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A volte penso a te, con il tuo zaino sulle spalle e gli stivali neri immersi nella sabbia. L'afa del centro città non era nulla in confronto al pressante calore della sabbia, percorrere interminabili chilometri su una jeep in mezzo al nulla è stato il benvenuto di una terra deserta. Il villaggio che ti ospitava per poche notti, in attesa che alcuni volontari ti facessero raggiungere il centro operativo, era formato da un minuscolo complesso di baracche e tende. Pochi nomadi l'avevano fondato alcune settimane prima del tuo arrivo. Probabilmente quella goccia di umanità svanì dopo la tua partenza. Attendevi ogni giorno l'arrivo di uno dei missionari, passavi le ore a scrutare l'orizzonte senza ricevere alcuna risposta. Uno scossone e una sonora risata ti svegliarono all'alba del sesto giorno del tuo viaggio. Vedere quel viso occidentale, coperto da due spessi occhiali da sole, posati su un enorme nasone, bruciato dal sole, ti fece tornare la speranza. Ancora sotto il sole, ancora sulla sabbia, ancora senza meta. |
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D'altronde ogni viaggio è anche [un po'] un sogno che diventa realtà.
L'attesa è a volte lunga, altre più breve, chissà la sua come sarà stata!
Ciao Chia! baci.
Partire per non tornare equivale forse a vivere un sogno allora?...
Secondo me c'è sempre una sorta di ritorno, tardi o presto.
Ma dipende dai casi: se c'è un motivo abbastanza valido per tornare si torna, altrimenti si rimane...
D'altra parte quando si parte per un viaggio, non si ha mai la certezza che si tornerà e e se si torna si è stati un po' "cambiati" dal viaggio stesso, quindi è come non tornare del tutto uguali a prima, qualcosa si lascia dove si è stati, e quella parte non torna indietro...Chissà!