IL FARAONE AKHENATON

il faraone eretico....adorava il dio sole..per lui un disco

 

 

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Ake.....Occhio alle bufale nel web ...

Post n°171 pubblicato il 23 Settembre 2016 da akenaton611

 
 
 

AKE.... Bushido La via del Guerriero

Post n°170 pubblicato il 23 Marzo 2015 da akenaton611

Il Bushido (La via del Guerriero) si fonda su sette concetti fondamentali, ai quali il samurai dedica la sua vita:


義, Gi: Onestà e Giustizia

Sii scrupolosamente onesto nei rapporti con gli altri, credi nella giustizia che proviene non dalle altre persone ma da te stesso. Il vero Samurai non ha incertezze sulla questione dell'onestà e della giustizia. Vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.


勇, Yu: Eroico Coraggio

Elevati al di sopra delle masse che hanno paura di agire, nascondersi come una tartaruga nel guscio non è vivere. Un Samurai deve possedere un eroico coraggio, ciò è assolutamente rischioso e pericoloso, ciò significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso. L'eroico coraggio non è cieco ma intelligente e forte.


仁, Jin: Compassione

L'intenso addestramento rende il samurai svelto e forte. È diverso dagli altri, egli acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune. Possiede compassione, coglie ogni opportunità di essere d'aiuto ai propri simili e se l'opportunità non si presenta egli fa di tutto per trovarne una.


礼, Rei: Gentile Cortesia

I Samurai non hanno motivi per comportarsi in maniera crudele, non hanno bisogno di mostrare la propria forza. Un Samurai è gentile anche con i nemici. Senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale. Il Samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia ma anche per come interagisce con gli altri uomini.


誠, Makoto o 信, Shin: Completa Sincerità

Quando un Samurai esprime l'intenzione di compiere un'azione, questa è praticamente già compiuta, nulla gli impedirà di portare a termine l'intenzione espressa. Egli non ha bisogno né di "dare la parola" né di promettere. Parlare e agire sono la medesima cosa.


名誉, Meiyo: Onore

Vi è un solo giudice dell'onore del Samurai: lui stesso. Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà. Non puoi nasconderti da te stesso.


忠義, Chugi: Dovere e Lealtà

Per il Samurai compiere un'azione o esprimere qualcosa equivale a diventarne proprietario. Egli ne assume la piena responsabilità, anche per ciò che ne consegue. Il Samurai è immensamente leale verso coloro di cui si prende cura. Egli resta fieramente fedele a coloro di cui è responsabile.

 
 
 

Ake.......Ciao Rene'

Post n°169 pubblicato il 03 Gennaio 2015 da akenaton611

Cara amica ora sei libera dalle sofferenze terrene,
hai raggiunto la tua piccola adorata figlia persa 
prematuramente in questa vita,so' per certo che ora
non sei sola e sei felice.
Noi,i tuoi amici di Libero,ti ricorderemo sempre,
per l'amica leale e sincera che eri e che sei.
Ho lasciato i miei pensieri nel tuo blog,chissa' 
magari dove sei ora,quando ti annoi,puoi sempre leggerli
e farti una risata,ricordando le nostre lunghe
conversazioni telefoniche,dove si affrontavano
tematiche piu' disparate e si finiva sempre con
il prendersi un po' in giro e ridere come matti.
Si mi mancheranno quelle telefonate,ma soprattutto
mancherai tu.
Ciao Rene',buona vita oltre la vita.
Arrivederci cara amica.
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Antonello

 
 
 

Ake....Quando le madri uccidono

Post n°168 pubblicato il 11 Dicembre 2014 da akenaton611

"Quando le madri uccidono"

Se Veronica non confessa, questa storia terribile sarà di nuovo come quella di Anna Maria Franzoni, con tutto il suo orrore e le sue certezze, e con tutto quel tempo e quei processi passati a rivedere il massacro di un bambino da un qualsiasi studio tv o da un’aula di tribunale, come se non fossero altro che un lavacro per ripulire le nostre coscienze e i nostri dubbi. Lei non ha fatto come Veronica Sbano, 32 anni, di Carovigno, in Puglia, che uccise la figlia di 3 anni facendole bere del diserbante lasciando un biglietto accanto prima di buttarsi dal secondo piano: «Benedetta la porto via con me». O come quell’altra madre che strangolò i suoi bambini di 5 e 8 anni, e poi distese i loro corpi sul lettino con le mani congiunte sopra il cuore. Anche lei si tolse la vita, impiccandosi. Perché le madri che uccidono i propri figli uccidono una parte di se stesse, tolgono alla loro vita una ragione della loro essenza. Molte lo fanno come Medea, che compì il terribile gesto per punire Giasone, il marito che si era innamorato di un’altra donna. E appena pochi mesi fa una mamma di 29 anni, di origini albanesi, a Lecco accoltellò i suoi tre piccoli un mese dopo che il suo uomo l’aveva abbandonata. Tentò di uccidersi pure lei, ma prima di entrare in sala operatoria lasciò la sua flebile e tragica confessione: «L’ho fatto perché sono disperata». 
Ma al di là dei miti e delle ragioni folle e disperate che spingono una madre ad ammazzare la propria creatura (solo nel nostro Paese 80mila donne all’anno soffrono di depressione post partum, senza che neppure quelli che le stanno vicino lo sappiano) sono altre le cose terribili che colpiscono di più le nostre coscienze. La prima è che dobbiamo ammettere che la mamma che uccide il figlio è come l’uomo che uccide la donna, cioé il brutale esercizio di un potere ancestrale e primitivo sul soggetto più debole, posseduto come una proprietà esclusiva. La verità è che l’amore è una prova molto ardua da affrontare, «la difficilissima consapevolezza», come dice la filosofa Iris Murdoch, «che esiste qualcosa di reale oltre a noi». Troppe volte, invece, finiamo per non rendercene conto, continuando solo ad amare noi stessi attraverso gli altri, e non gli altri attraverso noi. E’ un circolo vizioso che può portare all’esaltazione e alla deformazione della realtà. «Il troppo amore fa male come il non amore», mi confessò una volta Serena Cruz, adottata da due famiglie diverse in una guerra senza fine. Non a caso, la psicoterapeuta francese Benhaim sostiene che «quando l’amore è estremo si approssima alla morte». Ora, se in Italia i figlicidi sono una piccola parte della cronaca rispetto al femminicidio, visto che da noi ogni 3 giorni muore una donna uccisa da un uomo, è altrettanto vero che l’assassinio di un figlio sembra ancora più terribile, perché esprime una violenza sul soggetto più debole e indifeso di tutti. Nessuno protegge i bambini, neanche la legge. E’ un dramma che riguarda tutti. Se nei Paesi più sottosviluppati e più poveri del mondo, i bambini sono addirittura sfruttati come guerrieri, vengono fatti prostituire, venduti come schiavi o usati per il fiorente mercato degli organi, in quelli più ricchi il figlio diventa centrale nella famiglia moderna guastata dal benessere, vittima persino di un altro dramma della nostra società evoluta: il troppo amore, non quello di Iris Murdoch, però, semplicemente il nostro, malato amore. 
In questa scala di valori della nostra comunità, in questa classifica gerarchica, più deboli delle donne ci sono solo i figli, spesso considerati l’unico ambito su cui esercitare il proprio potere da donne afflitte dalla propria disperazione o che inseguono altri sogni per se stesse e per loro. In provincia di Roma, poco tempo fa, una mamma uccise le sue tre figlie di 13, 10 e tre anni, e poi quando confessò tutto davanti al magistrato, disse: «tanto sarebbero diventate prostitute e avrebbero solo sofferto». Colpisce il fatto che sia proprio la donna a esprimere questa violenza. Ma la verità è che non sempre essere dalla parte debole della storia insegna a guardare le cose da un altro punto di vista, a rifiutare i rapporti di dominio, e a prendere le parti del sottomesso, come pensava Virginia Wolf, diventando quasi un manifesto del femminismo. Non è così, anche perché la donna è rimasta sempre più sola, nella sua crescita di potere, e nel suo ruolo dimezzato di madre prigioniera della luccicante società dei consumi. Se Veronica Panarello ha davvero ucciso il piccolo Loris, non dovremmo nemmeno stupirci troppo dell’incredulità di suo marito, David Stival: «Se è stata lei, mi cade il mondo addosso, non ci posso credere...». 
Come qualunque medico e psicoterapeuta può spiegare benissimo, molte delle depressioni post partum sono sconosciute alle famiglie e alle stesse madri, che provano persino vergogna a confessarle, come se quella malattia fosse una colpa. Oltre la violenza, la follia e la disperazione di una mamma assassina, c’è questa solitudine infinita, che riguarda tutte le donne, lasciate sole da tutta la gente rassicurante che galleggia sulla superficie delle cose opache e non scende mai dentro a guardare la verità, con tutto il suo mondo anche torbido di angosce e di dolori. Potrebbe trovare la paura.

Pierangelo Sapegno

-La Stampa-


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Solo tanta tristezza,ogni commento è superfluo.


Buona serata a tutti 

Antonello


 
 
 

AKE...MEGLIO UNA BELLA BUGIA CHE UNA SCOMODA VERITA'

Post n°167 pubblicato il 24 Luglio 2014 da akenaton611

LE SCOPERTE DI PADRE CARLO CRESPI E GLI ARTEFATTI CHE FANNO TRABALLARE L’ARCHEOLOGIA CONVENZIONALE.

La storia di Padre Crespi è una delle più enigmatiche mai rac...contate: una civiltà sconosciuta, manufatti incredibili, enormi quantità d'oro, simboli appartenenti ad una lingua sconosciuta e strane rappresentazioni che collegano l'America Precolombiana agli antichi Sumeri. La cronaca degli eventi, e il modo in cui sono stati trattati, secondo molti rivela ancora una volta una cospirazione per nascondere la verità sulla storia dell'umanità.
Padre Carlo Crespi nacque a Milano nel 1891 e morì nel 1982.
E’ stato un prete missionario salesiano che ha vissuto nella piccola città di Cuenca, in Ecuador, per più di 50 anni, dedicando la sua vita al culto e alle opere di carità.
Il religioso era una persona dai molti talenti: è stato educatore, botanico, antropologo, musicista, ma soprattutto un grande umanista.
Nel 1927, la sua vocazione missionaria lo ha portato a vivere fianco a fianco con gli indigeni ecuadoregni, facendosi carico degli indigeni e conquistandosi il rispetto della tribù dei Jibaro, i quali cominciarono a considerarlo come un vero amico.
Come segno di riconoscenza, nel corso dei decenni gli indigeni hanno donato a Padre Crespi centinaia di manufatti archeologici risalenti ad un’epoca sconosciuta, spiegando che si trattava di oggetti trovati in un tunnel sotterraneo che si trovava nella giungla dell’Ecuador. Molti di essi erano in oro, intagliati con geroglifici di una lingua sconosciuta e che ancora oggi nessuno è stato in grado di decifrare.
Gli oggetti erano stati recuperati dagli indios in una caverna molto profonda, detta in spagnolo Cueva de los Tayos, posizionata nella regione amazzonica conosciuta come Morona Santiago. La grotta, che si trova a circa 800 metri sul livello del mare, fu chiamata Tayos a causa dei caratteristici uccelli quasi ciechi che vivono nelle sue profondità.
Essendo un uomo di cultura, Padre Crespi presto si rese conto che gli straordinari manufatti presentavano inquietanti analogie con l’iconografia delle antiche civiltà mesopotamiche, suggerendo un qualche collegamento tra culture sviluppatesi su versati opposti del pianeta.
Come riporta Yuri Leveratto nel suo approfondito resoconto, Crespi era convinto che le lamine e le placche d’oro a lui donate, e da lui studiate, indicassero senza ombra di dubbio che il mondo antico medio-orientale antecedente al diluvio universale fosse in contatto con le civiltà che si erano sviluppate nel Nuovo Mondo, già presenti in America a partire da sessanta millenni fa.
Secondo Padre Crespi, gli arcaici segni geroglifici che erano stati incisi, o forse pressati con degli stampi, non erano altro che la lingua madre dell’umanità, l’idioma che si parlava prima del diluvio universale. Nella sua ingenuità di uomo di fede e di cultura, il religioso non si rese conto che le sue idee mettevano fortemente in discussione le teorie consolidate dell’archeologia convenzionale (ufficiale).
Visto che i manufatti donatigli avevano formato una collezione di oggetti davvero numerosa, nel 1960 Crespi chiese e ottenne dal Vaticano l’autorizzazione per creare un museo nella missione salesiana di Cuenca.
Quello di Cuenca è stato il più grande museo che sia mai stato creato in Ecuador, almeno fino al 1962, quando un misterioso incendio distrusse completamente la struttura, e la maggior parte dei reperti fu perduta per sempre. Tuttavia, Crespi pare sia riuscito a salvare alcuni pezzi nascondendoli in un luogo a lui solo noto.
Nel 1969, Juan Moricz, un ricercatore ungherese naturalizzato argentino, esplorò a fondo la caverna, trovando molte lamine d’oro che riportavano delle incisioni arcaiche simili a geroglifici, statue antiche di stile mediorientale, e altri numerosi oggetti d’oro, argento e bronzo: scettri, elmi, dischi, placche. Fu Crespi ad indicare a Moricz come entrare nella caverna e come trovare la giusta via nel labirinto senza fondo situato nelle sue profondità.
Nel 1972, fu lo scrittore svedese Erik Von Daniken a diffondere la notizia del ritrovamento del ricercatore ungherese. Quando la notizia dello strano ritrovamento di Moricz si sparse nel mondo, molti studiosi decisero di esplorare la caverna con spedizioni private.
Una delle prime e più ardite spedizioni fu quella condotta nel 1976 dal ricercatore scozzese Stanley Hall alla quale partecipò l’astronauta statunitense Neil Armstrong, il primo uomo che mise piede nella Luna, il 21 luglio 1969. Si narra che l’astronauta riferì che i tre giorni nei quali rimase all’interno della grotta furono ancora più significativi del suo leggendario viaggio sulla Luna.
Verso la fine degli anni ’70, Gabriele D’Annunzio Baraldi visitò a lungo Cuenca, dove conobbe sia Carlo Crespi che Juan Moricz. In quell’occasione Carlo Crespi confidò all’italo-brasiliano che la Cueva de los Tayos era senza fondo e che le migliaia di diramazioni sotterranee non erano naturali, ma bensì costruite dall’uomo nel passato.
Secondo Crespi la maggioranza dei reperti che gli indigeni gli consegnavano provenivano da una grande piramide sotterranea, situata in una località segreta. Il religioso italiano confessò poi a Baraldi che, per timore di futuri saccheggi, ordinò agli indigeni di coprire interamente di terra detta piramide, in modo che nessuno potesse mai più trovarla.
Baraldi notò che in molte placche e lamine d’oro erano ricorrenti vari segni: il sole, la piramide, il serpente, l’elefante. In particolare la placca dove venne incisa una piramide con un sole nella sua sommità venne interpretata da Baraldi come una gigantesca eruzione vulcanica che avvenne in epoche remote.
Quando Carlo Crespi morì, nell’aprile del 1982, la sua fantasmagorica collezione d’arte antidiluviana fu sigillata per sempre, e nessuno poté mai più ammirarla. Vi sono molte voci sulla sorte dei preziosissimi reperti raccolti pazientemente dal religioso milanese. Secondo alcuni furono semplicemente inviati in segreto a Roma, e giacerebbero ancora adesso in qualche caveau del Vaticano.
Molti archeologi convenzionali hanno accusato Padre Crespi di essere un impostore o semplicemente un visionario, il quale ha spacciato come autentiche delle lamine d’oro che erano semplicemente dei falsi o delle copie di manufatti medio-orientali. Ma a prescindere dalle accuse dell’establishment archeologico, restano le fotografie e le numerose testimonianze di molti studiosi a prova della loro veridicità.
Come scrive Leveratto nel suo articolo, l’impressione che si ha a leggere questa vicenda è che qualcuno abbia voluto occultare i fantastici pezzi archeologici collezionati e studiati dal religioso milanese. Ma perché? Eppure, come hanno dimostrato gli studi di Richard Cassaro, i paralleli tra le culture mesopotamiche e quelle precolombiane sono palesemente evidenti.
Perchè gli archeologi di epoca vittoriana ritenevano pacifica l’esistenza di una cultura madre antecedente che avrebbe poi generato culture figlie con lo stesso sistema iconografico, simbolico e religioso? E perchè oggi questa ipotesi è avversata ferocemente da archeologi militanti che negano a tutti i costi questa possibilità? Perchè non ricercare pacificamente? Quale valenza avrebbe per l’umanità sapere che discendiamo da un unica, avanzata civiltà globale antidiluviana?

Fonte: www.ilnavigatorecurioso.it

 
 
 
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