Creato da rteo1 il 25/10/2008
filo aperto con tutti coloro che s'interrogano sull'organizzazione politica della società e che sognano una democrazia sul modello della Grecia classica

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Messaggi di Aprile 2014

IL SENATO DELLA CASTA VA ABOLITO

Post n°680 pubblicato il 29 Aprile 2014 da rteo1

IL SENATO DELLA CASTA VA ABOLITO

La riforma del Senato della Repubblica italiana sta facendo emergere tutti i limiti culturali di una classe politica ormai in caduta libera, che non è più in grado di costruire un modello costituzionale che non mortifichi la ragione, che tenga conto della sua origine storica e che sia adeguato ai tempi. Esaminando la proposta di riforma si resta a dir poco allibiti, per quante bizzarrie esse contenga, sia nella parte relativa alla composizione del Senato che nelle modalità di elezione dei membri (sono previsti, di diritto, i presidenti di regione, una quota di consiglieri regionali e provinciali, alcuni sindaci, quelli nominati dal Presidente della Repubblica, una rappresentanza scelta tra i cittadini, ecc.). Tale confusione è sicuramente il frutto della inadeguatezza di coloro che nel governo, o accanto a questo, sono preposti all’elaborazione di soluzioni idonee a risolvere il problema, perché è del tutto evidente che non hanno alcun modello di riferimento, né derivante dal passato né uno nuovo da proiettare nel futuro, e l’aver respinto il contributo offerto dai cosiddetti “professoroni, o ritenuti tali” è stato un atteggiamento a dir poco insensato, megalomane, (visto che tra gli studiosi del diritto costituzionale disposti a dare un contributo vi erano personalità del calibro di Zagrebelski, Rodotà, e Carlassare). Al riguardo occorre evidenziare che qualsiasi problema sociale ha sempre la sua migliore soluzione, tra le diverse possibili, quando la domanda sia posta nei giusti termini. Nel caso di specie la domanda è certamente la seguente: in una democrazia moderna oltre all’assemblea dei rappresentanti del Popolo sovrano è indispensabile avere anche un Senato ? Prima di rispondere è opportuno identificare bene chi è questo Carneade. E allora va detto che il Senato, trova la sua origine in quello romano (in latino Senatus), che era la più autorevole assemblea dello Stato nell'antica Roma, il cui significato era assemblea degli anziani, ed i cui membri erano chiamati Patres (nel significato di patrizio). Il termine senato deriva dal latino senex (anziani o padri), che significa vecchio, perché i membri del senato erano inizialmente gli anziani del popolo romano. Secondo la tradizione, il Senato fu costituito da Romolo, ed era composto da 100 membri scelti tra i Patrizi e strutturato secondo l'ordinamento tribale tipico delle popolazioni indoeuropee di quel periodo storico; successivamente Tarquinio Prisco aggiunse altri 100 senatori, che in seguito divennero 300, tutti nominati dal rex. Con Silla, poi, il Senato raggiunse i 600 membri e con Cesare 900, per poi essere nuovamente ridotto a 600 da Augusto. Nel tempo ai patrizi (patres) si aggiunsero, poi, anche i plebei ricchi (conscripti, cioè "iscritti"), e l'elevazione del civis (cittadino) a senatore era compito del rex (re) in età monarchica, e del console in età repubblicana. La carica era vitalizia. Il Senato scomparve nei primi decenni del VII secolo. In epoca recente, poi, lo si ritrova nello Statuto Albertino del 1848, ove i senatori erano tutti di nomina regia e condividevano con l’assemblea nazionale del popolo e con il re l’approvazione delle leggi. La vigente Costituzione italiana ha recuperato l’istituzione, e in essa si rivengono ancora alcuni refusi del vecchio Senato (i senatori a vita e quelli nominati dal PdR). Come ben si comprende da quanto innanzi detto il Senato ha un’origine “tribale”, e, nel tempo, è stato espressione della sola classe patrizia; esso, quindi, non ha nulla a che vedere con l’altra classe antagonista, ossia quella dei plebei (che potremmo assimilare al Popolo), sebbene qualcuno di questi - arricchitosi - potesse entrarvi a far parte per nomina regia. E ciò che è altrettanto rilevante è che nel corso del tempo (intorno al VII secolo) il Senato fu cancellato come istituzione politica, perché fa ben comprendere che già in altra epoca esso è stato ritenuto inutile, o non necessario. Ne deriva, perciò, che seppur può sembrare strano, o addirittura una forzatura, il Senato non è in sintonia con una moderna democrazia fondata sull’eguaglianza dei cittadini e sulla sovranità popolare. Mantenerlo in vita, quindi, sta soltanto a confermare che la Repubblica italiana non ha ancora eliminato dal suo seno la presenza di elementi spuri, che non significano tradizione ma soltanto perpetuazione di un sistema castale che tiene sotto tutela la democrazia.

 
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CHI VUOLE NON MANDA

Post n°679 pubblicato il 25 Aprile 2014 da rteo1

CHI VUOLE  NON MANDA

<<Chi vuole va, chi non vuole manda>>. Questo concetto, esprimeva la secolare cultura popolare e contadina, capace di sintetizzare con un proverbio tutte le buone o le pessime abitudini del genere umano e per indicare le terapie per immunizzarsi. Un tempo i nostri nonni, poco inclini alle circonlocuzioni, o alle prediche (come quelle televisive di molti politici di oggi, tipiche dei banditori, che vendono prodotti di scarso valore come se fossero pregiati), “sentenziavano” con un “detto comune” (come un dogma, ma intriso di saggezza) la risposta a qualsiasi problema concreto della vita. Ed era quasi impossibile che tali “detti popolari” si rivelassero fallaci, perché erano stati “testati” nel tempo e lungamente confermati dall’esperienza; e, inoltre, avevano il pregio  di essere comprensibili a tutti, cosicché ogni cittadino, al di là del bagaglio culturale, aveva anch’egli lo strumento per capire le attività umane. Peccato, che lentamente, si sia quasi perduto quel patrimonio “sapienziale” comune (come lo definiva un vivace e longevo leader politico irpino raccontando, in una famosa intervista, di suo nonno), per fare spazio ai nuovi strumenti tecnologici e della comunicazione di massa, spesso capaci di ingannare i cittadini e di travisare la realtà. E il risultato è ora sotto gli occhi di tutti: nessuno fa più quanto sarebbe suo dovere fare in prima persona, disinteressandosi della cosa pubblica. E così ha preso il sopravvento la rappresentanza legale, che finché fosse stata limitata per i minori, gli incapaci e gli interdetti, per i quali è più che opportuna, non ci sarebbe stato alcun problema; non può dirsi, invece, che sia stata proficua nell’ambito politico, visti i gravi danni sociali e morali che sta producendo, oltre agli esorbitanti costi per mantenere una “casta” autoreferenziale, che quando “produce le leggi” lo fa prima di tutto per se stessa e, poi, per qualche specifico settore  della società, anziché nell’interesse generale (anche gli ottanta euro che saranno messi in “busta paga” di alcuni dipendenti pubblici vanno nella medesima direzione; così come la nuova elezione degli organi provinciali, che esalta il ruolo dei sindaci e amministratori locali, in danno della democrazia elettorale, e così pure l’allungamento a tre mandati consecutivi per i sindaci dei comuni inferiori a tremila abitanti, che agevola le alleanze tribali e crea novelli Caligola). Per questo, allora, è forse giunto il momento di riscrivere la regola della rappresentanza politica, che peraltro, per quanto concerne i parlamentari, giunge all’assurdo che questi “rappresentano la nazione” e non gli italiani, l’Italia, o il Popolo. E non si dica che vi è equivalenza, perché non è così, ricordandosi che l’esaltazione del “nazionalismo” ha portato al  fascismo e al nazismo, che per fortuna le generazioni di oggi hanno conosciuto soltanto dai libri scolastici, malgrado vi siano ancora tanti refusi nell’ordinamento giuridico italiano e, peggio, anche dei nostalgici di tali regimi totalitari.  Occorre, perciò, adeguare la democrazia ai tempi moderni, che hanno aperto le frontiere e reso il mondo globalizzato come un grande paese. Oggi una gran massa di cittadini è collegata in rete ove si scambiano le informazioni in tempo reale, e in un futuro prossimo tutti i cittadini saranno in grado di fare uso di tali strumenti informatici. Da ciò deriverà che la “volontà generale”, tanto cara a Rousseau, che la collegava sempre e comunque al popolo, per cui riteneva che la sovranità dovesse essere sempre e solo quella democratica, potrà essere agevolmente e immediatamente espressa da tutti i cittadini su qualunque fatto politicamente rilevante per la vita sociale e istituzionale. La democrazia, pertanto, dovrà tornare ad essere una “democrazia diretta” come nelle antiche città-stato greche (poleis), perché i milioni di cittadini potranno ritrovarsi nella nuova agorà, la piazza internet del terzo millennio. In questo modo si supereranno le degenerazioni della classe politica, che peraltro rappresenta sempre più solo se stessa, e si potrà finalmente partecipare personalmente alle scelte di vita, senza affidare a imbonitori di turno il proprio futuro e il proprio destino.   

 
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