Storia Antica: Il Mondo Bizantino

Bizantini

Impero Bizantino

Impero bizantino ( 395 – 1453 ) è il nome con cui gli studiosi moderni e contemporanei indicano l’Impero romano d’Oriente ( termine che iniziò a diffondersi già durante il dominato dell’imperatore Valente ), di cultura prevalentemente greca, separatosi dalla parte occidentale, di cultura quasi esclusivamente latina, dopo la morte di Teodosio I nel 395.

Il termine “bizantino” è stato introdotto solo a partire dal XVIII secolo dagli Illuministi, quando l’Impero romano d’Oriente era ormai scomparso da circa tre secoli. Gli stessi abitanti dell’Impero romano d’Oriente chiamavano sé stessi dal greco Ῥωμαῖοι / Rhōmàioi (“Romani”) oppure Ῥωμιοί / Rōmiói (“Romei”). Come l’Impero bizantino era di fatto Impero romano, così la sua capitale Costantinopoli era la Nuova Roma e così pure il titolo dei suoi sovrani era Βασιλεὺς καὶ Καῖσαρ τῶν Ῥωμαίων Basilèus kài Kàisar tṑn rōmàiōn, ovvero Sovrano e Cesare dei Romani. La stessa penisola balcanica veniva chiamata dai Romei, Rumelia, nome di regione che sarà conservato pure dai conquistatori ottomani. Gli stessi ottomani utilizzeranno la parola Rūm, termine storicamente impiegato dai musulmani per indicare i ‘Romani d’Oriente’ cioè i Bizantini. I sultani ottomani, dopo la conquista di Costantinopoli, si assegneranno il titolo onorifico di qaysar-ı Rum, “Cesare dei Romani”, mantenendo il nome di Qusṭanṭīniyya per l’originaria Costantinopoli fino al XX secolo, quando, come per svariati altri toponimi dell’Anatolia, il nome della capitale venne turchificato in Istanbul.

Tuttavia per distinguerlo dall’Impero romano d’Occidente, si è preferito assegnare alla parte orientale il nome di “Impero bizantino”. Non c’è accordo fra gli storici sulla data in cui si dovrebbe cessare di utilizzare il termine “romano” per sostituirlo con il termine “bizantino”, anche perché entrambe le definizioni sono utilizzate da molti di loro, spesso indistintamente, per designare il mondo romano-orientale fino almeno al VII secolo. Le diverse impostazioni storiografiche condizionano anche la diversità di opinioni nella determinazione della datazione: taluni lo fanno coincidere con il 395 ( separazione definitiva dei due imperi ), ma si è anche proposto il 476 ( fine dell’Impero romano d’Occidente ), il 330 ( anno di inaugurazione della Nova Roma, fondata da Costantino I, copia fedele e nostalgica della prima Roma), il 565 ( morte di Giustiniano I, ultimo imperatore romano-orientale di madrelingua latina, e del suo sogno della Restauratio imperii ). Diversi storici prolungano il periodo propriamente “romano” fino al 610, quando, sotto il regno di Eraclio I ( r. 610-641 ), il greco divenne lingua ufficiale al posto del latino, modificando inoltre notevolmente la struttura di governo dell’impero.

Resta comunque il fatto che per gli imperatori bizantini e per i loro sudditi il loro impero si identificò sempre con quello di Augusto e Costantino I dal momento che “romano” e “greco” fino al XVIII secolo furono per essi sinonimi.

L’impero, dopo una lunga crisi, la sua distruzione da parte dei crociati nel 1204 e la sua restaurazione nel 1261, cessò definitivamente di esistere nel 1453 ( conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi ottomani guidati da Maometto II ). ( Wikipedia )

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Aggiornato al 30 Novembre 2023

 

Storia del Novecento: Apocalisse a Dresda nel Febbraio 1945

Dresda 1945

Dresda il bombardamento del febbraio 1945

Il bombardamento di Dresda fu un bombardamento aereo attuato da Regno Unito e Stati Uniti sull’omonima città della Germania tra il 13 e il 15 febbraio 1945, durante la seconda guerra mondiale.

Fino all’autunno del 1944 la zona di Dresda era rimasta al di fuori del raggio di azione dei bombardieri degli Alleati, ma con l’avvicinamento del fronte la situazione cambiò.[3] All’inizio del 1945 la leadership politico-militare alleata iniziò a porsi il problema di come sostenere l’impegno bellico sovietico in Europa con lo strumento del bombardamento strategico. Recuperando in parte piani precedenti del 1944, noti come Operation Thunderclap, furono pianificati i bombardamenti di Berlino e di molte altre città dell’est della Germania, coordinati con l’avanzata russa.

L’obiettivo dichiarato era quello di causare confusione ed evacuazioni di massa dall’est, ostacolando quindi l’avanzata delle truppe da ovest; si prevedeva infatti che i nazisti avrebbero spostato verso il Fronte Orientale 42 divisioni ( mezzo milione di uomini ) entro il mese di marzo. Quest’uso del bombardamento strategico era simile a quello adottato da Dwight Eisenhower prima dello sbarco in Normandia. Sebbene le priorità per i bombardieri restassero la distruzione di raffinerie, fabbriche di jet e cantieri di costruzione dei sottomarini, Arthur Harris, capo del comando dei bombardieri della RAF, ricevette l’ordine di attaccare Berlino, Dresda, Lipsia e Chemnitz appena possibile. Anche Winston Churchill fece pressioni affinché ci si sbrigasse.

Alla Conferenza di Jalta del 4 febbraio sia Berlino che Dresda erano sulla lista degli obiettivi, e dopo la conferenza entrambe furono bombardate. La decisione fu rafforzata dall’esplicita richiesta sovietica di attacchi aerei sulle linee di comunicazione. I documenti della RAF dimostrano che l’intenzione era quella di «distruggere le comunicazioni» e intralciare l’evacuazione, non di uccidere gli evacuati, ma – naturalmente e prevedibilmente – le cose andarono storte. Lungo le linee ferroviarie che attraversavano Dresda passavano ogni giorno rinforzi, munizioni e materiali diretti all’ormai vicino fronte orientale.

I bombardamenti

L’attacco fu condotto congiuntamente dalla Royal Air Force britannica e dalla United States Army Air Force ed avvenne fra il 13 e il 15 febbraio 1945. Il 13 febbraio 1945 più di 800 aerei inglesi volarono su Dresda, scaricando circa 1 500 tonnellate di bombe esplosive e 1 200 tonnellate di bombe incendiarie. Il giorno dopo la città fu attaccata dai B-17 americani che in quattro raid la colpirono con altre 1 250 tonnellate di bombe. Nella mattinata del 15 febbraio ci fu l’ultima incursione di 200 bombardieri statunitensi sulla città ancora in fiamme. I bombardieri alleati rasero al suolo una gran parte del centro storico di Dresda con un bombardamento a tappeto, causando una strage di civili, con obiettivi militari solo indiretti. ( Wikipedia )

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Storia del Novecento: Il Processo di Verona 1944

Processo di Verona 1944

Il processo di Verona, la condanna a morte dei cinque condannati – La morte di Galeazzo Ciano

Il 24 luglio 1943, durante la seduta del Gran Consiglio del Fascismo, viene votato l’ordine del giorno Grandi che esautora Benito Mussolini dai suoi poteri, restituendo il comando delle forze armate a Re Vittorio Emanuele che il giorno dopo lo fa arrestare.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre e la liberazione del Duce, avvenuta il 12 settembre con l’operazione Quercia, i firmatari dell’ordine del giorno che non sono riusciti a darsi alla fuga, ossia Galeazzo Ciano, genero e “delfino” del duce, Emilio De Bono, Giovanni Marinelli, Carlo Pareschi, Luciano Gottardi e Tullio Cianetti, vengono arrestati in attesa di essere processati con l’accusa di tradimento.

I sei vengono processati a Verona, nella Repubblica Sociale Italiana, dall’8 al 10 gennaio 1944, mentre la moglie di Ciano, Edda, tenta invano di trattare con i tedeschi, che manovrano il processo, per salvare la vita al marito, che viene invece condannato a morte e fucilato con gli altri, ad eccezione di Cianetti, l’11 gennaio 1944.

La fine di Ciano

Ciano fu estradato in Italia su esplicita richiesta del neonato Partito Fascista Repubblicano, il 17 ottobre 1943 per essere incarcerato; Edda e i figli erano rientrati in Italia alcuni giorni prima.

A opera di Alessandro Pavolini si allestiva il processo ai «traditori» del 25 luglio, e il voto al Gran Consiglio fu considerato alto tradimento. Durante il processo gli inquirenti trattarono Ciano quasi con benevolenza temendo che Ciano raccontasse avvenimenti segreti, sgraditi al Regime fascista.

Dopo una celere assise pubblica, nota come processo di Verona, Ciano venne riconosciuto colpevole insieme a Marinelli, Gottardi, Pareschi e al vecchio generale Emilio De Bono (insieme con altri gerarchi contumaci); inoltre, il genero del Duce fu l’unico imputato a essere condannato alla fucilazione all’unanimità: gli altri ricevettero 5 voti favorevoli e 4 contrari ( Tullio Cianetti ebbe il risultato opposto ) mentre contro l’ex Ministro degli Esteri si registrò un 9 a 0.

La sera prima dell’esecuzione, Ciano si rifiutò, in primo momento, di firmare la petizione di grazia al Duce ma poi, pressato dai suoi compagni di carcere, finì per accettare. Pavolini, indispettito, passò l’intera notte a cercare un funzionario che firmasse il respingimento alla domanda di grazia. Tutti si rifiutarono di firmare, alla fine trovò, o meglio, costrinse un piccolo funzionario a firmare contro la sua volontà. Comunque, Mussolini non si mosse per salvare il genero.

L’11 gennaio 1944 avvenne l’esecuzione di Ciano al poligono di tiro di Verona, insieme agli altri quattro ex-gerarchi, legati alle sedie e fucilati alla schiena come in uso ai traditori. Prima della fucilazione Ciano pronunciò a Monsignor Chiot le seguenti parole: “Faccia sapere ai miei figli che muoio senza rancore per nessuno. Siamo tutti travolti nella stessa bufera”. Prima degli spari si girò verso il plotone di esecuzione. Un cineoperatore tedesco riprese tutta la scena. Ciano non morì immediatamente: i fucilati, seduti e di schiena, offrirono un bersaglio più difficile per gli organi vitali; il plotone di esecuzione non sparò a distanza ravvicinata e fu necessario il colpo di grazia con due proiettili alla testa. Il crudo filmato, realizzato dal cineoperatore tedesco e scomparso durante i primi governi De Gasperi, fu ritrovato grazie a Renzo De Felice. ( Wikipedia )

LIBRO su eBAY: Il processo di Verona – Carlo Lizzani, Cappelli, 1963

 

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La lettura ai tempi del COVID

Calvino.2

Fra i pochi vantaggi delle restrizioni imposte dal COVID c’è forse quello di poter leggere un buon libro

Fra i pochi vantaggi della reclusione domiciliare a cui siamo costretti, c’è forse quello di poter leggere un buon libro seguendo i suggerimenti di Italo Calvino: “Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!» Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: «Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!» O, se non vuoi non dirlo, speriamo che ti lascino in pace”.

È il celebre incipit del suo metaromanzo, composto da dieci inizi di romanzi intervallati dai racconti dei due protagonisti, il Lettore e la Lettrice. Pubblicato nel 1979, è una sorta di libro-manifesto che invita a distaccarsi dagli affanni dell’esistenza, a rifugiarsi nelle terre del silenzio e dell’immaginazione. Intendiamoci, nella realtà della vita quotidiana solo uno sfaccendato senza famigliari in casa avrebbe la possibilità di seguire alla lettera i consigli dell’inventore di una memorabile trilogia di favole araldiche. Ai tempi del Coronavirus, tuttavia, qualche ora in più per sperimentarli forse ci è concessa. Sempre che si consideri il libro, come recita un motto di Abū Hayyān al-Jāhiz, un sapiente arabo del IX secolo, “un amico che non va a dormire se non prima che tu stesso sia caduto nel sonno”. ( Tratto da: Il Bloc Notes di Michele Magno …. CONTINUA  )

Le avventure della luna. Leopardi, Calvino e il fantastico italiano

Il fantastico italiano ha un padre imprevisto: Giacomo Leopardi. Lo sosteneva Italo Calvino, indicando «in quel frammento poetico che descrive un sogno in cui la luna si stacca dal cielo» un seme destinato a germogliare soltanto nel Novecento, quando la nostra letteratura si riconosce finalmente nell’«eredità di Leopardi», cioè in una «limpidezza di sguardo disincantata, amara, ironica». Nella prima parte di questo libro le idee e le opere di Calvino, in particolare alcune delle Cosmicomiche, sono indagate in un serrato confronto col modello leopardiano e con un reticolo di letture dove si intrecciano le favole di Ovidio e la scienza moderna, la teoria del mito del maestro einaudiano Cesare Pavese e le invenzioni surreali della scena letteraria francese. Dopo un intermezzo dedicato a due Canti emblematici del rapporto con il mondo animato degli antichi ( la canzone Alla Primavera e, appunto, il frammento Odi, Melisso ), la seconda parte prova a seguire, alle spalle di Calvino, altri momenti di una linea leopardiana della narrativa italiana del Novecento. Tenendo sempre di mira i miti lunari (innanzitutto l’immagine della luna staccata dal cielo, il cui influsso arriva fino all’ultimo film di Federico Fellini), l’indagine attraversa l’opera e la riflessione di Tommaso Landolfi per chiudersi sulle pagine di Antonio Delfini, autore di quel Ricordo della Basca che, come La pietra lunare di Landolfi, sembra voler rendere omaggio a Leopardi proprio in concomitanza col centenario del 1937. ( Marsilio Editore )

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