PRIMA FERMATA – NAPOLI CENTRALE – SECONDA FERMATA – “MATTANZA” NAPOLI CENTRALE

PRIMA FERMATA – NAPOLI CENTRALE

Che piova o che esca il sole, chi è bracciante a San Nicola / con la bottiglia piena di vino / va tutti i giorni a zappare.Campagna … com’è bella la campagna…

…ma è più bella per il figlio del padrone della terra / che ci viene ogni giorno / a divertirsi con gli amici…

Campagna … com’è bella la campagna…

In Italia, gli anni ’70 hanno rappresentato per la musica rock una fucina, una fabbrica di talenti e di idee, mi piace ricordare, anche attraverso dei contributi audio/video un gruppo che ho ascoltato tanto da giovane e perché mi rendo conto che non è molto facile reperire materiale un po’ di nicchia come quello legato al gruppo partenopeo dei Napoli Centrale che ha segnato nel panorama della musica jazz/rock un punto fermo, un faro per tante formazioni che si approcciavano a questo stile.

In quegli anni molte bands del progressive della prima ora si erano sciolte oppure riconvertite ad una musica molto più attenta alla situazione politico-economica che richiedeva a tutti gli artisti un maggior impegno sociale. I Napoli Centrale si formano nel 1975 intorno alla figura del sassofonista di colore napoletano James Senese che insieme al batterista Franco Del Prete ( recentemente scomparso ) firmano tutti i brani, i due erano già insieme nel gruppo r’n’b degli Showmen alla fine degli anni ’60. Il loro primo lavoro “Napoli Centrale”, viene pubblicato sul finire del 1975 ed è un vero successo perché riescono, con grande talento, a contaminare suoni che vanno dalla musica popolare napoletana (tutte le canzoni sono cantate in lingua napoletana che diventa quasi uno strumento musicale) ad un raffinatissimo sound jazz / rock, il prodotto che ne scaturisce è assolutamente unico nel panorama dell’epoca, un marchio che a distanza di tempo risulta ancora riconoscibile, si trattava di un lavoro innovativo in cui il Progressive c’entrava solo marginalmente. I brani si caratterizzavano con dei testi di forte denuncia sociale, il suono del sax di Senese che sostituiva la chitarra solista, l’utilizzo del piano rispetto alle tastiere rendevano il suono caldo, sanguigno, rivoluzionario anche se è tangibile l’influenza del suono elettrico dei Weather Report. Anticipato dal vendutissimo singolo “Campagna”, che divenne un piccolo classico della musica giovanile dell’epoca, caratterizzato da un bel piano elettrico e dal suono di un sassofono sfolgorante, l’album fu un lampo sin dall’inizio perché carico di una forte comunicativa e capace di restituire umanità ma anche sensazioni di forte impatto. Il secondo brano, dai toni amari, affronta il dramma dell’emigrazione “Gente e’ Bucciano”,

“Lassù al Nord c’è gente che viene da Bucciano / là dove una volta zappava la terra sputando sangue e salute. /

Ma la fame è più forte dell’amore per la terra / e la gente di Bucciano ha dovuto emigrare al Nord per lavorare nelle fabbriche. /

Là sputa lo stesso sangue e salute e in più, / si sente fottuta.

Solo strumentale il brano “Pensione Floridiana”, con atmosfere che ricordano la black music inizio anni ’70, ed un sound di grande finezza. Dopo “Viecchie, mugliere, muorte e criaturi”, brano squisitamente di impatto sociale che descrive una società completamente alla deriva, in cui la voce di Senese si esprime al massimo ritroviamo, con i quadri urbani di “Vico Primo Parise n. 8”, un suono coinvolgente in cui anche questa volta il piano, ben in evidenza, di Mark Harris e la ritmica potente di Franco Del Prete si fondono in un abbraccio col sax di Senese. Chiude il disco il brano “‘O lupo s’ha mangiato ‘a pecurella”: un bel ritmo sincopato che  con le atmosfere indefinite sono preludio alla rievocazione di voci e grida di un mercato napoletano e alla ripetizione del titolo del brano in maniera ossessiva, una bella e feroce satira del potere.

Track list:

  1. Campagna A
  2. Campagna B
  3. A Gente ‘e Bucciano A
  4. A Gente ‘e Bucciano B
  5. Pensione Floridiana
  6. Viecchie Mugliere Muorte E Criaturi A
  7. Viecchie Mugliere Muorte E Criaturi B
  8. Vico Primo Parise No. 8
  9. O Lupo S’ha Mangiato ‘a Pecurella A
  10. O Lupo S’ha Mangiato ‘a Pecurella B
  11. O Lupo S’ha Mangiato ‘a Pecurella C

 

SECONDA  FERMATA: NAPOLI CENTRALE  “MATTANZA”

Questo è il secondo lavoro dei Napoli Centrale, siamo nel 1976 e rispetto al disco d’esordio, resiste lo zoccolo duro della formazione composto da Senese e Del Prete, mentre Tony Walmsley e Mark Harris lasciano il gruppo per raggiungere il gruppo progressive “Il rovescio della medaglia”. Approdono alla esperienza Napoli Centrale il musicista siciliano Pippo Guarnera al piano, Kelvin Bullen alla chitarra mentre affianca alle percussioni Agostino Marangolo già nel gruppo dei Goblin oltre al altri “ turnisti” che diedero all’album un carattere più corale. Ne venne fuori un lavoro che non aggiunge nulla di nuovo allo stile e alle sonorità presenti nell’album d’esordio ma che li proiettò direttamente dai festival pop del proletariato giovanile e al Festival Jazz di Montreux. Un disco che conferma una formazione grandiosa e ci regala un album di grossa qualità oltre che maturo e compatto. L’album è composto da sette pezzi, quasi tutti strumentali tranne qualcuno come al solito in dialetto napoletano. Il disco di apre cosi come era finito il precedente, in clima da mercato rionale in cui si sentono le grida dei popolani che l’affollano di “Simme iute e simme venute”, brano in perfetto stile jazz-rock con il piano elettrico in evidenza ed il sax di Senese che insegue una sezione ritmica tiratissima. Segue “Sotto a suttana”, un brano quasi interamente strumentale dalle atmosfere calde e sfumate che creano un suono quasi ossessivo, dopo “Sotto e ‘n coppa” la triste poesia del testamento funebre del “‘O nonno mio”, un brano quasi recitato da Senese. La punta più alta dell’album lo raggiunge il lunghissimo (13 minuti ) brano “Sangue misto” che regala tanta poesia ma anche tanta musica di qualità che denota una maturità stilistica fatta di tanta curiosità e di voglia di sperimentare.  Gli ultimi due brani del disco, “Forse sto capenno” (un brano dai forti accenti jazz) e “Chi fa l’arte e chi s’accatta” (un pezzo originalissimo di folk-funky), restano ad altissimi livelli, impreziosendo un lavoro veramente interessante che rimane ancora un esempio di grande musica, di mediterraneità e di tanto sentimento. Una ultima curiosità: il disco fu premiato come “migliore registrazione dell’anno” alla consolle del fonico c’era un certo Roberto Satti, allora proprietario degli studi Chantalain meglio conosciuto come Bobby Solo. Pare che James Senese gli abbia detto: “anche se tu non sei un tecnico perfetto, hai l’orecchio musicale e noi ci fidiamo di te” (fonte: ilpopolodelblues.com). Con “ mattanza” forse si è chiusa un epoca

Track list:

  1. Simme iute e simme venute
  2. Sotto a’ suttana
  3. Sotto e ‘n coppa
  4. ‘O nonno mio
  5. Sangue misto
  6. Forse sto capenno
  7. Chi fa l’arte e chi s’accatta

DAL VOSTRO JANKADJSTRUMMER

 

RIASCOLTATI PER VOI ” UMMAGUMMA” Pink Floyd” 1969

UMMAGUMMA  PINK FLOYD 1969

Sono molto affezionato a questo disco perché fu uno dei primi LP che comprai, era un album doppio, non se ne vedevano molti all’epoca, per cui dovetti dar fondo ai miei risparmi per acquistarlo. In realtà fu pubblicato nel 1969 ma il mio acquisto avvenne intorno al 1972, all’epoca la pubblicazione del disco non andava di pari passo con gli acquisti, le occasioni di ascoltare il rock erano scarse, solo la radio nelle ore notturne temerariamente ci indottrinava, il disco si scopriva dopo parecchi mesi dalla pubblicazione. Questo lavoro era diviso in 4 parti le prime due erano registrate dal vivo le altre due in studio. Non oso tirar fuori il vinile e ascoltare l’album sul giradischi ma preferisco una fredda registrazione MP3 per ovvie ragioni ( nonostante la mia estrema cura, si sente il gracchiare della puntina sui solchi) parte la prima traccia live: si tratta di “Astronomy domine” in cui è facile percepire la  chiara impronta di Syd Barrett, chiudendo gli occhi si sente l’astronave rosa decollare verso l’infinito accompagnata dal suono psichedelico della chitarra, del basso e delle tastiere e da una martellante batteria che ne guida il tempo; il secondo pezzo è inquietante “Careful with that axe, Eugene” ( attento con quell’ ascia ,Eugenio) un pezzo interamente strumentale che parte da suoni tranquilli ed ossessivi per culminare in un crescendo paranoico e con un grido che è diventato leggendario nella storia del rock. La seconda facciata si apre con un pezzo scritto da Roger Waters “Set the controls for the earth of the sun”, una stupenda composizione astrale, dove tutto è guidato da un basso ossessivo che dà il tempo, assolutamente geniale; il disco live si conclude con “A saucerful of secrets” una suite tratta dal loro secondo LP, in versione live diventa molto suggestiva, lunghe ed estenuanti incursioni di chitarra, ossessive percussioni e un organo che richiama il passato, è da pelle d’oca. Fin qui nella di nuovo ma solo una dimensione live che per gli appassionati rappresenta una pietra miliare; ma la vera novità di questo lavoro, la leggenda che ne è scaturita, parte dal 2 disco, peraltro il primo senza l’ombra della follia di Syd Barrett, “Ummagumma” il cui significato in gergo indica il rapporto sessuale, un lavoro originalissimo ed avanti anni luce rispetto a quello che passava in quel periodo. In queste altre due facciate ogni componente della band si ritaglia un suo spazio: si parte con le tastiere di Wright che con la sua suite ci conduce verso un rock d’avanguardia intriso di classicismo, diviso in quattro parti in cui gli strumenti non seguono un filo logico, uno spartito ma che si concludono alla fine in un corale tripudio. E’ la volta del basso di R. Waters che ci regala una delle più belle ballate acustiche dei Pink Floyd “Grantchester meadows”, che si conclude con susseguirsi di versi di animali e rumori di vario genere. La seconda facciata parte con la chitarra di Gilmour che compone  per la prima volta la suite “The narrow way” un classico dei Pink Floyd, chitarre e tastiere che si inseguono supportate dalla batteria di Mason  e per finire una stupenda  ballata elettrica. La parte finale del disco”The grand vizier’s garden party”  è di  Mason, una suite sperimentale, si parte dalle percussioni per far insinuare solo alcuni strumenti come il flauto; siamo forse troppo aventi nel precorrere i tempi .Per concludere credo che “Ummagumma” sia un album fondamentale per tutta la musica moderna, non a caso da lì è partito quello che sarà poi definito il “ Krauti rock tedesco” degli Amon Dull, Tangerine Dream o alcuni lavori di Robert Fripp e Brian Eno  che hanno proseguito la sperimentazione interrotta dei Pink Floyd. Una curiosità: all’epoca il disco divise un po’ il pubblico abituato ad un rock più classico, per cui le vendite del disco furono disastrose ma in compenso ebbero un successo di critica unanime. Vi consiglio un ascolto o un riascolto del disco non ve ne pentirete!

Tracklist:
Disco 1:
01. Astronomy domine
02. Careful with that axe, Eugene
03. Set the controls for the heart of the sun
04. Saucerful of secrets

Disco 2:
01. Sysyphus, part 1
02. Sysyphus, part 2
03. Sysyphus, part 3
04. Sysyphus, part 4
05. Grantchester meadows
06. Several species of small furry animals gathered together in a cave and
07. The narrow way, part 1
08. The narrow way, part 2
09. The narrow way, part 3
10. Grand vizier’s garden party: enterance, part 1
11. Grand vizier’s garden party: entertainment, part 2
12. Grand vizier’s garden party: exit, part 3

RIASCOLTATI PER VOI: DAVID BOWIE – The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars – di Jankadjstrummer

RIASCOLTATI PER VOI: DAVID BOWIE
– The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars
1.Five Years 2. Soul Love 3. Moonage Daydream 4.Starman 5. It Ain’t Easy
6.Lady Stardust 7.Star 8.Hang On To Yourself 9.Ziggy Stardust 10.Suffragette City 11.Rock ‘N’ Roll Suicide
ziggy
https://youtu.be/3qrOvBuWJ-c
Nel firmamento celeste brilla una stella da quasi 40 anni, Ziggy Stardust, l’uomo delle stelle di Bowie che giunge sulla terra per diventare un idolo rock, un punto di riferimento per i giovani, pronti a ribellarsi a tutto: alla società, alla scuola, alla famiglia. Ziggy è l’ incarnazione del Bowie eclettico,
sempre pronto al cambiamento in nome dell’arte, il disco, allora, diventa un opera a tutto tondo in cui convive il teatro con la musica fino al cinema. Siamo in perfetto clima post-sessantottino in Inghilterra, il rock diventa una sorta di carnevalata non si assiste più ai grandi raduni pacifisti degli
hippys dai forti connotati ideologici e politici ma a feste freak in cui resta inalterato il sentimento di base del “peace and love”, ma assume colori sgargianti : lustrini, luci al neon, paillettes, travestitismo,ambiguità sessuale, siamo nell’era del Glam-rock o più semplicemente del “Rock’n’roll col rossetto” come lo definì John Lennon. Il disco sprigiona energia e tanta creatività,ogni brano presente nell’album è poi divenuto un classico del rock che insieme diventa un folle viaggio concettuale. Una raccolta di ballate romantiche e di rock’n’roll tiratissimo da suonare a tutto
volume, una sorta proto-punk. Le undici tracce sono un concentrato di chitarre affilate e melodie struggenti, canzoni trasgressive, ironiche che ridicolizzano la morale prevalente. Il disco inizia con “Five Years” un brano che descrive con chiarezza la crisi dell’umanità e il desiderio, l’esigenza di
cercare un nuovo Messia da crocifiggere, lo trova in Ziggy, uno strano personaggio dall’aspetto ambiguo e dai tratti androgini, unica ancora di salvezza della Terra a cui restano 5 anni di vita prima del suo annientamento “We had five years left to cry in”. Musicalmente il brano parte con una batteria che segna il tempo di una ballata che a poco a poco assume forma, cresce fino al grido liberatorio di Bowie, preludio alla temuta apocalisse. Continua e si cade in un sogno ad occhi aperti “Moonage Daydream”,in cui arriva il messia, il redentore che impersona anche la prostituta del rock&roll – come la definisce Bowie – : I’m an alligator, I’m a mama-papa coming for you/ I’m the space invader, I’ll be a rock ‘n’ rolling bitch for you”. Il brano è esaltante, la chitarra elettrica di Ronson disegna suoni distorti che si amalgamano e diventano tutt’uno con la voce effeminata diBowie, mentre un assolo di sax chiude definitivamente il cerchio. Ziggy Stardust/David Bowie diventa così una star del rock, l’uomo delle stelle di cui si parla in “Starman”, un brano azzeccatissimo, con un ritornello strepitoso (“There’s a starman waiting in the sky/ He’d like to
come and meet us/ But he thinks he’d blow our minds”)peraltro ancora attualissimo. Ancora clima etereo, trasognato per “Lady Stardust” un bel brano per piano, chitarre e canto e per “It Ain’t Easy”, un brano leggero che diventa quasi un gospel nel ritornello. Al contrario, Il suono diventa elettrico e sparato a tutta velocità quando gli Spiders From Mars, il gruppo che accompagna Bowie in questa avventura, attaccano con “Hang On To Yourself”, brano che influenzò ed ispirò la celeberrima “God Save The Queen” dei Sex Pistols i e poi in “Suffragette City”, in cui declama le prostitute della città, il brano è colorato da gemiti orgasmici e sarà utilizzato per mimare l’atto sessuale sul palco durante i concerti/ performance riuscendo a portare in scena perfettamente l’ambiguità del personaggio. Ad aumentare in maniera esponenziale questo clima di
scandalo fu l’ammissione di omosessualità di David Bowie che confessò al Melody Maker di “ essere sempre stato gay”. Ziggy Stardust è ormai una star, la magica chitarra di Ronson accompagna la storia del brano che come tutte le belle storie del rock è destinato a finire nell’oblio. Bowie fa morire il suo alter ego, la sua creatura ormai in preda agli incubi della sua celebrità e dal suo malessere. Il finale del disco è il “suicidio del rock and roll”, una conclusione naturale che si celebra in maniera romantica, teatrale, con una sigaretta accesa in bocca “Time takes a cigarette, puts it in your mouth”, chiedendo ai fans le loro mani in segno d’affetto “Gimme your hands, cause
you’re wonderful”, un finale plateale che farà, definitivamente, spegnere la stella Ziggy. Molto bella l’immagine del film girato nel 1973, alla fine del tour Ziggy Stardust in cui Bowie in calzamaglia, capelli d’oro a caschetto davanti e lunghi dietro, carico di lustrini va incontro al pubblico ed annuncia la morte di Ziggy tra le lacrime dei suoi fans. Un disco fondamentale per la carriera di Bowie che è riuscito a cucirsi addosso una sua icona rock, un artista carico di passioni e di tanta fantasia, un ragazzo qualunque di Brixton che non voleva solo suonare ma essere un idolo,una
superstar e che riesce a raccogliere in sé romanticismo e pulsioni bisex, melodramma e fantascienza. Un album da scoprire o riscoprire, ne vale la pena.
JANKADJSTRUMMER

RIASCOLTATI PER VOI – FABRIZIO DE ANDRE’ – STORIA DI UN IMPIEGATO ( 1973 ) di Jankadjstrummer

de andrè
RIASCOLTATI PER VOI – FABRIZIO DE ANDRE’ – STORIA DI UN IMPIEGATO ( 1973 )
“ora sappiamo che è un delitto / il non rubare quando si ha fame”
INTRODUZIONE
2.
CANZONE DEL MAGGIO
3.
LA BOMBA IN TESTA
4.
AL BALLO MASCHERATO
5.
SOGNO NUMERO DUE
6.
CANZONE DEL PADRE
7.
IL BOMBAROLO
8.
VERRANNO A CHIEDERTI DEL NOSTRO AMORE
9.
NELLA MIA ORA DI LIBERTA’
https://youtu.be/w75KaCK9MQo
Della produzione di De Andrè niente risulta poco poetico ed ispirato ed è difficile per me indicare il disco migliore, posso solo esprimere la mia preferenza in questo momento che scrivo, perché nel tempo mi sono
legato a tutti i lavori del Faber. In questa fase della mia vita e della situazione politica che sta attraversando l’Italia, l’album che più calza questi sentimenti è senz’altro “Storia di un impiegato” perché è entrato, nel bene e nel male e con prepotenza nelle nostre storie personali e ci ha consegnato spunti di riflessione sutante problematiche ancora molto attuali, la lotta, i rapporti tra le generazioni, la violenza, il carcere. Un
disco, scritto nel 1973 con Nicola Piovani ( musica ) e Fabrizio Bentivoglio (liriche), un concept-album che insieme a “La buona Novella” (1970)
e “Non al denaro non all’amore nè al cielo” (1971) fa parte di una
trilogia in cui si riflette su grandi tempi. Un album particolare, di cui si è molto parlato e da taluni addirittura contestato perché sembrava quasi un incitamento alla ribellione mentre secondo me rappresenta un
quadro, sotto forma di poesia, in cui viene descritto un importante periodo storico. Un ritratto molto marcato ma assolutamente privo di qualsiasi pretesa di insegnare o ispirare azioni violente, anche se è innegabile la sua forza fatta di melodie e nuove sonorità che unite ai tanti temi caldi e sentiti si fondono in una miscela esplosiva. “Storia di un impiegato” è un disco sull’illusione che nasce da quel grande movimento di massa che fu il 1968. E’ un romanzo in musica in cui si traccia il percorso di un giovane che
partendo dall’ascolto di una canzone di lotta del ’68 (La canzone del Maggio) riflette sulla sua incapacità di prendere parte alla lotta, perchè ormai troppo integrato nella società borghese, ma è una canzone in cui c’è
una presa di coscienza dei problemi sociali e della necessità di lottare per cambiare la situazione; si parla di lotta: ricorda gli avvenimenti accaduti durante la rivolta nata dagli studenti e, rivolgendosi a quelli che alla
lotta non hanno partecipato, li accusa e ricorda loro che chiunque, anche chi, in quelle giornate, si è chiuso in casa per paura, è ugualmente coinvolto negli avvenimenti. La canzone contiene l’affermazione che la
rivolta non è finita ma ci sarà nuovamente, in futuro, più forte. L’impiegato riflette sulla sua vita fatta di mediocrità, paura e tanto individualismo e si paragona a quei ragazzi che hanno voluto, invece, ribellarsi al
sistema che li opprimeva, questa riflessione risveglia in lui sopiti ideali di protesta, che lentamente si fanno strada nella sua mente e nei suoi sogni (Al ballo mascherato e Sogno numero due), in cui pensa di risolvere
individualmente tutti i problemi. Decide così di gettare una bomba ad un ballo mascherato al quale partecipano tutti i miti, i valori della cultura e del potere borghese. E comincia a sognare di assistere agli effetti della deflagrazione su coloro che per anni ha rispettato, assiste all’agonia di tutti, del padre e della madre e dell’amico che gli ha insegnato a ribellarsi. Il sogno prosegue: la voce di un giudice lo informa che il potere borghese era al corrente dei suoi atti, addirittura lo stava seguendo dalla nascita così come segue tutti i suoi sudditi. L’accusa di omicidio, di strage, si trasforma in ringraziamento per aver eliminato vecchi residui che davano fastidio al potere stesso, che ormai ha trovato altri modi per governare. Il giudice lo
informa che ha usato correttamente gli strumenti della legge e che il suo gesto non è altro che la ricerca del potere personale. Così lo accolgono tra coloro che contano, tra coloro che decidono, tra coloro che governano e dispongono della altrui e della propria libertà. Un nuovo sogno, o una nuova puntata dei sogni precedenti, e l’impiegato prende il posto del padre da lui stesso sacrificato alla ricerca di uno spazio personale. Rivive una vita lancinante, fatta di illusioni e di relative delusioni, di difese disperate della propria integrità, del proprio denaro, delle proprietà, non è più un sogno, ma un incubo e l’impiegato si sveglia. Ha capito che in qualunque modo è un uomo finito, senza nessuna possibilità di recupero, che i suoi gesti
saranno sempre individualisti, tesi al proprio bisogno personale e che salendo la scala del potere non si sfugge comunque alla propria condizione di isolamento, d’angoscia. La bomba che nel sogno era stata
gettata con forza, con rabbia, per vendetta, ora, nella realtà, diventa un momento di ebbrezza e, ovviamente, di lucidità. Il sogno si trasforma in incubo quando l’uomo sogna suo padre, che lui stesso ha
ucciso “in un sogno precedente ”, e capisce di essere uguale a lui ( Canzone del padre). L’impiegato si sveglia consapevole di essere in tutto e per tutto funzionale a quella società che odia. L’impiegato sa cosa fare, sa dove andare, sa chi deve colpire e perché. Va dritto al parlamento a gettare una bomba vera per ammazzare gente vera, ma la sua abilità era soltanto un sogno: la bomba rotola giù verso un’edicola di giornali e l’unica
cosa che colpisce è, come una previsione, la faccia della sua fidanzata che sta su tutte le pagine dei giornali.
E alla fidanzata del mostro, l’impiegato scrive una lettera dal carcere nel quale è rinchiuso (Verranno a chiederti del nostro amore), e poi, nell’ultima traccia del disco, assume finalmente una nuova consapevolezza del suo ruolo all’interno di una collettività, in questo caso il carcere, e della lotta (Nella mia ora di libertà ). Nel carcere, in una realtà non più individualista, ma forse il massimo dell’essere uguali, l’impiegato non più impiegato scopre un nuovo modo di capire la vita e le cose che lo circondano. Scopre la
realtà della parola “collettivo” e della parola “potere”. Quand’ecco, proprio l’incarcerazione fa compiere al ragazzo l’ultimo passo per raggiungere la piena consapevolezza di ciò che è giusto fare: la lotta in carcere da
individuale si rifà collettiva e la rinuncia all’ora d’aria, come rinuncia all’individualismo prepara il terreno al sequestro dei secondini con l’ausilio di tutti i prigionieri, uniti, per riconquistare la vera aria, la vera libertà
che gli era stata, ingiustamente, sottratta.* Una grande novità stilistica del disco sta nel linguaggio, un linguaggio moderno che anziché racconto diventa immagini a volte psicologiche a volte oniriche in un pout-
pourri di elementi reali e non. Nove tracce che delineano un percorso in cui si rincorrono le diverse fasi della sua coscienza, sogni a volte carichi di lirismo ( Lottavano così come si gioca/i cuccioli del maggio era
normale/loro avevano il tempo anche per la galera/ad aspettarli fuori rimaneva/la stessa rabbia la stessa primavera), e di ironia (c’è chi lo vide piangere/un torrente di vocali/vedendo esplodere/un chiosco di
giornali). Una menzione speciale spetta ad un capolavoro “Verranno a chiederti del nostro amore” , una delle più intense canzoni d’amore se sia stata mai scritta, la lettera dal carcere del bombarolo alla sua donna
: partendo dal loro rapporto De Andrè si spinge ad una riflessione più ampia sui compromessi della coppia borghese…. “non sei riuscita a cambiarmi / non ti ho cambiata lo sai.”
*Molte informazioni sono riprese dalle note di copertina del disco a cura di Roberto Danè e dal libro di Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, pp. 175-176
BUON ASCOLTO O RIASCOLTO DA JANKADJSTRUMMER

RIASCOLTATI PER VOI : NIRVANA – NEVERMIND ANNO 1991 di Jankadjstrummer

RIASCOLTATI PER VOI :

NIRVANA – NEVERMIND ANNO 1991

di jankadjstrummer

  1. Smells Like Teen Spirit
  2. In Bloom
  3. Come As You Are
  4. Breed
  5. Lithium
  6. Polly
  7. Territorial Pissings
  8. Drain You
  9. Lounge Act
  10. Stay Away
  11. On A Plain
  12. Something In The Way

Era tanto tempo che pensavo ad un riascolto ragionato di questo “Nevermind” dei Nirvana per due ordini di motivi: il primo si lega alle inquietudini, alla sensazione di disagio che spuntano fuori dai solchi, l’altro motivo è la rabbia di kurt Cobain che mi ha sempre lasciato interdetto. Quindi nonostante il “ non ci pensare” del titolo quando partono le prime note di “Smells Like Teen Spirit” non posso fare a meno di percepire tanta sofferenza e tanta rabbia. Questo è il loro secondo disco a distanza di due anni dal buon esordio di “ Bleach” e così il trio “Kurt Cobain, Krist Novoselic e Dave Grohl sforna dodici brani per circa un ora di rock tiratissimo in perfetto stile grunge, intendiamoci i 3 non sono dei grandi musicisti ma è possibile che la voce roca ma accattivante e la tecnica musicale li abbiano elevato nell’olimpo del rock.
Dicevo di questa sensazione di malessere interiore che pervade l’intero lavoro già dai primi accordi, il riff inconfondibile di chitarra, la batteria incalzante, la voce stridula e a tratti tremula che urla la crisi profonda di Cobain , la crisi di tutta la generazione dei primi anni ’90 racchiusa nel magnifico ritornello cantato con vero trasporto. (“With the lights out it’s less dangerous/ Here we are now, entertain us/ I feel stupid and contagious/ Here we are now, entertain us/ A mulatto/ An albino/ A mosquito/ My Libido”) Con le luci spente è meno pericoloso/ Siamo qui ora,intratteneteci. Mi sento stupido e contagioso: Un mulatto. Un albino. Una zanzara. La mia libidine. Un rifiuto.
Se “Smells Like Teen Spirit” lascia basiti, sconvolti da tanta irruenza sonora anche il brano che segue “In Bloom” non è da meno: un giro di basso che fa da tappeto a versi semplicemente sussurrati poi un urlo che è un preludio ad una melodia semplice ma incisiva che i ritornelli rabbiosi rendono un vero capolavoro. (“Sell the kids for food/ weather changes moods/ Spring is here again/ reproductive glands”).

I suoni e le atmosfere diventano più tranquille ma sempre inquiete in “Come As You Are”, brano dal riff semplice ma geniale di quelli che rimangono impressi nella mente, carico di malinconia ma divenuto leggendario, qui si parla della insicurezza di Cobain a relazionarsi con gli altri, insicurezza che tuttavia accetta. “Breed” è pezzo carico di adrenalina, la batteria di Grohl ha un ritmo scatenato di chiara ispirazione punk hard-core. A seguire “Lithium”, uno dei pezzi più di successo dell’album (10 milioni di copie vendute). “Lithium” è sospesa tra la melodia e la rabbia del ritornello, un pezzo divenuto inno generazionale di un nuovo movimento di protesta e di riscatto, nel testo si parla di religione e del litio, una molecola usata per curare gli sbalzi di umore e la depressione. Con “Polly” il clima cambia pochi accordi di chitarra acustica accompagnano la grande forza della voce di Cobain, un pezzo cantautorale che racconta il dialogo tremendo tra una giovane donna e il suo stupratore.
“Polly” è soltanto una piccola pausa rilassante, perché immediatamente si torna al ritmo, all’esplosione dei suoni punk di “Territorial Pissings” fisicità musicale allo stato puro: non si può riumanere inermi in poltrona, bisogna saltare! Anche con “Drain You” e “Lounge Act”e “Stay Away”stessa musica, suoni ritmati e frasi urlate, giri di basso semplici ormai divenuti leggendari e una batteria che fa scintille, un mix esplosivo che esprime tutto il talento della band. Il rock è sanguigno, viscerale anche quando nel testo si parla d’amore come in “Drain You” . Il disco scorre come un fiume in piena c’è ancora tempo per 2 brani “On A Plain” uno dei pezzi più melodici del disco che nella versione unplugged registrata a New York per MTV raggiunge l’apice e l’ultimo brano che chiude il disco “Something In The Way”, solo due semplici accordi di chitarra acustica e la voce cupa di Kurt che racconta i suoi giorni trascorsi a vivere sotto un ponte quando da ragazzo scappò di casa. Non è dato sapere se è successo veramente o frutto della sua immaginazione, ma il testo è una toccante poesia ermetica “Underneath the bridge/ The tarp has sprung a leak/ And the animals I’ve trapped/ Have all become my pets/ And I’m living off of grass/ And the drippings from the ceiling/ But it’s ok to eat fish/ Cause they haven’t any feelings/ Something in the way” (“Al di sotto del ponte/ Il pesce ha mollato una pisciata/ E gli animali che ho catturato/ Sono diventati tutti miei animali domestici/ E non continuo a vivere d’erba/ E lo sgocciolio dal cielo/ Va bene mangiare pesce/ Perché loro non hanno sentimenti/ Qualcosa nella strada”).

Nevermind dei Nirvana è un disco che rimarrà nella storia del rock perché è riuscito a fare breccia su tutta una generazione di giovani di diverse estrazioni sociali e culturali, anche oggi a distanza di oltre un ventennio chi si approccia al rock alternativo passa inevitabilmente da questo lavoro del trio di Seattle e poco importa se la figura di Cobain è diventata una icona da stampare sulla maglietta.

Nell’aprile del 1994 Cobain la fa finita con un colpo di fucile lasciando uno scritto lapidario “ E’ meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente”.

JANKADJSTRUMMER