Colonnello Kurtz

Devo ricordare più spesso il percorso che mi ha condotto qui. Da dove sono partito, due anni e mezzo fa, con la profondità della mia solitudine, e un prato di cicorie e spine di rovo, canne di bambù e acqua stagnante per panorama, nessuno a guardarti fin dove occhio può scorgerne altri. Quando avevo dato fondo a tutte le mie risorse fisiche e mentali soltanto per cercare di rimanere in piedi ancora un po'. Quando ero fragile e indifeso, percosso dalla tempesta come ramo esile e già incrinato. Consapevole di esserlo, soprattutto. Solo, in una casa piccola piccola eppure così importante per ricominciare daccapo, per dare uno spazio al mio desiderio di pace e di speranza. Per ritrovare quell'equilibrio necessario a misurarmi, ancora una volta, con l'imperfetta bellezza dell'altro. E a crederci, e a danzarci insieme. E ad incontrare orchi panciuti, fate diafane, creature bizzarre ed umane, sin troppo umane per non temerne quasi il contatto. Ritrovare me stesso in uno sguardo compassionevole che scava dentro i miei stessi occhi, colmo di voglia di capire e di un senso nuovo per le parole di sempre. Lentamente e con fatica ho iniziato a rialzarmi, a gioire e a sentire sul viso il calore della vita. Oggi non sono più solo. Ho imparato a leggere intorno a me il mio stesso desiderio di pace e speranza, ad essere contento delle piccole cose all'apparenza banali ma preziose come l'aspro di un bicchiere di rosso, un braccio posato intorno ad una spalla, un bacio dato sulla fronte mentre incontro su di me il compassionevole  sguardo dell'altro, che in me riconosce la propria sofferenza e la propria fragilità. E poter gioire della sua imperfetta bellezza in cui mi ritrovo ad essere. Uomo.