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Ode alla primavera

Post n°79 pubblicato il 21 Marzo 2016 da ingridmessina

IL PASSERO SOLITARIO

 

D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.

 

 

Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de' provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch'omai cede la sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s'allegra
. Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell'aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno, 
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.

 

 

Tu solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni nostra vaghezza
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all'altrui core,
E lor fia voto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest'anni miei? Che di me stesso?
Ahi pentiromi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.

 






Il canto risulta scritto da Leopardi nel 1831, ma progettato fin dal 1819-1820. Sebbene Il Passero Solitario sia stato scritto dal poeta in età avanzata, compare all'interno dei Canti fra i componimenti della prima giovinezza; il canto appartiene infatti per origine remota alla giovineza del poeta, e di quella giovinezza ne era una rievocazione comprensiva e affettuosa. La prima stanza è una descrizione delle abitudini di vita del passero solitario, in essa troviamo una prima descrizione del passero come colui che mira il modo di vivere gioiosamente la primavera, la gioventù, degli altri animali; egli invece canta e pensoso rimane in disparte: fin da questo punto è ben evidente la similitudine con la vita del giovane poeta che potremo vedere descritta nella seconda stanza. Il paragone tra la condizione dell'animale e quella dell'uomo è invece ripreso nella terza stanza; ormai è passata la gioventù, il passero che ha vissuto secondo natura non si duole della sua vita, mentre il poeta si chiede cosa nè è stato della propria. Interessante è notare come anche la vecchiaia e la morte in quest'ottica hanno espressioni ben differenti: per il passero essa non è nient'altro che la sera del giorno che le stelle gli hanno concesso, mentre per il Leopardi essa è la detestata soglia che si cerca di evitare. Si può in ultima analisi notare un paragone tra la vita del passero priva di coscienza e memoria è quindi incapace di nostalgiche riflessioni, e quella del poeta al contrario straordinariamente ricca di emozioni lasciate, non vissute e quindi rimpiante.


 

 

 
 
 
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