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filo aperto con tutti coloro che s'interrogano sull'organizzazione politica della società e che sognano una democrazia sul modello della Grecia classica

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Messaggi di Febbraio 2024

NULLA DI TROPPO

Post n°1084 pubblicato il 28 Febbraio 2024 da rteo1

NULLA DI TROPPO

 «Nulla di troppo» (μηδέν ἄγαν). È stato tramandato dalla storia della filosofia che questa frase era stata scritta sull'ingresso del tempio di Apollo a Delfi, così come l'altrettanta nota e più diffusamente citata «Conosci te stesso» (γνῶθι σεαυτόν). Tralasciando, per ora, quest'ultima, su cui si ritornerà successivamente, perché sono entrambe interconnesse, circa, invece, la prima (sintesi dell'esperienza, della saggezza e della "ragione" sempre contrastate dagli istinti atavici) si può senz'altro sostenere che il principio da essa espresso sia un parametro "assoluto" (nulla, quindi senza eccezioni), che se ben applicato potrebbe consentire di ridurre al minimo i conflitti sociali. Tuttavia se "nulla" (umanamente inteso in senso "assoluto") non lascia spazio a dubbi interpretativi e applicativi non altrettanto può dirsi in ordine a "troppo".

Infatti, quando può dirsi che qualcosa "è troppo" ?

Certamente esso non può assolutamente coincidere con "Tutto", che dovrà invece servire come parametro sociale da evitare ad ogni costo (come l'estremo opposto "niente", o "nulla"); inoltre, bisognerà aver ben chiaro che "troppo" non potrà mai essere quantificato dal punto di vista soggettivo perché tale giudizio risulterà sempre del tutto inadeguato, indeterminabile, insufficiente, perché ci saranno all'incirca otto miliardi di persone (quanti sono attualmente gli abitanti sulla terra) che avranno un proprio personale criterio per stabilire quando una cosa sia troppo e quando non lo sia. Così, ad es., una donna (occidentale) che ha almeno un centinaio di borse e altrettante paia di scarpe (pur essendo bipeda) riterrà che non siano troppe, mentre (forse) lo penserà colei che ne ha soltanto un paio; così (per par condicio) un uomo che ha decine di orologi da polso e centinaia di cravatte non penserà che siano "troppi" mentre lo penserà chi ha un solo orologio (o non ne ha affatto) e qualche cravatta.

Lo stesso dicasi per quanto concerne i patrimoni, sia immobiliari, che mobiliari e finanziari, perché di sicuro un capitalista, un industriale, un imprenditore, un banchiere, un alto dirigente pubblico o un capo di governo, non penserà mai di possedere "troppo" (anzi farà di tutto per aumentare ancora di più il suo patrimonio) diversamente da come penserà un povero, un operaio, un pensionato "al minimo", un disoccupato.

Il predetto parametro, perciò, per avere una qualche utilità sociale e politica non può essere soggettivo ma dovrà essere "oggettivo". Non vi è dubbio che anche quest'ultimo sia di difficile individuazione, soprattutto quando esso sia da connettere alle "cose umane" anziché ai fenomeni naturali. Questi ultimi, infatti, "interpretati" e "dimostrati" sperimentalmente non lasciano più dubbi perché, ad es., tutti sanno che "dopo il lampo si sente il tuono" dal momento che è ormai un dato scientifico acquisito (perciò oggettivo) che il lampo arriva prima perché "viaggia" alla velocità della luce (⁓300.000 Km/s) mentre il tuono giunge dopo perché si propaga alla velocità del suono (⁓1200 Km/h).

E allora non c'è alcun rimedio contro il "troppo" ?

Penso di si, anche se occorrerà ancora molto tempo, finché gli umani non riusciranno ad agire "secondo la giusta misura" (katà Métron, per gli antichi Greci) tenendo a freno gli istinti, la cupidigia e la voluttà (oggi condizionati ed esaltati dal capitalismo e dalle "leggi del libero mercato", per approdare all'"uomo nuovo" che dia anche rilevanza all'essenza spirituale del suo essere "corpo-pensiero" (e organismo biologico, soggetto alle forze chimico-fisiche), consapevole della sua transitorietà nel mondo. E così potrà rientrare in gioco la ricerca della "Verità", che gli umani hanno esiliato dalla propria vita, e avere un ruolo rilevante la c.d. "coscienza", il "giusto" e l'equo", sia in senso politico che etico, morale e religioso.

Intanto, comunque, in attesa che l'indole degli umani si evolva verso tali direzioni, che si potrebbero definire "umanitarie" (come anche auspicato nella Dichiarazione Universale dei diritti umani), è possibile fare ricorso allo strumento del "diritto", che è un rimedio politico in grado di "oggettivare" qualsiasi fatto o atto che concerna il consorzio umano (persino quando l'oggetto sia di "competenza" religiosa).

Il "diritto", perciò, può servire, per ora e in attesa di altro criterio conforme al "Vero" con cui sostituirlo, per stabilire quando una cosa sia "oggettivamente troppo".

A questo punto, però, si rende necessario fare qualche precisazione per evitare che si possa equivocare, ritenendo che il "diritto" sia in sé oggettivo. Niente è più falso, anche se esso sia diventato il "mito" delle civiltà contemporanee, soprattutto occidentali, che lo invocano quando è "utile allo scopo" e lo violano quando è di ostacolo (bastino ricordare le guerre senza preventivo mandato ONU sia in Iraq, per sostituire il Presidente Saddam Hussein, sia in Libia, per "abbattere" il Colonnello Gheddafi, nonché quelle in Kosovo e in Afghanistan; ma anche la strage del 1998 della funivia del Cermis, in cui perirono circa venti turisti italiani, rimasti senza "giustizia" perché gli USA si sono riservati il "diritto-potere" (giurisdizione) di processare i propri militari in servizio all'estero, perciò non fu possibile giudicare in Italia il pilota dell'aereo statunitense che, volando a bassa quota, in violazione dei regolamenti, aveva tranciato un cavo della linea teleferica; così come l'abbattimento nel 1980 dell'aereo di linea Itavia - "la strage di Ustica"-, in cui morirono 81 passeggeri, rimasto senza colpevoli per l'impossibilità di acquisire prove dagli "Stati alleati" (probabilmente coinvolti nella strage).

Il "diritto", perciò, è quantomai "relativo" ed è, come giustamente sottolineava E. Severino, la forma dell'espressione della volontà politica del potere dominante, cioè l'esternazione mediante "precetti" (gli antichi "oracoli" dei sacerdoti dei templi) da parte della forma di governo (ora) costituzionalizzata (Parlamento, se in democrazia, Consiglio o Senato, nell'oligarchia o aristocrazia, Re, nella monarchia, ovvero la loro combinazione, detta "forma mista", che è la più comune finora adottata rispetto alla "forma pura").

Il potere, quindi, come forza sovrana di "produrre diritto" per l'intera Comunità, è il vero oggetto della contesa tra le varie forze (politiche e non) esistenti nei diversi ordinamenti sociali. E tale "contesa", che si fonda sul conflitto tra le diverse "forze", spesso anche in modo estremo, che dà luogo anche a rivoluzioni o sovvertimenti statali ("golpe"), ha lo scopo ultimo di decidere in ordine alla distribuzione delle risorse economiche prodotte dalla collettività (ma anche per dividere i lavoratori tra "padroni" e "schiavi").

La "visione", pertanto, del "modello politico di società" da realizzare (di cittadini liberi o schiavi, di sudditi, di eguali o di ineguali, di ricchi o poveri, ecc.) costituisce, il più delle volte, soltanto un mezzo propagandistico per acquisire consensi elettorali e per mascherare la verità sostanziale, che è la brama per il potere (la forza) per gestire il c.d. PIL e l'intera ricchezza economica della Comunità. E per imporre tale potere (come forza, soprattutto di polizia, militare, economica, finanziaria e ora anche tecnologica) non soltanto all'interno del proprio ordinamento ma anche nei rapporti tra Stati sul piano internazionale.

In altri termini, tutte le dinamiche del mondo avvengono perché "nel sottosuolo della storia..." (per citare ancora E. Severino, che riferiva il "sottosuolo" al pensiero della storia della filosofia) si muovono le "Forze universali della natura" che "lavorano" (energia) per la trasformazione di tutte le cose, per far sì che le cose diventino continuamente altro rispetto a quello che sono; e ciò accade anche per l'uomo, che in ogni istante della vita diventa "altro", sia per effetto delle forze biologiche e chimico-fisiche interne che di quelle esterne, universali, che lo spingono ad uscire dal percorso dell'apparire in un processo incessante, infinito, di avvicendamenti tra le generazioni (e tra le specie).

La medesima dinamica del dover "diventare altro", secondo necessità, perciò di sistema, si riscontra anche nei frequenti conflitti armati tra gli Stati (come, ad es., quello in corso tra la Russia e l'Ucraina, sostenuta dalle "forze" degli Stati membri della NATO, che non è riuscita a contenere la propria volontà di espansione militare verso Est), che si dovranno avvicendare nel corso del tempo come potenze egemoniche (in questa fase "impera" ancora l'America ma è anch'essa destinata al tramonto, com'è accaduto già per tutte le altre potenze demolite dal vento della storia e ora oggetto di studio archeologico).

Le stesse forze "conflittuali" agiscono anche all'interno delle Comunità, nelle quali, però, lo scontro avviene essenzialmente per la conquista del potere, in generale, e di quello legislativo in particolare. Le "forze popolari" (da intendersi, però, correttamente, come "forze proletarie", un tempo coincidenti con la c.d. "plebe" contrapposta ai "Patrizi", e al demos che era altro rispetto agli aristocratici e agli oligarchi) prendono parte alla contesa e, a seconda di quanta forza riescano ad esprimere nel confronto tra le forze in campo, la "legislazione" che ne deriverà sarà più o meno favorevole ai bisogni delle fasce sociali emarginate, o meno protette.

Il principio del "primato della legge" (ora della Costituzione, peraltro in parte superata, ormai, dai Trattati dell'U.E. e dal c.d. "diritto  internazionale"), perciò, che costituisce comunque un buon traguardo raggiunto dalla civiltà giuridica, come anche la "certezza del diritto", vanno però sempre ben compresi mediante l'analisi di fondo (il "sottosuolo") di quali siano le reali dinamiche sociali, politiche e procedurali che consentano la "produzione delle leggi". Così, ad es., in Italia ove, stando all'art.1 della Costituzione, esiste una forma di Stato-governo "Repubblicano-democratico", il procedimento legislativo non è esclusivo del "Popolo" né dei suoi rappresentanti politici perché è sufficiente analizzare le categorie sociali e professionali cui appartengono i singoli parlamentari per capire quali interessi relativi siano tutelati in concreto;  inoltre, la legge può essere sottoposta al controllo di legittimità costituzionale da parte della Corte costituzionale composta di quindici membri nessuno dei quali è eletto direttamente dal Popolo. Ma l'insignificanza, o marginalità, del "Popolo", ossia del basso livello di democrazia, ben si coglie nella norma relativa all'iniziativa legislativa (art.71 della Costituzione) che così sancisce: «L'iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere e agli organi ed enti (nda: CNEL e Consigli regionali) ai quali sia conferita da legge costituzionale. Il Popolo esercita l'iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli" (senza che la "proposta" abbia, poi, una corsia preferenziale in Parlamento, neppure se, per ipotesi, fosse stata sottoscritta da tutti i circa 50.000.000 elettori); inoltre, ed è altrettanto grave sotto l'aspetto della democrazia, la possibilità prevista dall'art.75 della Costituzione di richiedere il "referendum popolare" che, al di là del numero minimo dei richiedenti (almeno 500.000 elettori), è limitata dall'orientamento della Corte costituzionale, competente ad esprimersi sull'ammissibilità della richiesta, di poter escludere anche i referendum su materie diverse da quelle tassativamente non ammesse dalla Carta costituzionale (leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali). 

È del tutto chiaro, perciò, che anche il "diritto" non sia "oggettivo in sé"; tuttavia esso può essere "oggettivato" (dichiarato oggettivo) mediante la volontà espressa dal legislatore con la c.d. Legge.

Trattasi, perciò, di una finzione politico-giuridica (in gergo, una "fictio iuris") che tuttavia può servire allo scopo. Anzi, deve "necessariamente" servire allo scopo perché fin'oggi, come correttamente sostenuto da A. Schiavone nel saggio "Jus: L'invenzione del diritto in occidente", non è stato ancora trovato alcun altro e diverso strumento (se si eccettua, ovviamente, l'impiego della forza, o la guerra, rimedi spesso adottati dalle istituzioni di governo, anche contro la volontà dei popoli) per regolare i rapporti umani, interpersonali o sociali, tra questi e le istituzioni e anche tra gli Stati.

Il "diritto", pertanto, quale mezzo per fissare "oggettivamente" un parametro per stabilire quando un cittadino, una categoria, una società, e persino uno Stato, possegga "troppo", in termini di beni economici, in primis, ma anche di "potere" (in particolare del potere di impiegare la "forza"), e rispetto alle cose (incluse le "persone", che non dovrebbero mai essere considerate "cose", anche se spesso accade, pure negli ordinamenti detti "civili"). Tra i diversi modelli politici di governo è "troppo", senza alcun dubbio, il potere riservato ai dittatori, che oggi abbondano nel mondo, alle "autocrazie", e persino nell'occidente "democratico" dove ci sono tendenze verso forme presidenziali (o premierati) che potrebbero involvere verso forme assimilabili a quelle monarchico-costituzionale (col rischio di rendere flessibili anche i limiti della durata e del numero dei mandati).

Le Costituzioni europee del dopoguerra hanno tutte (o quasi) tentato di risolvere il problema mediante la "separazione dei poteri dello Stato" (una sorta di "divisione delle forze", praticata sin dalle più remote tribù, come anche nelle successive civiltà, come quella Greca, durante la Repubblica aristocratica romana e nei tempi successivi, fino ad oggi).

La soluzione adottata, tuttavia, è comunque inevitabilmente sempre logorata e intaccata nel corso del tempo dalla dinamica conflittuale per la conquista della "supremazia" tra i poteri (le diverse "forze"), in particolare per potere avere un ruolo (anche interdittivo o di condizionamento) nella "produzione legislativa". Tutti i poteri, infatti, alla lunga "straripano" sia per tendenze fisiologiche (naturali, si potrebbe dire) sia perché il vero potere cui tutti (e ognuno) ambiscono è quello di "fare le leggi" (l'unico modo, oltre quello della forza bruta, per attribuirsi, o farsi riconoscere, dei privilegi).

Così il Governo, che (in democrazia) dovrebbe governare (come potere esecutivo) in base alle leggi approvate dal Parlamento, fa spesso uso dei disegni di legge e dei decreti legge e si avvale della sua maggioranza partitica in seno al Parlamento per "produrre leggi o leggi delegate" (che spesso non sono "generali e astratte", come un tempo si diceva, ma concrete, perchè perseguono interessi relativi, di parte).

Lo stesso avviene (come nei tempi attuali), tra le magistrature dell'ordine giudiziario e le diverse forze politiche, sia al governo che in Parlamento perché "l'ordine giudiziario" anziché applicare le leggi vuole diventare "parte attiva" nella "produzione legislativa" sia relativa al proprio Ordine (ad. es. nella decisione sulla separazione delle carriere tra la magistratura inquirente e quella giudicante, che secondo "ragione e libertà" devono essere necessariamente distinte, differenziate, perché il "Giudice" dev'essere terzo e neutrale e la parte che sostiene l'accusa - il P.M.- deve essere alla pari con la parte che difende l'imputato -avvocato-), sia per quanto concerne le scelte (che devono essere riservate alla sola politica) di quali fatti umani (fattispecie) debbano essere ritenuti reati, perseguiti e puniti con la reclusione.

Anche rispetto a tali "conflitti" perciò bisogna essere in grado di stabilire quando essi debordino rispetto al "troppo".

Di sicuro, comunque, "non è troppo" (secondo chi scrive, ovviamente) il "potere" che è stato riconosciuto al Popolo dalla vigente Costituzione che pur avendo fissato nell'art.1 il principio fondamentale che l'Italia è una "Repubblica democratica" ha, poi, nella stessa Carta posto in ombra l'attributo "democratico" della Repubblica tanto che nella formula del Giuramento non viene esplicitato (l'art.91, infatti, prevede che "Il Presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica..." e, in modo analogo, sono strutturate le formule del giuramento del Governo, ai sensi dell'art.93, della Corte costituzionale, ai sensi dell'art.135, e per alcuni dipendenti pubblici, ai sensi dell'art.54); inoltre, non è stata attribuita alcuna priorità e importanza politica all'iniziativa legislativa popolare (art.71 Cost.), e, infine, si rileva che alla "democrazia" l'ordinamento statale non ha riconosciuto alcuna data solenne per celebrare la "Festa nazionale della democrazia" (che, volendolo, potrebbe coincidere col 25 Aprile, anche per superare le anacronistiche contrapposizioni partitiche), come invece è avvenuto con la "Festa della Repubblica" del 2 giugno.

Ovviamente non sono soltanto queste le discrepanze che si riscontrano nel vigente ordinamento, ma in questa sede, in cui si vuole riflettere su altro, può per ora bastare, e perciò bisogna ritornare al tema, in ordine al quale adesso occorre evidenziare che il problema del "troppo" ha, comunque, radici remote così come anche i rimedi ipotizzati per farvi fronte. Così Aristotele, nel suo saggio "Politica" (Politeia), consigliava di adottare sempre la soluzione della "via di mezzo", così come quest'ultima è per il Buddismo la strada per conseguire la felicità per sé e per gli altri. Anche i romani ne erano ben consapevoli e ne è prova la locuzione "in medio stat virtus"; così come anche la saggezza popolare italica, ormai in declino, come le nascite, ne esprimeva il concetto col proverbio "Il troppo stroppia".

La realtà, infatti, dimostra proprio l'esatto contrario, e ciò perché, come popolarmente si dice: "tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare".

E perché ? Perché homo sapiens è fatto così ! È la sua natura chimico-fisica e biologica, soggetta alle forze universali, che lo inducono a manifestarsi così com'è mentre diventa continuamente altro "strappandosi" da sé, perché il conflitto, l'agonia, è  prima di tutto in sé stesso. Forse si può eccettuare soltanto la fase dell'origine del primo "nucleo genitoriale" che ha dato alla luce la propria discendenza, come specie umana. Se infatti i "genitori" (ossia coloro che "generarono" la prole) avessero riservato per sé "troppo", in termini di risorse alimentari, probabilmente avrebbero causato la morte per fame della loro "filiazione". È "ragionevole" ritenere, perciò, che almeno ab origine (seppur per esigenze "egoistiche" della stirpe e della specie) non vi fosse alcuno spazio per il "troppo" nell'ambito del "nucleo familiare".

Stando, allora, così le cose (secondo la c.d. "ragione") come mai il passaggio dal "nucleo" alla società organizzata da "homo sapiens" ha spesso concesso enorme spazio al "troppo" ?

Le spiegazioni, ovviamente, possono essere diverse e molteplici. Un ruolo rilevante lo ha avuto sicuramente il riconoscimento (senza limiti invalicabili, il "troppo") della "proprietà privata" dei beni come potere assoluto (il c.d. "diritto reale") sulle cose, e di ciò ne era ben convinto J.J.Rousseau che ben lo mise in risalto nel suo saggio "Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini".

Hanno avuto, però, un ruolo centrale anche le cc.dd. "istituzioni" che da "ruoli" socio-politici affidati all'interno delle Comunità, per dirimere i conflitti secondo il "giusto" (e impedire il "troppo") nell'interesse generale, sono progressivamente diventate nel tempo dei "poteri a sé", distaccati e distanti dal contesto sociale, fino ad assurgere, in alcuni ordinamenti, a veri e propri "sostituti" delle Divinità, con propri "templi", dotate del potere di pronunciare "oracoli", e così il "giusto" a volte è stato confuso con "l'ingiusto" perché le decisioni sono state spesso condizionate dagli interessi delle stesse istituzioni.

Sullo sfondo, però, c'è stata comunque sempre la "natura" con l'azione delle forze in perenne conflitto, e quelle relative ad homo sapiens e a tutte le altre specie viventi.

La "natura", infatti, si organizza e si manifesta (a quanto pare) mediante un "dualismo" intrinsecamente "conflittuale" (anche a livello di ogni singolo individuo, in cui agiscono le forze contrapposte che lo trasformano, nel corso della vita, lo fanno diventare diverso, lo spingono a diventare "altro").

Tale "dualismo" (come l'energia e la materia) sembra essere necessario alle esigenze della "natura" perché esso costituisce il motore che rende dinamico il divenire del mondo e dell'intero universo. Così, a causa sua, infatti, tutte le cose escono (appaiono, si manifestano come enti eterni secondo E. Severino) da dove esse hanno origine (dall'Essere, dall'Uno), come sosteneva Anassimando, ed entrano nello spazio-tempo, dal quale, poi, escono (scompaiono, ma senza andare nel "nulla", come alcuni sostengono, perché tutte le cose - uomini inclusi - sono "enti eterni") per ritornare infine dove hanno avuto origine. Se questo, però, è "il destino" secondo "necessità" ("natura"), tuttavia non si può escludere, in assoluto, che esso possa essere "governato", mitigato, dalla "ragione", come riteneva Schopenhauer, convinto che fosse possibile gestire la "volontà di potenza della vita" (con la c.d. "noluntas").

Non vi è dubbio che sia la "volontà della specie" (e le forze universali) a governare tutte le scelte degli umani, ma la consapevolezza (almeno della parte che ama la conoscenza) che le cose stiano così può aiutare ad attenuarne gli effetti. E che ciò sia possibile ben lo dimostrano i comportamenti di tutti coloro che all'uso della forza e della violenza contro gli altri prediligono, invece, la strada della mediazione, della ragione.

Gli omicidi, infatti, i femminicidi, e altri "delitti", avvengono perché non è stata utilizzata la "forza della ragione" per domare le forze in sé stessi che esaltano il proprio istinto primordiale. Tutti gli uomini (nessuno escluso), perciò, sono contestualmente dei potenziali "criminali" e dei "santi" e la differenza la fa soltanto la "noluntas", ossia la (contro)forza autoesercitata su sé stessi per scegliere il c.d. "bene" collettivo anziché il c.d. "male". Perciò il "buono" per natura non esiste, se non come categoria etico-morale e religiosa, e quando qualcuno si trovi socialmente dalla "parte giusta" è solo perché egli è entrato a far parte di tali forze sociali rispetto alle altre forze, che a volte le regole della società definiscono "illegali".

Molti anni fa fu scoperto nella foresta tropicale un uomo che da bambino era stato allevato dalle scimmie (come il famoso Tarzan del film) di cui aveva appreso il linguaggio e le regole di vita. Era perciò un "umano" nella forma ma una "scimmia" dal punto di vista culturale, sociale. Perciò si può senz'altro ritenere che se il figlio di un Re venga fatto crescere e vivere nelle banlieu francesi (o nei ghetti, nelle favelas, di molti quartieri disagiati e affamati, anche di città civilizzate europee) egli non si comporterà come un "principe ereditario" bensì come un abitante delle "banlieu", salvo che faccia forza su stesso per essere diverso da ciò che è indotto ad essere dal conteso socio-economico in cui si trova inserito. Di contro, un nato nelle banlieu (o nelle periferie degradate delle città) se fatto crescere in famiglie benestanti avrebbe elevate possibilità di affermarsi nella vita e di poter diventare un cittadino esemplare. Sono, questi, dei dati esperienziali difficilmente confutabili, valevoli per tutti, nessuno escluso.

La società, però, ovvero l'èlite dominante, che ha interesse a difendere "l'ordine sociale costituito" (nel senso dei privilegi acquisiti), vuole invece affermare l'opinione che non sia così, come un tempo era convinto Lombroso, che catalogava gli uomini in base alla fisiognomica, la quale, oggi, forse avrebbe consentito di classificare come socialmente pericolosi anche alcuni politici, ministri, giuristi e uomini ritenuti dabbene.

La "realtà", invece, è quella che deriva dal "gioco" conflittuale tra le diverse forze universali, la biologia e la chimica e la fisica degli organismi viventi, pertanto anche le dinamiche degli umani dovranno essere viste e interpretate con le stesse regole. Fermo restando che gli umani hanno avuto il dono della conoscenza che potrà servire a mitigare tutti i conflitti socio-politici, sia a livello nazionale che internazionale. E in quest'ottica risulta essere quanto mai necessario formare anche una coscienza collettiva in ordine al "troppo" perché questo è certamente la causa della malattia di tutti gli ordinamenti politici e costituzionali.

La soluzione, perciò, inevitabile, per diventare "umani" non può che essere quella di adottare il principio generale di "nulla di troppo", con buona pace di tutti. 

 
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