È entrato nella porta. Era vestita di spessore. Era di fronte a lei.
Lei arrossì, lo fissò per un secondo, poi abbassò lo sguardo. Fastacre sulla soglia.
Si avvicinò, le mise una mano tra i capelli dal collo, bussò alla porta, poi la baciò sull’angolo della bocca.
La prese per mano e la condusse al centro della stanza, dove iniziò a spogliarla.
Per la prima volta le ha dato timidezza, emozioni e illusioni.
Seguì l’ingenuità, che si strappò ai denti.
L’orgoglio lo prese a calci, ne era annoiato.
Con una mano brandiva la dignità del perverso, e con l’altra spezzava la sua naturalezza.
Non riusciva a credere a quanto poteva essere vestita di spessore.
Cominciò a tremare: lanciava sorrisi, sicurezza, calore, innocenza e potere.
E si è fermato. La guardò con sospetto. Sapeva che stava nascondendo qualcosa.
Mentre si toglieva il cappotto della personalità, si dimenticò di camminare in tasca.
In uno trovò ironia, umorismo, sogni e ricordi, e nell’altro trovò paura, frustrazioni, nervi, lacrime e odio.
Lo lasciò vuoto nel mezzo della stanza e voleva andarsene. Lo prese per mano:
– Hai dimenticato qualcosa.
– lo so. Non lo voglio, non ho niente a che fare con lui.
– Per favore … è polveroso, vecchio, stanco e sporco, ma devi prenderlo.
Lui spinse la mano da un lato, sorridendo ironicamente, e lei gli sbatté l’anima in faccia.
– Se non lo vuoi, non lo voglio.
Cadde in piedi, fissando la povera anima che svolazzava sul pavimento.
Si sedette accanto a lui.
Ora erano entrambi calmi e guardavano silenziosamente la morte di un’anima.
– Come hai potuto farlo?
Sussurrò:
“Almeno sapevo cosa significasse averne uno.”