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Lettura Estate

Ai tempi del Coronavirus: affrontare e superare un periodo di difficoltà con la lettura

Come gestire la paura e il senso di impotenza ? Come si diventa resilienti, cioè in grado di superare questa crisi a cui eravamo impreparati ?

È appena uscito il libro novità “La Resilienza ai tempi del Coronavirus” di Francesco Campione, medico e psicologo che insegna Psicologia Clinica e Psicologia delle Situazioni di Crisi all’Università di Bologna.

I tempi del Coronavirus sono tempi eccezionali che ci mettono profondamente in crisi perché possiamo tutti essere contagiati e contagiare. C’è il rischio di ammalarci e di morire, che la paura diventi panico e ci faccia “impazzire”, di non capire cosa ci stia accadendo e perdendo il senso della vita.

Questo libro aiuta a “diventare più resilienti”, cioè a superare psicologicamente, diventando migliori, le crisi impreviste di un’epidemia mai vista, che pur ci tocca di vivere.

Molti di noi possiedono la resilienza necessaria, cioè le risorse, per superare queste crisi: forza d’animo, intelligenza, creatività, coraggio, pazienza, capacità di condivisione e di solidarietà, pietà, senso del dovere, spirito di sacrificio, disciplina, spirito di adattamento, capacità di donare un altro senso alla vita quando ci sembra che l’abbia perso, etc. Ma tanti altri di noi si ritrovano ad essere impreparati alle crisi della pandemia che stiamo vivendo: non sanno come fare ad affrontare la paura per non farla diventare panico. Si ritrovano isolati e rischiano di impazzire o di desiderare di farla finita, non riescono a fare i “cambiamenti di vita” imposti dall’epidemia che sembrano impossibili da accettare e da attuare.

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La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Libri & Letture

Aggiornato al 24 Agosto 2022

 

Libri & Letture al tempo del Coronavirus

COVID Libri

I Libri al Tempo del Coronavirus

Fra i pochi vantaggi della reclusione domiciliare a cui siamo costretti, c’è forse quello di poter leggere un buon libro seguendo i suggerimenti di Italo Calvino: “ Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: « No, non voglio vedere la televisione! » Alza la voce, se no non ti sentono: « Sto leggendo! Non voglio essere disturbato! » Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: « Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino! » O, se non vuoi non dirlo, speriamo che ti lascino in pace ”.

È il celebre incipit del suo metaromanzo, composto da dieci inizi di romanzi intervallati dai racconti dei due protagonisti, il Lettore e la Lettrice. Pubblicato nel 1979, è una sorta di libro-manifesto che invita a distaccarsi dagli affanni dell’esistenza, a rifugiarsi nelle terre del silenzio e dell’immaginazione. Intendiamoci, nella realtà della vita quotidiana solo uno sfaccendato senza famigliari in casa avrebbe la possibilità di seguire alla lettera i consigli dell’inventore di una memorabile trilogia di favole araldiche. Ai tempi del Coronavirus, tuttavia, qualche ora in più per sperimentarli forse ci è concessa. Sempre che si consideri il libro, come recita un motto di Abū Hayyān al-Jāhiz, un sapiente arabo del IX secolo, “ un amico che non va a dormire se non prima che tu stesso sia caduto nel sonno ”.

In un mondo segnato da trasformazioni tecnologiche incessanti, è infatti lecito porsi questa domanda. Basta ricordare alcune date per avere un’idea della loro velocità. La prima grande rivoluzione nei mezzi di comunicazione, la scrittura, risale al 4000 a.C circa, i geroglifici egizi compaiono verso il 3200 a.C, mentre bisognerà aspettare il 1000 a.C per la scrittura alfabetica. Intorno al terzo secolo d.C il codice sostituisce il rotolo, creando la forma “libro” che resiste ancora oggi; verso il 1450 comincia la straordinaria avventura della stampa a caratteri mobili. Le moderne rivoluzioni scattano invece negli ultimi decenni del Novecento: la parola Internet vede la luce nel 1974; il Web nasce nel 1991 nei laboratori del Cern; si diffonde negli anni Novanta; nel 1998 esordisce Google, e siamo solo agli inizi. Ecco, allora, che si è subito fatto avanti chi ha decretato addirittura la fine del libro e la fine — o la crisi profonda — della lettura nelle forme tradizionali fin qui conosciute.

A quanti non condividono e non accettano l’ineluttabilità di tale ( funesta ) prospettiva, segnalo un recente volume della storica della letteratura italiana Lina Bolzoni: “ Una meravigliosa solitudine. L’arte di leggere nell’Europa moderna” ( Einaudi, 2019 ). È un viaggio, dotto e affascinante, attraverso i piaceri e i riti della lettura celebrati da autori insigni: solo per fare qualche nome, da Petrarca a Boccaccio agli umanisti; da Machiavelli a Erasmo da Rotterdam; da Montaigne a Tasso, fino a John Ruskin e Proust.

Il “commercio” con i libri, scrive ad esempio Montaigne, è più sicuro e durevole degli altri due “commerci”, e cioè l’amicizia e l’amore: “Esso costeggia tutto il mio percorso e mi assiste dappertutto. Mi consola nella vecchiaia e nella solitudine. Mi scarica dal peso di un ozio noioso, e mi libera in ogni momento dalle compagnie che m’infastidiscono. Smussa le punture del dolore, se non è del tutto estremo e dominante. Per distrarmi da un’idea importuna non ho che da ricorrere ai libri: essi mi attraggono facilmente a sé e me la sottraggono. E tuttavia non si ribellano vedendo che li cerco solo in mancanza di quegli altri piaceri più reali, vivi e naturali. Mi accolgono sempre con lo stesso volto” ( “Saggi”, Bompiani, 2012 ). [ Tratto da Start Magazine – Il Bloc Notes di Michele Magno: Link: https://lnkd.in/dWUZk8B ]

Marino Moretti: In Verso e in Prosa

Moretti è tipicamente associato al crepuscolarismo. Il termine compare infatti per la prima volta proprio in una recensione a Poesie scritte con il lapis. La poesia di Moretti nonostante un’attività lunghissima, che ha sfiorato i settanta anni, non ha subito grandi modificazioni. Tipico rappresentante di un modo di vedere la vita nelle sue semplici cose senza tempo, ripiegandosi su sé stesso e lasciandosi andare, Moretti, forse più dei suoi compagni crepuscolari, sente lo sfaldarsi del personaggio e la debolezza dell’uomo nei confronti del tempo, che procede inesorabile, cui non cessa di ribellarsi.
La sua è una poesia che nasce dal contrasto fra le cose e i sentimenti, fra il mondo esterno e il mondo interno. Nella poesia intitolata A Cesena tutti i temi crepuscolari sono presenti, soprattutto la posizione nei confronti del tempo, delle cose che ti circondano e del passato che non si riconosce.

Moretti va inoltre ricordato, oltre che per le poesie del periodo giovanile, per quelle della maturità e della vecchiaia nelle quali, come dice Carlo Bo, il poeta si è sciolto maggiormente «annullando quelli che erano gli schemi iniziali riconducibili alla lezione crepuscolare e impostando la sua nuova lettura dentro il registro dell’ironia e di una filosofia dolorosa e quasi crudele».

Moretti concepisce il romanzo o la novella come lo svolgimento di un tema semplice senza necessità di alcuna architettura al quale sia sufficiente l’alternarsi dei chiaroscuri per darne il giusto risalto. Ad un certo punto della sua carriera, dopo La vedova Fioravanti ( 1941 ), lo scrittore giunge ad una maggiore complessità di temi narrativi e ad una maggiore scioltezza formale. Lo stile diventa più analitico e complesso e le emozioni, più sommesse, comprendono pause riflessive venate da un’intonazione ironica. Lo scrittore inizia a servirsi del materiale dei ricordi e lo intreccia a motivi fantastici, combinando e contaminando le forme narrative con quelle del saggio o della divagazione lirica.

Il tema della provincia, a diversi livelli di approfondimento, è tipico dell’opera morettiana. Ci si trova di fronte ad un “provincialismo” delle prime opere che si rifà ad un’atmosfera crepuscolare dove viene messo in evidenza un mondo dai contorni un po’ ristretti, sonnolento e a volte e anche uggioso. Tutto questo appare legato al gusto italiano del momento, con riferimento a Fausto Maria Martini che pubblica nel 1910 le “Poesie provinciali” e anche a coloro, come Rodenbach o Mateterlink che possono considerarsi affini al crepuscolarismo. In un secondo momento, come nei “romanzi della mia terra”, l’analisi diventa più dettagliata nel descrivere soprattutto gli interni, dove certi elementi, che rappresentano il centro della vita domestica, assumono un ruolo simbolico, come il focolare ( l’aròla ) nel romanzo “Puri di cuore”. Un maggiore ampliamento del tema avviene con l’interesse per quanto accade nel paese, l’accurata descrizione degli ambienti e soprattutto con la “tipizzazione” dei diversi personaggi che mette in evidenza la loro mentalità tanto legata alle abitudini di vita di quella terra e di quella cultura. E, come scrive Giuseppe Zaccaria, “In questo senso la narrativa morettiana affonda precise radici in una tradizione ottocentesca, quella del regionalismo e del verismo, anche se da questa tradizione tende, soprattutto nelle ultime opere, ad affrancarsi.”

Il linguaggio della poesia e quello della prosa scorre parallelo nell’opera di Moretti con la conseguenza della scelta di una lingua molto vicina al parlato che si limita alla semplicità di una comunicazione piccolo-borghese fino a giungere alla cantilena infantile e alla cadenza ripetitiva con l’utilizzo di parole della quotidianità. Lo stile è pertanto da ricercare nei moduli crepuscolari ma anche in un usus scribendi molto personale con il ripetersi di termini e stilemi maggiormente elevati. Tra gli elementi distintivi dello stile morettiano persistono le parole-cose che servono a determinare in modo preciso gli oggetti oltre l’uso costante di diminutivi, di sostantivi e aggettivi che vogliono indicare il grigiore, la noia, la malinconia. Si aggiungono inoltre tutti quei termini tipici dell’infanzia legati al mondo della scuola, dell’amore materno e dell’uso domestico che ricordano l’ascendenza pascoliana.

Per quanto riguarda le situazioni espresse nei suoi romanzi, Moretti sceglie quelle più immediate e facilmente comprensibili dal comune lettore, sia che rappresenti il mondo popolare dei contadini o quello di ambienti borghesi, riprendendo gli schemi ottocenteschi che vanno dal bozzetto di carattere realistico alla ben delineata tipologia dei personaggi. L’ideologia dell’autore è già espressa nelle sue poesie dove si sofferma sulla crisi dei valori dell’uomo e sulla mancanza delle motivazioni umane per poter affrontare con serenità la vita. Ostinato e solitario, mite e tetragono, Moretti è, in definitiva, incapace di mercanteggiare i soccorsi mondani delle ideologie e delle retoriche contemporanee. ( Wikipedia )

 

Libri colorati

 

 

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Libri & Letture

Letture Estive by Libreria Aiace Roma Montesacro

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Le Mura del Cinquecento di Lucca

Le mura di Lucca sono il secondo maggior esempio in Europa di mura costruite secondo i principi della fortificazione alla moderna che si sia conservata completamente integra in una grande città. Nicosia, capitale di Cipro, detiene il record con una cerchia muraria di 4,5 km con 11 bastioni e tre porte.

L’attuale cerchia muraria di Lucca, lunga esattamente 4 chilometri e 223 metri, è frutto dell’ultima campagna di ricostruzione, partita nel 7 maggio del 1504 e terminata solamente un secolo e mezzo dopo, nel 1648. I lavori hanno avuto luogo anche nella seconda metà del Seicento, con aggiornamenti strutturali basati sulle nuove conoscenze e tecniche costruttive. Mai utilizzata a scopo difensivo, la struttura moderna si articola su 12 cortine ed 11 baluardi. Questi sono visti come un forte segno di identità culturale e come contenitore per la memoria storica del territorio.

Le mura furono concepite anche come deterrente. In particolare la Repubblica di Lucca temeva le mire espansionistiche prima di Firenze e, successivamente, del Granducato di Toscana. Tuttavia non si arrivò mai ad una vera guerra aperta contro il Granducato. Vi furono conflitti con il Ducato di Modena (secoli XVI e XVII), ma esclusivamente in Garfagnana, perciò Lucca non dovette mai subire alcun assedio. L’unica occasione in cui le mura furono messe alla prova fu durante la disastrosa alluvione del Serchio nel 18 novembre del 1812. Le porte furono sprangate e con l’ausilio di materassi e pagliericci fu garantita una relativa tenuta all’acqua del centro di Lucca. La stessa Elisa Bonaparte, Principessa di Lucca e Piombino, per entrare nella città fu fatta issare con una sorta di bilanciere per non aprire i battenti sprangati alla furia delle acque.

La struttura fu convertita in passeggiata pedonale da Maria Luisa di Borbone-Spagna (in carica dal 1815 al 1824), in modo da svolgere il ruolo di grande parco pubblico, soprattutto grazie alla sua lunghezza di oltre 4 chilometri. Il nuovo impiego delle mura si ripercosse anche sugli spazi esterni antistanti, i quali furono convertiti in grandissimi prati. Il percorso sopra la cinta muraria viene attualmente utilizzato per passeggiare e fare attività fisica, ma nella bella stagione si pone anche come palcoscenico naturale per spettacoli e manifestazioni.

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Mostra della Maiolica

Monte San Savino è un centro di antica tradizione ceramica, specializzato nella produzione di oggetti d’uso e gusto popolare. Il museo, allestito nel 1989 nella trecentesca Rocca del Cassero, attribuita a Bartolo di Bartolo, è nato dalla Mostra della Ceramica, promossa dal Comune, che si svolge annualmente dal 1971. Al materiale via via raccolto, di artisti moderni, si sono aggiunte le ceramiche arcaiche e le maioliche dal medioevo all’Ottocento, per un totale di 250 oggetti. Sono anche esposti reperti degli scavi dal Cassero, un bel Crocifisso ligneo di scuola senese del XIV secolo e una Madonna col Bambino, in marmo, del XVI secolo. È possibile visitare anche l’attigua chiesa di S. Chiara (1652), ex convento di clausura delle Clarisse, con opere di rilievo del Sansovino, dei Della Robbia e del Vasari. ( Tratto da Touring Club )

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Gastronomia: Dizionario Enciclopedico della Buona Cucina

La cucina romana tradizionale è fondata su ingredienti di derivazione rurale e contadina, di origine vegetale ed animale, preparati secondo ricette spesso tramandate di generazione in generazione in ambito familiare. Poiché si è sempre trattato di pietanze ricavate da una terra molto fertile e produttiva, destinate a soddisfare le esigenze energetiche dell’uomo impegnato nel lavoro nei campi e spesso consumate nell’ambito di una o al massimo due sedute alimentari quotidiane, le preparazioni della cucina romana sono idealmente associate a piatti particolarmente nutritivi, somministrati in porzioni abbondanti. I capisaldi di questa cucina sono i primi piatti, sia asciutti sia in brodo. Questi ultimi sono preparati con della pasta con verdure o legumi ( ceci, patate, broccoli, fagioli ), e il cosiddetto “quinto quarto”. Nei giorni di festa erano molto comuni l’abbacchio e la carne di capretto, forniti direttamente dai pastori locali. Roma è stata da sempre un mercato di consumo e non di produzione, ma la cucina romana ha avuto a disposizione le produzioni tipiche della regione, dall’olio ai maiali dell’Umbria ( i macellai che vendevano maiale si chiamavano, infatti, norcini, e fino agli anni cinquanta il maiale non si vendeva da dopo Pasqua a novembre ). Il burro nella vera cucina romana è praticamente uno sconosciuto: per ingrassare e anche per friggere si usava casomai lo strutto di maiale. Ma il condimento d’elezione è l’olio, ancora presente tra le produzioni tipiche del Lazio. Nell’antica Roma la cucina era molto semplice, a base di cereali, formaggi, legumi e frutta. Le spezie più usate erano il piper cubeba, cumino e il lingustico. I “piatti forti”, consumati dai ricchi, erano a base di carne, soprattutto di maiale. ( Wikipedia )

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Le Vie della Sete

Le “Vie della Sete” sono i sentieri tortuosi percorsi da Ardito Desio durante le scorribande scientifiche che fece, a partire dal 1926, fino al 1940 quando lo scoppio della seconda guerra mondiale gli impedì di continuare le ricerche. Attraversò più volte le aride distese del Sahara a piedi, a dorso di cammello, in camion o in aereo, per cercare, nelle viscere del deserto, le ricchezze naturali nascoste. Questo libro si legge come un romanzo, con la differenza che le avventure che vi sono descritte sono vicende vere, riprese dai suoi diari, che invitano il lettore curioso ed amante delle sensazioni forti a ripercorrerne gli itinerari. Chi viaggia oggi nel deserto libico ritrova i luoghi descritti da Desio, taluni irriconoscibili come le città e i villaggi, altri rimasti immutati nel tempo. Il nome di Ardito Desio viene generalmente legato alla spedizione italiana che ha guidato nel 1954 alla conquista del K2, la vetta più alta del mondo dopo l’Everest. Ma la conquista del K2 è solo una delle numerose imprese importanti della sua vita; un’altra, – più importante soprattutto per gli sviluppi che ha avuto a partire dall’immediato dopoguerra – è la scoperta, nel 1938, del petrolio nel Sahara libico, descritta appunto in questo libro.

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Storia della Danza Occidentale

Il testo delinea una storia della danza in Occidente assumendo come punto di partenza le forme sviluppate nell’antica Grecia per giungere sino alle esperienze a noi contemporanee. L’evoluzione della danza nelle diverse epoche è stata analizzata secondo una prospettiva largamente interdisciplinare che tiene conto non solo del mutare delle coordinate storiche e culturali dei vari secoli, ma anche della complessa rete di relazioni intercorse con il settore delle arti visive, del teatro, della musica e della letteratura. Nel suo percorso storico la danza cambia modi espressivi e funzioni, passando dalle originarie valenze magiche a componente essenziale dei rituali festivi e della pratica religiosa, per poi entrare a far parte delle forme dell’intrattenimento sociale e della sfera più direttamente spettacolare, stabilendo stretti rapporti con il mondo della lirica e del teatro, prima di giungere ad affermare la propria autonomia linguistica come espressione d´arte che trova in se stessa le ragioni della propria validità. Un percorso ampio e sfaccettato che può offrire più di un motivo d’interesse non solo per gli studenti universitari che si accostano per la prima volta a questa disciplina ma a tutti coloro che a vario titolo desiderano sviluppare una conoscenza della storia dell’arte della danza. ( Tratto da Carocci Editore )

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Il Miraggio della Terra

La prima novità è l’arco temporale, che si dilata sino a raggiungere il 1767. Cioè sino a includere il riformismo borbonico, che quell’anno caccia dall’isola i gesuiti e progetta di distribuirne le terre a «gente di campagna», così come sta accadendo nel regno di Napoli. Sono disposizioni in linea con la più avanzata cultura agraria europea, ma nell’isola la loro applicazione incontra molte resistenze. I componenti della Giunta preposta a decidere le assegnazioni assicurano che la Sicilia è «scarsa anziché abbondante di abitatori», soprattutto manca la manodopera specializzata. Assicurano che le terre dei gesuiti è meglio darle a censo «a corpo sano», senza cioè frazionare le grandi tenute: nonostante da Napoli si ordinasse di dividere i fondi ai contadini, per gran parte delle terre la Giunta rifiuta di applicare le disposizioni regie. E quando – nel 1776 – il siciliano Giuseppe Beccadelli Bologna diventa primo ministro a Napoli, subito si affretta a scegliere per sé i feudi migliori: le terre erano già state distribuite, ma il potente ministro manda i soldati per cacciare i contadini; gli insolventi, anche per piccole somme, si ritrovano con gli attrezzi e i poveri arredi confiscati. La storia tornava a scorrere nei vecchi binari, il sogno della terra era di nuovo un miraggio. ( Tratto da Repubblica )

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Simone Weil: Ritratto di un’Ebrea che si volle esiliare 

Simone Adolphine Weil ( Parigi, 3 febbraio 1909 – Ashford, 24 agosto 1943 ) è stata una filosofa, mistica e scrittrice francese, la cui fama è legata, oltre che alla vasta produzione saggistico-letteraria, alle drammatiche vicende esistenziali che ella attraversò, dalla scelta di lasciare l’insegnamento per sperimentare la condizione operaia, fino all’impegno come attivista partigiana, nonostante i persistenti problemi di salute. Sorella del matematico André Weil, fu vicina al pensiero anarchico e all’eterodossia marxista. Ebbe un contatto diretto, sebbene conflittuale, con Lev Trotsky, e fu in rapporto con varie figure di rilievo della cultura francese dell’epoca. Nel corso del tempo, legò se stessa all’esperienza della sequela cristiana, pur nel volontario distacco dalle forme istituzionali della religione, per fedeltà alla propria vocazione morale di presenziare fra gli esclusi. La strenua accettazione della sventura, tema centrale della sua riflessione matura, ebbe ad essere, di pari passo con l’attivismo politico e sociale, una costante delle sue scelte di vita, mosse da una vivace dedizione solidaristica, spinta fino al sacrificio di sé. La sua complessa figura, accostata in seguito a quelle dei santi, è divenuta celebre anche grazie allo zelo editoriale di Albert Camus, che dopo la morte di lei a soli 34 anni, ne ha divulgato e promosso le opere, i cui argomenti spaziano dall’etica alla filosofia politica, dalla metafisica all’estetica, comprendendo alcuni testi poetici. ( Wikipedia )

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Tavole Iguvine

Iguvine, tavole Sette tavole di bronzo, trovate presso il teatro romano di Gubbio nel 15° sec. e conservate nel palazzo dei Consoli, alcune scritte in alfabeto etrusco, altre in alfabeto latino, contenenti un testo in lingua umbra, che è il più importante documento per lo studio della lingua e della civiltà umbre. Risalgono in parte al 3°, in parte al 2° sec. a.C., ma la redazione del testo originale è assai più antica. Contengono descrizioni di sacrifici e statuti di una confraternita sacerdotale, che è detta dei fratelli Atiedi. ( Treccani )

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Gubbio, il fascino delle tavole eugubine

Civiltà dei Monti: Valle di Carnino

Fin dall’epoca longobarda vi operarono i monaci della potente abbazia di San Colombano di Bobbio ed al suo ricco feudo reale ed imperiale monastico, cui dipese l’abbazia di San Dalmazzo di Pedona. È costituito dalle borgate di Piaggia (capoluogo), Upega e Carnino, ossia da quella porzione del Comune di Briga Marittima che, essendo situata nell’alto bacino del Tanaro, è rimasta italiana dopo il passaggio dell’alta Val Roia alla Francia. L’attuale comune di Briga Alta mantiene il toponimo Briga in ricordo del vecchio comune, mentre Briga Marittima, attualmente denominata La Brigue, è passata alla nazione transalpina dopo la seconda guerra mondiale insieme al comune di Tenda per gli effetti dei Trattati di Parigi del 10 febbraio 1947. La vicenda è raccontata nel docufilm E ci si trova dall’altra parte di Nicola Farina. Come parte del comune unico di Briga, il territorio di Briga Alta fu parte del Dipartimento delle Alpi Marittime durante il periodo napoleonico dal 1796 al 1814. ( Wikipedia )

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Libri & Letture

Aggiornato al 17 Settembre 2022 

 

 

Letture per l’Estate by Libreria Aiace Montesacro

Arbëreshë

Musica Arbereshe in Basilicata

San Costantino Albanese è una comunita’ di origine albanese. Il nome degli albanesi d’Italia è arbëresh. Secondo la tradizione, San Costantino Albanese sarebbe stato fondato da profughi Coronei, provenienti dalla città di Corone, nella Morea ( Grecia ), durante la quarta emigrazione avvenuta nel 1534, in seguito all’ occupazione dell’Albania da parte dell’impero Ottomano. Il re di Napoli li accoglie e li destina in varie parti del regno. Lazzaro Mattes, incaricato degli smistamenti, destina uno di questi gruppi presso il mandamento di Noja ( l’attuale Noepoli ). Sorge cosi’ il casale di San Costantino Albanese. Il paese è oggetto di alcuni privilegi regali: fino al 1671 i suoi abitanti sono esentati dalle tasse e dai pesi fiscali; i regnanti spagnoli vogliono premiarli per l’aiuto dato, in passato, nella battaglia contro i Turchi. Tra le cose che gli arbëreshë sentivano e sentono ancora oggi come loro peculiarita’ è la lingua, non solo come codice comunicativo ma simbolo stesso dell’etnia.
I costumi, le manifestazioni tradizionali e tutto l’ apparato folklorico e le consuetudini di vita contribuiscono, con la lingua, a caratterizzare l’ identita’ del gruppo etnico. La conservazione del rito Greco-Bizantino, fa ricadere la comunita’ sotto la giurisdizione ecclesiastica dell’ Eparchia di Lungro ( CS ).

La trasmissione della lingua e delle forme di cultura tradizionale è avvenuta per secoli secondo i meccanismi della tradizione orale, spesso all’interno delle famiglie.
Negli ultimi decenni la valorizzazione è avvenuta anche grazie a iniziative, quali corsi di lingua, iniziative culturali e musicali, promosse dalla scuola, dalle associazioni locali e dall’amministrazione comunale, nonche’ grazie a forme di volontariato.
Tra le figure più attive vanno menzionate quelle di Papas Antonio Bellusci, promotore della rivista Vatra Jone, la poetessa Enza Scutari, importante la sua azione sul piano didattico anche per quanto riguarda la valorizzazione della lingua; Pasquale Scutari per gli aspetti linguistici, Nicola Scaldaferri per quelli musicali.
A iniziare dagli anni 80 vanno menzionate varie associazioni quali il Circolo culturale Vellamja,Voxha Arbëreshe, Vatra Jone, Vjesh, tutte molto attive nella promozione di eventi di valorizzazione del patrimonio etnico, linguistico e musicale.Recentemente è stata istituita la Biblioteca di Cultura Albanese dove sono raccolti numerosi testi del mondo arbëresh. Sono presidi culturali importanti “L’Etnomuseo della Cultura Arbëreshe”, “La Casa Parco”, che ospita il Museo dell’Etnobotanica, mostre su aspetti antropologici e naturalistici, “Il Museo dell’Arte Sacra” e la Chiesa Madre con le sue splendide icone bizantine. Le manifestazioni culturali che vengono promosse sono numerose e di elevata qualita’. Uno sforzo maggiore andrebbe fatto nel campo della conservazione dell’antica lingua che andrebbe inserita anche come attivita’ didattica, insieme a tutte le altre attivita’ culturali arbëresh, gia’ praticate nella scuola. La lingua è l’elemento forte e fondante della nostra comunita’ e deve necessariamente essere tramandata alle future generazioni. ( Tratto da Regione Basilicata )

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Reggio 1970: la Rivolta

I fuochi del Sessantotto e dell’autunno caldo non sono ancora sopiti, quando scoppia, quanto mai inaspettata, una rivolta violenta nel Sud d’Italia. A Reggio Calabria i cittadini scendono in strada per protestare contro la mancata assegnazione del capoluogo regionale. È il 1970. Fra tentativi eversivi di golpe e infiltrazioni della criminalità organizzata, gruppi neofascisti, al grido di «Boia chi molla», raccoglie la bandiera dell’insurrezione: un caso unico nella storia del­l’Occidente sotto l’egida del Patto Atlantico. Cosa rimane oggi della pesante eredità di quella rivolta? Qual è stato il prezzo pagato dalla città e dal Sud? Perché con il passare degli anni una tendenza costante ha tentato di rimuovere questo episodio cruciale della vita del nostro paese? Al centro della ricostruzione storica, la memoria, collettiva e individuale, di chi la rivolta la fece, di chi la subì, e di chi invece stette a guardare. La straordinaria combinazione di fonti orali – duecento interviste raccolte direttamente dall’autore – e di documenti inediti, fra i quali quelli custoditi al Foreign Office di Londra e per la prima volta portati qui alla luce, dà vita a un affresco unico di quello che è stato il sommovimento più aspro della Prima Repubblica. Esso non riguardò solo la grande e irrisolta questione degli squilibri del Mezzogiorno, ma si inserì nel più ampio contesto nazionale, mobilitando forze politiche e sindacali, governo e opposizione, movimenti di opinione, magistratura, polizia, servizi e forze armate, e attirando in riva allo Stretto centinaia di giornalisti, chiamati a raccontare e interpretare, per mesi e mesi, quella che Pier Paolo Pasolini avrebbe definito «una guerra civile dimenticata». ( Donzelli )

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Stalin e le Grandi Purghe

Nonostante le critiche mossegli da Lenin nell’ultima parte della sua vita e il duro contrasto con Trockij, alla morte di Lenin assunse progressivamente, grazie alla sua abilità organizzativa e politica e al ruolo di segretario generale del partito, il potere supremo in Unione Sovietica. Dopo aver sconfitto politicamente prima la sinistra di Trockij, poi l’alleanza tra Trockij, Zinov’ev, Kamenev e poi la destra di Bucharin, Rykov e Tomskji, Stalin adottò una prudente politica di costruzione del “socialismo in un solo Paese”, mentre nel campo economico mise in atto le politiche di interruzione della NEP, di collettivizzazione forzata delle campagne e di industrializzazione mediante i piani quinquennali, lo stakanovismo e la crescita dell’industria pesante.

A metà degli anni trenta, in una fase di superamento delle difficoltà economiche e di crescita industriale, Stalin cominciò il tragico periodo delle purghe e del grande terrore in cui progressivamente eliminò fisicamente, con un metodico e spietato programma di repressione, tutti i suoi reali o presunti avversari nel partito, nell’economia, nella scienza, nelle forze armate e nelle minoranze etniche. Per rafforzare il suo potere e lo Stato sovietico contro possibili minacce esterne o interne di disgregazione, Stalin utilizzò il vasto sistema di campi di detenzione e lavoro ( gulag ) in cui furono imprigionati in condizioni miserevoli milioni di persone.

Dopo la vittoria Stalin, divenuto detentore di un enorme potere in Unione Sovietica e nell’Europa centro-orientale e assurto al ruolo di capo indiscusso del comunismo mondiale, accrebbe il suo dispotismo violento riprendendo politiche di terrore e di repressione. Morì a causa di un’emorragia cerebrale nel 1953, lasciando l’Unione Sovietica ormai trasformata in una grande potenza economica, una delle due superpotenze mondiali dotata di armi nucleari, e guida del mondo comunista. ( Wikipedia )

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Il Tempo dei Maghi

Lo storico della scienza Paolo Rossi definisce il secolo che va dal 1550 al 1650 come “il tempo dei maghi”. Definizione sorprendente, per chi pensa a quel secolo come al momento in cui è nata la scienza quale la intendiamo noi oggi. Tuttavia è ben vero che il pensiero magico è ancora, in quel lasso di tempo, al centro della cultura europea.
Occorre anche ricordare che nel Seicento varie corti europee costituivano centri di attrazione per maghi e astrologi, consultati dai regnanti – cui venivano talvolta attribuiti poteri taumaturgici – prima di prendere decisioni su questioni importanti quali di pace e di guerra, ma anche del tutto futili, come l’opportunità o meno di fare un bagno.
Astronomia e astrologia costituivano ancora due facce di una stessa disciplina: la prima era una scienza pratica, che aveva il compito di raccogliere dati, la seconda svolgeva la funzione di interpretare quei dati attribuendo loro dei significati. ( Tratto da Maria Pia Marenzana )

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Vita Economica di Roma nel Medioevo

Il fattore-economia riveste una primaria importanza nella società moderna, essendo un po’ la sua forza motrice. Naturalmente studiarne i vari elementi che compongono la sua particolare struttura, non può non significare un tuffo nel tempo. Poiché tutto ha radici in un «prima», l’indagine deve spingersi indietro, fino alle origini. L’economia è strettamente collegata con la storia degli uomini e dunque un’analisi del fenomeno è un’analisi dell’intero processo storico. È pur vero che, per più o meno lunghi periodi, sia per scarsa documentazione, sia per altre cause, lo studio è stato approssimativo o nullo, tuttavia a queste mancanze hanno posto – e pongono – rimedio le moderne ed accurate discipline di ricerca. La reviviscenza degli studi economici praticamente ha inizio nel secolo XVI e prosegue, in crescendo, fino ad oggi. Se già nel passato si volgeva l’attenzione indietro, verso un dato periodo dai particolari attributi, oggi, con le tecniche a disposizione, questo avviene con maggior frequenza. Così, lentamente, una tessera dopo l’altra, si ricostruisce il vasto mosaico lasciatoci in retaggio da coloro che furono. Ed una tessera, dalle sfumature inconfondibili, riguarda la Città Eterna. È la fase-passaggio dal libero Comune Romano alla Signoria dei Pontefici, periodo travagliato ma non a causa di influssi esterni: tutta «farina del proprio sacco», come si suol dire. Negli anni cui si riferisce il presente volume (1400-1607), maturano eventi non solo economicamente di rilievo, bensì di importanza civile, religiosa, politica

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Istoria del Concilio Tridentino

L’Istoria del concilio di Trento è un’opera di Paolo Sarpi, teologo, scienziato e storico veneziano (1552-1623). Sarpi, utilizzando gli archivi veneziani e documenti privati, ricostruisce le cause e le vicende del concilio nel periodo tra il 1523 e il 1563 e ne descrive l’esito. Nel breve proemio Sarpi, dopo aver esposto l’argomento dell’opera e le fonti alle quali ha attinto per scriverla, afferma che il Concilio è giunto a conclusioni opposte a quelle per le quali era stato convocato. Sarpi critica aspramente i risultati del Concilio che ha reso definitivo lo scisma tra cattolici e protestanti e ha rafforzato l’assolutismo della curia di Roma. L’Istoria del Concilio è un’opera di parte in cui Sarpi denuncia la natura politica dell’istituzione ecclesiastica e racconta la storia del suo consolidarsi come apparato di potere.

Paolo Sarpi ( Venezia, 14 agosto 1552 – Venezia, 15 gennaio 1623 ) è stato un religioso, teologo, storico e scienziato italiano cittadino della Repubblica di Venezia, appartenente all’Ordine dei Servi di Maria. Teologo, astronomo, matematico, fisico, anatomista, letterato e storico, fu tanto versato in molteplici campi dello scibile umano da essere definito da Girolamo Fabrici d’Acquapendente «Oracolo del secolo». Autore della celebre Istoria del Concilio tridentino, subito messa all’Indice, fu fermo oppositore del centralismo monarchico della Chiesa cattolica, difendendo le prerogative della Repubblica veneziana, colpita dall’interdetto emanato da Paolo V. Rifiutò di presentarsi di fronte all’Inquisizione romana che intendeva processarlo e subì un grave attentato che si sospettò essere stato organizzato dalla Curia romana, “agnosco stilum Curiae romanae”, che negò tuttavia ogni responsabilità. ( Wikipedia )

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La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Trompe L'oeil

Trompe-l’œil: Tecnica pittorica che crea illusione ottica

Il trompe-l’œil ( letteralmente “inganna l’occhio” ) è un genere pittorico che, attraverso espedienti, induce nell’osservatore l’illusione di guardare oggetti reali e tridimensionali, in realtà dipinti su una superficie bidimensionale. Il trompe-l’œil consiste tipicamente nel dipingere un soggetto in modo sufficientemente realistico, da far sparire alla vista la parete su cui è dipinto. Ad esempio, il trompe-l’œil trova il suo campo nella rappresentazione di finestre, porte o atri, per dare l’illusione che lo spazio interno di un ambiente sia più vasto. Se ne hanno esempi già nell’antica Grecia, nella società romana e nelle epoche successive, fino all’arte contemporanea. L’espressione trompe-l’œil pare sia nata nel periodo barocco, sebbene tale genere pittorico sia di gran lunga precedente ( si rammentino, ad esempio, opere come la Camera degli Sposi del Mantegna a Mantova, o il finto coro di Santa Maria presso San Satiro a Milano, del Bramante ). Dal punto di vista tecnico, il trompe l’œil richiede un’assoluta conoscenza del disegno, delle regole prospettiche, dell’uso delle ombre e degli effetti di luce, oltre alla perfetta padronanza dell’uso del colore e delle sfumature, tecniche ben precise e rigidamente sottoposte a regole matematiche e geometriche per ottenere l’effetto voluto. Lo studio del punto di vista dell’osservatore rispetto al dipinto è fondamentale. Pertanto, subito dopo avere scelto la superficie su cui operare l’intervento, l’artista dovrà individuare i punti di vista privilegiati, ossia i punti di vista da cui generalmente si osserva quell’area. Per esempio, se si decide di collocare il dipinto sulla parete di una stanza che sta di fronte alla porta di ingresso, si costruirà l’opera pittorica in modo da “ingannare” la percezione visiva di colui che entra nella stanza. Se l’artista desidera creare un’illusione prospettica, dovrà inoltre collocare il punto di fuga dell’immagine pittorica in corrispondenza del punto di vista dell’osservatore. L’illusione ottica è particolarmente efficace se l’osservatore si pone al centro della stanza, in corrispondenza del punto di fuga. È fondamentale, per raggiungere il massimo dell’illusorietà pittorica, tener conto delle reali sorgenti luminose dell’ambiente, la loro natura e la loro direzione, in modo che il soggetto rappresentato appaia come illuminato da quelle luci. ( Wikipedia )

Prigionieri italiani nei campi di Stalin

Il ritorno dei prigionieri, tra la seconda metà del 1945 e l’estate ’46, avvenne per lo più nell’indifferenza generale: troppe erano le ferite da rimarginare nel paese; al Nord tutti avevano combattuto o sofferto la guerra civile; ovunque la gente era impegnata nella ricostruzione e non c’erano né tempo né moti di compassione per i reduci dai lager sovietici. Di quel periodo dà oggi un quadro generale, in una ricostruzione efficace e convincente, Guido Crainz. Ad attendere i rimpatriati, pressoché a ogni arrivo alle stazioni delle diverse città, c’erano i genitori e le spose dei militari “dispersi”, di cui non si avevano più notizie, che mostravano ai reduci le fotografie dei loro cari domandando se li avevano visti e se ne sapevano qualcosa.

Il problema dei prigionieri italiani in Urss determinò nella popolazione forti tensioni sin dai primi passi compiuti dal governo Bonomi nel Regno d’Italia liberato dagli Alleati, nell’estate 1944; il motivo stava evidentemente nella assoluta mancanza di notizie su tutti i dispersi, di cui non si sapeva se fossero ancora vivi e prigionieri o se fossero morti e dove. L’esame delle carte diplomatiche italiane da quell’anno 1944 fino al 1954, compiuto di recente, ha dimostrato che il governo italiano, pur nella frammentarietà delle notizie, era tuttavia a conoscenza con una certa precisione che i prigionieri detenuti dai sovietici erano in numero ben minore di quanto l’opinione pubblica italiana sperasse. La questione dei prigionieri in Urss era trattata con particolare cautela, sia per la precaria posizione dell’Italia, almeno sino alla definizione del trattato di pace, sia per la difficoltà di rapportarsi con uno Stato molto diverso per forma di governo, per costumi e per ideologia, che considerava i prigionieri di guerra (compresi i propri cittadini detenuti in quel momento da altre potenze) come traditori della patria indegni di qualsiasi forma di attenzione. ( Tratto da Biblioteca Persicetana )

 

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Uguaglianza e Lavoro: la Società ideale di San Leucio

Una vera e propria società ideale sancita dalle “leggi del buon governo” di quello che è noto come “Il Codice Leuciano” di Ferdinando IV Re delle Sicilie. Si tratta delle emanazioni reali che sancivano le modalità comportamentali degli abitanti della Real Colonia ispirate al dispotismo illuminato della fine del ‘700.

Il sito di San Leucio era stato acquistato dai Borbone come residenza di caccia ma Ferdinando, dopo la morte prematura del suo primogenito, lo adibì a sito per la lavorazione su scala industriale della seta. Oltre alle abitazioni per i lavoratori, il progetto prevedeva strutture educative e sanitarie. Una siffatta città ideale necessitava di un codice di leggi contenente i principi fondamentali che avrebbero dovuto guidare la comunità e favorirne il florido sviluppo. Fu così che nel 1789 nacque lo Statuto di San Leucio o Codice Leuciano, un chiaro esempio di dispotismo ispirato ad ideali di uguaglianza sociale e di solidarietà. Diverse fonti riportano che il codice fu redatto dall’intellettuale Antonio Planelli, appartenente all’entourage della regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena.

Il Codice Leuciano è composto da 5 capitoli e 24 brevi paragrafi e descrive una società fondata sulla pari dignità tra i lavoratori e sul merito.

“Essendo voi dunque tutti Artisti, la legge che Io v’impongo, è quella di una perfetta uguaglianza”, si legge nel codice, l’unica distinzione tra i lavoratori è quella “che deriva dal merito”. “Nessun di voi pertanto – prosegue – sia uomo, sia donna, presuma mai pretendere a contrassegni di distinzione, se non ha esemplarità di costume, ed eccellenza di mestiere. A quest’oggetto per evitar la gara nel lusso, ed al dispendio in questo ramo quanto inutile, altrettanto dannoso, comando che il vestire sia uguale in tutti”. ( Tratto da CasertaNews.it )

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I Nobili Spiriti: Pascoli D’Annunzio e le Riviste dell’ Estetismo Fiorentino

I nobili spiriti cosí suggestivamente dipinti da Pascoli e assurti a dignità titolografica nel libro di Oliva sono i frequentatori del circolo culturale animato da Angiolo Orvieto intorno alla rivista fiorentina Marzocco; raffinati esteti rosi dal tarlo della poesia e della Bellezza , definisce l autore questi giovani intellettuali appassionatamente orientati al recupero di un ideale artistico epurato degli eccessi del tecnicismo positivistico. Vale la pena di seguire passo passo il dipanarsi dei capitoli per meglio comprendere metodologia, qualità e valore dell operazione analiticamente condotta dal critico. Le prime due sezioni del volume sono dedicate rispettivamente ai nuovi goliardi , giovani smaniosi di sapere, dediti al nomadismo intellettuale, che si muovevano tra storicismo e carduccianesimo, redattori della rivista da cui essi prendevano nome (il cui programma si leggeva nel fascicolo d apertura, 1877), seguaci del Bartoli, del Trezza, del D Ancona, e spesso non indifferenti al verbo socialista di Andrea Costa. Accomunati nel segno del ribellismo bohémien, generoso anche se un po folkloristico, e rinnovatori dell aria stantia di biblioteca , ce li dipinge un comprimario di quegli anni, Giulio Salvadori, che militerà poi nella fila degli animatori dei fogli romani sorti dietro l impulso del bizantino Angelo Sommaruga: raccolti in tre grosse divisioni, ripartiti in cento altre minori, sotto cento bandierine di carta, i ribelli furono in arme . Battaglieri contro gli sdilinquimenti della letteratura rosa di un Ferdinando Fontana, nemici del sentimentalismo deamicisiano, schierati a difesa di Carducci (di cui la rivista fiorentina ospita il Preludio delle Odi barbare) in opposizione ai suoi detrattori, tra cui il vate catanese Mario Rapisarda. Agiva in essi infatti anche l eredità degli studi severi di filologia ed erudizione di cui alti esempi Pascoli, D Annunzio e le riviste dell estetismo fiorentino 299 aveva fornito il poeta e critico cui facevano prevalentemente riferimento; eredità che trovava espressione nel prezioso lavoro informativo e divulgativo che tali goliardi dell età moderna svolgevano stilando schede, recensioni, presentazioni e sommari delle maggiori pubblicazioni periodiche italiane ed europee (di paleografia, linguistica, storia…), cosí ragguagliando i lettori sulle novità librarie, sprovincializzando cultura e gusto e preparando il campo per altri gruppi vitalissimi a Firenze, quello costituito dai redattori della Vita Nuova (Angiolo Orvieto, Giuseppe Andrea Fabris, Severino Ferrari, Ugo Fleres, Giovanni Marradi, Guido Mazzoni, Cesare Musatti, Giovanni Pascoli…), e quello del cenacolo del Marzocco  ( Tratto da Rita Verdirame )

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Il Mito di Merlino

Il mago e chiaroveggente Merlino ( in bretone: Merzhin, in gallese: Myrddin, in francese e inglese: Merlin ) è uno dei personaggi centrali del ciclo bretone e delle leggende arturiane. Fu lui l’artefice della Tavola Rotonda: grazie a un suo incantesimo, inoltre, Uther Pendragon giacque con Ygraine e così fu concepito re Artù. Fu ancora lui ad allevare Artù e condurlo fino all’ascesa al trono. Sua allieva (e rivale nelle versioni più recenti dei racconti arturiani) fu Morgana ( Morgan Le Fay ), un altro personaggio magico importante della tradizione arturiana.

Nella letteratura in lingua gallese vi sono in effetti due diversi personaggi di nome Merlino ( Myrddin ): Myrddin Wyllt ( Merlino «il Selvaggio» ), un pazzo nordico che non ha alcuna relazione specifica con il ciclo di Artù, e Myrddin Emrys ( Merlino «il Saggio» o Caledonensis ). La rappresentazione standard di questa figura comparve per la prima volta nella Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth ( 1136 circa ) ed è basata sulla fusione di precedenti figure storiche e leggendarie: Goffredo, infatti, combinò le storie esistenti su Myrddin Wyllt con i racconti su Ambrosio Aureliano per formare la figura che egli chiama Merlino Ambrosio. Fu proprio Goffredo a porre in relazione per la prima volta Merlin con la saga arturiana, di cui Merlino divenne in seguito uno dei personaggi più importanti.

La versione goffrediana di questa figura divenne subito popolare e gli autori successivi ampliarono poi questi elementi così da produrre un’immagine più completa del mago. La sua biografia tradizionale lo vuole figlio di un demone e di una donna mortale che alla nascita ereditò dal padre i suoi poteri. In alcune versioni delle leggende fu il consigliere di Artù fino a che fu imprigionato dall’allieva di cui era innamorato, Viviana (la Dama del Lago), mentre in altre egli se ne andò lontano per vivere felicemente con lei.

Se il pubblico moderno conosce Merlino secondo lo stereotipo del mago buono con cui viene rappresentato, tra l’altro, da Walt Disney ( nella Spada nella roccia ), molte fonti medievali forniscono di questo personaggio un’immagine ben diversa: egli appare inquietante, calcolatore, imperscrutabile, talvolta persino diabolico. ( Wikipedia )

 

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van Gogh

Il mistero Van Gogh

Van Gogh era davvero un pittore reietto, un rifiuto della società ? Com’è possibile che un artista capace di raggiungere oggi quotazioni da record, durante la vita non sia mai riuscito a trovare estimatori e collezionisti che acquistassero i suoi dipinti ?

La più completa fonte primaria per la comprensione di Van Gogh come artista e come uomo è Lettere a Theo, la raccolta di lettere tra lui e il fratello minore, il mercante d’arte Théo van Gogh, con il quale intratteneva un rapporto particolarissimo e intimo: Théo, infatti, fornì a Vincent sostegno finanziario ed emotivo per gran parte della sua vita. La maggior parte di ciò che ci è noto sul pensiero di Van Gogh e sulle sue teorie d’arte è scritto nelle centinaia di lettere che lui e il fratello si scambiarono tra il 1872 e il 1890: più di seicento da Vincent a Théo e quaranta da Théo a Vincent.

Il patrimonio epistolare di Vincent e Théo, si è detto, è una documentazione fondamentale, non solo perché raccoglie notizie determinanti per ricostruire la personalità e le tormentate vicende esistenziali del pittore (profilandosi, dunque, come un vero e proprio «lessico familiare»), ma anche perché consente di comprenderne a pieno le concezioni artistiche. Tra il mondo pittorico e quello letterario di Van Gogh, invero, correva una forte compenetrazione: in ragione della celebre formula oraziana ut pictura poësis, infatti, il pittore nelle proprie missive commentò molto dettagliatamente i propri capolavori, che infatti dispongono quasi sempre di una riflessione epistolare in merito al soggetto, all’apparato cromatico, alle circostanze gestative. Anche se molte di queste lettere non sono datate, gli storici dell’arte sono stati in grado di ordinarle cronologicamente. Il periodo in cui Vincent visse a Parigi è il più difficile da ricostruire per gli storici, poiché i due fratelli, vivendo insieme, non ebbero bisogno di scriversi.

Oltre alle lettere da Vincent per Théo ne sono state conservate altre e, in particolare, quelle a Van Rappard, a Émile Bernard e alla sorella Wil. Il corpus di lettere è stato pubblicato nel 1913 dalla vedova di Théo, Johanna van Gogh-Bonger, che le rese pubbliche con molta cautela, perché non voleva che il dramma nella vita dell’artista mettesse in ombra il suo lavoro. Van Gogh stesso era un avido lettore di biografie di altri artisti e pensava che la loro vita dovesse essere in linea con le caratteristiche della loro arte fantastica, anche se talvolta poco seria.

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Morte sullo Stretto – Terremoto Messina Reggio Calabria

Il 28 dicembre 1908 è una data storica ed indelebile per lo Stretto, quella fascia di mare che divide Scilla e Cariddi. Alle ore 05:20 un boato pazzesco ed un tremore incredibile rase al suolo Reggio Calabria e Messina. Fu uno dei terremoti più forti di sempre in Italia. Oltre il sisma, fu un impressionante tsunami a fare il resto con onde sino a 13 metri di altezza. Il dramma fu completo ed i morti oltre 100 mila, tra coloro che si erano ammassati sulle coste per evitare i crolli di case e palazzi. Le località più colpite furono Pellaro, Lazzaro e Gallico sulle coste calabresi; Briga, Paradiso, Sant’Alessio e fino a Riposto su quelle siciliane. Questa la relazione al Senato del Regno sul terremoto calabro-siculo del 1908: “un attimo della potenza degli elementi ha flagellato due nobilissime province – nobilissime e care – abbattendo molti secoli di opere e di civiltà. Non è soltanto una sventura della gente italiana; è una sventura della umanità, sicché il grido pietoso scoppiava al di qua e al di là delle Alpi e dei mari, fondendo e confondendo, in una gara di sacrificio e di fratellanza, ogni persona, ogni classe, ogni nazionalità. È la pietà dei vivi che tenta la rivincita dell’umanità sulle violenze della terra. Forse non è ancor completo, nei nostri intelletti, il terribile quadro, né preciso il concetto della grande sventura, né ancor siamo in grado di misurare le proporzioni dell’abisso, dal cui fondo spaventoso vogliamo risorgere. Sappiamo che il danno è immenso, e che grandi e immediate provvidenze sono necessarie”. I soccorsi arrivarono in ritardo non essendoci un’organizzata protezione civile come ai nostri giorni: il 29 dicembre navi russe e inglesi aiutarono i superstiti mentre gli italiani arrivarono dopo. Insomma, si consumò una tragedia di proporzioni sbalorditivi con intere generazioni spazzate vie. ( Tratto da StrettoWeb.com )

 

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Mario Luzi: Tutte le Poesie

L’IMMENSITA’ DELL’ATTIMO –  Quando tra estreme ombre profonda / in aperti paesi l’estate / rapisce il canto / e gli armenti / e la memoria dei pastori e ovunque tace / la secreta alacrità delle specie, i nascituri avvallano / nella dolce volontà delle madri / e preme i rami dei colli e le pianure / aride il progressivo esser dei frutti. / Sulla terra accadono senza luogo, senza perché le indelebili verità, in quel soffio ove affondan leggere il peso le fronde le navi inclinano il fianco e l’ansia dè naviganti a strane coste, il suono d’ogni voce perde sé nel suo grembo, al mare al vento.

Mario Luzi è nato a Castello ( allora frazione di Sesto Fiorentino ) nel 1914 ed è morto nel 2005 a Firenze, città centrale nella sua vita e dove si era laureato in letteratura francese con una tesi su François Mauriac. A Firenze, aveva stretto amicizia con Piero Bigongiari, Alessandro Parronchi, Carlo Bo, Leone Traverso, Oreste Macrì, nell’avventura ermetica. Collaborava alle riviste d’avanguardia come Frontespizio, Campo di Marte, Paragone e Letteratura. Uscì nel 1935 la sua prima raccolta poetica La barca. Seguirono: Avvento notturno (1940), Un brindisi e Quaderno gotico (1947), Primizie del deserto (1952), Onore del vero (1957), tutti poi raccolti in Il giusto della vita (1960). Nel magma (1963, seconda ed. ampliata 1966) costituì una svolta importante nella sua poesia, per il passaggio da un modo lirico ad uno poematico e drammatico. Dopo Dal fondo delle campagne (1965), che raccoglie poesie precedenti (di fine anni Cinquanta), l’evoluzione poematica si sviluppa nei libri: Su fondamenti invisibili (1971), Al fuoco della controversia (1978), Per il battesimo dei nostri frammenti (1985), Frasi e incisi di un canto salutare (1990), Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994), Sotto specie umana (1999), Dottrina dell’estremo principiante (2004). Postumi i versi di Lasciami non trattenermi (2009), a cura di Stefano Verdino. Da Garzanti infine Tutte le poesie (2014), dal 1935 al ’94 e Poesie ultime e ritrovate (2014), a cura di Stefano Verdino. L’opera poetica (Mondadori, Milano 1998) correda le poesie dal 1935 al ’94 con un ricco apparato di commento.

 

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Cronache del Genio Alpino

ll periodo preso in esame dalla presente edizione inizia pertanto nel 1935 e giunge sino al 2005 e testimonia i grandi cambiamenti avvenuti nel Genio Alpino. Dai Battaglioni Misti delle Divisioni Alpine del periodo della Seconda Guerra Mondiale, alle Compagnie Genio Pionieri di Brigata Alpina del primo dopoguerra – diventate poi guastatori – per passare ai Battaglioni Genio Supporto del 4° C. A. Alpino ed agli attuali Reggimenti Genio Guastatori Alpini inquadrati nelle Brigate “Julia” e “Taurinense”.

Il libro, che consta di ben 789 pagine, comprende tutta la precedente edizione ed è stato arricchito soprattutto per quanto attiene al periodo delle Compagnie Genio di Brigata Alpina e seguenti. Molti Genieri Alpini in servizio ed in congedo avranno pertanto modo di ritrovarsi, se non proprio citati singolarmente, quanto meno nella descrizione di fatti che li hanno visti protagonisti.

Ma l’arricchimento si è esteso anche al periodo della Seconda Guerra Mondiale con l’inserimento di un racconto “Spokòinoi noci (Serena Notte)” di Renzo Mazzoni, riferito al I° Battaglione Artieri per C. A. Alpino, oltre ad un intero capitolo dedicato al Battaglione Genio Guastatori Alpino “Valanga” in cui rifulge la figura di Manlio Maria Morelli.

Nella parte finale del libro è stato inoltre inserito un nuovo capitolo a firma del Gen. Gualtiero Stefanon, dedicato alla leggendaria figura del Col. Paolo Caccia Dominioni, morto a Roma il 12 agosto 1992 ma ancora vivissimo nel libro, con i suoi scritti a suo tempo inseriti nella prima edizione e con i suoi disegni che anche in questa nuova versione ornano le pagine iniziali dei vari capitoli.

Il titolo stesso del libro “Cronache …..” lascia chiaramente intendere che il lettore non dovrà pretendere un trattato dal fedele rigore storico ma semplicemente una raccolta di racconti di momenti particolari, di pagine di diario storico dei reparti, di descrizioni di figure spesso dimenticate o ignorate dalla storia ufficiale ma che tanto hanno fatto per l’Arma del Genio e per la nostra Patria. ( Tratto da Gruppo Alpini Salce )

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Pearl Harbor 1941: Tora! Tora! Tora!

L’ammiraglio Isoroku Yamamoto, comandante delle “flotte riunite”, conoscendo le potenzialità economiche e belliche degli Stati Uniti, è scettico sulla possibilità del Giappone di vincere la guerra ma, una volta esaurite le possibilità di pace offerte dalla diplomazia, inizia scrupolosamente a preparare un attacco contro la flotta americana, che da San Diego si è spostata a Pearl Harbor, minacciando le rotte giapponesi. La preparazione del piano d’attacco viene affidata a due giovani ufficiali, il capitano di vascello Mitsuo Fuchida ed il capitano di fregata Minoru Genda, mentre le operazioni navali vengono elaborate dal capitano di vascello Kameto Kuroshima; queste prevedono l’invio di sei portaerei, scortate da una squadra di corazzate, incrociatori e cacciatorpediniere, rifornita in mare durante il tragitto che separa il mar del Giappone dalle isole Hawaii.

La squadra giapponese giunge a destinazione indisturbata e senza che l’ammiraglio Husband Kimmel, comandante della flotta del sud Pacifico di stanza a Pearl Harbor, riceva comunicazione dell’attacco imminente e il mattino del 7 dicembre 1941 gli aerei giapponesi giungono sulla rada, comunicando il messaggio in codice Tora! Tora! Tora! che indica la riuscita dell’attacco a sorpresa, e, in due ondate, infliggono danni rilevanti alle corazzate presenti alla base, affondando la Arizona e la Oklahoma, ma mancando l’obiettivo principale ossia le portaerei Enterprise, Lexington e Saratoga che al momento dell’attacco erano in navigazione.

L’ammiraglio Chūichi Nagumo, comandante della squadra navale, in un eccesso di prudenza evita di lanciare la terza ondata, prevista per distruggere i depositi di carburante dell’isola e per proseguire nella ricerca delle portaerei, allo scopo di riportare intatte in Giappone le navi che saranno utilizzate per il conflitto appena iniziato e ordina di invertire la rotta. L’ammiraglio Yamamoto, pur soddisfatto per la riuscita dell’attacco a sorpresa, non riesce a nascondere ai suoi ufficiali la preoccupazione per la guerra contro gli Stati Uniti, aumentata dal sentimento di reazione che nascerà nella popolazione a causa della dichiarazione di guerra presentata dopo l’attacco, sostenendo che è come avere destato un gigante assopito, infondendogli la volontà di combattere e vendicarsi. ( Wikipedia )

 

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La Dolce Vita

Nei tardi anni cinquanta, Roma è una città viva, ripresasi dalle sofferenze e dalle ristrettezze della Seconda guerra mondiale. Sono gli anni del boom economico, esplode la voglia di vivere e di godersi la bellezza, il clima e i divertimenti di una delle città più belle del mondo. A Cinecittà si girano film italiani ma soprattutto produzioni cinematografiche americane, sia per i costi più bassi rispetto ad Hollywood, sia per la legge italiana che non consentiva l’esportazione all’estero dei guadagni degli incassi dei film spingendo le principali case produttrici cinematografiche statunitensi a reinvestirli nella produzione in Italia per poi distribuire i film in tutto il mondo.

Erroneamente si fa coincidere l’inizio della Dolce vita con un evento, la festa privata tenutasi al ristorante Rugantino di Trastevere il 5 novembre del 1958 per il ventiquattresimo compleanno della contessina Olghina di Robilant.

Nel corso della festa la ballerina turco-armena Aïché Nana improvvisò un inatteso spogliarello che venne ripreso dai fotografi ‘imbucatisi’ alla festa. I rullini vennero sequestrati dagli agenti di polizia presenti alla festa su richiesta della stessa di Robilant ma alcuni rullini che ritraevano Aiché Nanà seminuda sfuggirono ai controlli in particolare quello con le fotografie fatte da Tazio Secchiaroli che, pubblicate dal settimanale l’Espresso, destarono un enorme scandalo ed ebbero persino uno strascico giudiziario. ( Wikipedia )

 

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Le Serate di Pietroburgo

Le serate di San Pietroburgo, o Colloqui sul governo temporale della Provvidenza è un dialogo, capolavoro letterario di Joseph de Maistre, pubblicato postumo dal figlio Rodolphe nel 1821. Nell’opera, suddivisa in undici colloqui fra tre personaggi immaginari, (il Conte, piemontese; il Senatore, russo; il più giovane Cavaliere, francese) si mettono in scena discussioni fra i tre detti personaggi, che si trovano ad affrontare i più svariati temi relativi al senso della vita, della morte e della storia, oltre che del bene e del male e delle loro conseguenze. Probabilmente il personaggio del Conte è il de Maistre stesso e gli altri due personaggi sono ispirati a persone che l’autore conobbe durante il suo soggiorno a San Pietroburgo a causa dell’esilio patito a seguito dei successi napoleonici in Europa, anche se secondo alcuni il De Maistre sarebbe sia il Conte che il Senatore, rappresentandone il primo l’animo cattolico ed il secondo quello esoterico. Il testo è spesso citato per il famoso “elogio del boia” presente al suo interno. L’opera è considerata il capolavoro del pensiero reazionario e controrivoluzionario. Nello stesso vengono criticate le espressioni politiche, filosofiche, scientifiche e letterarie moderne con i loro ineluttabili eccessi secolaristi e irreligiosi, contrapponendo alle stesse le verità tradizionali, la dottrina cattolica e la filosofia cristiana (platonica e aristotelico-tomistica). Fra i filosofi più bersagliati dalla pungente penna del de Maistre ci sono soprattutto Voltaire e Locke, esponenti dell’illuminismo che aveva causato la Rivoluzione francese, considerata il peggiore dei mali ed un castigo per i peccati e la poca Fede dell’Europa e della Francia. ( Wikipedia )

 

 

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I 23 Giorni della Città di Alba & altre Letture: Libreria Aiace Roma Montesacro

 

Alba ( Cuneo )

Beppe Fenoglio

Alla fine della guerra, Fenoglio riprese per un breve tempo gli studi universitari prima di decidere, con grande rammarico dei genitori, di dedicarsi interamente all’attività letteraria. Al referendum istituzionale del 1946 vota per la monarchia.

Nel 1949 comparve il suo primo racconto, intitolato Il trucco e firmato con lo pseudonimo di Giovanni Federico Biamonti, su Pesci rossi, il bollettino editoriale di Bompiani. Nello stesso anno presentò a Einaudi i Racconti della guerra civile e La paga del sabato, romanzo che ottenne un giudizio molto favorevole da Italo Calvino. Nel 1950 conobbe a Torino Elio Vittorini, che stava preparando per Einaudi la nuova collana “Gettoni”, ideata per accogliere i nuovi scrittori; nella stessa occasione Fenoglio conobbe di persona Calvino ( con il quale aveva intrattenuto fino a quel momento solamente una cordiale corrispondenza ) e Natalia Ginzburg.

Incoraggiato da Vittorini, riprese La paga del sabato e ne attuò una nuova stesura, ma a settembre abbandonò definitivamente il romanzo per organizzare una raccolta di dodici racconti, alcuni dei quali già inclusi nei Racconti della guerra civile. Nel 1952 la raccolta di racconti uscì, nella collana “Gettoni”, con il titolo I ventitré giorni della città di Alba. L’anno seguente Fenoglio completò il romanzo breve La malora, pubblicato ad agosto 1954.

Seguì un’intensa attività come traduttore dall’inglese: nel 1955 uscì sulla rivista Itinerari la traduzione de La ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge. Iniziò intanto un grosso romanzo sugli anni 1943-1945, che presentò in lettura all’editore Garzanti nell’estate del 1958. Nell’aprile del 1959 uscì, nella collana “Romanzi Moderni Garzanti”, Primavera di bellezza; firmò con Livio Garzanti un contratto quinquennale sui suoi inediti. Nello stesso anno ricevette il premio “Prato” e iniziò a scrivere un nuovo romanzo di argomento partigiano.

I ventitré giorni della città di Alba

Sei racconti sono dedicati ad episodi della guerra partigiana, altri sei sono descrizioni della vita nell’Italia contadina durante e dopo la seconda guerra mondiale ( 1939-1945 ).

La pubblicazione della raccolta, avvenuta nel 1952, segna l’esordio letterario di Fenoglio. La raccolta era originariamente intitolata Racconti della guerra civile, ma per ragioni d’opportunità[1] il titolo venne cambiato in I ventitré giorni della città di Alba, dal titolo del primo episodio.

Questo narra della conquista partigiana di Alba, avvenuta il 10 ottobre 1944. Privi degli aiuti alleati, i partigiani resistono poche settimane prima di cedere nuovamente la città all’esercito della Repubblica Sociale Italiana il 2 novembre successivo, dopo, appunto, 23 giorni.

La conquista di Alba da parte delle formazioni autonome delle Langhe fu il coronamento di mesi e mesi di lotta sulle colline, che avevano ridotto il presidio fascista al lumicino, quasi confinato all’interno della città; le truppe, quindi, furono costrette ad abbandonarla e lo fecero in modo ordinato e concordato il 10 ottobre, grazie all’intervento della curia diocesana, incalzati dai partigiani che si apprestavano ad entrare trionfalmente per le vie, salutati poi dalla popolazione festante e dal suono delle campane di tutte le chiese cittadine. Questa occupazione militare diede molto fastidio alle alte autorità fasciste, da Torino fino a Salò, che subito pensarono al modo di rientrare in possesso della città; una zona libera di questo tipo non poteva esistere, perché rappresentava una vera “macchia” al prestigio della Repubblica Sociale Italiana, per questo motivo alla riconquista non parteciparono truppe tedesche ma solo italiane, in particolare reparti anti-partigiani dei RAU ( Reparti Arditi Ufficiali ), formazioni della GNR ( Guardia Nazionale Repubblicana ) e delle Brigate nere, un plotone di cavalleria e alcuni reparti della Xª MAS ( Bgt. Lupo e 1^ e 2^ Cp. Btg. Fulmine ). I partigiani, che diedero vita a un governo civile mantenendo l’ordine e i commerci, controllavano soprattutto le rive del fiume Tanaro a nord e l’ingresso della città dalla direttrice sud, mentre tutto il fianco ovest si pensava fosse ragionevolmente sicuro per la presenza del fiume in piena e, soprattutto, per via del crollo del ponte in località Pollenzo, a pochi km di distanza, dopo lo scoppio di una mina; il ponte (di corde), però, fu distrutto solo in parte e, sotto il controllo delle SS del capitano Wesser (di stanza nel castello della cinta reale di Pollenzo ), fu presto riparato a loro insaputa. La notte del 2 novembre esso fu percorso dalle truppe fasciste, che raggiunsero la città da sud e l’aggirarono da est, sulle colline, mentre un altro gruppo passò il fiume su un ponte di barche e penetrò dalla direzione ovest. L’allarme fu dato già di primo mattino da un uomo che riuscì a sfuggire alle avanguardie fasciste che avevano freddato i suoi tre compagni, in località Toetto, mentre si riparavano dalla fitta pioggia sotto la tettoia di una chiesetta ( Fenoglio scrive che stavano giocando a carte ). I partigiani attesero le avanguardie fasciste concentrandosi sulla linea sud di cascina San Cassiano, dove esistevano alcune trincee, ma presto si accorsero che il nemico li stava aggirando da est, perché da lì cominciò a sparare, e smisero una dopo l’altra le mitragliere che avevano appostato su alcune posizioni dominanti ( villa Monsordo, Castelgherlone ) sulla sinistra. Colti in inferiorità numerica e con gravi difficoltà logistiche, dovute soprattutto alle avverse condizioni meteorologiche, i partigiani ripiegarono su un’altura ( loc. villa Miroglio ) per poi defilarsi nuovamente nella Langa. I fascisti, penetrati in Alba senza il saluto della popolazione, “andarono personalmente a suonarsi le campane”

Il racconto di Fenoglio appare disincantato e privo della retorica che regnava in quegli anni attorno alla Resistenza. I partigiani erano dipinti come giovani combattenti semplici, talvolta feroci, privi di quell’alone di eroismo in cui molti, nei primi anni dalla fine della guerra, li avevano proiettati; per questo l’opera fenogliana fu oggetto di molte critiche, soprattutto dai giornali di sinistra come l’Unità ( “Guerriglia e mondo contadino”, Mario Giovana, Cappelli Editore 1988 ). Solo più tardi il suo modo di “raccontare i partigiani” fu accolto più benevolmente e la sua opera ebbe il riconoscimento che meritava anche dal punto di vista storico. ( Wikipedia )

 

Alba.23 Giorni

 

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La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Libri di Narrativa by LIBRERIA AIACE: Goffredo Parise

 

Parise

GOFFREDO PARISE, IL RAGAZZO MORTO E LE COMETE, FELTRINELLI, 1965

” Questa è una sera d’inverno. Prima che il buio e il gelo arrivino nei cortili a tramontana per tutta la notte, Giorgio, Abramo e gli altri ragazzi accendono fuochi con foglie fradice, rami morti e carta raccattata nelle immondizie. Il fumo pieno di umori estivi e di erbe aromatiche cammina dentro
i cunicoli delle fogne dove il canale s’insinua a trasportare erbe, gatti morti, piccoli involti dal
contenuto roseo e informe, spellato dall’acqua.”

” Ho scritto questo libro a diciotto anni, con il sentimento con cui, a quell’età si scrivono le poesie […] La sola cultura che ha ispirato questo libro è cinematografica. […] A diciotto anni non si è padroni dello strumento, si vede la vita a batticuore e non come paesaggio vasto e lontano: inconsapevolmente scrissi un libro lirico e cubista ( cioè romantico ) sull’amicizia tra due ragazzi, al tempo dimenticato del tramonto e della fine dell’Occidente “

Goffredo Parise è uno dei grandi della letteratura italiana della seconda metà del ‘900. Scrisse questo romanzo a vent’anni ( anzi, a diciotto ) e difatti c’è dentro tutta l’agitazione di quell’età, mista a quella dei tempi ( immediato dopoguerra ).

La prima tiratura di 1000 copie rimase negli scatoloni invenduta. Il romanzo non piacque, pochi lo apprezzarono, forse nessuno lo capì. Era scritto bene, questo sì, sia pur in un modo diverso dal solito, e per questo motivo non convinse il pubblico.

Neri Pozza aveva ceduto alle insistenze del giovane scrittore, pubblicando il manoscritto così com’era, senza un editing su misura. Il romanzo sarà apprezzato solo anni più tardi, quando uscì con Feltrinelli in un’edizione ( 1965 ) asciugata e rivista dallo stesso autore.

In “ Il ragazzo morto e le comete ” Parise si è ispirato ad un famoso film, Il terzo uomo, di Carol Reed e Orson Welles, che si ambienta nella vita notturna tra le macerie di Vienna dopo la Seconda Guerra Mondiale: “ in quella Vienna notturna, quel contrabbando oscuro hanno messo in moto in me una serie di sensazioni che si sono tradotte nelle pagine visionarie del romanzo ”

 

Libri colorati

 

 

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Libri & Letture

LIBRI RARI: Le Novità by Libreria Aiace Roma Montesacro Talenti

Barthes

BARTHES, IL BRUSIO DELLA LINGUA

Roland Barthes, uno dei principali esponenti dello strutturalismo francese del ‘900, è nato a Cherbourg nel 1915 ed è morto a Parigi nel 1980. La sua ricerca si colloca al confine tra diverse scienze umane, assumendo una posizione del tutto originale, a metà fra il lavoro di ricerca teorica e quello di scrittura letteraria. Ha insegnato all’École Pratique des Hautes Études e al Collège de France. Di Barthes, Einaudi ha pubblicato: Elementi di semiologia; Saggi critici; L’impero dei segni; Critica e verità; Sistema della moda; S/Z; Miti d’oggi; Sade, Fourier, Loyola seguito da Lezione; Frammenti di un discorso amoroso; Barthes di Roland Barthes; La camera chiara; Il grado zero della scrittura seguito da Nuovi saggi critici; L’ovvio e l’ottuso; Il brusio della lingua; La grana della voce; Incidenti; L’avventura semiologica; Variazioni sulla scritturaseguite da Il piacere del testo; Scritti. Società, testo, comunicazione; Il senso della moda; Lo sport e gli uomini; Dove lei non è. Diario di lutto. ( Fonte: Einaudi )

Barthes.2

ENDE, LA STORIA INFINITA

La storia infinita ( titolo originale tedesco Die unendliche Geschichte ) è un romanzo fantastico dello scrittore tedesco Michael Ende, pubblicato nel 1979 a Stoccarda dalla Thienemann Verlag. Tradotto in più di quaranta lingue, il romanzo ha venduto oltre 10 milioni di copie nel mondo ed è diventato un classico della letteratura per ragazzi. La prima edizione in italiano risale al 1981, a cura della Longanesi.

La maggior parte della storia si svolge a Fantàsia, un mondo fantastico minacciato dall’espansione di una forza misteriosa chiamata Nulla, che causa la sparizione di regioni sempre più estese del regno. Il coprotagonista è Atreiu, un giovane guerriero che viene incaricato dall’Infanta Imperatrice di trovare una soluzione al problema di Fantàsia; il protagonista è invece un bambino del mondo reale, Bastiano Baldassarre Bucci, che, leggendo un libro sul Regno di Fantàsia, si ritrova progressivamente coinvolto negli eventi del racconto. Diventato anche lui parte di Fantàsia, Bastiano aiuta Atreiu nel tentativo di salvare il regno e dovrà infine trovare un modo per ritornare nel mondo reale.

L’opera è stata adattata in una varietà di media diversi, che vanno dal teatro ai videogiochi, dal cinema alla televisione. Proprio dal romanzo di Ende, Wolfgang Petersen ha tratto nel 1984 il celebre lungometraggio La storia infinita. ( Fonte. Wikipedia )

 

BACHTIN, DOSTOEVSKIJ

Nella vasta letteratura su Dostoevskij il libro di Michail Bachtin costituisce una tappa obbligatoria per chiunque si interessi del grande romanziere russo. Questo lavoro occupa infatti un posto centrale nella ricerca teorica e storica di Bachtin, il quale si è affermato come uno dei maggiori critici di storia letteraria del secolo. Il saggio di Bachtin non vuol essere una monografia critico-biografica tradizionale, né una ennesima interpretazione filosofica o psicologica di Dostoevskij. Attraverso una originale e magistrale analisi stilistica, Bachtin individua le categorie essenziali della «poetica» dostoevskiana e coglie la novità di questo mondo narrativo nella «polifonia», nell’insubordinazione delle «voci» dei personaggi a una conchiusa e cristallizzata concezione del mondo a esse estranea. Nel suo insieme e, esplicitamente, in alcune sue parti teoriche e storiche, questo studio ha anche un valore generale di metodo, aprendo prospettive nuove agli studi sulla struttura del romanzo. ( Fonte: Einaudi )

 

ACHILLE COMPAGNONI, OLTRE IL K2

Il volume contiene le pagine del diario che Achille Compagnoni scrisse nel 1954 in occasione della sua partecipazione alla spedizione italiana sul K2 e che fu pubblicato originariamente nel 1958 con alcuni testi aggiuntivi dello stesso Compagnoni, compresi anche in questa edizione. Erano quelli gli anni delle conquiste delle vette himalayane da parte delle nazioni occidentali. Agli italiani erano quasi naturalmente assegnati gli 8616 metri del K2: una sorta di tradizione lega infatti gli esploratori nostrani a quella vetta. La spedizione guidata da Ardito Desio culminò con Achille Compagnoni e Lino Lacedelli in cima al K2 nel tardo pomeriggio del 31 luglio. Questo libro non intende tuttavia concentrarsi esclusivamente sul K2. Il suo fine è raccontare la vita di Achille Compagnoni in occasione del centenario della nascita «dell’astronauta delle vette», come lo definì Salvatore Maria Righi. ( Fonte: Marsilio )

Compagnoni

SOMMERGIBILI IN MEDITERRANEO

Nella 2^ Guerra Mondiale l’importanza del sommergibile cresce sensibilmente; l’estensione intercontinentale del conflitto rende vitali le comunicazioni su tutti i mari e, di conseguenza, la guerra sottomarina assume un ruolo primario.

Mentre le costruzioni si susseguono a ritmo serrato ( nel corso della guerra l’industria nazionale produrrà ancora una trentina di battelli di linea, oltre a 22 “tascabili” ), le prestazioni dei sommergibili vengono vieppiù migliorate. Aumenta l’autonomia, che nei battelli oceanici raggiunge le 20.000 miglia, così come l’armamento ( fino a 14 tubi di lancio e 40 siluri ). Il siluro si perfeziona e diventa più affidabile. La quota massima scende oltre i 130 metri. La velocità in superficie raggiunge i 20 nodi. Per il combattimento in superficie, al cannone si aggiungono mitragliere antiaeree.

Per contro, anche le tecniche di lotta antisommergibile si affinano. L’elettronica fornisce mezzi di localizzazione subacquea ( “ASDIC” ) più efficienti mentre le bombe di profondità diventano più micidiali. L’aereo, poi, si rivela l’avversario più temibile per il sommergibile. ( Fonte. Marina Militare )

 

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Libri & Letture

 

Depressione, Ansia, Paura di Vivere: i Libri possono aiutarci

 

Mente & Libri

Curare la mente con i libri

Ho trovato interessante questo articolo pubblicato nel 2012 su LINKIESTA

Un libro può essere utile per aiutarci ad affrontare piccoli e grandi problemi psicologici: ansia, depressione, aggressività, la paura di vivere o a superare la perdita di un amore. Certo la semplice lettura non è sufficiente per guarire. Ma un buon libro può essere uno stimolo importante per identificare un problema e avviare una riflessione su se stessi … il primo passo per iniziare un percorso psicoterapeutico.

Ferdinando Galassi, psichiatra e psicoterapeuta dell’ospedale Careggi di Firenze, si è preso la briga di passare in rassegna librerie e cineteche per andare alla scoperta di libri e film che possono curare la mente. È nato così il volume Pillole di carta e celluloide ( Franco Angeli ).
L’obiettivo del libro è quello di stimolare il lettore a riconoscersi nelle storie dei personaggi, a rivivere con loro le proprie emozioni, riconoscere piccole manie e grandi ossessioni. E quindi capire cosa lo faccia star male.

Registi e scrittori, in fondo, raccontano storie che si ispirano alla vita quotidiana, a uomini e donne che hanno i nostri stessi problemi. «Osservando, ad esempio, un innamorato che si dispera in maniera esagerata ed eccessiva, non solo cogliamo gli aspetti legati alla sua sofferenza ma possiamo vederne anche altri forse ridicoli. Se ci stiamo comportando in modo simile, rivediamo noi stessi allo specchio e, proprio grazie alla visione di quel film, saremo in grado di ridimensionare i nostri atteggiamenti esagerati ».

LIBRI

L’amore ai tempi del colera, di Gabriel García Márquez ( 1985 )

Storia di un amore ( tra Florentino Ariza e Fermina Daza ) che attende 53 anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese per realizzarsi. « La tenacia e la pazienza di Florentino sono un inno alla capacità di attendere in amore. Se si desidera bisogna saper dare tempo all’altro ».

Indicazioni: per le persone che sono state lasciate, per le persone che sono sole e soffrono la solitudine.
Effetti collaterali: i sogni vanno sempre seguiti, ma non sempre si avverano. La cosa più terribile nella vita è voltarsi indietro e capire di non averci messo abbastanza impegno
Posologia: una volta l’anno o tutte le volte che non credi più nell’amore

Un’oscurità trasparente, di William Styron ( 1996 )

Libro autobiografico di uno scrittore che racconta la grave forma di depressione di cui ha sofferto nel 1985. Per una persona depressa curarsi non è un problema di volontà. Prendere dei farmaci può essere la cosa giusta ( proprio come fa chi ha la febbre alta ): permettono di stare meglio e di ricominciare a mettere energia nelle cose che piacciono. Ma non ci si può fermare qui.

Indicazioni: persone che assumono farmaci da molto tempo senza risultati.
Avvertenze: non basta prendere i farmaci per guarire, dopo essere stati meglio occorre andare a cercare le cause e le soluzioni dei problemi che hanno portato al disturbo.
Posologia: una volta sola

Briciole di Alessandra Aracchi ( 2002 )

Vita ordinaria di una famiglia borghese ( papà, mamma, tre figlie ). Sembra andare tutto per il meglio fino a quando Sandra, la secondogenita, entra improvvisamente in una fase anoressica. Bulimia e anoressia sono patologie che risentono delle dinamiche familiari: il non mangiare o abbuffarsi, in genere, è l’unica cosa che la ragazza riesce a sentire come sua. E che gli dà una sensazione di assoluta libertà rispetto alle pressioni familiari

Indicazioni: tutte le ragazze che sono fissate con la dieta e con il corpo magro, anoressiche, bulimiche e familiari di pazienti.
Controindicazioni: Non basta cambiare vita. Affidarsi a un tecnico esperto che abbia sintonia con il paziente è un valido aiuto. A volte indispensabile.
Posologia: leggerlo una volta sola in completa solitudine.

( Per Leggere l’Articolo completo di Roberta Gessaga )

Il gabbiano Jonathan Livingston

Il gabbiano Jonathan Livingston ( Jonathan Livingston Seagull, 1970 ) è un celebre romanzo breve di Richard Bach. Best seller in molti paesi del mondo negli anni settanta, diventato per molti un vero e proprio cult, Jonathan Livingston è essenzialmente una fiaba a contenuto morale e spirituale. La metafora principale del libro, ovvero il percorso di autoperfezionamento del gabbiano che impara a volare/vivere attraverso l’abnegazione, il sacrificio e la gioia di farlo è stata letta da diverse generazioni secondo diverse prospettive ideologiche, dal cattolicesimo al pensiero positivo, l’anarchismo cristiano e la New Age. Bach dichiarò che la storia era ispirata a un pilota acrobatico di nome John H. “Johnny” Livingston ( Cedar Falls, Iowa, 30 novembre 1897 – 30 giugno 1974 ), particolarmente attivo nel periodo fra gli anni venti e trenta

 

Il Gabbiano Jonathan Livingston

 

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