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filo aperto con tutti coloro che s'interrogano sull'organizzazione politica della società e che sognano una democrazia sul modello della Grecia classica

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IL "REGIONALISMO DIFFERENZIATO"

Post n°1100 pubblicato il 17 Settembre 2024 da rteo1

IL  "REGIONALISMO DIFFERENZIATO"

Con la legge 26.6.2024 n.86 sono state dettate "Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione". Prima di esaminare sommariamente tali disposizioni e fare delle valutazioni circa i loro effetti sull'ordinamento giuridico e sui rapporti civili e politici esistenti è opportuna una breve premessa a carattere generale. È buona regola, infatti, ricordare sempre che, nel ciclo reale del divenire delle cose, nulla, in assoluto, è "immutabile" ma "tutto si trasforma". Così anche la "Costituzione", come ogni altra "creazione umana", soggiace alle "leggi supreme e inviolabili della natura", tra cui quella della "mutazione", e questo ben lo aveva intuito Polibio che scrisse un saggio sulla "ciclicità delle Costituzioni". Anche G.B. Vico, con la tesi dei corsi e ricorsi storici, ha dato un valido contributo sapienziale. E anche tutte le scoperte scientifiche confermano, ormai, l'incessante opera aggregativa e disaggregativa di tutte le cose che, composte da eterne particelle-onde, devono ritornare ove tutto ha avuto origine (come sosteneva Anassimandro). Comunque, non c'è solo la "ciclicità" che, come detto, riguarda tutte le cose dell'intero universo (uomo incluso, che persegue, contro natura, l'immoralità del suo corpo) perché tra i "fondamentali", ossia come essenza della "struttura originaria" del Tutto (come direbbe E. Severino), vi è anche la "guerra", il "conflitto", che Eraclito chiamava Polemos, il padre di tutte le cose. La ciclicità, quindi, anche intesa come "l'apparire dell'esser sé degli eterni" (che si manifestano nello spazio-tempo, secondo la necessità del Destino) e il conflitto costituiscono gli archetipi comuni e, quindi, anche delle suddette disposizioni di attuazione, che sono, pertanto, la conseguenza sia del "riformismo" (che dà luogo alla "ciclicità normativa", come è avvenuto con  la Riforma del Titolo V della Costituzione del 2001), sia del conflitto tra le forze politiche di maggioranza e di opposizione (in democrazia). La domanda allora è che fare, come cittadini, visto che è stato presentato alla Corte di Cassazione il quesito referendario di abrogazione della legge di attuazione e sono state già raccolte le 500.000 firme (fatte salve, ovviamente, la dichiarazione di ammissibilità da parte della Corte, prima, e, indi, la partecipazione al voto di almeno circa 25.000.000 elettori e il raggiungimento "della maggioranza dei voti validamente espressi", come previsto dall'art.75, co.4, della Costituzione) ? È indubitabile che una posizione occorrerà certamente assumere nell'ambito sociale e civile dove regnano sovrane, ma relative, tutte le convenzioni, le messinscene, i rituali, le "regole umane di tutti i giochi" accettate e condivise come "verità", pur essendo mere finzioni. E allora, sulla base di tali premesse, è possibile poter affermare che, in generale, nel "conflitto" aperto contro o a favore delle disposizioni legislative di attuazione in argomento saranno nel "giusto politico" sia coloro che le difenderanno sia quelli che ne chiedono l'abrogazione, perché nessuno dei due (o più) schieramenti sarà mai nel "giusto assoluto", non appartenendo, quest'ultimo al mondo degli umani; inoltre, perché in tale parametro reale del "giusto" non sono ricompresi tutti i 60 milioni di italiani (in verità, si dovrebbe pensare in termini di cosmopolitismo e di biocentrismo), visto che nei fatti (e in diritto) sono relegati ai margini della distribuzione delle risorse economiche dai cinque ai dieci milioni di poveri. Il "bene comune", pertanto, cui spesso ci si appella, è soltanto una formula vuota, un modo di dire, e lo sarà fintanto che la democrazia liberale non sarà (solo o anche) "etica, sociale e solidale", concretizzando il principio di uguaglianza "reale" tra tutti i cittadini. Ciò detto, cerchiamo, ora, di approfondire gli articoli della legge, al di là di cosa accadrà per effetto della richiesta referendaria. La disamina che segue tenderà ad essere "oggettiva", per quanto sia piuttosto arduo perché siamo tutti socialmente e politicamente parti in causa.

Iniziamo, così, col dire che dalla rubrica si trae che la legge contiene "Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'art.116, terzo comma, della Costituzione". Trattasi, pertanto: a) di "disposizioni di attuazione"; b) dell'autonomia "differenziata" delle Regioni a statuto ordinario; c) ai sensi dell'art.116, terzo comma della Costituzione. Per poter proseguire nell'approfondimento bisogna quindi iniziare proprio dall'esame della predetta norma costituzionale, precisando, però, sin da subito, che in tale norma, ma anche nel contenuto della legge di attuazione, non si parla di "autonomia differenziata" delle Regioni, anche se nei fatti è possibile che possa accadere. Detto ciò, va ora richiamato il terzo comma dell'art.116 che così sancisce: « Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata ». Come ben si rileva dalla disposizione del terzo comma dell'art.116 (pur avendo previsto all'articolo 10 della legge la possibilità di ampliare o integrare le materie già attribuite alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome, mediante il rinvio all'art.10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) le Regioni "interessate" dalle disposizioni di attuazione sono quelle Ordinarie alle quali possono essere attribuite dallo Stato "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia", cioè le funzioni amministrative in determinate materie (quelle elencate nella vigente "legislazione concorrente", nonché la "giustizia di pace", le "norme generali sull'istruzione", e la "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali"). L'iniziativa, per quanto previsto, è riconosciuta alle Regioni che siano "interessate" e riguarda le predette materie, che le Regioni potranno anche non richiedere, né richiederle tutte ma soltanto alcune o solo ambiti delle stesse. Nessun obbligo, quindi, per le Regioni bensì una facoltà d'iniziativa a loro attribuita (peraltro già manifestatasi nella precedente legislatura da parte delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna). Va ricordato che la riforma della Carta fu introdotta nella XIII legislatura con la legge costituzionale n.3 del 18.10.2001 che ha modificato l'intero Titolo V della Costituzione (d.d.l.cost. d'iniziativa del governo D'Alema, AC n.5830 e AS n. 4809-B, approvato con i voti del PPI, DS, Verdi, UDEUR, Misto, e sottoposto a referendum popolare, in GU n. 181 del 6 agosto 2001); e che, inoltre, finora sono stati approvati conseguenti atti normativi, come la legge 28 dicembre 2015, n. 208 istitutiva, presso il Ministero dell'economia e delle finanze, della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, di cui al decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, e la legge 29 dicembre 2022, n. 197 per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Era perciò inevitabile che a oltre 20 anni, ormai, da tale Riforma del Titolo V, la norma in questione (ossia il comma 3, dell'art.116 della Cost.) trovasse "attuazione" da parte delle forze politiche favorevoli all'autonomia regionale ("regionalismo"), a conferma della validità della legge fisica che "ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria", anche se in politica gli effetti possano avvenire "a scoppio ritardato" (è sempre utile, perciò, tenerlo ben presente sia per l'oggi che per il futuro, anche e soprattutto per le leggi elettorali, finora sempre confezionate ad arte dai partiti, con qualche effetto boomerang). L'attuazione, pertanto, delle disposizioni dell'articolo 116, terzo comma, è certamente conforme alla Costituzione e tali disposizioni saranno sempre vigenti anche se, per ipotesi, ci dovesse essere un risultato referendario favorevole all'abrogazione della contestata legge ordinaria di attuazione. L'unico modo, perciò, per poter evitare il trasferimento delle  suddette materie (peraltro in Italia "l'autonomia regionale differenziata" già esiste tra le Regioni a statuto speciale e quelle cc.dd. ordinarie) era ed è soltanto quello di modificare l'attuale art.116 della Costituzione (o riformare il vigente Titolo V). Allo stato, quindi, si potrà semmai discutere soltanto delle modalità delle procedure che sono state previste, perché queste sono sempre opinabili in quanto dipendono dalla visione e scelte delle maggioranze politiche.

Vediamo, ora, in concreto, seppur sommariamente, alcune disposizioni di attuazione di particolare rilevanza.

A.                All'art.1 la legge di attuazione definisce i principi generali per l'attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione e per la modifica e la revoca delle stesse, nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione, nel rispetto delle prerogative e dei Regolamenti parlamentari in attuazione del principio di decentramento amministrativo, di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione. All'art.7, invece, è prevista la "Durata delle intese e successione di leggi nel tempo": L'intesa non può avere una durata superiore a dieci anni. Essa può essere modificata. Sono altresì previsti anche la cessazione dell'efficacia dell'intesa e il suo rinnovo per un uguale periodo.

B. L'art. 4 disciplina il "trasferimento delle funzioni", con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, concernenti materie o ambiti di materie riferibili ai LEP. Il trasferimento "può essere effettuato, secondo le modalità e le procedure di quantificazione individuate dalle singole intese (la cui procedura è stabilita nell'art.2), soltanto dopo la determinazione dei medesimi LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard, nei limiti delle risorse rese disponibili nella legge di bilancio". Ai sensi dell'art.5, poi, l'intesa stabilisce i criteri per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessari per l'esercizio da parte della Regione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, che sono determinati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e i Ministri competenti per materia, su proposta di una Commissione paritetica Stato-Regione-Autonomie locali, disciplinata dall'intesa medesima. L'intesa, inoltre,  "individua le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale, nel rispetto dell'articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 119, quarto comma, della Costituzione". E l'art. 9, che detta le "Clausole finanziarie", al comma 1 sancisce che "dall'applicazione della legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica".

C. Risulta di particolare rilevanza, anche se ora può dar solo luogo a qualche perplessità tardiva, l'art.3 della legge che conferisce al Governo la delega ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi, sulla base dei principi e criteri direttivi di cui all'articolo 1, commi da 791 a 801-bis, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, per l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (LEP). Ai sensi del co.3, dell'art.3, i LEP sono determinati nelle seguenti materie o negli ambiti delle materie: a) norme generali sull'istruzione; b) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali; c) tutela e sicurezza del lavoro; d) istruzione; e) ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; f) tutela della salute; g) alimentazione; h) ordinamento sportivo; i) governo del territorio; l) porti e aeroporti civili; m) grandi reti di trasporto e di navigazione; n) ordinamento della comunicazione; o) produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; p) valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali.

La procedura per la determinazione dei LEP ha previsto la istituzione della "Cabina di regia" presso la Presidenza del Consiglio dei ministri la quale, tra altro, ai sensi dell'art.1, co.793, l. 197/2022, «effettua, con il supporto delle amministrazioni competenti per materia, una ricognizione della spesa storica a carattere permanente dell'ultimo triennio, sostenuta dallo Stato in ciascuna regione per l'insieme delle materie di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, per ciascuna  materia e per ciascuna funzione esercitata dallo Stato».

Al riguardo del parametro della "spesa storica a carattere permanente dell'ultimo triennio" si osserva che esso può determinare una disparità di trattamento dei cittadini a seconda delle Regioni nelle quali essi hanno la residenza perché, come hanno spesso evidenziato alcuni "Governatori" delle Regioni del Sud, la spesa storica per alcune materie (ad es. la sanità) non è determinata pro capite in base al numero di abitanti ma si rifà al dato "storico" dei finanziamenti pubblici ricevuti nell'ultimo triennio. Pertanto, con tale criterio, si potrebbero avvantaggiare le Regioni che hanno avuto maggiori finanziamenti pubblici e sostenuto maggiori spese nel periodo considerato. È pur vero, però, che tale parametro risulta inserito nell'art.1, co.793 della l. n.197/2022, approvato senza troppo clamore delle cc.dd. "opposizioni", tuttavia, seppur ora "fuori tempo massimo", volendo seguire la logica del "conflitto d'interessi", opportunamente accennata in premessa, ai cittadini delle Regioni che potrebbero subire delle penalizzazioni non rimane altra strada che quella di avversare, in caso di referendum, la legge di attuazione n.86/2024, ma con lo scopo di far rivedere dal Legislatore il menzionato parametro della spesa storica. Null'altro, però, si ritiene, che adesso sia possibile poter fare, oltre quanto innanzi detto, perché dalla riforma del 2001 del Titolo V hanno fatto seguito già diverse disposizioni normative  e ora la legge n.86 del 2024 ha avuto lo scopo di completare l'attuazione del comma 3, dell'art.116 della Cost., nell'ambito della ripartizione delle materie di cui all'art.117 della Costituzione della legislazione esclusiva riservata allo Stato e quella concorrente e residuale attribuita alle Regioni, riconoscendo a queste ultime, qualora lo richiedano, maggiore "autonomia" rispetto alla situazione attuale, in cui, peraltro, già esiste una specie di  "autonomia differenziata" tra le Regioni a statuto speciale e quelle Ordinarie. 

 
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Commenti al Post:
ElettrikaPsike
ElettrikaPsike il 28/09/24 alle 20:10 via WEB
Che dire? Il regionalismo differenziato si propone come garante di una migliore gestione locale delle risorse e, dalla sua, c'è da ammettere che nessuno potrebbe essere più vicino ai problemi specifici del territorio di chi conosce in prima persona le necessità locali. Ma, d'altra parte, le disuguaglianze tra le regioni più ricche - che andrebbero a beneficiare maggiormente dell'autonomia - e quelle più povere, sarebbe ancora più marcata perché queste ultime rischierebbero di rimanere indietro, aggravando ancora di più le disparità economiche (e sociali) già esistenti. L’autonomia regionale, teoricamente, dovrebbe indurre ad una più responsabile gestione delle risorse e dei servizi, riducendo la dipendenza dallo Stato centrale. Questo sulla carta. Ma non tutte le regioni hanno la stessa capacità di gestione efficiente. Quelle con strutture amministrative più deboli andrebbero a faticare non poco per esercitare nel modo corretto le nuove competenze, peggiorando la qualità dei servizi... Sicuramente con l'autonomia non è da escludere che ci potrebbero essere sperimentazioni diverse, magari con soluzioni amministrative realmente innovative (sono possibilista e la speranza è l'ultima ad uscire dal vaso di Pandora) che vanno a rispondere più rapidamente alle esigenze locali. Ma, ovviamente, c'è il rischio della frammentazione normativa, leggi e regolamenti differenti possono creare ancora maggiore confusione e difficoltà di coordinamento a livello nazionale, con conseguenti inefficienze ovunque. Non so, non nego i vantaggi dell’autonomia, ma credo che le disuguaglianze e le capacità amministrative locali debbano essere gestite con estrema attenzione (e non sono così convinta che accadrebbe) per evitare uno scenario di squilibri anche peggiori.
(Rispondi)
 
rteo1
rteo1 il 29/09/24 alle 13:16 via WEB
Condivido totalmente le riflessioni esposte. Do per scontato che le stesse siano state portate nei consessi istituzionali allorquando,nel 2001,si varò la riforma costituzionale del Titolo V. Ora la legge oggetto di richiesta abrogativa mediante referendum è una legge di attuazione dell'art.116 della Costituzione,come riformato nel 2001. Piaccia oppure no ma purtroppo le cose stanno così. Si potrebbe, perciò, anche abrogare la legge di attuazione ma resterebbe comunque vigente la predetta norma costituzionale in attesa di trovare attuazione. Le forze politiche non spiegano onestamente il problema e la "buttano" sulla disgregazione dell'Italia. Peraltro l'autonomia è prevista anche dall'art.5 e i partiti di "sinistra" l'hanno sempre fortemente sostenuta. E allora, che fare,ora? Seguire la logica del conflitto d'interessi come è sempre stato finora e come sempre accadrà. Tenendo ben presente che se non si riforma il già riformato Titolo V il problema non viene risolto. E inoltre ricordarsi il detto che "chi è causa del suo mal pianga sè stesso".
(Rispondi)
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