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Valtellina: il costume tradizionale grosino

Post n°91 pubblicato il 22 Aprile 2016 da ingridmessina


Ogni paese, soprattutto nelle località dove le vecchie tradizioni sono ancora vive e


si perpetuano da una generazione all’altra, e non solo ad uso e consumo dei turisti


muniti di macchine fotografiche o fotocamera, annovera spesso tra queste anche i


“costumi tipici”.  

 

Sono soprattutto le località alpine e prealpine quelle che amano ancora queste


antiche consuetudini, in particolare nelle zone altoatesine, ma anche in alcune realtà


valtellinesi, come ad esempio a Grosio, paese di circa seimila abitanti nella media


valle, a metà strada tra Tirano e Bormio, in Valtellina.


La maggior parte dei Grosini, sia quelli più anziani che i giovani, sono molto legati


alle loro tradizioni, tra cui c’è appunto il costume femminile, indossato in modo


spontaneo dalle persone anziane fino a pochi anni or sono.


 

Attualmente non si perde occasione per sfoggiarlo con orgoglio durante processioni,


cerimonie religiose o civili, feste folcloristiche.

 

Il costume tradizionale viene conservato gelosamente in un baule assieme agli


accessori: bottoni, spilloni, nastri, fazzoletti e cappelli, a volte le alle scarpe.

 

Un tempo le donne avevano nel loro guardaroba 4 abiti: quello da lavoro, quello


da festa, quello da sposa, caratterizzati da colori sgargianti rosso, giallo e blu


e quello da lutto, con tonalità scure.

 

Costumi tradizionali grosini

Nel costume maschile, meno usato, spiccano il colore rosso del gilét su


pantaloni neri e il verde delle “balle”, ossia dei lacci a pon pon, mentre la


fascia veneziana dà all'abito un tocco pittoresco.

 

La tradizione è d’epoca cinquecentesca, quando diverso grosini si recarono a


lavorare nei cantieri della Serenissima e ne tornaroro con qualcosa in più, in termini


di usi e costumi, oltre che di bellissime schiave, si dice arabe e armene, con la


quale avrebbero ripopolato il paese.

 

Fatto sta che a Grosio si cominciarono a vedere ricchi costumi di buon tessuto,


orecchini ed ornamenti raffinati, sete preziose e filigranate; abiti che via via si


sono trasformati fino all’800, quando assunse l’aspetto che attualmente viene


sfoggiato ormai solo nel corso degli eventi folkloristici.

 

Il costume femminile da festa comprende una lunga ed ampia gonna nera


fittamente pieghettata, con il busto allacciato da un fettuccia nera ed un sottile


fiocco rosso, la quale copre la sottoveste bianca, orlata di pizzi; sopra alla gonna


c’è un lungo grembiule di seta, che cambia colore a seconda delle occasioni di


festa, matrimonio, funerali o battesimi.

 

La parte superiore comprende un giubbotto di raso damascato dalle maniche


rigonfie, con velluto nero alle maniche ed al collo con bottoni di filigrana d’oro o


d’argento; fa parte del costume anche la cosidetta “pezza del stomec” un vellutato


panno rosso di forma triangolare allacciato all’altezza della gonna che serve per


sostenere il seno; le spalle sono coperte da un ampio scialle di seta ricamato con


lunghe frange.

 

In testa uno strano cappello di feltro nero a falda tondeggiante, con una piuma


di struzzo ed un fiocco nero, mentre le gambe sono coperte da calze di lana rossa; le


orecchie sono spesso impreziosite da bellissimi orecchini filigranati, così come


il collo, attorno al quale vi sono alcuni giri di granati e l'immancabile crocifisso.


Quello da lavoro è molto più semplice, e comprende una gonna di panno o fustagno,


con una camicia bianca a maniche rimboccate senza colletto ed un grembiule di


cotone; ad ingentilire la figura un foulard colorato e una modesta “pezza del


stomec”.

 

In testa, al posto del cappello della festa, un fazzoletto ed ai piedi gli zoccoli di legno


chiodati dalla punta aguzza e ricurva, a ricordare le calzature indossate in oriente,


forse una memoria delle origini.








 
 
 
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