Leonard Cohen cronaca dello show di Lucca 2013 + articolo sulla sua poetica + discografia essenziale by Jankadjstrummer

 

cohen lu cohencohenlu1 Leonard Cohen cronaca dello show di Lucca del 09 luglio 2013

Magnetico, impeccabile e in una atmosfera magica il concerto di Leonard Cohen a Lucca, tanto che per le tre ore mi dimentico dei disagi causati dalla scelta dell’Organizzazione di creare il parterre dei posti numerati molto rialzato che non permette una visuale decente del palco,quando Cohen lo calca, puntualissimo alle 21, l’emozione è palpabile, perchè insieme a questo quasi ottantenne elegante con giacca, gilet e Borsalino entra anche la sua leggenda ed il pubblico lo accoglie con un boato. Cohen si toglie il cappello e se lo porta al petto “Grazie per la bellissima accoglienza, qui è bellissimo, non so quando tornerò ma posso dire che questa sera vi darò tutto quello che ho”, sorride e partono le prime note di ‘Dance me to the end of love’, la esegue in ginocchio davanti alla chitarra, poi uno sguardo alle sue coriste e ancora un sorriso. Tutto è perfetto, senza tentennamenti, eleganza estetica, soft, senza sfarzi anche nella musica della band che lo accompagna, musicisti di comprovata qualità Sharon Robinson (voce) Rosco Beck (basso,voce ), Alexandru Bublitchi (violino), Neil Larsen (tastiere, organo, e armonica), Mitch Wattkins (chitarre), Charlie e Hattie Webb, The Webb Sisters (voce, chitarre, arpa), Rafael Gayol (batterie e percussioni) e John Bilezijkjan (oud). Fortunatamente dai grandi schermi posti ai lati del palco è possibile vedere questo grande gentleman dal viso scavato e dalla corporatura esile dotato di una voce profonda e tenebrosa ma nel contempo vellutata, quasi un personaggio d’altri tempi capace, però, di arrivare ed affascinare anche il pubblico giovane accorso numeroso a conferma che il dualismo che contraddistingue le sue liriche, quel misto di sacro e profano che è sempre stato il suo segno distintivo risulta di estrema attualità. La scaletta dei brani pesca dagli anni Sessanta fino ai giorni nostri e mostra la perfezione di una musica fatta di altissime liriche e melodie senza tempo, parte “Everybody knows”, il pubblico si scalda e lo accompagna con il battito di mani e lui si inchina per ringraziare, arriva “Who by the fire” preceduta da uno stupendo assolo di oud, poi ritmi incalzanti, arpe che impreziosiscono la voce incantatrice di Cohen. C’è spazio per il nuovo album “Old ideas” con l’ accattivante “The gypsy’s wife ” a suggellare il legame tra la sua anima gitana e la Spagna. Il concerto vola via veloce, Cohen riesce a calamitare il pubblico e ad irretirlo, si inginocchia, canta, recita e saltella danzando su di un tappeto persiano le varie : “ the Future” The darkness” e la intensa “ Anthem” introdotta dalla recitazione di un verso che è l’essenza del suo sentire: “Forget your perfect offering ,there is a crack in everything”, Cohen si porta la mano sul cuore perché come dice nel brano “è da lì che viene la luce”. La prima parte del concerto sfuma con i ringraziamenti e con una frase che smorza la tensione emotiva: “Non andate via, torniamo da 15 minuti”, c’è tempo per spostarsi e sorseggiare una birra fresca tra la calca nei vari punti ristoro intorno alla grande piazza Napoleone ormai diventata palcoscenico naturale della estate Lucchese. il concerto riprende con Cohen che saluta il pubblico agitando la mano e imbracciando la chitarra e intonando le note di “Suzanne” occhi chiusi e atmosfere eteree, Il pubblico segue in religioso silenzio, con il fiato sospeso, prima di applaudire per un tempo che sembra infinito e trovando il tempo di fare una dedica a Fabrizio De André che l’ha tradotta e pubblicata sul suo album “Canzoni” Per “If it be your will ” Cohen recita alcuni versi della canzone (“If it be your will that I-speak no more and my voice be still as it was before.. From this broken hill I will sing to you From this broken hill All your praises-they shall ring If it be your will To let me sing”. “Se è un tuo desiderio che io non parli più e che la mia voce sia ancora com’era prima, non parlerò più/ aspetterò fino a che/ non si parlerà in mio favore /se questo è un tuo desiderio che una voce sia vera/ da questa accidentata collina/ tutte le tue lodi risuoneranno se questo è un tuo desiderio/ per lasciarmi cantare. Qui è forte un senso della fede che lui solo riesce a trasmettere l’assoluta devozione per chi è più grande di noi, da umile servo a cui è stata concessa il dono della voce, la canzone, a sorpresa, la lascia cantare alle due coriste, le Webb Sisters accompagnate solo da arpa e chitarra. Una esecuzione magistrale, emozionantissima di rara perfezione musicale che il pubblico ha apprezzato tributando loro un applauso infinito, li accanto un Cohen attonito con il capo chino e il cappello sul cuore. Da brivido. Ma non c’è tempo per romantiche sdolcinatezze, Cohen si toglie la giacca e ci regala una strepitosa “So long, Marianne” che il pubblico canta insieme a lui quasi a suggellare la magia e quel flusso d’amore che solo lui è capace di trasmettere e il pubblico lo sa bene tanto che gli riserverà un applauso senza fine. Si riparte con il basso e la batteria ad annunciare “First we take in Manhattan” , e ancora “Bird on wire” Chelsea N°2 e Sisters of mercy esecuzioni intense che donano emozioni e brividi in questa notte torrida. A questo punto Leonard tira un po’ il fiato, cede il microfono e lascia la scena a Sharon Robinson per una versione commovente di “Alexandra Leaving” che non fa rimpiangere la versione originale, questo secondo set si chiude con un crescendo che lascia senza fiato: prima il classico romantico-pop “I’m Your Man”, eseguito con l’energia di un ventenne e tanta ironia quando riesce ad esaltarsi nei diversi ruoli che si disegna per compiacere la sua amata che poi rappresenta quello che si può definire la donna ideale; nessun cenno di stanchezza, tutto sommato sono passate un paio d’ore dall’inizio, così parte quella che viene considerata una preghiera senza tempo,una versione asciutta, spirituale di Hallelujah cantata con una intensità da pelle d’oca e solo in questo momento si capisce perchè così tanti musicisti la considerano una delle più belle canzoni di sempre e perché un po’ tutti la vogliono cantare e poi “Take this Waltz” ( prendi questo valzer ) una famosissima poesia di Garcia Lorca tradotta da Cohen, qui eseguita con grazia estrema. Infine regala una perfetta esecuzione di “Famous blue raincoat ” capace di spezzare il cuore a tutti e non solo agli amanti delusi. Sembra che sia finito tutto ma l’estasi che Cohen e la sua band riescono a donare continua con dei bis che diventano un’apoteosi, una sublimazione dei sentimenti. Il concerto di questo elegante crooner si chiude con brani che quasi mai vengono inseriti in scaletta: la rarissima cover de The Drifters “Save the last dance for me”, poi “I tried to leave you” per concludere “ Closing time”. Oltre tre ore di concerto memorabile che senza voler esagerare è stato un viaggio nella poesia di Jikan,il Silenzioso cosi come venne chiamato quando fu ordinato monaco buddista e si interrogava sui suoi stati d’animo per capire perchè in certi momenti mi sentiva particolarmente malinconico, condizione che gli ha premesso di scrivere e di cantare con la sua voce seducente le sue immortali poesie o se vogliamo al poeta che scriveva canzoni.

Dal vostro Jankadjstrummer

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A VOCE DALLA LAMA AFFILATA”

Ogni volta che decido di scrivere qualcosa su Leonard Cohen mi assale una forma di pudore e di inadeguatezza che mi fa pensare di non essere all’altezza di parlare di poesia, perché un conto è parlare di musica rock con piglio leggero quasi canzonatorio altro conto è addentrarsi in territori sconosciuti per riuscire a tradurre i sentimenti, le emozioni che si provano leggendo una poesia o ascoltando un brano di Cohen. Questa volta, però, ho deciso di provarci perché ritengo che sia doveroso far conoscere meglio ai lettori del sito questo straordinario cantautore e poeta ma anche abile romanziere. Leonard Cohen è nato in Canada (Monthreal 21/09/1934), da una famiglia di origine ebrea, inizia la sua carriera nel 1956 pubblicando un libro di poesie e dedicandosi alla musica solo a partire dal 1967 dopo essersi trasferito negli USA. Nel 1968 pubblica il suo primo disco “Songs of Leonard Cohen” che ebbe un buon successo.. I lavori successivi sono “Songs from a Room” (1969), “Songs of love and hate” (1971) e “Live songs” (dal vivo). Poi entra in un periodo di crisi personale dal quale esce pochi anni più tardi con la pubblicazione di “New skin for the old ceremony” (1974). Alla fine degli anni ’80 vive in California, a Los Angeles. Dopo l’apocalittico album “The Future” (1992) Cohen decide di ritirarsi in un monastero buddista in California; trascorre così un periodo di meditazione e si prende cura dell’anziano maestro Roshi, dal 1993 fino al 1999. Dopo quasi dieci anni di silenzio discografico la sua casa discografica pubblica i dischi live “Cohen Live” (1994) e “Field Commander Cohen” (2000, registrazioni di concerti del 1978), e “More Greatest Hits” (1997). Dopo il 2000 si rimette al lavoro con la sua vecchia collaboratrice Sharon Robinson e pubblica all’età di 67 anni l’album “Ten New Songs” (2001). Parallelamente all’attività musicale c’è quella letteraria che riassumo brevemente: La sua prima collezione di poesie, “Let Us Compare Mythologies”, viene pubblicata nel 1956 quando è ancora studente universitario. “The Spice Box Of Earth” (1961), la sua seconda collezione, lo lancia verso la fama internazionale, poi nei primi anni ’60 pubblica due romanzi, “The favourite game” (1963) e “Beautiful Losers” (1966). Poi un libro di poesie “The Parasites of Heaven” in cui compaiono alcuni testi (tra cui la celebre “Suzanne”) che successivamente diventeranno canzoni. “Impossibile ascoltare un suo album quando fuori splende il sole” ammonivano i critici, perchè quando Cohen parla dei suoi turbamenti religiosi o delle sue malinconiche crisi esistenziali la sua voce è un rasoio pronto a fendere gli stati d’animo , le passioni e i sentimenti.     “Per sua natura, una canzone deve muovere da cuore a cuore”. È questa la poetica e la filosofia con cui Leonard Cohen ha costruito non solo la sua carriera artistica, ma la sua stessa vita. La sua musica si avvicina alla poesia, al sentimento delle cose non dette, alle allusioni, alle metafore, un linguaggio che è solo dei poeti. Tanti sono stati gli artisti rock  che hanno riconosciuto di essere stati fortemente influenzati dalla musica di questo cantore, Nick Cave, Morrisey ma anche molti altri hanno attinto dal suo repertorio ma in generale dalla sua poetica  e dal suo modo di esprimere le inquietudini. Mi piace ricordare “Hallelujah” resa ancor più famosa e struggente da Jeff Buckley, Suzanne ripresa magistralmente da Fabrizio De Andrè ma anche I’m your man nella interpretazione di Nick cave. Il tempo per Cohen ha un suo ritmo: “Di solito tendo alla tristezza. Per alcune canzoni ho impiegato diversi anni. Nessuna di essa è stata un parto facile, dopo tutto questo è il nostro lavoro. Tutto il resto va spesso in malora, in bancarotta totale, e così quel che rimane è il lavoro, ed è quello che faccio per tutto il tempo, lavorare, creare l’opus della mia vita. Il nostro lavoro è l’unico territorio che possiamo governare e rendere chiaro. Tutte le altre cose rimangono confuse e misteriose”. Cohen nei suoi lavori affronta l’amore, la passione, il viaggio, la sofferenza, la solitudine, e i sentimenti di un uomo che divora letteralmente le sensazioni che prova, con uno straordinario talento che incanta e affascina chi lo legge e lo ascolta. Il suo bagaglio musicale nasce della chanson francese di Jacques Brel e George Brassens, ma il forte influsso dato dalle sue radici ebraiche, gli fa prediligere anche molti temi biblici. Cohen è un poeta che parla contemporaneamente con delicatezza e una forza stilistica unica donando grande profondità ai suoi versi, teneri e passionali, fragili e risoluti al tempo stesso, confermando, ancora una volta la sua grande sensibilità e l’acutezza nel sentire, nel percepire, nel raccontare quella vita che ama con tutto il suo essere e senza riserve.

GLI  ALBUM DI LEONARD COHEN

  • Songs of Leonard Cohen (Columbia, 1968) > ottimo
  • Songs From A Room (Columbia, 1969)
  • Songs Of Love And Hate (Columbia, 1971) > ottimo
  • Live Songs (Columbia, 1972)
  • New Skin For The Old Ceremony (Columbia, 1973)
  • Best of Leonard Cohen (Columbia, 1975)
  • Death Of A Ladies’ Man (Columbia, 1977)
  • Recent Songs (Columbia, 1979)
  • Various Positions (Columbia, 1984)
  • I’m Your Man (Columbia, 1988) > ottimo
  • The Future (Columbia, 1992)
  • Cohen live (Columbia, 1994)
  • Field Commander Cohen (Columbia, 2000)
  • Ten New Songs (Columbia, 2001)
  • The Essential Cohen (anthology, Columbia, 2002)
  • Dear Heather (Columbia, 2004)
  • Live in London ( 2008 )
  • Live in Isle of Wight 1970 ( 2009 ) > ottimo
  1. Songs Of Leonard Cohen E’ il suo album d’esordio,uscito nel 1968 in piena contestazione politica, periodo dominato musicalmente da songwriters  del calibro di Bob Dylan e Joan Baez  che scrivono di emancipazione, lotte e rivoluzioni di popoli mentre lui preferisce parlare di individualità. Le sue liriche sono caratterizzate da binomi che saranno poi sviscerati nel corso della sua carriera “ sesso/religione “ vincente/perdente , profondità / semplicità. I suoi 10 brani colpiscono per la delicatezza, per il tono lieve e romantico, per la dimensione profondamente intimista e per la straordinaria melodia. Si parte con  “Suzanne”, una canzone di straordinaria tenerezza ed eleganza, un personaggio da venerare chiunque essa sia nel binomio che dicevo, madonna/prostituta , Cohen ne narra dolcemente  la sua storia con un suono lieve di chitarra, violino e dolci cori. Poi si passa all’ atmosfera cupa di “Master Song”, con fiati in evidenza e tappeti di tastiere. Si ribaltano i ruoli della dicotomia schiavo-padrone Cohen, infatti, è convinto che nelle sconfitte c’è gloria e che si annullano le differenze tra vinti e vincitori. I toni melodici del flauto accompagnano la  calda e lenta “Winter Lady”, mentre “The Stranger Song” è caratterizzata da un suono veloce di chitarra. Si arriva, poi, alla bellissima “Sisters of Mercy”, una dolce ballata che assomiglia ad una ninna nanna che mal si concilierebbe con le prostitute protagoniste del brano ma  la voce sussurrata e l’arpeggio della  chitarra di Cohen gli imprimono quasi un certo misticismo. La musica sale di ritmo con la stupenda serenata “So Long, Marianne”, con batteria e violino a dar man forte al suo canto. Poi le ballate “Hey That Way To Say Goodbye” in cui si parla di una separazione, “Stories Of The Street”,   storie vere di diseredati, poi la tristezza  di  “Teachers” e  di  “One of Us Cannot Be Wrong”, chiude questo primo capitolo.
  1. Songs From a Room del 1969 è il suo secondo disco, prosegue sulle stesse atmosfere cupe fatte quasi interamente di storie disperate al limite della depressione, gli arrangiamenti sono ben costruiti, scarni e mai pomposi ; l’angosciosa “Seems So Long Ago Nancy”, le epiche “Story Of Isaac” e “The Partisan”  in cui il i temi centrali sono i rapporti tra gli uomini e la violenza della guerra. Il disco è oscuro, meditativo con pochi spunti di allegria se non nei due brani dai toni quasi sognanti che chiudono l’album  “Lady Midnight” e “Tonight Will Be Fine”,

    3. Songs Of Love and Hate del 1971 è l’album che chiude il trittico in cui continua a funzionare il connubio chitarra voce, senza perdere la magia del suono e le atmosfere malinconiche . Le canzoni sono ancora incentrate sulla desolazione e sulla solitudine. Nell’album ci sono delle vere e proprie perle  “Famous Blue Raincoat”, una riflessione sui rapporti d’amicizia che finiscono o che vengono traditi. La struggente ode a Giovanna d’Arco altera e stanca (un altro brano ripreso da De André) e “Last Year’s Man” è la triste condizione dell’uomo in piena crisi esistenziale.

  2. Live Songs è un album live che ripropone brani dei primi 3 album.
  3. New Skin For the Old Ceremony (1973) è un disco che si caratterizza per il suono orchestrale e per dei testi che continuano sulla stessa falsariga dei precedenti scavando sulla condizione del’uomo. Niente di esaltante.
  4. Death Of A Ladies’ Mand del 1977 è l’album del ritorno dopo anni di pausa ma fu un vero flop anche a causa di dissapori con il produttore.
  5. Recent songs del 1979  è, invece,  un disco complesso perché oltre che esplorare i rapporti di coppia si muove su un terreno molto controverso: la religione. Cohen è ebreo ma in questo periodo studia altre religioni tra cui la Scientology  e poi il buddismo che rappresenta per lui una forma di meditazione che va al di la del deismo
    8. Con Various Position del 1984, prosegue il suo cammino religioso e questo lavoro ne risente molto, le canzoni sembrano dei salmi ma sono tanto profonde e cariche di umanità che possono essere definite nobili canzoni d’amore  (“Hallelujah”, “The Law”, “Dance Me To The End Of Love”, “If it Be Your Will”)
  6. I’m Your Man l’album del 1988, è la sintesi di tutta l’amarezza e la paura di affrontare l’esistenza. Un disco accolto finalmente in maniera entusiastica dalla critica americana perché torna con delle ballate formidabili “First We Take Manhattan”, “Tower Of Song” e “Ain’t No Cure For Love”,  che sono un mix di folk e di arrangiamenti moderni in cui c’è spazio anche per il ritmo, si scrolla di dosso l’abito del cantautore impegnato, hippie incapace di rinverdire il suono e le liriche.
  7. The Future del 1992,  è un disco apocalittico perché profetizza un catastrofico futuro per l’Umanità , un pessimismo cosmico riscontrabile in tutto il lavoro ma che rappresenta il suo maggiore successo di pubblico grazie a brani come  “Waiting for the Miracle”, “Closing Time”  e “Anthem”, che abbandonano il classicismo del folk acustico per accostarsi ad un suono più pop, più moderno.

Dopo questo disco Cohen  scompare dalle scene, vive in un monastero zen nei pressi di Los Angeles solo e lontano dal mondo per circa 8 anni fino a che non pubblica:

  1. Ten New Songs del 2001, dieci nuove canzoni registrate con l’aiuto di Sharon Robinson,  il disco comunque risente  ancora il periodo-zen come testimoniano alcuni dei brani (“Love Itself”, “In My Secret Life”).

    12. Dear Heater, è il disco della maturità Cohen ha compiuto 70 anni e con la fedele Sharon Robinson snocciola dei brani che sono dei veri e propri aforismi, stati d’animo e riflessioni sul mondo su tanti temi di interesse: “On That Day” un brano, privo di retorica, sull’11 settembre,  “The Letters”, una riflessione sul tradimento e “ Because Of” un bel brano ironico  dedicato ai suoi amori, bella l’immagine delle donne mature nude che chiedono di essere ammirate almeno per una volta.

JANKADJSTRUMMER

ALLELUIA

Ho sentito parlare di un accordo segreto
che siglò Davide e che è piaciuto al Signore
ma a te non importa tanto la musica, non ‘e vero?
insomma fa cosi’ il quarto, il quinto
la sceso minore e il sollevamento maggiore
il re perplesso che compone alleluia

Alleluia…

Cosi’ la tua fede era forte ma ti serviva la prova,
la vedesti che si bagnava sul tetto
la sua bellezza e il chiarore della luna ti lasciarono senza fiato
lei ti lego’ alla sua sedia della cucina
ti ruppe il tuo trono e ti taglio’ i capelli
e dalle tue labbra tiro’ fuori un alleluia

Alleluia…

Amore, sono stato qui già un’altra volta
ho vista questa stanza e ho camminato su questo pavimento
vivevo da solo prima di conoscerti

ho vista la tua bandiera all’arco di marmo
ma l’amore non è una marcia di vittoria
è un freddo ed un triste “alleluia

Cosi’  una volta mi informavi
di quello che succedeva veramente laggiu’
ma adesso questo non me lo fai più, non ‘e vero?
ma ti ricordi che quando ho traslocato, anche tue la santa colomba avete traslocato
e ogni respiro che avevamo preso era un “alleluia”

Insomma, forse ci sara’ un Dio lassu’
ma cio’ che ho mai imparato dall’amore
è come sparare  a qualcuno che ti punta una pistola
non è un pianto che si ode di notte
non è qualcuno che ha visto la luce
ma è un freddo ed  un triste “alleluia”

cohen

Leonard Cohen cronaca dello show di Lucca 2013 + articolo sulla sua poetica + discografia essenziale by Jankadjstrummerultima modifica: 2020-05-16T23:07:32+02:00da giancarlopellegrino