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filo aperto con tutti coloro che s'interrogano sull'organizzazione politica della società e che sognano una democrazia sul modello della Grecia classica

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LA RIFORMA COSTITUZIONALE E LA DISEGUAGLIANZA

Post n°866 pubblicato il 15 Novembre 2016 da rteo1

LA RIFORMA COSTITUZIONALE E LA DISEGUAGLIANZA

Il Referendum costituzionale del 4 dicembre ha messo in evidenza un contrasto profondo nella società italiana. Trattasi di una divisione che viene da lontano e che non è stata mai superata nel tempo, neppure dall'avvento della democrazia. Non è, pertanto, il Si o il No alla Riforma costituzionale, né di esprimere un giudizio positivo o negativo su Renzi e il suo governo, ma è una questione di come viene intesa la Comunità-statale da parte delle forze politiche e dai cittadini. Per comprendere la vera natura del problema occorre necessariamente partire dai "fondamentali". Da questi si trae che per organizzare lo Stato ci sono due modelli opposti: uno fondato sull'eguaglianza, l'altro sulla diseguaglianza. Il primo è quello cui si ispirano le democrazie; il secondo, invece, le oligarchie. L'esperienza politica e la consapevolezza della dinamica conflittuale per la conquista del potere di governo degli esseri umani ha fatto finora organizzare dei regimi intermedi di governo nei quali coesistono sia la parte democratica sia la parte oligarchica (la Costituzione mista, definita Politia da Aristotele). L'equilibrio, però, è sempre stato, e sempre sarà, precario perché, inevitabilmente, come già messo in evidenza da Aristotele, la parte democratica cercherà continuamente di estendere a tutta la Comunità-statale  la sua idea di eguaglianza e libertà, così come la parte oligarchica agirà per affermare la disuguaglianza nella distribuzione delle ricchezze (e onori e cariche pubbliche). È del tutto evidente, perciò, che finché non si riuscirà a rendere del tutto omogenea la Comunità-statale (composta, cioè, da cittadini tutti sostenitori dell'eguaglianza oppure tutti sostenitori della diseguaglianza) non sarà mai possibile una convivenza pacifica e un fine generale condiviso. E non sarà mai sufficiente nessun principio, né valore o dogma politico che evochi la Unità o la Indivisibilità del Popolo e delle sue istituzioni finché ci sarà diseguaglianza sostanziale tra i cittadini. Non ci sarà mai, perciò, unanime condivisione tra ricchi e poveri (né tra lavoratori pubblici e privati, o tra precari e a tempo indeterminato, ecc.) della stessa Costituzione, anche quando sembri accettata da tutti. Osservando l'azione svolta finora dalle forze politiche si riscontra che l'amalgama e la pace sociale non sono state mai una priorità; anzi, ha sempre prevalso la logica "spartitoria e divisoria" (e anche la legge elettorale rafforza le separazioni). Purtroppo è andata in questa stessa direzione la cosiddetta "rottamazione generazionale", la quale, come è ben evidente nei fatti e dagli atti finora compiuti, ha seguito la medesima logica "divisiva", riconoscendo provvidenze e risorse soltanto ad alcuni segmenti sociali ed economici. Non è oggettivo, perciò, affermare che è in atto un contrasto tra coloro  che "guardano al futuro" e quelli che rappresentano il passato, né tra coloro che dicono sempre No e non sanno mai dire Si, perché, in verità, c'è soltanto una lotta di potere, per cui, comunque andrà il Referendum, in Italia continuerà a persistere la diseguaglianza sociale ed economica tra i cittadini. Anzi, spostandosi, con la Riforma, l'attuale primato politico del Parlamento in favore del Governo, che riduce la rappresentanza, si avrà un ulteriore rafforzamento della parte oligarchica nella Comunità-statale con conseguente estremizzazione delle diseguaglianze. Aristotele sosteneva che alla base di ogni Stato c'era la famiglia naturale e che in questa tutti i componenti (genitori e figli) godevano degli stessi beni e di tutti i beni disponibili. Dalla "fusione" delle singole famiglie e con aggregazioni successive sempre più complesse sono sorti gli Stati (le Comunità-statali), ma molti di questi, se non tutti, non hanno conservato e protetto il vincolo originario, che teneva unite le singole famiglie naturali, ossia la comunanza dei beni (oltre all'affetto e al vincolo di sangue). La regola politica (la legge), perciò, ha alterato gli istinti naturali degli esseri umani che non erano di ostacolo alla condivisione delle risorse, rendendo, così, la società civile peggiore dello "stato di natura". In questa fase il Governo italiano e i Comitati per il Si stanno affermando che con la Riforma costituzionale viene modificata soltanto la seconda Parte, ossia quella dell'organizzazione dello Stato (più precisamente della Repubblica), senza toccare la Prima Parte, cioè quella dei diritti. Trattasi di uno slogan che, sebbene possa risultare efficace nella comunicazione, tuttavia veicola un'idea pericolosa per l'equilibrio, i princìpi e i valori della democrazia, perché in realtà si riorganizza soltanto il potere del governo ma non si interviene sulle diseguaglianze dei diritti. Il vero cambiamento, infatti, e l'unico, per chi un giorno volesse realmente riorganizzare la Comunità-statale italiana, è solo quello che tocca l'art.3 della Costituzione, modificandolo nel senso di fissare l'eguaglianza reale e sostanziale tra i cittadini nella distribuzione delle risorse, oltre a quella formale "dinanzi alla legge". Solo in questo modo ci saranno garanzie per tutti e si potrà avere una Comunità-statale omogenea con un fine generale condiviso. E così non avrà più alcuna importanza neppure chi guida il Governo, se il Parlamento sia bicamerale o monocamerale, né il bicameralismo paritario o differenziato, né la legge elettorale maggioritaria o proporzionale, e neppure se rimangano le Province, il CNEL, le Regioni e il Titolo V, perché sarà l'eguaglianza reale e sostanziale a prevalere su tutto, divenendo inefficace qualsiasi logica divisoria dei partiti e delle oligarchie.

 
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