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La partita del mio cuore

Post n°252 pubblicato il 28 Giugno 2014 da Basta_una_scintilla

Faccio sempre più fatica a sentire la tua presenza; ti penso spesso, ogni volta che telefono a mamma che ora ha il tuo numero, ad esempio. Ho lasciato intatta la rubrica così, quando cerco "papi", è un po' come mi aspettassi di ritrovarvi vicini, ad interrompere qualcuna delle tante attività che amavate fare insieme. Ti penso spesso e mi manchi ma, più passa il tempo, più faccio fatica a sentire la tua presenza. Per questo ieri è stato bellissimo guardare quella partita: l'Olimpia, la tua Milano, che ha vinto il campionato contro Siena dopo 18 anni di astinenza ed a gara 7, mai accaduto prima. E' stato bello perché ti ho sentito, seduto accanto a me su divano, ho rivisto i tuoi gesti, riascoltato le tue parole ed ho parlato con te. Ti ho raccontato di quando, piccolissima, mi hai portato a vedere la mia prima partita ed io non capivo nulla del gioco ma mi sembrava di essere andata ad una festa piena di allegria, di quel giorno, al termine di Billy-Sinudyne che mi portasti a salutare i giocatori a bordo campo ed io, osservando Mike D'Antoni e Dino Meneghin, pensai esistessero uomini alti come le montagne. Abbiamo ricordato insieme tutte le emozioni regalateci da quella squadra di grandi campioni e le tante delusioni degli anni successivi che non hanno tuttavia intaccato il nostro amore incondizionato.  Ti ho sentito prendermi in giro per tutte le volte che mi arrabbiavo perché non riuscivo a cogliere, nella velocità del gioco, i falli e le infrazioni di passi e tu, pazientemente, mi rispiegavi tutte le regole o per quando, tesserata a Varese, la squadra di mio marito, tifavo in maniera convinta ogni domenica tranne contro Milano, giornata in cui rischiavo il linciaggio, tifosa milanese in mezzo ai varesini, perché si sa, le passioni possono essere tante, ma solo uno è il grande amore. Ti ho rivisto indignarti per i tiri liberi mancanti sentendoti esclamare "ragazzi ... i fondamentali!" e per gli applausi della nostra tifoseria agli errori avversari, perché, mi hai sempre detto, si applaude un bel gioco dell'avversario, non un suo errore. Abbiamo vinto papà e oggi, la tua squadra, è di nuovo li, sulla vetta. Ti voglio bene.

 
 
 

La rivincita del polinomio

Post n°251 pubblicato il 10 Giugno 2014 da Basta_una_scintilla


(Dedicato a tutti i maturandi)

La mia pagella di terza media riportava la frase: “ragazza particolarmente portata per studi ad indirizzo umanistico o artistico”. In realtà il mio cuore era decisamente orientato verso la biologia e, soprattutto, quel mondo microscopico che, fin da ragazzina, aveva destato in me un’immensa curiosità. Ciò premesso, tutte queste valutazioni a nulla valsero in quanto gli unici parametri che presi in considerazione nella scelta delle superiori furono il fatto che mio fratello gemello avrebbe frequentato il liceo scientifico e che, all’epoca, per me staccarmi da lui sarebbe stato più o meno come togliere la bombola dell’ossigeno ad un malato di enfisema polmonare. Non ricordo gli anni del liceo come entusiasmanti, soprattutto gli ultimi; i problemi a casa erano molti e, forse anche per quello, non riuscii a vivere quel periodo con la spensieratezza tipica dell’età. Non sono mai stata una grande secchiona, diciamo che avendo anche altri impegni ed interessi ed essendo di indole piuttosto pigra, ho sempre cercato di applicare la regola del “minimo sforzo, massimo rendimento”. Di quel periodo ricordo nitidamente la professoressa di matematica che chiamerò “La Terribile” giusto per tutelare la sua privacy; tanto per dare un’idea di cosa ella abbia rappresentato per me posso dire che, talvolta, mi sveglio nel cuore della notte terrorizzata da un incubo in cui omaccioni vestiti di nero mi comunicano con fare minatorio che non posso svolgere la professione in quanto la mia laurea non è valida dato che, a causa sua, non mi sono proprio diplomata.

Vista con gli occhi di un’adulta “La Terribile” era solo una cinquantenne nubile, di sgradevole aspetto, non particolarmente brillante, di certo molto bigotta, probabilmente repressa e poco soddisfatta della sua vita in generale. Manteneva un atteggiamento decisamente più cortese con gli alunni appartenenti al sesso maschile, vestiva come Mary Poppins, senza tuttavia averne il sorriso simpatico e gentile, non si depilava le gambe e, secondo me, non dedicava neppure un’adeguata attenzione alla sua igiene orale. Svolgeva gli esercizi in classe sempre copiandoli da quel quadernetto scritto a matita che non abbandonava mai.

Vista con gli occhi di un’adolescente, per sua natura piuttosto insicura e per di più educata al rispetto delle persone e delle gerarchie in generale ella era la “professoressa”, una donna adulta, con il compito di insegnare a giovani menti nozioni sconosciute e, in un certo senso, di contribuire alla loro educazione; non mi ponevo il dubbio che potesse avere dei problemi, dando per scontata la sua buona fede, e ne subivo inerme le angherie, certa di non capirne il motivo ma pensando di meritarle. Se una persona nella mia vita è riuscita a farmi sentire inetta, poco intelligente, irrecuperabile e sfiduciata, questa è stata lei; non credo di averla odiata, non mi sono mai riconosciuta in questo tipo di sentimento per nessuno, nemmeno più tardi e per cose ben più gravi, ma certo l’ho detestata con tutte le mie forze ed ho avuto paura di lei. Interrogandomi,mi diceva frasi tipo: “quanto dicono tu sia brava in lettere, tanto non capisci niente delle mie materie…”, “…sei proprio stupida”, “…non vedi che fai dormire tutti i tuoi compagni?”, “… tuo fratello si che è intelligente!” ed altre facezie del genere. Non riuscì mai a rimandarmi a settembre; ogni anno era una lotta sfinente all’ultimo mezzo punto per raggiungere la sufficienza ma ci arrivavo e credo che lei mi detestasse ancora di più, per questo.

A pochi mesi dalla maturità la mia ansia aumentò a dismisura e contattai un giovane studente d’ingegneria chiedendogli di darmi qualche lezione privata. Non so dire se fu perché il tizio aveva due splendidi occhi azzurri ed era decisamente galante con me o perché “La Terribile” aveva il potere di paralizzare il mio cervello, fatto sta che ne bastarono tutto sommato poche per aprire la mia mente ad un nuovo mondo. Tutti quei numeri che io avevo pedissequamente trascritto, quelle formule, quegli studi di funzione, avevano un senso! Non erano statici, non dovevo subirli…tutto sommato potevano essere visti come simpatici genietti che potevi mescolare usando le regole, certo, ma anche tanta fantasia, per trasformarli in altro. Una materia che avevo tanto detestato mi sembrava ora addirittura bella, e, nonostante tutto, stranamente semplice e intuitiva. Feci la pace con la matematica e, dal quel momento, non ebbi più alcuna diffidenza nei suoi confronti.

Quando l’altra sera, arrivata a casa della mia amica, ex compagna di classe e testimone di tutto ciò che ho fin qui raccontato, mi sono sentita dire “Micky, tu te li ricordi i polinomi? Fil non riesce a risolverne uno…ci abbiamo provato in mille modi…un nervoso” e, dopo tanti anni, mi sono accostata con un filo d’ansia a quei numeri, loro non mi hanno tradito; il denominatore scomponibile, il quadrato del binomio, il raccoglimento a fattori mi sono sembrati il giochino di sempre e la matita ha trasformato l’ammasso insensato nel risultato perfetto [1]. 

Sono sincera: il mio ego non si è controllato e non ho certo brillato per finezza quando, saltando dalla sedia, ho lanciato un urlo di soddisfazione, fatto con veemenza il classico gesto dell’ombrello ed esclamato a gran voce: “Toh ...Terribile! Forse, alla fine, la stupida eri tu!”

 (Basta_una_scintilla - 30 settembre 2008)

 
 
 

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