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filo aperto con tutti coloro che s'interrogano sull'organizzazione politica della società e che sognano una democrazia sul modello della Grecia classica

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CHI SONO, DA DOVE VENGO, DOVE VADO

Post n°1083 pubblicato il 09 Gennaio 2024 da rteo1

CHI SONO, DA DOVE VENGO, DOVE VADO

Tutti nella vita si chiedono "chi sono, da dove vengo, dove vado ?". Anche coloro che sembrano interessati soltanto a soddisfare i propri bisogni corporali. Pure costoro, infatti, ad un certo punto della loro esistenza si pongono le medesime domande, anche se a prevalere siano comunque i sensi  e i desideri materiali, almeno finché non giunga "l'ora fatale" che li sospinge nell'angoscia più drammatica, soprattutto perché dovranno staccarsi dal proprio patrimonio materiale e dall'IO, di cui si sono narcisamente e follemente innamorati, come sostiene la psicoanalisi. Ebbene, per conoscere le risposte occorre liberarsi dalle catene culturali, sociali, religiose e giuridiche che tengono gli uomini prigionieri con l'illusione di essere "liberi", anche a causa dell'attuale mito dei "diritti". Occorre, perciò, svuotare la mente da tutte le strutture e sovrastrutture istituzionali, politiche, dalle tradizioni, gli usi, i costumi e i modi di vivere che rinnovano e tramandano i miti e i riti delle remote civiltà ruprestri e di quelle "classiche", fino all'età contemporanea. Soltanto così, infatti, è possibile essere "in rete", in "risonanza di fase" col mondo e con le "fluttuazioni del vuoto quantistico" dove esistono le risposte a tutte le domande. Basta solo essere interessati a conoscere la "Verità" perché, come diceva E. Severino, "Noi siamo già nella verità". "Chi sono", allora ? C'è stato un tempo in cui si usava dire "Lei non sa chi sono io!", come si narrava in un saggio degli anni '70, quando accadeva spesso che alcune cc.dd. "autorità" reagivano con tale espressione nei confronti della polizia locale o stradale quando venivano censurati o multati per aver violato il codice della strada. L'abitudine, comunque, non è stata mai del tutto cancellata dai costumi sociali, anche se oggi il c.d. "senso civico democratico" impedisce, o limita, tali esternazioni. Permane, tuttavia, in ogni c.d. "autorità", quantomeno sul piano psicologico, la convinzione di "essere speciale" rispetto alla massa dei "comuni mortali" perché si ritiene che la "carica", il "ruolo", la "funzione" (ma anche la professione, l'arte, il mestiere) esercitati nella Comunità siano la "reale" e oggettiva identità della persona fisica, e così, con tale errata convinzione, si usa attribuire a ciascuno una "identità sociale" (ora anche "digitale") confondendo l'essere umano, in quanto tale, con la sua inevitabile "recita sociale" (da"attore" o comparsa), che ha "accettato" o gli è stata "assegnata", spesso in distonia con le sue vocazioni e i suoi talenti naturali. Ad ogni buon conto, non vi è dubbio che "essere speciale", o ritenere di esserlo, per effetto dell'attività svolta o della carica rivestita, non può comunque eliminare il dubbio o il conflitto con sé stessi su "chi si è" realmente. Neppure quando la soluzione, la risposta, si rinvenga in una norma legislativa o costituzionale, così com'era previsto dall'art.4 dello Statuto Albertino del 1848 in virtù del quale «La persona del Re è sacra ed inviolabile», perché una "legge umana" non può mutare la natura, ciò che si è biologicamente, fisiologicamente, chimicamente e anche ontologicamente. Soprattutto quando una tale "sacralizzazione" riguardi una singola persona (neanche quando rivesta il ruolo politico del "Re") e non invece la "persona in sé" (e perciò qualunque essere umano), che tuttavia sarebbe comunque da evitare perché il "sacro", come sostiene U. Galimberti, si colloca nello spazio dell'indifferenziato, dell'Assoluto, delle "Divinità", le quali, per convenzione, sono ritenute "onnipotenti", immortali; mentre invece l'uomo è mortale, perciò non può essere mai identificato con le "divinità", "sacralizzato" e venerato, né prima, né durante e neppure dopo la sua fine terrena. Purtroppo, però, la storia umana sin dai primordi non riesce a fare a meno dei miti e dei simboli e così di frequente "divinizza" i Re, i Faraoni, i Basileus, gli eroi, i governanti, gli imperatori (l'immagine - la odierna foto - di Augusto era esposta in tutti i luoghi pubblici, gli erano dedicate delle edicole votive e i sacerdoti celebravano riti religiosi in suo onore), e persino i legislatori (Plutarco, nelle Vite parallele di Numa e Licurgo riferisce che anche quest'ultimo, quale legislatore di Sparta, era stato definito dall'oracolo di Delfi «dio piuttosto che uomo», che gli fu "consacrato un tempio" e "gli dedicavano sacrifici ogni anno come a un dio"). Eppure l'uomo deve decidersi a superare sé stesso, quale ponte con la scimmia, secondo Nietzsche, e trasformarsi in "superuomo" per accettare con serenità la transitorietà della sua forma corporale e valorizzare "l'uguaglianza nella diversità" (o la "diversità nell'uguaglianza"). Va infatti compreso che l'essere "diversi", ovvero "singolari" nelle molteplici e infinite forme, costituisce l'espressione della manifestazione fenomenica della "Suprema volontà di potenza" universale la quale travalica tutti i limiti umani (e ciò è anche un bene, se si pensi a come sarebbe stato "monotono" avere tutti la stessa forma, gli stessi "talenti", vizi e interessi). E, rispetto alla stessa "Suprema Volontà", va, altresì, capito che l'uguaglianza è imprescindibile dalla molteplicità, dalla diversità (finanche i genitori, quando "equilibrati", non riescono a trattare in modo diseguale i propri figli, pur se questi siano tra di loro diversi, come spesso accade). I concetti di "uguaglianza", perciò, e di "diseguaglianza", che si riscontrano in seno ai consorzi umani, sono soltanto il frutto, rispettivamente, della sapienza (merce rara) e dell'arbitrio delle forze politiche, sociali e dei legislatori. È un assurdo naturale, perciò, voler "catalogare" e raggruppare per categorie, aree geografiche, tutti i popoli e gli esseri umani plasmandoli e deformandoli secondo modelli politici generali da parte dei "governatori di turno" alla guida di una Comunità. Gli uomini sono tutti "singolarmente diversi" tra di loro perché così essi devono essere. Non possono essere altro, infatti, rispetto a come vuole la "necessità" (o il Destino, inteso come ciò che sta, l'esser sé di ogni singola cosa), anche se lo volessero; neppure quando essi si trasformano durante il divenire cambiando "sagoma", perché altrimenti si porrebbero contro la natura, in opposizione col "disegno" di quest'ultima (che, secondo chi scrive, ha "senso in sé" essendo la natura la manifestazione dell'Uno nel Molteplice). Perciò, ad es., "l'agricoltore" quando ha la vocazione per la coltivazione della terra e la raccolta dei prodotti, realizza il suo essere, analogamente a colui che si sente spinto (o attratto) verso l'esercizio della funzione pubblica (da intendersi, quest'ultima, come attività nell'interesse generale). Né il primo (l'agricoltore), né il secondo (il politico), perciò, è "migliore" dell'altro (come spesso, invece, sanciscono i "legislatori" senza poter fondare le loro decretazioni su principi e valori assoluti) ma entrambi sono "uguali nella diversità" (o diversi nell'eguaglianza) sia come "uomini sapienti" che come "uomini del fare". E la loro "parità" (uguaglianza) nella molteplicità (diversità) è certamente un "bene" perché nessuna "Comunità" potrebbe esistere se tutti avessero la medesima vocazione a svolgere la stessa attività di agricoltore o di politico (basta immaginare che cosa accadrebbe se tutti -o quasi- svolgessero la funzione di legislatori e di funzionari incaricati di controllare e attuare le disposizioni delle leggi, come purtroppo sta ormai avvenendo, anche a livello nazionale ed europeo). Ecco, allora, perché qualunque legislazione umana (anche se "costituzionalizzata") che discrimini tra diverse attività, ruoli e funzioni in rapporto alla distribuzione delle risorse prodotte dalla Comunità, costituisce un "libero arbitrio", una violenza "all'esser sé" di ogni cosa. Certamente ci vorrà molto tempo ancora, prima che si riesca a cogliere "il senso in sé" del Molteplice (la diversità, così come si manifesta in natura mediante infinite forme) e dell'Uno (l'uguaglianza), ma la natura non ha fretta. La terra ha "soltanto" quattro miliardi e mezzo di anni ed è a circa la metà del suo ciclo vitale. Essa può aspettare, mentre continua incessante i suoi moti di rotazione a 1600 Km/h e di rivoluzione a circa 105.000 Km/h. L'uomo forse no, perché ha uno spazio-tempo sicuramente più breve (e non soltanto come lasso di tempo tra le generazioni ma come specie umana). Perciò è quanto mai "urgente" che l'uomo inizi a superare sé stesso; a liberarsi dalla schiavitù del corpo (che è una forma effimera) per comprendere che l'anelata eternità è "in sé stesso"; che non la deve acquisire altrove né la può perdere perché la sua "matrice quantica" è "eterna" e alla fine del ciclo è destinato (come ogni cosa) a ritornare all'origine, ove l'energia e le informazioni sono "eterne", come tutte le particelle atomiche e subatomiche (onde-particelle) che costituiscono il corpo umano, o di cui quest'ultimo fruisce, come ad es. l'ossigeno per respirare e l'acqua per bere (l'ossigeno respirato da Socrate, così come l'acqua da lui bevuta, non hanno cessato di esistere ma sono entrate in altre forme e processi vitali). Soltanto la "forma umana", perciò, è transitoria, così come tutte le altre "forme" esistenti, mentre sono eterni tutti i suoi composti, che andranno a costituire, all'infinito e in eterno, altre e diverse "forme". Ed è proprio questo il "gioco" dell'universo, nel quale nulla può mai ritornare ad essere, nella forma, uguale a prima; ed è anche il miglior modo per realizzare il "principio di eguaglianza universale". Le società contemporanee, grazie alle numerose scoperte scientifiche e al prezzo pagato con la vita da eroici filosofi e intellettuali (come, ad es, Giordano Bruno), hanno finalmente acquisito la consapevolezza che tutti gli esseri umani sono anche biologicamente, chimicamente e fisiologicamente uguali (o simili). Il corpo di tutti gli umani è infatti composto dagli stessi atomi di idrogeno, carbonio, azoto, ossigeno, calcio, fosforo, ecc., e tali atomi sono gli stessi che costituiscono l'intero universo, nel quale tutto si ri-mescola per organizzare sempre nuove forme in un "divenire" in perenne trasformazione. La "materia" è soltanto una minima parte dell'universo e il corpo umano è costituito per il novantanove per cento da molecole di acqua (Hidrogeno e Ossigeno), tra di loro in risonanza e, nel divenire dello spazio-tempo, anche in dissonanza per consentire la disgregazione delle molecole e il disfacimento degli organismi per dare origine a nuove forme dell'eterno ciclo. È quest'ultimo - il "ciclo"-, quindi, che in senso "evolutivo" sta a fondamento della disciplina e del cambiamento del mondo e dell'intero universo. Sono cicliche, perciò, tutte le "forme" viventi (tra cui, oggi, anche gli esseri umani) e "non viventi" (secondo la classificazione umana, che tuttavia non può escludere in assoluto "la vita in sé" di ogni singolo atomo o di ogni "particella quantica"). Anche le galassie attuali sono il prodotto di precedenti galassie che si sono "estinte" alla fine del loro ciclo per dare ingresso a "nuove forme" di stelle, di galassie e organismi vari; così come avverrà per il nostro sole tra circa 10-15 miliardi di anni e per la terra tra circa 5-10 miliardi, e come sta accadendo sulla terra alla specie homo sapiens della quale si sono finora avvicendati circa 110 miliardi di umani. Durante il "ciclo" tutto si "ri-mescola"; anche i "geni" dei cromosomi umani, che annoverano geni provenienti dai virus e dai batteri che hanno "colonizzato" il corpo umano e altre specie viventi. Eppure tutto ciò, ben compreso grazie alla scienza e alla tecnologia, che lavorano per "liberare l'uomo" dai suoi pregiudizi, sembra non bastare ancora, visto che gli umani continuano a perseverare nel vizio di ritenere qualche uomo, loro simile, "in odore di Divinità" a cui trasferire anche le proprie libertà e dignità. E così gli umani si lasciano anche trascinare dagli Stati-apparati in stupide quanto inutili guerre per il primato egemonico e il piacere distruttivo mentre sarebbe utile cooperare prima del termine del proprio "ciclo politico", che ha inizio quando una civiltà diventa egemone, per migliorare le condizioni di vita individuali, collettive e globali, così come avviene in ogni organismo complesso (com'è la specie umana nel suo insieme), evitando di estremizzare la "competizione" e valorizzare la "partecipazione"; inoltre, occorre contrastare l'iniqua distribuzione delle ricchezze che fa vivere di stenti e privazioni una gran massa di esseri umani, sia a livello nazionale che internazionale; ed è altresì necessario che gli emarginati, gli sfruttati, gli schiavizzati, si chiedano se valga la pena condurre una tale "vita terrena" e di trasmetterla in successione ai propri figli (a causa dell'aberrante "rigidità delle classi sociali"), visto che è inevitabile la fine del ciclo vitale e che nessuna "forma umana" è speciale, né dura in eterno. È perciò indispensabile che ognuno si ponga la domanda: chi sono ? Al riguardo, va detto, anzitutto, che "non si è ciò che si fa" (esercitare un'arte, un ruolo, una professione o essere  titolare di una funzione non fa essere l'uomo ciò che fa). Identificare, perciò, l'uomo con ciò che fa in società, con l'attività che svolge, è una pura aberrazione culturale. E per capirlo basta pensare anche ai riti di carnevale. L. Pirandello narrava che il suo personaggio scopriva di essere "Uno, Nessuno e Centomila". L'uomo, però, è anche un organismo biologico che, come una "macchina", compie processi chimico-fisici di trasformazione della natura. Sul piano della psiche, invece, l'uomo è caratterizzato (secondo la tripatizione freudiana) dalla coabitazione della parte "razionale", conscia, dell'Io, e la parte inconscia, del "Super Io" e dell'Es. L'Io svolge un ruolo di mediazione in precario equilibrio perchè deve costantemente gestire sia i precetti imposti dall'esterno dal super Io, sia la parte irrazionale, che è sede della "follia", la quale spesso diventa la "condizione normale" degli esseri umani. L'uomo si trova, così, ad essere in "relazione" sia con l'esterno che con la propria psiche, nella quale l'Io coabita con "altri" (anche con l'esigenza della specie, che prima lo spinge alla riproduzione e poi lo sopprime, a circa 85 anni di età). E lo stesso avviene rispetto all'esterno, per la presenza degli "altri", diversi nelle forme ma uguali biologicamente, chimicamente, fisicamente, ecc.. L'uomo, perciò, è sempre in "relazione", sia all'interno che all'esterno di sé stesso. È patologico, perciò, dire "IO" anziché "NOI", e se lo dice un politico significa che ha manìe da dittatore. L'uomo e "l'Io" non possono esistere senza "l'altro" perché l'intero universo è "relazione". E ogni cosa e ognuno è "forma" dello spazio-tempo in cui si entra (nascita) e dal quale si esce (morte) perché si è partecipi del ciclo necessario ed inevitabile dell'eterno infinito, del molteplice e dell'Assoluto. Nulla, perciò, può manifestarsi due volte con la stessa forma durante l'intero ciclo (il bambino, l'adolescente, l'adulto, il vecchio) perché bisogna entrare in altre "forme" dell'infinito che in eterno tutto trasforma. E così si potrà anche dare la risposta al perché "in vita" si provi "dolore" (ma anche "piacere", a volte), pur essendo energia-materia in eterna trasformazione, perché si comprenderà che sia il dolore che il piacere appartengono soltanto alla "vita" che si manifesta nello spazio-tempo, che è finito. È, perciò, l'ingresso nella "vita" che "provoca" dolore e sensazioni. Così come l'uscita dalla "vita", soprattutto quando ci si è "innamorati" della propria forma corporale e non ci si è preparati ad entrare in una "nuova forma", in un'altra dimensione, dove forse dimora l'anelata "felicità". Nell'Assoluto, invece, non esistono dolore o piacere; e neppure lo spazio e il tempo, né la vita e la morte, e neanche l'uomo. Ivi tutto è eterno, come i costituenti delle forme umane che parteciperanno ad aggregare e disaggregare altre forme nell'eterno infinito. E bisogna accettarlo senza alcuna necessità di dover distruggere i "templi", come nichilisticamente sta ora avvenendo, perché essi possono servire come "luogo dell'incontro del sé con l'Altro". Chi sono, allora ? Nel mondo materiale, un organismo biologico e psicologico complesso, che tuttavia non può sottrarsi al suo "Destino" (essere ciò che è stato "destinato" ad essere); che è singolarmente diverso nella forma ma uguale nella sostanza a tutti gli altri organismi esistenti in natura, con i quali è in relazione nella rete dell'universo. E da ciò deriva, in ordine alle domande iniziali "da dove vengo" e "dove vado", che vengo dall'Infinito ! dall'Eterno, dall'Immutabile, dall'Indeterminato e Indifferenziato. Dal Tutto ! Ed è lì che vado, perché tutto lì deve ritornare per ricominciare il ciclo delle infinite forme degli eterni, in coerenza con le leggi di conservazione dell'energia e della massa secondo cui "Nulla si crea, né si distrugge ma tutto si trasforma". E allora, stando così le cose (come sembra), non risulta assolutamente sensato continuare a "divinizzare" qualunque essere umano e prendere atto che l'uomo e l'io sono un "Noi" in relazione con gli altri e che ogni cosa e tutto sono soltanto delle "forme" provvisorie e transitorie nell'eterno e infinito ciclo della materia e dell'energia che costituiscono l'intero universo.

 
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Commenti al Post:
ElettrikaPsike
ElettrikaPsike il 11/01/24 alle 20:06 via WEB
Allora, riassumendo i temi...vediamo se non mi dimentico qualcosa. Parti con l'analizzare l'abitudine umana di identificarsi e definirsi attraverso ruoli sociali, professioni o cariche, sottolineando - a ragione - che queste sono soltanto manifestazioni esterne e temporanee dell'essere umano e ricordi che l'identità individuale dovrebbe essere separata dalle costruzioni sociali e culturali, invitando a guardare oltre le etichette imposte dalla società. Ed io ti rispondo che noi non siamo la nostra età e non siamo necessariamente il nostro genere sessuale. Non siamo identificabili nemmeno con le nostre relazioni. Non siamo nemmeno la nostra professione e certamente non siamo che abbiamo. E non siamo il nostro status sociale. Noi siamo in quello che resta al di là di tutto questo. Poi esplori la relazione dell'essere umano con l'universo, sottolineando che siamo parte di una rete interconnessa e che tutto è in costante trasformazione ed inviti ad una visione più ampia della vita e della morte, considerando il ciclo eterno della materia e dell'energia nell'universo e rifletti sulla temporalità della vita umana, sottolineando che la forma corporea è transitoria e destinata a mutare nel ciclo eterno dell'universo e sottolinei l'esigenza di superare la paura della morte e abbracciare la transitorietà della forma fisica, comprendendo che la vita è parte di un ciclo più ampio. Rifletti sulla temporalità della vita umana, sottolineando che la forma corporea è transitoria e destinata a mutare nel ciclo eterno dell'universo e sottolinei l'esigenza di superare la paura della morte e abbracciare la transitorietà della forma fisica, comprendendo che la vita è parte di un ciclo più ampio. A livello biologico, siamo fatti degli stessi elementi chimici presenti nell'universo, gli atomi che compongono il nostro corpo sono gli stessi atomi che costituiscono le stelle e i pianeti e già questa connessione a livello atomico evidenzia la nostra profonda relazione con il cosmo, a livello ecologico, anche. Siamo parte integrante di ecosistemi nei quali ogni forma di vita è interconnessa e dipende dall'equilibrio del sistema. E poi c’è la risonanza energetica, tutto nell'universo è composto dalla stessa energia fondamentale. Questa energia si manifesta in modi diversi, creando la varietà di forme di vita. La connessione tra tutti gli esseri risiede nella condivisione di questa energia primordiale e da un punto di vista metafisico, c’è tutto un pensiero filosofico e spirituale che considera ogni forma di vita esistente come diversa espressione di un’unica essenza universale o coscienza primordiale. La percezione di separazione e individualità diventa un'illusione creata dalla nostra mente. Le coscienze sono interconnesse, parte di un'unica coscienza e l’idea di individualità è vista come un velo temporaneo. Nell’ottica di una coscienza collettiva, ogni individualità contribuisce a formare un tessuto più ampio di coscienza. In questa prospettiva, ogni esperienza di vita, pensiero e azione va a contribuire alla sua creazione ed evoluzione. La vita e la morte sono fasi di un ciclo eterno di rinascita. La morte non è vista come la fine, ma come passaggio a una nuova forma di esistenza. La costante trasformazione è una caratteristica intrinseca dell'universo, espressa attraverso cicli di vita, morte e rinascita a tutti i livelli. A livello biologico, le cellule del nostro corpo si rigenerano continuamente, a livello cosmico le stelle nascono, evolvono e alla fine esplodono, diffondendo elementi che formeranno nuove strutture celesti. Il ciclo eterno della materia e dell'energia nell'universo può essere affrontato anche attraverso la lente della spiritualità o della filosofia. Inoltre, prendi in esame la tendenza delle società umane a divinizzare figure di autorità. Siano essi governanti, legislatori o gli eroi, sottolineando - di nuovo, giustamente - che nessun individuo dovrebbe essere al di sopra degli altri in modo intrinseco, rimarcando una visione più egalitaria che vada a superare le strutture di potere ingiuste presenti nella società e ricordi l'importanza della cooperazione tra gli esseri umani per migliorare le condizioni di vita collettive e globali, contrastando la competizione e promuovendo la partecipazione, respingendo le guerre e gli scontri inutili e suggerendo che la collaborazione è essenziale per affrontare le sfide globali. Ed infine inviti a liberarsi dalle catene culturali, sociali, religiose e giuridiche per raggiungere la "Verità" e promuovi la necessità di svuotare la mente dalle costruzioni istituzionali per essere in armonia con l'universo. In generale, suggerisci una visione di mondo che abbracci l'uguaglianza nella diversità, la connessione con l'universo e la ricerca di una verità più profonda al di là delle costruzioni sociali e inviti gli individui a liberarsi dalle limitazioni imposte dalla società e ad abbracciare una prospettiva più ampia sulla vita e sull'esistenza... Che dirti? Personalmente, sono contraria ad ogni forma di idolatria e - come già “Qualcun altro” spiegò perfettamente - “Non fatevi chiamare maestri, perché uno solo è il vostro Maestro” ed aggiungiamo anche “Il più grande tra voi sia vostro servo”. Il punto è che ci sono da sempre gli stessi ostacoli a rendere difficile implementare modelli di dirigenza più collaborativi e distribuiti nelle società. In molte società le strutture di potere e di élite esistenti sono consolidate e fortemente radicate e coloro che detengono il potere resistono con ogni forza e mezzo ai cambiamenti che potrebbero minacciare la loro posizione. In più, in alcune culture, c'è una profonda radicazione della tradizione autoritaria e le persone sono abituate a seguire figure di autorità senza metterne in discussione le decisioni. Cambiare questa mentalità richiede tempo e sforzi rieducativi. Ed è un circolo vizioso, rteo. Perché le stesse disuguaglianze socio-economiche esistenti vanno ad alimentare e sostenere le strutture di potere consolidate. L’ignoranza e la mancanza di educazione – civica, nella fattispecie – fa il resto e contribuisce alla divinizzazione delle figure di autorità. La mancanza di consapevolezza è il primo elemento che va a facilitare il mantenimento dello status quo. E poi, senza girarci intorno, va anche considerato che le persone, in generale, tendono ad essere resistenti al cambiamento e, paradossalmente, anche quando potrebbe essere un cambiamento positivo e favorevole a loro stesse, perché in ogni caso minaccia la stabilità percorsa. Introdurre modelli direttivi più collaborativi potrebbe anche incontrare la resistenza di tutti coloro che temono l'incertezza e sono disillusi dalle autorità, non avendo più fiducia nei cambiamenti, oltre a quelli che, naturalmente, hanno un interesse personale nel mantenere lo status quo. Riguardo poi alla tua dichiarazione che respinge le guerre e gli scontri inutili, ti posso dire che riflette un'aspirazione ideale, tuttavia, la realtà è variegata in modo più complesso e l'eliminazione totale delle guerre è un obiettivo difficile da raggiungere persino riducendo e regolamentando in modo rigoroso il commercio di armi a livello globale. A di là delle differenze di interessi - nazionali, economici e politici divergenti che portano ai conflitti e al di là anche delle storie di guerre radicate nelle tradizioni e nella cultura di alcuni popoli che richiederebbero un cambiamento radicale nelle percezioni collettive e nelle strutture di potere ed oltre, ovviamente, alle disuguaglianze socioeconomiche, le guerre non credo possano essere respinte totalmente nell'ordine delle cose di questo modo. Anche se, ipoteticamente – ed utopisticamente - si riuscisse a mettere in atto un approccio globale che affronti concretamente e in modo concludente le radici dei conflitti attraverso tutte le possibili strade (dalla mediazione internazionale alla garanzia dei diritti umani fondamentali, alla collaborazione tra le nazioni e al disarmo etc.) esistono contrapposizioni complementari che vedono ogni elemento con un suo ruolo preciso nell'equilibrio complessivo dell'esistenza. Non sto dicendo – si chiaro e messo agli atti! - che è inutile o sbagliato attivarsi per avere un mondo in cui la cooperazione e la comprensione reciproca superano la necessità della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti; ma sto dicendo che, al di là del nostro compito che ci vede protagonisti attivi nel limitare gli effetti negativi e nel promuovere l'esistenza, il rispetto e la messa in pratica di garanzie fondamentali, va anche considerato che il mondo è intrinsecamente strutturato per stare in equilibrio tra opposizioni e divergenze. E' tutto un equilibrio sopra il caos e la follia, parafrasando Vasco, ed un centro di gravità permanente - citando Battiato - non può esistere, qui ed ora. Come si può pensare, anche se utopisticamente e ipoteticamente si cancellassero le guerre, che l'uomo non troverebbe comunque il modo per uccidere? O come credere che, anche se si arrestasse l'invecchiamento, si impedirebbe la morte? Penso sia una contraddizione (logica ed esistenziale) in termini, quella di chi cerca di immaginare un mondo in cui non esistono più il dolore, la morte, la necessità della guerra, i brutti sentimenti, il mal tempo...Se vuoi, possiamo semplificare ancora con il concetto di yin e yang nella filosofia cinese, in cui forze opposte sono interconnesse e complementari, contribuendo all'armonia complessiva dell'universo. La nostra ricerca di avvicinamento ad un mondo ideale deve esistere, ma sempre guidata dalla consapevolezza della complessità e sottigliezza dell'esistenza umana e universale e dalla comprensione che ogni azione può avere conseguenze impreviste. Riguardo alla questione della competizione, infine, io credo che vada fatta una scrematura. L'agonismo e la spinta emulativa non sono necessariamente negative di per sé. Nel contesto storico della Grecia antica, come esempio su tutte, la competizione atletica ed intellettuale era una parte essenziale della società, contribuendo a sviluppare le capacità individuali e collettive. Può motivare le persone a migliorarsi, a cercare l'eccellenza e a raggiungere risultati notevoli ed inimmaginati. Il concetto di agonismo nella cultura greca rappresentava proprio quella forma di competizione focalizzata sulla ricerca della virtù e della ricerca di “perfezione” personale. E questa prospettiva può essere riallacciata al concetto di meritocrazia, dove il potere è attribuito a coloro che dimostrano abilità, virtù e dedizione. In sostanza l’aristocrazia nella sua etimologia greca – &#940;&#961;&#953;&#963;&#964;&#959;&#962; e &#954;&#961;&#940;&#964;&#959;&#962; – il potere ai migliori e non certo considerata nell’accezione moderna di “potere detenuto da una cerchia ristretta ed elitaria di nobili natali o di discendenze caratterizzate da condizioni privilegiate ed esclusive”. Naturalmente, però, neppure a dirlo, è importante considerare il contesto in cui si manifesta la competizione e valutare il suo impatto sulla società. La competizione non è dannosa in sé. E’ dannosa o può diventare dannosa quando porta a comportamenti scorretti, disuguaglianze estreme o danni ambientali ma non per questo va demonizzata ed eliminata. Come non va demonizzata e precauzionalmente eliminata nessuna cosa che potrebbe avere anche ottimi risvolti e conseguenze positive. La gestione equilibrata e responsabile della competizione – come di ogni aspetto di questa realtà, inutile dirlo – contribuisce a coltivare l'innovazione ed il perfezionamento senza compromettere il benessere generale.
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rteo1
rteo1 il 11/01/24 alle 21:40 via WEB
Ho letto con estremo piacere e interesse il tuo "post" (non un commento) che ben si abbina al mio e lo integra, se non altro perché solleva alcune obiezioni che meritano profonde riflessioni prima di dare una risposta. Per ora credo di poter dire che la "competizione" è certamente evidente nella realtà sociale ma l'interpretazione umana forse non ne coglie il fondamento, oppure "l'altra faccia". Noi, ahimè, siamo stati abituati a vedere le divisioni, le parti, e non il tutto, l'insieme. Invece è quest'ultimo la verità e per comprenderlo bisogna trascendersi. Ma non è impresa facile. Troppi condizionamenti influenzano il pensiero. Solo la "risonanza di fase" delle coscienze può squarciare il velo. Comunque bisogna liberarsi dal concetto di tempo umano,che è un granello di sabbia nell'universo. Quest'ultimo non ha fretta e tanto è vero che esiste da circa 14 miliardi prima della comparsa dell'uomo. Potrà pazientare ancora qualche millennio per vedere la metamorfosi della specie? O la estinzione della stessa? Ad ogni buon conto il mio intento principale era quello di chiarire a me stesso il significato del ciclo della vita. Avevo bisogno di trovare dei fondamenti che non fossero di pura filosofia. Credo di essere riuscito a comprendere l'eternità insita nel tutto,perché è eterna la matrice di ogni cosa e questo per ora mi conforta. E se ciò convincerà anche altri credo che tutto il chiacchiericcio umano sia solo un fastidioso e inutile "rumore di fondo". Grazie per il brillante contributo.
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ElettrikaPsike
ElettrikaPsike il 11/01/24 alle 20:09 via WEB
Mi sono accorta che non ha rilevato i caratteri greci che avevo riportato, comunque utilizzando quelli italiani erano àristos, "migliore" e kratos "potere".
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