Libri & Letture al tempo del Coronavirus

COVID Libri

I Libri al Tempo del Coronavirus

Fra i pochi vantaggi della reclusione domiciliare a cui siamo costretti, c’è forse quello di poter leggere un buon libro seguendo i suggerimenti di Italo Calvino: “ Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: « No, non voglio vedere la televisione! » Alza la voce, se no non ti sentono: « Sto leggendo! Non voglio essere disturbato! » Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: « Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino! » O, se non vuoi non dirlo, speriamo che ti lascino in pace ”.

È il celebre incipit del suo metaromanzo, composto da dieci inizi di romanzi intervallati dai racconti dei due protagonisti, il Lettore e la Lettrice. Pubblicato nel 1979, è una sorta di libro-manifesto che invita a distaccarsi dagli affanni dell’esistenza, a rifugiarsi nelle terre del silenzio e dell’immaginazione. Intendiamoci, nella realtà della vita quotidiana solo uno sfaccendato senza famigliari in casa avrebbe la possibilità di seguire alla lettera i consigli dell’inventore di una memorabile trilogia di favole araldiche. Ai tempi del Coronavirus, tuttavia, qualche ora in più per sperimentarli forse ci è concessa. Sempre che si consideri il libro, come recita un motto di Abū Hayyān al-Jāhiz, un sapiente arabo del IX secolo, “ un amico che non va a dormire se non prima che tu stesso sia caduto nel sonno ”.

In un mondo segnato da trasformazioni tecnologiche incessanti, è infatti lecito porsi questa domanda. Basta ricordare alcune date per avere un’idea della loro velocità. La prima grande rivoluzione nei mezzi di comunicazione, la scrittura, risale al 4000 a.C circa, i geroglifici egizi compaiono verso il 3200 a.C, mentre bisognerà aspettare il 1000 a.C per la scrittura alfabetica. Intorno al terzo secolo d.C il codice sostituisce il rotolo, creando la forma “libro” che resiste ancora oggi; verso il 1450 comincia la straordinaria avventura della stampa a caratteri mobili. Le moderne rivoluzioni scattano invece negli ultimi decenni del Novecento: la parola Internet vede la luce nel 1974; il Web nasce nel 1991 nei laboratori del Cern; si diffonde negli anni Novanta; nel 1998 esordisce Google, e siamo solo agli inizi. Ecco, allora, che si è subito fatto avanti chi ha decretato addirittura la fine del libro e la fine — o la crisi profonda — della lettura nelle forme tradizionali fin qui conosciute.

A quanti non condividono e non accettano l’ineluttabilità di tale ( funesta ) prospettiva, segnalo un recente volume della storica della letteratura italiana Lina Bolzoni: “ Una meravigliosa solitudine. L’arte di leggere nell’Europa moderna” ( Einaudi, 2019 ). È un viaggio, dotto e affascinante, attraverso i piaceri e i riti della lettura celebrati da autori insigni: solo per fare qualche nome, da Petrarca a Boccaccio agli umanisti; da Machiavelli a Erasmo da Rotterdam; da Montaigne a Tasso, fino a John Ruskin e Proust.

Il “commercio” con i libri, scrive ad esempio Montaigne, è più sicuro e durevole degli altri due “commerci”, e cioè l’amicizia e l’amore: “Esso costeggia tutto il mio percorso e mi assiste dappertutto. Mi consola nella vecchiaia e nella solitudine. Mi scarica dal peso di un ozio noioso, e mi libera in ogni momento dalle compagnie che m’infastidiscono. Smussa le punture del dolore, se non è del tutto estremo e dominante. Per distrarmi da un’idea importuna non ho che da ricorrere ai libri: essi mi attraggono facilmente a sé e me la sottraggono. E tuttavia non si ribellano vedendo che li cerco solo in mancanza di quegli altri piaceri più reali, vivi e naturali. Mi accolgono sempre con lo stesso volto” ( “Saggi”, Bompiani, 2012 ). [ Tratto da Start Magazine – Il Bloc Notes di Michele Magno: Link: https://lnkd.in/dWUZk8B ]

Marino Moretti: In Verso e in Prosa

Moretti è tipicamente associato al crepuscolarismo. Il termine compare infatti per la prima volta proprio in una recensione a Poesie scritte con il lapis. La poesia di Moretti nonostante un’attività lunghissima, che ha sfiorato i settanta anni, non ha subito grandi modificazioni. Tipico rappresentante di un modo di vedere la vita nelle sue semplici cose senza tempo, ripiegandosi su sé stesso e lasciandosi andare, Moretti, forse più dei suoi compagni crepuscolari, sente lo sfaldarsi del personaggio e la debolezza dell’uomo nei confronti del tempo, che procede inesorabile, cui non cessa di ribellarsi.
La sua è una poesia che nasce dal contrasto fra le cose e i sentimenti, fra il mondo esterno e il mondo interno. Nella poesia intitolata A Cesena tutti i temi crepuscolari sono presenti, soprattutto la posizione nei confronti del tempo, delle cose che ti circondano e del passato che non si riconosce.

Moretti va inoltre ricordato, oltre che per le poesie del periodo giovanile, per quelle della maturità e della vecchiaia nelle quali, come dice Carlo Bo, il poeta si è sciolto maggiormente «annullando quelli che erano gli schemi iniziali riconducibili alla lezione crepuscolare e impostando la sua nuova lettura dentro il registro dell’ironia e di una filosofia dolorosa e quasi crudele».

Moretti concepisce il romanzo o la novella come lo svolgimento di un tema semplice senza necessità di alcuna architettura al quale sia sufficiente l’alternarsi dei chiaroscuri per darne il giusto risalto. Ad un certo punto della sua carriera, dopo La vedova Fioravanti ( 1941 ), lo scrittore giunge ad una maggiore complessità di temi narrativi e ad una maggiore scioltezza formale. Lo stile diventa più analitico e complesso e le emozioni, più sommesse, comprendono pause riflessive venate da un’intonazione ironica. Lo scrittore inizia a servirsi del materiale dei ricordi e lo intreccia a motivi fantastici, combinando e contaminando le forme narrative con quelle del saggio o della divagazione lirica.

Il tema della provincia, a diversi livelli di approfondimento, è tipico dell’opera morettiana. Ci si trova di fronte ad un “provincialismo” delle prime opere che si rifà ad un’atmosfera crepuscolare dove viene messo in evidenza un mondo dai contorni un po’ ristretti, sonnolento e a volte e anche uggioso. Tutto questo appare legato al gusto italiano del momento, con riferimento a Fausto Maria Martini che pubblica nel 1910 le “Poesie provinciali” e anche a coloro, come Rodenbach o Mateterlink che possono considerarsi affini al crepuscolarismo. In un secondo momento, come nei “romanzi della mia terra”, l’analisi diventa più dettagliata nel descrivere soprattutto gli interni, dove certi elementi, che rappresentano il centro della vita domestica, assumono un ruolo simbolico, come il focolare ( l’aròla ) nel romanzo “Puri di cuore”. Un maggiore ampliamento del tema avviene con l’interesse per quanto accade nel paese, l’accurata descrizione degli ambienti e soprattutto con la “tipizzazione” dei diversi personaggi che mette in evidenza la loro mentalità tanto legata alle abitudini di vita di quella terra e di quella cultura. E, come scrive Giuseppe Zaccaria, “In questo senso la narrativa morettiana affonda precise radici in una tradizione ottocentesca, quella del regionalismo e del verismo, anche se da questa tradizione tende, soprattutto nelle ultime opere, ad affrancarsi.”

Il linguaggio della poesia e quello della prosa scorre parallelo nell’opera di Moretti con la conseguenza della scelta di una lingua molto vicina al parlato che si limita alla semplicità di una comunicazione piccolo-borghese fino a giungere alla cantilena infantile e alla cadenza ripetitiva con l’utilizzo di parole della quotidianità. Lo stile è pertanto da ricercare nei moduli crepuscolari ma anche in un usus scribendi molto personale con il ripetersi di termini e stilemi maggiormente elevati. Tra gli elementi distintivi dello stile morettiano persistono le parole-cose che servono a determinare in modo preciso gli oggetti oltre l’uso costante di diminutivi, di sostantivi e aggettivi che vogliono indicare il grigiore, la noia, la malinconia. Si aggiungono inoltre tutti quei termini tipici dell’infanzia legati al mondo della scuola, dell’amore materno e dell’uso domestico che ricordano l’ascendenza pascoliana.

Per quanto riguarda le situazioni espresse nei suoi romanzi, Moretti sceglie quelle più immediate e facilmente comprensibili dal comune lettore, sia che rappresenti il mondo popolare dei contadini o quello di ambienti borghesi, riprendendo gli schemi ottocenteschi che vanno dal bozzetto di carattere realistico alla ben delineata tipologia dei personaggi. L’ideologia dell’autore è già espressa nelle sue poesie dove si sofferma sulla crisi dei valori dell’uomo e sulla mancanza delle motivazioni umane per poter affrontare con serenità la vita. Ostinato e solitario, mite e tetragono, Moretti è, in definitiva, incapace di mercanteggiare i soccorsi mondani delle ideologie e delle retoriche contemporanee. ( Wikipedia )

 

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Libri & Letture

Il Doping nel Calcio – Le pesanti verità di Ferruccio Mazzola

Doping

Ferruccio Mazzola: il Doping nel Calcio

Ferruccio Mazzola … sono stato in quell’Inter anch’io, anche se ho giocato poco come titolare. Ho vissuto in prima persona le pratiche a cui erano sottoposti i calciatori. Ho visto l’allenatore, Helenio Herrera, che dava le pasticche da mettere sotto la lingua. Le sperimentava sulle riserve ( io ero spesso tra quelle ) e poi le dava anche ai titolari. Qualcuno le prendeva, qualcuno le sputava di nascosto. Fu mio fratello Sandro a dirmi: se non vuoi mandarla giù, vai in bagno e buttala via. Così facevano in molti. Poi però un giorno Herrera si accorse che le sputavamo, allora si mise a scioglierle nel caffè. Da quel giorno ‘il caffè’ di Herrera divenne una prassi all’Inter”. “ Cosa c’era in quelle pasticche ? …  Con certezza non lo so, ma credo fossero anfetamine. Una volta dopo quel caffè, era un Como-Inter del 1967, sono stato tre giorni e tre notti in uno stato di allucinazione totale, come un epilettico. Oggi tutti negano, incredibilmente. Perfino Sandro. Da quando ho deciso di tirare fuori questa storia, non ci parliamo più. Lui dice che i panni sporchi si lavano in famiglia. Io invece credo che sia giusto dirle queste cose, anche per i miei compagni di allora che si sono ammalati e magari ci hanno lasciato la pelle. Tanti, troppi … Armando Picchi: morto a 36 anni nel 1971 per tumore alla colonna vertebrale, Marcello Giusti: morto a 54 anni nel 1999 per tumore cerebrale, Carlo Tagnin: morto a 67 anni nel 2000 per osteosarcoma, Mauro Bicicli: morto a 66 anni nel 2001 per tumore al fegato, Ferdinando Miniussi: morto a 61 anni nel 2001 per epatite C, Giacinto Facchetti: morto a 64 anni nel 2006 per tumore al pancreas, Enea Masiero: morto a 65 anni nel 2009 per tumore ..

Non era solo l’Inter. Io sono stato anche nella Fiorentina e nella Lazio, quindi posso parlare direttamente anche di quelle esperienze. A Firenze, il sabato mattina, passavano o il massaggiatore o il medico sociale e ci facevano fare delle flebo, le stesse di cui parlava Bruno Beatrice a sua moglie. Io ero in camera con Giancarlo De Sisti e le prendevamo insieme. Non che fossero obbligatorie, ma chi non le prendeva poi difficilmente giocava. Di quella squadra, ormai si sa, oltre a Bruno Beatrice sono morti Ugo Ferrante ( arresto cardiaco nel 2003 ) e Nello Saltutti ( carcinoma nel 2004 ). Altri hanno avuto malattie gravissime, come Mimmo Caso, Massimo Mattolini, lo stesso De Sisti….
Lì ci davano il Villescon ( una metanfetamina ), un farmaco che non faceva sentire la fatica. Arrivava direttamente dalla farmacia. Roba che ti faceva andare come un treno ».

E’ morto a 68 anni Ferruccio Mazzola, il ‘terzo incomodo’, dal titolo del suo celebre libro autobiografico. Figlio dell’immenso Valentino, simbolo del Grande Torino scomparso nella tragedia di Superga, e fratello minore del più noto Sandro, campione con l’Inter e con la Nazionale, Feruccio ha vissuto anche lui nel e per il mondo del calcio. La sua fama però non è dovuta alla discreta carriera da calciatore tra Venezia, Inter, Lecco, Lazio e Fiorentina (con cui vinse lo scudetto all’epoca di Maestrelli), né alla successiva carriera di allenatore, per lo più in Serie C. Bensì alla sua decisione di non allinearsi. Da qui la definizione di ‘terzo incomodo‘. A fronte di cotanti famigliari, che della storia del calcio hanno scritto alcune delle pagine più luminose, lui decise di raccontarne gli angoli più bui. ( Il Fatto Quotidiano )

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Aggiornato al 24 Agosto 2022