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I vantaggi dell'unità d'Italia

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« Cosa c'è da festeggiare?La Sicilia ai siciliani »

Buon compleanno Italia? In Sicilia è lutto

Post n°2149 pubblicato il 17 Marzo 2012 da luger2
 

Il 17 marzo si celebra l’anniversario dell’Unità d’Italia. Si festeggiano 151 anni di sfruttamento delle regioni meridionali. Della Sicilia, ancora di più. Che, con l’intelligenza e il sangue dei suoi uonimi, ha lottato per il riconoscimento del suo Statuto speciale. Per questo motivo, LinkSicilia, proclama una giornata di lutto “nazionale” come avrebbe detto Andrea Finocchiaro Aprile, che sognava una Sicilia nazione. La Sicilia, con il suo Statuto tradito e mortificato. La Sicilia, che come dimostrato dal professor Massimo Costa, tra i massimi esperti in materia di storia siciliana, avrebbe tutte le carte in regola per vivere  bene senza la farsa dell’Italia unita. La Sicilia, ma anche le altre regioni meridionali. Come dimostrato, sulla base di rigorose analisi economcihe. dalla Svimez, l’Associazione per lo sviluppo industriale del Sud Italia, nel 1860 in realtà c’era una quantità di insediamenti industriali simile tra Nord e Sud. Poi alla fine dell’Ottocento e ai primi del Novecento inizia lo sviluppo del grande triangolo industriale (Milano-Torino-Genova) e da quel momento il Mezzogiorno non riesce più a tenere il passo. Se nel 1861 il Pil tra le due aree era simile, cioè pari a 100 per entrambi, dopo 150 anni il Pil del Mezzogiorno risulta pari solo al 59% del Centro-Nord. Eppure i trattati di oggi cominciano a parlare di parità di Pil, non evidenziando il fatto che in ogni caso la ricchezza e le riserve auree erano al Sud, motivo per cui il Regno sabaudo in bancarotta lo invase senza dichiarazione di guerra per sanare i propri debiti. Un sopruso che ancora aspetta giustizia. Un’ingiustizia messa in musica da Eddy Napoli che, con questa canzone, riassume tutto quello che è contenuto nelle analisi economiche e nella storiografia revisionista. Noi non abbiamo nulla da festeggiare. Anzi…

Per l’occasione funesta consigliamo, a chi non lo avesse già fatto la lettura del libro di Giordano Bruno Guerri dal titolo: “Il sangue del Sud”:
«Nel 1861 si compiva il sogno secolare di poeti, politici e intellettuali. Ma l’Unità d’Italia, realizzata soprattutto grazie all’abilità diplomatica di Cavour e al temperamento incendiario di Garibaldi, integrava davvero identità, culture, tradizioni, lingue diverse? Oppure si era raggiunta soltanto l’unità politica? Una parte del nuovo Stato era già ‘italiana’, l’altra non lo era affatto. Occorreva dunque costringerla a essere diversa da sé, a costo di snaturarla. Ai primi segni di insofferenza del Sud, nacque una contrapposizione rancorosa: ‘noi’ contro ‘loro’. ‘Noi’, i civilizzatori; ‘loro’, i brutali indigeni. ‘Noi’, i portatori di giustizia e legalità; ‘loro’, i briganti. A dividere gli uni e gli altri, c¿era una diversità radicale e radicata, non un¿inconciliabilità momentanea».
In un contesto simile non fu difficile etichettare la ribellione – di contadini, borbonici e clericali – come «brigantaggio» e scatenare, sotto il nome di lotta al banditismo, un durissimo conflitto militare, in cui il neonato Regno d’Italia giunse a impiegare quasi la metà dell’esercito, a radere al suolo interi paesi e a instaurare la dittatura militare, in una vera e propria guerra civile con più vittime di quella del 1943-45.
Giordano Bruno Guerri rilegge la vicenda del Risorgimento e del brigantaggio come una «antistoria d’Italia»: per liberare i fatti dai troppi luoghi comuni della storiografia postrisorgimentale (come la pretesa arretratezza e miseria del Regno delle Due Sicilie al momento della caduta) e per evidenziare, invece, le conseguenze, purtroppo ancora attualissime, della scelta di affrontare la «questione meridionale» quasi esclusivamente in termini di annessione, tassazione, leva obbligatoria e repressione militare. Il Sud è stato trattato come una colonia da educare e sfruttare, senza mai cercare davvero di capire chi fosse l’«altro» italiano e senza dargli ciò che gli occorreva: lavoro, terre, infrastrutture, una borghesia imprenditoriale, un’economia moderna. Così, le incomprensioni fra le due Italie si sono perpetuate fino ai nostri giorni.. “Non si tratta di denigrare il Risorgimento, bensì di metterlo in una luce obiettiva, per recuperarlo – vero e intero – nella coscienza degli italiani di oggi e di domani”.Noi non abbiamo nulla da festeggiare. Anzi. E ancora di più ci duole che il capo di questa finta Repubblica sia un uomo del Sud. Un uomo di sinistra, che, forse, in quanto tale rinnega tutto e tutti. La sinistra italiana, d’altronde, da Enrico Berlinguer in poi, tranne rare eccezioni, somiglia ad un’accozzaglia di opportunisti che come il gas, sono pronti ad assumere la forma del contenitore che li accoglie. 

tratto da www.linksicilia.it

 

 
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