EsperienzaemozionaleUn viaggio nel tempo e nello spazio, come lo è la vita stessa, dove riscoprire se stessi. |
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« La musica nel cuore | possibile futuro » |
Deerees nemads in the mongolian skies Filmakingfarm con il paramotore sulle steppe mongole e su un Gobi senza precedenti Non so se ho provato maggiore commozione volando sull'Hustai National Park dove tutto è stato davvero incredibile, dove mi sentivo un pioniere per aver inseguito gli ultimi esemplari al mondo di cavallo Takhi, un esploratore dei cieli osservato da tutti e da tutto, con la natura che mi avvolgeva e non mi faceva sentire più nemmeno il freddo (che la brezza che soffia a quelle latitudini e altitudini ragionevolmente trasmette) oppure se è stato più emozionante ancora quando sono atterrato un po' più in là, al campo base, quasi in verticale, in un raggio di pochi metri e, in un attimo, tutti i bambini mi sono corsi attorno come se fosse caduto un eroe dal cielo. Non so, magari si chiedevano se ero vero, in carne ed ossa, esattamente come mi sarei stupito io se, alla loro età, avessi visto piombarmi per strada, quasi sui piedi, l'Uomo Ragno. La guida, prima della partenza, mi aveva detto che dopo qualche giorno le aquile non le avrei nemmeno più considerate: non ci credevo, e se ci ripenso continuo a considerare incredibile che fossero tanto numerose quanto i piccioni a Milano. O gli avvoltoi. Ti rendi conto di quanto sono grandi solo se si posano accanto a qualcosa di cui hai bene in testa le dimensioni, allora ti accorgi di quanto siano maledettamente grossi; ecco perchè talvolta i nomadi legano i neonati ai termosifoni, così gli avvoltoi non possono portarseli via. Sembrerebbe un aneddoto, una "leggenda metropolitana" mongola, ma ho visto abbastanza di quel paese per credere che sia vero, sebbene ancora non mi sia riuscito di capire che cosa se ne facciano i nomadi dei termosifoni, nelle gher poi...In effetti anche loro non devono aver tanto chiaro in testa l'utilizzo migliore per cui impiegarli, tant'è che se ne servono come gradini d'ingresso alle tende, o come elementi delle recinzioni. Invece sul deserto del Gobi si può dire che il volo è onesto. E' tutto piatto e prevedibile, o quasi. Perchè ti aspetti che all'alba ed al tramonto il vento vada a dormire e parti tranquillo delle tue convinzioni. Poi sembra che Lui, il Gobi, te lo dica, sai che le condizioni sono forti, che il vento tira e le termiche pure. Sai anche che basta lo zoccolo di un cammello a staccare un dust devil...sai tutto questo e ti alzi prima dell'alba speranzoso che il deserto ti lasci una finestra di volo ma a volte è meglio se ripieghi la vela (e la boria), la rimetti nel suo sacco e ritorni nella tua tenda a dormire un altro paio d'ore, altrimenti ti può capitare di dover passare il giorno bestemmiando e credendo che sia tutto finito lì, che uno strappo della stoffa sia la conclusione del viaggio. Però in Mongolia è stupido credere che la prima impressione sia anche l'ultima e forse è vero che il Buddha, con le sue quattro facce rivolte in tutte le direzioni, vede e provvede a tutto, per cui ti rimbocchi le maniche, non ti scoraggi, tiri fuori il tuo cordino di emergenza e ne estrai l'anima, recuperi ago, pinze e tanto, tanto, nastro americano e ci dai dentro. Poi speri di essere stato sarto quanto basta e che il Buddha non abbia altre prove da farti superare lungo il cammino permettendoti di volare dove nessuno l'ha ancora fatto prima di te. Nel Gobi ho lasciato un pezzo di me, io con il Gobi ho parlato a Mandalovoo e ho cantato assieme a lui alle Flaming Cliffs; forse è per questo che mi ha capito e mi ha lasciato il passo...io rispettosamente l'ho accarezzato con la vela e con l'elica ho soffiato la sua sabbia. Sono stato il primo al mondo a fare questo, proprio là dove milioni di anni fa passeggiavano i dinosauri, quell'immensa palude che oggi è diventata una strepitosa catena di falesie fiammeggianti, le Flaming Cliffs appunto. Potrei anche non scriverlo, è vero, tanto io lo so che è così -e lo sa anche il Gobi- ma se lo scrivo forse qualcun altro aprirà domani altre vie, non lì ma altrove, e sarò io ad andare a vedere, dopo di lui, e a vivere altre esperienze indimenticabili. DEEREES trailer from flavio nani on Vimeo. |
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L'ho letto d'un fiato perchè mi ha regalato una botta di nostalgia.
Sono stata in Mongolia, un paese che sa regalare emozioni pure: la terra degli sciamani, dei monasteri sperduti in quell’immensa vastità in cui i bambini monaci recitano antichi mantra, dei nomadi che ti sanno accogliere nelle loro gher, quelle bianche tende di feltro, con una semplicità genuina.
Per ringraziarti ti racconto una storia tratta dal I film “la storia del cammello che piange” di Byambasuren Davaa.
Primavera nel Deserto dei Gobi, Mongolia del sud.
Una famiglia di pastori nomadi aiuta a far nascere i cammelli del loro branco.
Uno dei cammelli ha un parto terribilmente difficoltoso e doloroso ma, con l'aiuto della famiglia, viene alla luce un bellissimo cucciolo bianco.
Nonostante gli sforzi dei pastori, la madre rifiuta il nuovo nato, negandogli brutalmente il suo latte e l'amore materno.
Quando tutte le speranze per il piccolo sembrano essere svanite, i nomadi inviano due dei loro bambini nel deserto, in cerca di un musicista…
Il suono arcaico del violino e i canti melodici di una delle donne arrivano al cuore della madre del piccolo cammello: quando le viene portato nuovamente il cucciolo, scoppia in lacrime e gli lascia finalmente prendere il latte di cui ha bisogno per sopravvivere
Mi ha affascinato questo rituale antichissimo che cura con la musica il rifiuto dei cuccioli da parte delle cammelle.
E mi ha colpito la soluzione di vita di quel popolo nomade: solidarietà verso i più deboli, non arrendersi mai quando la vita è in pericolo, che sia la vita di un bambino o di un cucciolo di animale.
Namasté