I greci dicevano che l’uomo è uno zoon politikòn. Insomma, un essere che vive in società . E’ nel nostro essere che siamo sempre riferiti agli altri. Siamo dipendenti gli uni dagli altri e senza il nostro prossimo non potremmo esistere, sin dalla nascita. Ogni bambino dipende dall’attenzione, dalle cure e dall’amore che riceve dagli altri. E questa attenzione e questa fiducia sono a loro volta il fondamento per l’attenzione agli altri. Viviamo in solidarietà e in unione con gli altri. ” Solo uomini completi vivono l’umano “. Questa frase la disse Goethe.
Vediamo di scavare dentro a questa frase di un cervellone dell’animo umano.
Credo che Goethe fa riferimento al legame di fondo, di tutti. Facciamo esperienza di noi stessi come io dell’altro, così come sono, ma solo nella relazione all’altro, possiamo diventare “noi stessi”( virgolettato di proposito ). Appunto per questo è nell’essere umano, insito, quel non chiudere gli occhi di fronte al bisogno di chi ci circonda, ma intervenire quando vediamo l’altro o l’altra nel bisogno: non importano i motivi. La parola bisogno non ammette interpretazioni arbitrarie o di comodo.
Che la relazione con gli altri non sia sempre armonica fa parte delle esperienze originarie. I primi protagonisti li vediamo in Caino e Abele ( lasciamo stare se siano davvero esistiti o meno. A me serve come esempio ). Un Fratricidio all’inizio dei tempi, e della storia dell’umanità. Caino è invidioso del fratello Abele e lo uccide. Quando Dio gli chiede conto e gli domanda: “Dov’è Abele, tuo fratello ?”, Caino risponde: ” Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello ?”
Ecco. Caino rifiuta di assumersi la responsabilità del proprio operato. Ma questo lo porta a dover vagare per tutta la vita tormentato dalla coscienza sporca.
Emplematica questa versione bibblica dentro cui ci stiamo tutti dentro, fino ai giorni nostri.
Noi, non possiamo chiudere gli ochhi di fronte agli altri. Siamo in questa vita, e siamo stati creati come essere fatti per vivere in società e, quindi, abbiamo la responsabilità verso la “Lei” o il “Lui”. Non ci è consentito, quindi comportarci come se gli altri non ci riguardassero. Se chiudiamo gli occhi di fronte a loro, allora in noi si desta la coscienza morale. Non ci lascia in pace. Non possiamo vivere nella pace interiore, se non ci occupiamo anche degli altri intorno a noi. Ovviamente non possiamo aiutare tutti, ma chi chiude gli occhi di fronte agli altri non trova pace.
HO avuto l’impressione di aver letto, almeno in parte, il contenuto di questo post. In ogni caso, penso che se non siamo obbligati ad occuparci degli altri, tuttavia,prima o poi, qualcosa in noi ci rode, anche a distanza di tempo e quando meno ce lo aspetteremmo. Una vocina interiore che insiste nel ricordarci le pecche del nostro egoistico comportamento e ci apre gli occhi sul come avremmo dovuto agire e come potervi riparare. Un post edificante, dal punto di vista della coscienza morale che, insita in ogni uomo,è un richiamo sempre vigile, anche quando facciamo “orecchi da mercante”. Buona serata, Dott.
Ciao Maria Teresa, non ricordo se in precedenza abbia proposto qualcosa di simile…ma ho la vaga impressione che tu abbia ragione.
In questo caso, al tuo pensiero mi introduco delicatamente con ciò che ho sempre maturato in me e che di rado mi è stato facile porre in essere. Ci troviamo davanti il mondo e l’umanità e avverto, o avvertiamo la sensazione come se questi ci interrogassero e nello stesso insieme ci procurano preoccupazioni. Vorremmo agguantarli e scoprirli ma il nostro sguardo si rivela molto epidermico, si ferma sulla superficie delle cose e degli altri , con cui ci scontriamo ogni giorno, ma che molto raramente ci incontriamo. Credo che dovremmo chiedere a Dio, gli occhi Suoi in prestito. Ciao cara, buona serata
Ho sempre sentito forte il richiamo della coscienza; nonostante non sempre non avessi voglia di farla un azione di aiuto e solidarietà, la mia coscienza si è rifiutata di assecondarla. Per lei, e per il profondo affetto che mi lega a chi è bisognoso di aiuto, ho sempre pensato prima agli altri- poiché pensando a loro facevo del bene a me stessa. Altrimenti chi chiude occhio la notte!? Mesi fa ne feci un post. https://www.google.com/amp/s/blog.libero.it/scrivoeleggio/amp/15394927.html. buongiorno
Un pensiero, questo che ti onora senz’altro. Posso aggiungere che una società senza amore è decisamente impensabile. Vedi, io sono un cattolico non praticante; diciamo all’acqua di rosa, e tuttavia, da quando ho letto la parabola del “buon samaritano” ho capito molte cose. Un racconto, forse il più piccolo di tutta la letteratura del mondo; appena 11-12 righe in cui sta raccolta la soluzione della storia dell’uomo, il dramma dell’uomo singolo come quello della società: un comando del Cristo:”Ama il prossimo tuo come te stesso!” Quindi, il prossimo, parola difficile, che debbo amare come me stesso. E cosa vuol dire ? Che prima devo cominciare da me stesso : prima io e poi gli altri. E se per gli altri non ne avanza ? Quando mai c’è una fine per l’egoismo ? Se prima viene l’Io e poi il “Tu” è chiaro che a vincere sarà l’egoismo e non l’altruismo. Eppure è scientificamente provato che per l’egoista non vi è mai un “avanzo”. E quì, interviene il Cristo, con le sue provocazioni. Un uomo che stava morente sul ciglio della strada.Passa un sacerdote( ecco la provocazione del Cristo che fa passare per primo proprio un prete. E’ chiaro, se non si mette il prete al salvare l’uomo chi deve esserlo ? Il prete lo vide e passò oltre. Tralascio il levita, e mi fermo proprio in colui che aveva tutti i diritti di “passare oltre”: il samaritano. Questi, si fermò, gli si accostò e lo curò. Ecco, in sintesi. Non so proprio la coscienza del prete e del levita come se la passasse. Grazie, carissima, buon pomeriggio