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Empire Of slack

Un poeta non è nulla se non l'ombra di sè stesso

 

 

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Una sera. II e ultima parte.

Post n°143 pubblicato il 30 Novembre 2015 da christie_malry

 







Fu solo quando dovette scendere alla sua fermata che tutti
ci accorgemmo che non era più in grado di deambulare da
sola. La teppaglia di ragazzini alle sue spalle aveva, con
tutta probabilità, tagliato una gomma delle sue ruote e, mal
grado si facesse forza con le braccia, non riusciva a staccarsi
dal terreno del bus. Fu allora che il mio amico, il vecchio
ingegnere, mi stupì con la sua pronta reazione: scattò in
avanti traversò metà convoglio e impugnò saldamente le
manopole della carrozzella aspettando che l'armamentario
per permettere il trasbordo venisse messo in funzione. Io,
per non sapere cosa fare, mi accodai alla sua figura alta
e dinoccolata e mi posi a fianco della ragazza, che ci fissava
con un sorriso misto a timidezza. Quando fummo pronti
infilammo la passerella anche se l'ingegnere faceva non
poca fatica a mantenersi nel giusto equilibrio con uno
pneumatico fuori uso. Comunque approdammo sul
marciapiede e subito entrambi chiedemmo alla giovane
dove fosse diretta, che l'avremmo accompagnata. Ci disse
il nome della via (che era dietro l'angolo) e si presentò
come Haleema porgendoci educatamente la mano e
ringraziandoci per i nostri sforzi. Ci avviammo laboriosamente
in mezzo alla gente, che non la finiva di osservarci, e,
sbandando paurosamente, giungemmo all'imbocco del
palazzone degradato dove risiedeva la giovane. Suonammo
al campanello che Lei ci indicava, e ben presto ci fu aperto.
Stipati dentro un vetusto ascensore arrivammo al quinto
piano e sentimmo spalancarsi una porta sul corridoio buio nel
momento esatto in cui Noi sortivamo da quel vecchio arnese.
Sulla soglia stava una donna insieme a un bambino piccolo.
Zahira (questo era il nome della madre di Haleema) ci fece
cenno di avanzare e ben presto fummo nella casa, piccola
stretta e piena di profumi di cibo. Fummo introdotti ai tre
fratelli della ragazza (Akram, Lutfi e Qays), al padre Thaquib,
nonché alla nonna, vedova di guerra, Adeela. Restammo
per un po' sulle nostre. Il nostro dovere di cittadini lo
avevamo fatto ma l'Ingegnere sembrava volere di più. Si
capiva che quell'ambiente antico e familiare lo rimandava
indietro negli anni e Gli faceva venire un groppo alla gola.
Io continuavo a sorridere, stupidamente, come facevano
del resto i nostri interlocutori palestinesi. Alla fine l'Ingegnere
mostrò ai ragazzini alcune giochi di ombre cinesi contro la
parete e fummo obbligati a fermarci a mangiare. Le luci si
fecero più splendenti, una melodia araba uscì dal piccolo
stereo sopra una mensola e attendemmo le portate seduti
a tavola con la famiglia di Haleema. Fuori il crepuscolo
non faceva più a pugni con le luci fastidiose dell'elettricità.
Le aveva decisamente soppiantate e ora dominava quasi
incontrastato lungo la viuzza stretta dove riposava il grosso
e sgraziato palazzone. L'Ingegnere alzava le mani mentre
conversava con Thaquib, mentre Io iniziavo un dialogo con
molte pause e imbarazzi insieme alla giovane. Mi parlava della
sua università e mi raccontava dei suoi ottimi risultati
mostrandomi orgogliosa un libretto marrone. Io l'ascoltavo
e replicavo a battiti di parola mentre i suoi occhi mi facevano
annegare nella storia sempre ripetuta, e quanto mai attuale,
degli uomini e donne giuste e delle loro sublimi sconfitte.
Fuori la notte di sabato stava già diventando la mattina di
domenica. E i bambini erano già a letto.





(Fine)





 
 
 
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