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Ti piacciono i Fumetti Baby? Parte Quinta

Post n°93 pubblicato il 23 Ottobre 2011 da stradeperdute2
 
Foto di stradeperdute2

 

"...l'impiegato allo sportello mi scrutava di sottecchi dal di sopra di quei ridicoli occhialetti a mezza lente.

Ostentava un sorriso che aveva un che di fissità artificiale, come una mummia egiziana che imbalsamata da secoli, si stia risvegliando proprio in quell'istante..."

 

stradeperdute2.

 

 

 

Ti piacciono i fumetti baby? Parte Quinta

 

(The Last Waltz)

 

(V.M. 18)

 

 

I

 

 

Lin si rivelò una compagna preziosa per combattere la mia solitudine all'interno del rifugio.

Le sue qualità di estrema gentilezza, bellezza e sensualità per non parlare della sua socievolezza e familiarità che mi aveva donato a piene mani da subito, la rendevano come ho detto, preziosa ai miei occhi.

Per lunghi tratti dimenticavo quale fosse il suo vero lavoro di prostituta. Ma mi consolavo dicendomi che a volte la professione che una persona svolgeva non dovesse indicare giocoforza la sua vera natura.

Lo sapevo bene io, del resto. Pure io non avevo mai svolto una professione che mi rispecchiasse.

Nemmeno una che mi gratificasse. Alla fine dopo lunghe riflessioni mi autodefinivo come un "prestatore d'opera" tanto per indorare la pillola e non altro.

Un mercenario se si mettevano da parte inutili eufemismi.

Avevo servito sotto tante insegne, sotto tante divise. Ero un veterano, ormai.

I miei capelli brizzolati sulle tempie da decano contrastavano con un fisico ancora sorprendentemente integro e compatto. Eppure in tutti quei lunghi anni non ero stato in grado di trovare uno straccio di ideale per il quale parteggiare e schierarmi.

Tutte le azioni, dalle più semplici alle più disparate ri - conducevano e convergevano sempre verso me stesso in un circuito chiuso, vizioso; autoreferenziale insomma.

 

Del grande pensatore e pianificatore che ero stato in gioventù non rimaneva traccia.

 

Giravo su me stesso da perfetto irresponsabile mettendo in pericolo oltre la mia stessa vita, quella incolpevole di Lin.

 

Non stavo più in guardia e continuavo a farmi fare pompini dalla generosa ragazza cinese. Stavamo completamente nudi tutto il giorno e tutta la notte. Non cucinavamo mai nulla e ci cibavamo solo di cazzate in scatola e roba conservata, cibo precotto tutt'al più.

Il resto era costituito praticamente solo da sesso, sesso, sesso.

Per errore o per distrazione le ero venuto dentro una volta e da allora non ci facevo più caso e le venivo dentro continuamente.

 

Andavamo spesso fuori in cortile a goderci l'ultimo sole estivo e a farci il bagno in piscina, poi dopo appena due bracciate la afferravo e la scopavo lì fuori dove capitava. Nella posizione che capitava.

Eravamo come due naufraghi alla deriva. Due arcipelaghi della solitudine temporaneamente riuniti in un non - luogo, dentro fino al collo ad una situazione grottesca e soprattutto pericolosissima.

Continuavo a visualizzare con la coda dell'occhio gli uomini dei corpi speciali vestiti come marziani che sarebbero sbucati con i loro movimenti sornioni dalla sommità del perimetro delle mura e in men che non si dica avrebbero preso la mira e ci avrebbero ucciso con pochi colpi silenziati.

Io l'avrei stretta cercando con il mio fisicaccio di proteggerla, di far scudo in qualche modo alla corsa delle pallottole. Sarei stato il primo a morire, le sarei morto fra le braccia, probabilmente con il cazzo ancora infilato fra le cosce.

Sarebbe finita così, esalando il mio ultimo respiro proprio così come da sempre mi figuravo.

 

Poi Lin si inginocchiava dinanzi a me e stringendomi delicatamente il sesso fra le dita giocava con il mio glande sulle sue labbra deliziose. Poi con il piercing sulla lingua mi stuzzicava sapientemente il prepuzio ed infine si introduceva tutto il membro dentro la bocca piccolina, delicata. Piano piano riusciva a prenderlo tutto fino in fondo accarezzandomi i testicoli gonfi di eccitazione con la manina. Con le unghie viola o blu cobalto disegnava ghirigori sul corpo che mi procuravano brividi di piacere.

Poi sollevava i suoi occhi neri come la notte verso me sorridendo e guardandomi dritto negli occhi, tornava a deliziarmi là sotto...

 

Di solito osservavo ancora per un poco le stelle tatuate sul suo corpo superbo e sui polsi sottili durante i suoi movimenti danzare, come fossero animate di vita propria e scaricavo il mio piacere con un grido venendole parte in bocca e sulla lingua, parte sul viso e sui seni...

 

Percorrevo con la mia lingua le linee ideali che separavano i glitter sparsi sulla sua pelle quindi dolcemente le aprivo le cosce andando con la lingua saettante prima sul piccolo foro dell'ombelico poi in cerchi sempre piu voluttuosi sul clito e sulle labbra della fica costringendola a spalancare la bocca per il piacere.

Dopo il suo orgasmo continuavo a leccarla e con la saliva lubrificavo anche il suo piccolo e più intimo orifizio, l'ultimo baluardo da violare. Così sodomizzandola diventava mia completamente, non volevo che fra noi due ci fossero barriere o tabù di alcun genere; tanto meno di genere sessuale.

Nel bagno non c'era nemmeno la porta e mi divertiva e mi eccitava guardarla fare la pipì, innocente come una bambina ma così maliziosa allo stesso tempo.

Ogni volta che la faceva mi chiamava per farsi guardare ed io invariabilmente mi avvicinavo a lei accosciata o seduta sul wc, mettendole il cazzo in bocca e facendomelo succhiare.

Fuori in cortile la faceva lì dove le veniva voglia, senza alcun ritegno o pudore proprio così come sapeva che io desideravo.

La guardavo giocare fintamente innocente con quel piccolo getto dorato e dopo vellicarsi in modo lascivo il pube depilato facendo di quel siparietto altamente hot l'unico e solo spettatore privilegiato e mi chiedevo allora se perlomeno un piccolo pezzo di paradiso non abitasse lì; dentro l'inferno di quella periferia...

 

Dopo aver fatto a lungo l'amore lei talvolta mi saliva lungo la schiena e mettendomi le braccia al collo si lasciava trasportare da me come fanno le bambine.

A volte invece si sedeva sulle mie ginocchia e si addormentava come una piccola creatura indifesa rannicchiandosi contro il mio petto.

Poi la mettevo dolcemente a letto. Fu così che una volta la guardai dormire abbracciando il suo orsacchiotto con il piccolo dito in bocca.

 

II

 

 

 

E per la prima volta misi finalmente a fuoco in modo inequivocabile la situazione per ciò che era.

Non avevo alcun diritto di mettere, al di là di tutta la tenerezza e l'amicizia che per lei provavo, a repentaglio la sua stessa vita.

Lei con me e i miei casini non c'entrava nulla.

Osservai dinanzi alla specchiera rotta il mio volto dividersi in più parti: di qua le parti buone di là le parti cattive...aprii un cassetto e ne cavai fuori una sottile fune metallica con alle estremità due anelli. Afferrai gli anelli stringendoli in modo spasmodico. Sarebbe stato facile, ora nel sonno, scivolarle di lato facendole passare la fune attorno al collo sottile e stringere, stringere, stringere senza pensare a nulla.

Sarebbe morta subito, senza dolore, senza nemmeno accorgersi della dipartita da questo mondo di tribolazione e nebbia...

Poi avrei brandito la mia fedele Beretta me la sarei puntata dritta in bocca oppure alla tempia e tutto sarebbe finito in un attimo così com'era iniziato...

Tornai parzialmente in me guardando stordito il mio sangue sgocciolare copioso nel lavello.

Mi ero tagliato le mani con il metallo dello strumento.

Un'allarmata Lin mi fu alle spalle prendendosi il viso dolce fra le mani: "stladepeldute tu esselti taliato, fatto male! Io medicale, io medicale te!

Attesi paziente che Lin mi bendasse le ferite sulle quali non mancò di depositare un bacino propiziatorio di pronta guarigione.

 

Poi le annunciai calmo: "ora và, vai a fare le valigie, stasera te ne devi andare...."

Non disse nulla, si voltò semplicemente dandomi le spalle ma lungo il suo bellissimo profilo mi parve di scorgere come un'ombra. L'ombra d'una lacrima, o forse fu solo la mia immaginazione.

Comunque, oltre il suo beauty case ed i suoi effetti personali non aveva praticamente nulla da portar via.

 

Indossò un soprabito leggero direttamente sulle sue splendide nudità e mi parve un delitto coprire quell'opera d'arte che era il suo corpo.

Quando, dopo avermi salutato, uscì e scomparve nell'oscurità così com'era venuta. Dal nulla, ebbi nettissima la sensazione che di lì a poco qualcosa di importante sarebbe successo.

E che ero giunto ad una svolta, indietro non sarei mai tornato...

 

Mi vestii in fretta, afferrai cellulare e pistola e mi tuffai anch'io nell'oscurità là fuori...

 

Potevo quasi udire il tic tac d'un orologio che scandiva le ultime sequenze di quella scena...

Mi spostai col suv nel quartiere limitrofo ed accesi il cellulare. Subito insieme alla solita scarica elettrica di adrenalina mi raggiunse il suono d'un sms in arrivo.

 

Prima ancora di controllare chi fosse avevo già capito tutto.

 

Ricordavo il numero a memoria, se ce ne fosse stato bisogno. Ma non ce ne fu bisogno, prima ancora di leggere l'sms in un qualche modo la sentivo, sentivo la scossa che la tastiera a distanza mi comunicava.

La stessa di quando la conobbi in chat la sera di S. Valentino di molti anni prima. Quando lei stava arrivando cominciavo a patire gli effetti di una sorta di Sindrome di Stendhal.

Un euforia incontrollabile coniugata con un effetto tunnel micidiale che schiacciava, spazzava letteralmente via le altre persone, le altre cose della mia vita, gli affetti, gli amici. Persino le altre donne.

Lei era il mio amore, da sempre.

L'unico, grande, grande, talmente grande da cancellare tutto. Tutto.

La conoscevo da sempre, come un animale sapevo che lei sarebbe venuta. E sarei stato suo.

Semplicemente era l'unica persona al mondo con cui relazionarmi in un qualsiasi altro modo sarebbe stato impossibile. Era fuori dal mio controllo, semplicemente.

Lei era più forte di me. O forse mi amava di meno. Non so.

Sapevo solo di amarla d'un amore totale, totalizzante e pertanto come tutti i veri amori, si trattava di un amore del tutto folle.

Lì i calcoli ed il cervello si fermavano, cedendo il passo a qualcosa di atavico, ancestrale. Qualcosa di invincibile, di antico come il mondo mi pervadeva assoggettandomi, possedendomi.

Era l'amore incendiario che fa le guerre e porta distruzione. Era lo stesso spirito che fece rapire Elena da Paride. Dinanzi a certe donne senno e ragione si ritiravano vinti.

Lei era una di queste.

 

Lei si chiamava Elle.

 

Quella volta con Elle al ristorante mi tornò prepotentemente alla mente.

 

Quando la ns storia stava oramai finendo. Senza alcun motivo apparente. Lo sapevamo entrambi.

Io fui preso dal panico.

Stavamo pranzando quando la guardai a lungo negli occhi verdi come calabroni e vi lessi la fine della nostra storia.

La crisi partì curiosamente dai piedi che mi accorsi di non governare più. Sarei caduto immediatamente a terra se non fossi stato seduto.

Si spaventò anche lei che di solito era imperturbabile. Poi non udii più suoni e le pareti cominciarono la loro danza tutto intorno. Caddi come in stato di trance e ricordo che pensai: "Ecco, adesso muoio."

Vidi i camerieri che non osavano avvicinarsi, tirare un grosso respiro di sollievo quando mi ripresi.

 

Poi un giorno, un bruttissimo giorno di mezza estate così come bruscamente era cominciata la ns storia altrettanto improvvisamente terminò.

 

Inutile cercare spiegazioni plausibili e razionali a ciò che razionale non è . Tutto qui.

 

Ora, dopo anni rieccola. La corrente elettrica che tanto faceva male. L'amore, il Moloch invincibile. Contro di me, un guerriero a fine carriera, scoppiato. Privo di motivazioni.

 

Loro lo sapevano.

 

I miei nemici, quelli dei servizi.

 

Lo avevano scoperto, il mio lato debole.

 

E lì attaccavano.

 

Avevo sempre avuto quel sospetto. Che anche Elle ne facesse parte in qualche modo di quella merda, dei Servizi.

 

Ora con l'invio di quell'sms ne avevo avuto l'amara conferma.

Ero stato usato.

Chissà da quando. Le mie azioni erano state dirette da una regia occulta che mettendomi sulla strada lei, aveva approfittato di me e del mio lavoro.

Doveva essere per forza così.

Non si spiegava altrimenti quel contatto via sms, quella coincidenza peraltro inspiegabile in modo diverso e altrettanto clamorosa.

 

Dopo tanti anni.

 

Lessi l'sms che diceva: " Al solito posto, a mezzanotte in punto. Ti aspetto, ti devo parlare. Firmato: Elle."

 

Guardai il quadrante fluorescente del Luminor Panerai. Erano le ventitrè: mancava appena un'ora alla resa dei conti finale.

 

Diedi gas a tavoletta al suv che sgommò via rabbiosamente. "Il solito posto" cui accennava Elle nel messaggio era il pub "La Tana del Lupo" a pochi isolati da lì.

Sui tavolini e sui divanetti imboscati dietro i separè ma nemmeno piu di tanto, complici i camerieri e la semioscurità, io ed Elle avevamo fatto l'amore selvaggiamente non ricordo quante volte.

Eravamo come fiumi in piena, incontenibili, incoercibili. E come fiumi non avevamo una coscienza da regolare.

Nulla ci avrebbe potuti fermare.

 

Mentre correvo al rendez - vous, flash - back impazziti di ricordi della nostra storia si mescolavano al whisky che ingollavo a sorsate senza nemmeno sentirlo.

 

Adesso, ero una macchina da guerra, lanciata all'epilogo finale. Quale che fosse.

 

Misi su nello stereo dell'auto la ns canzone preferita. Sembrava quasi vero. Un normale appuntamento fra una coppia innamorata.

 

Sembrava vero...Le lacrime mi salirono con foga agli occhi ed io annegai la mia disperazione nella fiaschetta del whisky...

 

Giunsi con quasi mezz'ora di anticipo al ns appuntamento...il manuale diceva: "appostati sempre prima, potrai scegliere la posizione migliore e da lì controllare la situazione..."

La posizione migliore era semplice da trovare...bastava in un locale mettersi in fondo da dove non visto oppure visto in penombra potevi controllare chi andava e veniva con una certa tranquillità e con la certezza che addossato al muro nessuno ti avrebbe colto di sorpresa alle spalle.

Parcheggiai dietro il locale e ad una certa distanza da esso, in modo però di potermi facilmente coprire una buona fuga se le cose si fossero messe male. E a giudicare dalla piega che stavano prendendo le cose ne avrei avuto certamente bisogno.

 

Entrai ed osservai l'interno del locale, l'arredamento era grosso modo rimasto lo stesso. Il bancone in legno massello scuro dominava la scena al centro e di fianco sulla destra si aprivano quei piccoli separè...

Presi posto in fondo, a quell'ora di martedì il locale era semideserto.

Ordinai una birra rossa, doppio malto.

E attesi, scrutando intorno.

Ero stranamente calmo.

Guardavo il fondo della birra torbido e schiumoso come a cercarvi un oscuro vaticinio...

Tenevo il capo incappucciato e non incrociavo lo sguardo con nessuno...

 

Quando la campana della chiesa vicina battè esattamente dodici rintocchi, alzai lo sguardo e lo fissai sulla porta di ingresso...

 

Ci fu un attimo come di blocco del tempo, come uno stacco, oppure una scossa. Una forte vibrazione come quella che precede il manifestarsi di certi eventi meravigliosi nella loro terribilità.

L'avvicinarsi di una grande ondata di tsunami od un terremoto...anche i pochi avventori dovettero avvertirla perchè si voltarono simultaneamente verso la porta come in eloquente attesa...

 

E lei apparve sulla soglia...

 

Quando si descrive una bellezza definendola mozzafiato c'è un perchè di semplice intuizione: il fiato dei presenti in quell'istante si interruppe. I discorsi cessarono e il silenzio si fece tangibile.

Ora si poteva udire solo il ticchettio dei suoi tacchi alti sul pavimento. Null'altro.

Guardai quel corpo che amavo e odiavo allo stesso tempo, per la schiavitù alla quale mi costringeva.

 

Il suo corpo da urlo era fasciato solo da un mini abito che nulla lasciava all'immaginazione.

Davanti i seni prorompenti ma sodi e dritti erano trattenuti a malapena dal verde cangiante della stoffa che non riusciva a celare il miracolo di quei capezzoli ritti come chiodi, fatti di carne.

La mente voleva uscire da quella perfezione di scollatura che giungeva fin sotto all'ombelico, ma non poteva.

Era vittima della magia della fascinazione.

 

Stupidamente osservando il suo gesto di malizia, quel gesto di sicurezza indifferente verso tutti, di terribile noncuranza della sua mano che saliva a riavviare quelle chiome vaporose pensai ad Ulisse e al Canto delle Sirene.

Ora capivo. La follia dei marinai che si sfracellavano con le loro navi contro gli scogli per le Sirene.

Seguii il suo sguardo che mi cercava; più che con esso mi trovò con l'intuito.

 

Allora venne verso di me, si avvicinò di qualche passo, potevo sentire il suo profumo di donna prepotente. Guardare le sue cosce nude da vicino, le sue spalle nude da danzatrice.

 

Piantò i suoi occhi nei miei, con la calma della predatrice, della mantide che divorerà il maschio dopo l'amplesso...

Afferrò la mia mano con la sua portandola nell'incavo dei suoi seni.

Il suo viso d'angelo diabolico si aprì poi nel sorriso più ammaliante che abbia mai visto in vita mia.

Non vi sono parole atte a descrivere quel sorriso...e contemporaneamente con la velocità d'un felino la sua mano corse alla borsetta.

Sorprese anche me che ero pur preparato a quella sortita. Ma la mia mente agiva ormai in automatico.

Ero duro da uccidere e molto.

Quando Elle estrasse con la velocità d'una pantera la pistola dalla borsetta e me la puntò contro mi ero già lasciato scivolare di lato sulla similpelle liscia del divano.

La pallottola penetrò nello schienale al quale una frazione di secondo prima ero appoggiato.

 

Non ebbe mai il tempo di riaversi dalla sorpresa.

Prima che potesse prendere nuovamente la mira, la mia Beretta perfettamente oliata, aveva già cantato. Aveva già emesso il suo verdetto...

Quando sparai si udì un fragore tremendo, della pallottola speciale che usciva senza lasciar scampo.

Credo che la condannò proprio l' incredulità per quel marinaio che al suo canto anche se solo x una volta aveva saputo resistere, senza cedere.

Cadde all'indietro con l'espressione di attonita sorpresa ancora disegnata sul viso, trasfigurato da una bellezza talmente grande da non sembrare nemmeno terrena.

 

La afferrai prima che cadesse a terra e la sorressi appoggiandola delicatamente sul pavimento.

 

Capii subito che sarebbe morta: il proiettile le aveva aperto un foro sfrangiato come una grossa farfalla all'altezza dello sterno. L'aveva trapassata da parte a parte senza lasciarle scampo.

Più che udire le sue parole le intesi dal labiale. Da quelle labbra divine e rosse al quale ora si mischiava il rosso del suo sangue in uno sbuffo largo, cresciuto come un fiore cattivo.

 

"Stradeperdute ti ho amato, ti ho amato davvero...Ho tanto freddo, ti amo, Stradeperdute, ti amo..."

 

Poi morì.

 

La strinsi forte, ma così forte nelle mie braccia che credo le spezzai tutte le costole. Mentre gridavo una disperazione talmente cupa che nemmeno riuscivo ad udire.

 

Cominciò a piovere a dirotto mentre la strada fuori si riempiva del suono rabbioso delle sirene e dei lampeggianti blu.

 

Fuggii ancora una volta dal percorso che avevo pianificato.

 

Approdai al suv.

Mi chiusi dentro e portai la canna della Beretta all'interno della bocca.

 

Ma non ce la feci a premere il grilletto.

 

Partii e imboccai una delle provinciali che conducono verso nord. Guidando sotto shock

senza meta apparente: le mie stradeperdute.

 

 

 

 

stradeperdute2

 

 

p.s

i fatti qui narrati nelle 5 puntate che le più coraggiose di voi hanno avuto la costanza e la pazienza notevole di seguire contengono un fondo di verità al quale si ancorano elementi fantasiosi (ma nemmeno poi tanto).

Le sequenze e la descrizione del mio Amore sono assolutamente reali ed accadute. La mia storia di grande, immenso Amore finita.

La bellissima, fatale Elle (solo l'iniziale del suo vero nome) corrisponde a verità, ma per sua (e mia) fortuna è viva e vegeta e forse un giorno il destino la porterà da queste parti a leggere questo racconto...

 

stradeperdute2

 

 

 

 

 

 
 
 
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