIU' GIRARCI INTORNO, ANZICHE' CONTINUARE A MUOVERE ARIA, VISTO CHE C'E' GIA' IN ARRIVO UN CALO DELLE TEMPERATURE A CAUSA DELL'ARRIVO "DELL'ARIA FREDDA DELL'EST".

 
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I BROGLI ELETTORALI MUTANO LE COSTITUZIONI

Post n°867 pubblicato il 23 Novembre 2016 da rteo1

I BROGLI ELETTORALI MUTANO LE COSTITUZIONI

«SI MUTANO LE COSTITUZIONI ANCHE SENZA RIBELLIONI, A CAUSA DI BROGLI ELETTORALI, COME AD EREA (DOVE PASSARONO DALL'ELEZIONE PER VOTO  A QUELLA PER SORTEGGIO...) O A CAUSA DI TRASCURATEZZA, QUANDO SI LASCIANO ADIRE ALLE MAGISTRATURE SUPREME INDIVIDUI CHE NON SONO AMICI DELLA COSTITUZIONE» (ARISTOTELE, POLITICA, V, 1303 A).

AD ALCUNI, PIU' AVVEZZI ALLE COSE AMENE E DI "BOCCA BUONA", FORSE SORPRENDERA' OPPURE LASCERA' INDIFFERENTI, MA DEI BROGLI ELETTORALI SE NE PARLAVA GIA' NELLA POLITICA DI ARISTOTELE.

QUESTI, IMPAREGGIABILE STUDIOSO (ALTRO CHE I COSTITUZIONALISTI CHE STANNO SOSTENENDO LA RIFORMA E CHI L'HA PROPOSTA)REGISTRAVA CHE LE COSTITUZIONI MUTANO A CAUSA DEI BROGLI ELETTORALI (L'ALTRO MODO E' QUELLO DELLE RIBELLIONI, O RIVOLUZIONI).

L'ITALIA FORSE  GRAZIE AI "BROGLI"  (FORZATURE PROCEDURALI DELLA LEGGE) USCI' DAL FASCISMO, CHE AVEVA MODIFICATO LO STATUTO ALBERTINO.

COL REFERENDUM COSTITUZIONALE  DEL 1946 SI DICE CHE CI FURONO I BROGLI ELETTORALI.

CON LA DECLARATORIA DI INCOSTITUZIONALITA' DELLA LEGGE ELETTORALE (ESPULSA DALL'ORDINAMENTO GIURIDICO) IL PARLAMENTO E' RIMASTO A LEGIFERARE MA PRIVO DELLA LEGGE ELETTORALE CHE LEGITTIMI LA SUA RAPPRESENTANZA, PER CUI GLI ATTI CHE PONE IN ESSERE SONO VIZIATI.

ADESSO SI PARLA DEL VOTO DEI CITTADINI ALL'ESTERO (A CAUSA DELLA LETTERA DEL PREMIER A VOTARE SI) IN QUALCHE MODO "CONDIZIONATO".

E' PROPRIO IL CASO DI DIRE CHE, IN FONDO, LA MENTALITA' DI UN POPOLO NON CAMBIA MAI. PURTUTTAVIA BISOGNA PRENDERE ATTO CHE "GRAZIE" AI BROGLI SI PUO' CAMBIARE LA COSTITUZIONE SENZA FARE MAGGIORI DANNI CON LE RIVOLUZIONI (PEGGIORA, PERO', L'ETICA PUBBLICA, MA SONO POCHI A RENDERSENE CONTO!).

 
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LA RIFORMA COSTITUZIONALE E LA DISEGUAGLIANZA

Post n°866 pubblicato il 15 Novembre 2016 da rteo1

LA RIFORMA COSTITUZIONALE E LA DISEGUAGLIANZA

Il Referendum costituzionale del 4 dicembre ha messo in evidenza un contrasto profondo nella società italiana. Trattasi di una divisione che viene da lontano e che non è stata mai superata nel tempo, neppure dall'avvento della democrazia. Non è, pertanto, il Si o il No alla Riforma costituzionale, né di esprimere un giudizio positivo o negativo su Renzi e il suo governo, ma è una questione di come viene intesa la Comunità-statale da parte delle forze politiche e dai cittadini. Per comprendere la vera natura del problema occorre necessariamente partire dai "fondamentali". Da questi si trae che per organizzare lo Stato ci sono due modelli opposti: uno fondato sull'eguaglianza, l'altro sulla diseguaglianza. Il primo è quello cui si ispirano le democrazie; il secondo, invece, le oligarchie. L'esperienza politica e la consapevolezza della dinamica conflittuale per la conquista del potere di governo degli esseri umani ha fatto finora organizzare dei regimi intermedi di governo nei quali coesistono sia la parte democratica sia la parte oligarchica (la Costituzione mista, definita Politia da Aristotele). L'equilibrio, però, è sempre stato, e sempre sarà, precario perché, inevitabilmente, come già messo in evidenza da Aristotele, la parte democratica cercherà continuamente di estendere a tutta la Comunità-statale  la sua idea di eguaglianza e libertà, così come la parte oligarchica agirà per affermare la disuguaglianza nella distribuzione delle ricchezze (e onori e cariche pubbliche). È del tutto evidente, perciò, che finché non si riuscirà a rendere del tutto omogenea la Comunità-statale (composta, cioè, da cittadini tutti sostenitori dell'eguaglianza oppure tutti sostenitori della diseguaglianza) non sarà mai possibile una convivenza pacifica e un fine generale condiviso. E non sarà mai sufficiente nessun principio, né valore o dogma politico che evochi la Unità o la Indivisibilità del Popolo e delle sue istituzioni finché ci sarà diseguaglianza sostanziale tra i cittadini. Non ci sarà mai, perciò, unanime condivisione tra ricchi e poveri (né tra lavoratori pubblici e privati, o tra precari e a tempo indeterminato, ecc.) della stessa Costituzione, anche quando sembri accettata da tutti. Osservando l'azione svolta finora dalle forze politiche si riscontra che l'amalgama e la pace sociale non sono state mai una priorità; anzi, ha sempre prevalso la logica "spartitoria e divisoria" (e anche la legge elettorale rafforza le separazioni). Purtroppo è andata in questa stessa direzione la cosiddetta "rottamazione generazionale", la quale, come è ben evidente nei fatti e dagli atti finora compiuti, ha seguito la medesima logica "divisiva", riconoscendo provvidenze e risorse soltanto ad alcuni segmenti sociali ed economici. Non è oggettivo, perciò, affermare che è in atto un contrasto tra coloro  che "guardano al futuro" e quelli che rappresentano il passato, né tra coloro che dicono sempre No e non sanno mai dire Si, perché, in verità, c'è soltanto una lotta di potere, per cui, comunque andrà il Referendum, in Italia continuerà a persistere la diseguaglianza sociale ed economica tra i cittadini. Anzi, spostandosi, con la Riforma, l'attuale primato politico del Parlamento in favore del Governo, che riduce la rappresentanza, si avrà un ulteriore rafforzamento della parte oligarchica nella Comunità-statale con conseguente estremizzazione delle diseguaglianze. Aristotele sosteneva che alla base di ogni Stato c'era la famiglia naturale e che in questa tutti i componenti (genitori e figli) godevano degli stessi beni e di tutti i beni disponibili. Dalla "fusione" delle singole famiglie e con aggregazioni successive sempre più complesse sono sorti gli Stati (le Comunità-statali), ma molti di questi, se non tutti, non hanno conservato e protetto il vincolo originario, che teneva unite le singole famiglie naturali, ossia la comunanza dei beni (oltre all'affetto e al vincolo di sangue). La regola politica (la legge), perciò, ha alterato gli istinti naturali degli esseri umani che non erano di ostacolo alla condivisione delle risorse, rendendo, così, la società civile peggiore dello "stato di natura". In questa fase il Governo italiano e i Comitati per il Si stanno affermando che con la Riforma costituzionale viene modificata soltanto la seconda Parte, ossia quella dell'organizzazione dello Stato (più precisamente della Repubblica), senza toccare la Prima Parte, cioè quella dei diritti. Trattasi di uno slogan che, sebbene possa risultare efficace nella comunicazione, tuttavia veicola un'idea pericolosa per l'equilibrio, i princìpi e i valori della democrazia, perché in realtà si riorganizza soltanto il potere del governo ma non si interviene sulle diseguaglianze dei diritti. Il vero cambiamento, infatti, e l'unico, per chi un giorno volesse realmente riorganizzare la Comunità-statale italiana, è solo quello che tocca l'art.3 della Costituzione, modificandolo nel senso di fissare l'eguaglianza reale e sostanziale tra i cittadini nella distribuzione delle risorse, oltre a quella formale "dinanzi alla legge". Solo in questo modo ci saranno garanzie per tutti e si potrà avere una Comunità-statale omogenea con un fine generale condiviso. E così non avrà più alcuna importanza neppure chi guida il Governo, se il Parlamento sia bicamerale o monocamerale, né il bicameralismo paritario o differenziato, né la legge elettorale maggioritaria o proporzionale, e neppure se rimangano le Province, il CNEL, le Regioni e il Titolo V, perché sarà l'eguaglianza reale e sostanziale a prevalere su tutto, divenendo inefficace qualsiasi logica divisoria dei partiti e delle oligarchie.

 
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SENATO SI, SENATO NO

Post n°865 pubblicato il 13 Novembre 2016 da rteo1

SENATO SI, SENATO NO

Preciso subito che non intendo prendere parte al derby referendario. Le tifoserie di entrambi gli schieramenti stanno adoperando tutti i mezzi, e anche i mezzucci, pur di raggiungere il proprio scopo elettorale. Bisogna però fare chiarezza su un punto importante, che la Riforma costituzionale ha offerto come occasione di riflessione: il Senato della Repubblica. Ebbene si, il Senato, al di là degli effetti, ossia del bicameralismo paritario o differenziato. Dopo aver atteso invano di sentire qualche divulgatore o esperto della "Riforma Costituzionale" mi sono reso conto che tutti (nessuno escluso) hanno eluso il problema fondamentale, cioè spiegare quale sia il ruolo del Senato in una Costituzione dello Stato. E allora, poiché lo ritengo necessario, anche come bagaglio culturale dei cittadini, ma anche di molti politici improvvisati, cercherò, seppur sinteticamente, di dare un mio modesto contributo. Per farlo, però, mi appellerò, prima di tutto, all'ausilio di Aristotele. Questi, a differenza dei moderni politici e giuristi, che hanno elaborato le definizioni più disparate e spesso evanescenti (la legge fondamentale dello Stato, la legge delle leggi, senza dire della fantasiosa "Costituzione più bella del mondo"), definiva così la Costituzione: «è l'ordinamento delle varie magistrature d'uno Stato e specialmente di quella che è sovrana suprema in tutto». Non vi è dubbio che le Costituzioni del secondo dopoguerra abbiano assunto una diversa "fisionomia", ma questa attiene soprattutto alla necessità di introdurre nella Costituzione  le libertà e i diritti fondamentali (e i doveri) dei cittadini (come la Prima Parte della Costituzione italiana) per difenderli dagli abusi del potere di governo. Per tutto il resto, invece, la Costituzione rimane tuttora lo strumento per prevedere quali debbano essere le cariche dello Stato e come debbono essere conferite. Ed è proprio qui che s'innesta il Senato della Repubblica. È  facile comprendere che prevederlo oppure no tra gli organi dello Stato fa differenza. Per poter stabilire, però, se esso sia o meno necessario alla democrazia bisogna, anzitutto, conoscerlo meglio. Il termine Senato deriva da senex, che significa vecchio (per cui ci si riferisce agli anziani o padri); infatti, i membri erano inizialmente gli anziani del popolo romano che costituivano il consiglio degli anziani, che aveva funzioni consultive (poi anche esecutive, legislative e giudiziarie). Secondo la tradizione, il Senato fu costituito da Romolo, ed era composto da 100 membri scelti tra i Patrizi; successivamente Tarquinio Prisco aggiunse altri 100 senatori, che in seguito divennero 300, tutti nominati dal rex. Con Silla, poi, il Senato raggiunse i 600 membri e con Cesare 900, per poi essere nuovamente ridotto a 600 da Augusto. Nel tempo ai patrizi (patres) si aggiunsero, poi, anche i plebei diventati ricchi o perché erano entrati a far parte delle magistrature (conscripti, cioè "iscritti"); la carica era vitalizia. Nel periodo successivo il Senato fu soppresso dagli ordinamenti medioevali. Esso "riappare" con lo Statuto Albertino, ma era di nomina Regia e la carica era a vita (ma senza alcuna indennità). Il Senato, unitamente al Re, e alla Camera dei Deputati esercitava la funzione legislativa. È questa, perciò, a cui oggi occorre fare riferimento per decidere: Senato Si, Senato No. Costantino Mortati (Costituzionalista di altri tempi) nell'Assemblea Costituente spiegò così (all'incirca) le ragioni di avere o meno una seconda Camera: è necessaria quando bisogna integrare la volontà del Popolo; quando, cioè, non c'è omogeneità sociale. In questi casi, ferma restando l'elezione diretta del popolo, bisogna garantire la rappresentanza politica nell'organo legislativo anche alle diverse categorie sociali. Nasce così la seconda Camera, per far partecipare le varie categorie (o le Istituzioni territoriali, come nella Riforma) nella formazione delle leggi. In verità, quando vi è omogeneità del Popolo (e comunque quando si ha il fine politico di renderlo tale, ossia unito) l'Assemblea deve essere monocamerale, perché la legge deve essere generale, ossia valida ed efficace per tutti i cittadini (e per le istituzioni), e non speciale né settoriale. Costituisce, pertanto, un'anomalia anche la partecipazione degli Enti territoriali, come seconda Camera (il Senato della Repubblica previsto dalla "Riforma") perché la titolarità della funzione legislativa generale, ossia il potere di fare le leggi valide per tutti, in democrazia (senza interferenze delle oligarchie) può essere riservata soltanto ai cittadini-elettori (Popolo), e, per essi, ai loro diretti rappresentanti. E a chi volesse richiamare la Costituzione Francese va detto che questa (anch'essa del dopoguerra), comunque, prevede in Costituzione l'elezione "Indiretta" e il Senato "rappresenta le collettività territoriali" (che sono altra cosa rispetto agli enti). Ripartire la funzione legislativa, pertanto, anche tra cittadini e enti territoriali significa incidere sulla forma democratica del governo perché in questo modo la legge non è l'espressione della sola volontà generale del Popolo ma sarà anche l'espressione degli enti istituzionali, i quali, da "creazioni giuridiche" e artificiali diventano soggetti politici alla stregua dei cittadini- elettori (del Popolo). Il "Senato Si, o il Senato No" si pone, quindi, in diretto collegamento con l'esercizio della funzione legislativa e le domande alle quali rispondere sono le seguenti: la legge generale, ossia valida per tutti (anche per le istituzioni territoriali), deve essere soltanto l'espressione della volontà generale dei cittadini da parte della Camera che direttamente li rappresenta ? la democrazia italiana ha bisogno di differenziare la Camera dei cittadini con una seconda Camera, ossia quella degli Enti territoriali ?

 
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