Creato da anonimo.sabino il 06/09/2006

L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi di Ottobre 2015

ONNE - 15

Post n°2012 pubblicato il 23 Ottobre 2015 da anonimo.sabino
 

 

“Però ti esprimi bene. E non sembri una ragazza di paese”.

 

“Forse perché l’ho lasciato che ero quasi bambina. O perché mi piace leggere”.

 

“Cosa leggi, di preferenza?”

 

“Non sono in grado di avere preferenze: leggo tutto quello che capita, libri, riviste, istruzioni mediche. Ad Anzio c’erano solo i libri delle Edizioni Paoline. Mi vergogno di confessare che non ho letto una parola di Marx o di Gramsci”.

 

“Io non conoscevo neanche i loro nomi. Non devi essere tu a vergognarti”.

 

“Ce l’avessi una guida e tanti libri tra i quali scegliere!”

 

Sarei stato una buona guida per lei, se avessi avuto dei libri, anziché prenderli sempre in prestito dalla Biblioteca Alessandrina della Sapienza. Avevo soltanto, buttato lì su una sedia, il mio Giannizzero restituitomi dall’editore.

 

“Puoi leggerti questo, se vuoi. L’ho scritto io e forse tu sarai la mia unica lettrice”.

 

“Lo leggerò con molto piacere. E te lo restituirò appena finito”.

 

“D’accordo. Così avrò l’occasione di rivederti, sempre che tu non voglia venire anche a ballare con noi la domenica”.

 

“Ci rivedremo anche per sistemare questa faccenda con le monache. O no?”

 

“Sicuro! Sono un combattente, sai”.

 

L’invito a venire a ballare con noi l’avevo poi dimenticato. Avevo scritto alla direzione dell’istituto preannunciando una vertenza generale e intimando che fossero versati immediatamente i contributi previdenziali che spettavano ad Antonietta per i suoi anni di lavoro. La vertenza avrebbe avuto buon esito e si sarebbe estesa alle altre ragazze, finché le scuffie di Anzio non rientrarono quasi nella legalità.

 

A riportarmi un raggio di sole fu il ritorno di quella ragazza che presi anch’io a chiamare Onne. Venne a restituirmi il Giannizzero.

 

“L’hai letto tutto? Ti è piaciuto?”

 

“Moltissimo. E’… commovente”.

 

Mi piacque, quel “commovente”, in luogo di un giudizio più articolato. Non l’aveva turbata il fatto che quel lavoro fosse, oltre alla denuncia di un plagio collettivo, la storia di un tentativo di liberazione, dalla fede alla ragione, dalla paura che schiavizza alla coscienza critica, da una cultura che annienta l’uomo facendone lo zimbello di un Onnipotente onnipresente alla riscoperta di quel paganesimo che lo dichiarava fabbro del suo destino.

 

   

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ONNE - 14

Post n°2011 pubblicato il 22 Ottobre 2015 da anonimo.sabino
 

 

 “Per sei anni le suore mi hanno fatto sgobbare ventiquattr’ore su ventiquattro, nell’assistenza in camerata e nei vari lavori; la giornata settimanale di riposo dovevamo dedicarla alla pulizia della chiesa di Santa Teresa, niente ferie pagate, nessun contributo previdenziale…”

 

“Una vera pacchia, posso immaginarlo, conoscendo l’ambiente”.

 

“…E quando ti sposi, chi si sposa, ti licenziano”.

 

“Anche tu con le scuffie!”

 

“No, con le tòfe”, precisò sciogliendosi in un sorriso.

 

“Quelle insomma che per la gloria di Dio ti usano come una candela da accendere davanti all’altare”.

 

“Quello che mi interesserebbe, adesso, è che paghino i contributi che mi sono dovuti. Non so se puoi…”. E quasi come motivazione della sua determinazione aggiunse: “Sai, io sono una figlia di Giusto: lo conosci, lo volevi con te nella lista per le elezioni comunali…”

 

Lo conoscevo, infatti: era un compagno intelligente e serio che si definiva “giusto di nome e di fatto” (e Cherubini anche lui di cognome); lavorava a Roma, con una ditta appaltatrice di lavori di manutenzione edilizia; ed era tanto modesto e corretto nel comportamento quanto salace nelle battute. Mi aveva risposto:

 

“Come consigliere ti servirei poco, non avendo nessuna esperienza di amministrazione; quanto ai voti dei miei parenti, sono già assicurati a sinistra. Metti al mio posto qualcuno che possa distrarre voti dalla destra o dal centro”. E mi segnalò un paio di simpatizzanti che godevano una certa stima. Anche per lui, colpito da vari acciacchi, avevo imbastito la pratica per il riconoscimento della invalidità, in modo da anticipare di qualche anno il pensionamento. Ma gli avevano respinto l’istanza. Dico:

 

“Eppure le carte stavano in regola”.

 

“Si vede”, rispose, “che le mie carte sono servite per qualcun altro”.

 

“Ci penso io a scucire le tasche delle tue tòfe”, dissi ad Antonietta. E assunsi i dati occorrenti.

 

“L’unica cosa che non mi piace di te”, le dissi provocatoriamente, “è il nome: troppo lungo”.

 

“Non piace neppure a me”, rispose: “A casa mi chiamano Onne, per fare più presto”.

 

“Che significa?”

 

“Niente. Mi chiamano così da quando ero bambina, come Memmo o Mimmo per Domenico”. Antonietta aveva lo stesso umore sereno e frizzante di suo padre. Era di una purezza e di una genuinità che mi ammaliavano. Peccato che non avesse potuto studiare.

 

 
 
 

ONNE - 13

Post n°2010 pubblicato il 21 Ottobre 2015 da anonimo.sabino
 

 

Per le scale di legno della nostra casa al primo piano ballavano i topi; il solaio superiore, anch’esso di legno, era puntellato; una tela pendente da un cavo separava la zona giorno dalla zona notte; nella toilette una tazza e un lavandino. E i Perugini, che vivevano nel piano rialzato sottostante, si erano rassegnati ad attendere tempi migliori per lavori che impedissero al solaio inferiore di crollare addosso a loro.

 

Dal fondo delle scale, poco prima che mi arrivasse la convocazione agli orali del concorso, udii un giorno una voce delicata che chiamava Maria. Ero solo in casa, davanti al camino, con la testa tra le mani per difenderla dai pensieri neri che vi ribollivano; e un poco a sognare. Vecchia abitudine; ma nel tempo in cui pensavo che bastasse buttare la tonaca alle ortiche, per immergermi nella vita ed esserne inebriato, vedevo nei miei sogni un anticipo di quella che sarebbe stata la vita. Ora erano sogni di evasione, fantasie di fuga dalla realtà, del periodo che in sogni erano ridotte le mie aspirazioni; prioritaria, forse, l’aspirazione a una casa decente. 

 

Era una ragazza che cercava me:

 

“Forse non mi conosci: mi chiamo Antonietta. Ho saputo che la Camera del Lavoro apre soltanto la sera e si riempie subito di gente. Così mi sono permessa di disturbarti a casa…”

 

“Non mi disturbi affatto. Mi dispiace soltanto che l’ambiente non sia più confortevole, per accogliere una bella ragazza”.

 

“Se è per questo”, mi rassicurò sempre sorridendo e driblando il complimento, “casa nostra è altrettanto malmessa; e perfino pericolante”. Ma il complimento l’aveva messa in imbarazzo. “Se mi dici quando posso trovarti un po’ più libero, verrò alla Camera del Lavoro”.

 

“Non ce n’è bisogno… Siediti, ché non ti mangio mica”.

 

Era di Monteflavio e non la conoscevo; ricordavo d’averla incontrata, da chierico, su un sentiero con sua sorella; poi era scomparsa e la rivedevo, da qualche giorno, venire in piazza con l’ombrello, qualche volta che pioveva, a prelevare dall’autobus suo padre, uno dei tanti pendolari: una bella immagine che mi ricordava Antigone. Non particolarmente procace, ma bella mora, di statura normale, con i tratti del viso decisi e un fisico abbastanza piacente che si esaltava in un seno perfetto, non sembrava di paese.

 

In effetti era una delle ragazze che avevano trovato lavoro in un istituto per bambini spastici ad Anzio. Con altre del paese vi lavorava dall’età di sedici anni; e ora ne aveva ventidue.

 

 
 
 

ONNE - 12

Post n°2009 pubblicato il 20 Ottobre 2015 da anonimo.sabino
 

 

I consiglieri socialisti si dimisero e il comune fu commissariato. A novembre i socialisti rifiutarono l’invito a una lista unica che io avrei capeggiato. Checco aveva trovato un impiego nell’Amministrazione Provinciale e si era così dileguato dal paese. Dovetti presentarmi da solo, con la lista di partito. Come avevo imparato a fare le prediche, imparai a fare i comizi. Commovente l’impegno di Vanda e di Franco in mio appoggio. Perdemmo per soli 37 voti, pur presentandoci da soli e non del tutto uniti, perché i fedelissimi di Checco rimasero convinti che il partito non l’avesse difeso abbastanza. Entrai con Adelmo e Almerindo come consigliere di minoranza. Da quell’anno fu concessa al sindaco una indennità. Onorifica restava la funzione dei consiglieri.

 

In compenso, a dicembre mi giunse la convocazione per la prova orale del concorso. Era la prima lettera indirizzata al “dottor Fabio De Mico”. E quel titolo, per me insignificante, mi ricordava però con quanta sofferenza, a denti stretti, avessi conquistato ciò che altri ricevono gratuitamente e molti non conquisteranno mai.

 

Nelle prove scritte, coperte dall’anonimato fino a votazione effettuata, ero risultato tra i primi. Era quindi il momento della preghiera, la commendatio. Qualcuno mi suggerì: o buona o niente. E io che non potevo avere raccomandazioni buone né cattive, scelsi niente. Scelsi?

 

Partecipare a un concorso, a quel solo concorso; e risultare tra i vincitori. Ecco uno di quei fatti che possono cambiare radicalmente la tua esistenza. Farti diventare addirittura l’opposto di ciò che credi di essere. Un burocrate. Scelto da me, quel mestiere? Semmai dalla mia disperazione. Eppure non mi sarebbe dispiaciuto, non fosse altro per le ulteriori lotte che comportava. Ma anche per le poche soddisfazioni che ne avrei tratto.

 

In sede di prova orale seppi di avere già vinto il primo ed unico concorso della mia vita, data l’eccezionale decimazione di più di cinquecento concorrenti effettuata dalle prove scritte. Dopo un colloquio inoffensivo, non mi restava che attendere la chiamata, dopo la registrazione degli atti del concorso alla Corte dei Conti.

 

Avrei potuto vivere, dunque, essendo riuscito a cogliere le poche oppurtunità che un destino avarissimo mi aveva concesso. Avrei vissuto a suo dispetto e alla faccia sua, non appena fosse arrivata la chiamata di assunzione, la seconda lettera diretta al dottor Fabio De Mico.

 

Ma quanto si fece attendere quella chiamata! Come se alla Corte dei Conti o al mio bischero destino non andasse proprio giù.

 

 
 
 

ONNE - 11

Post n°2008 pubblicato il 19 Ottobre 2015 da anonimo.sabino
 

 

 

 

Era bello il Calvario percorso nella notte da una lenta scia luminosa; con il coro straziante che accompagnava la processione:

 

Non date più pene

 

al caro mio bene,

 

non più tormentate

 

l’amato Gesù…

 

Un coro di voci femminili; pianto di sole donne. Perché? Erano le schiave di Dio, represse dalla religione e dal suo maschilismo. E faceva sorridere il loro tentativo di addomesticare una parola difficile della seconda strofa:

 

Lenite, lenite,

 

lenite quest’alma,

 

lenite quest’alma

 

che causa ne fu.

 

Ma cantavano “Venite, venite…”

 

Salire, salire con fatica; e in cima al colle trovare una croce; con la croce una sentenza di colpevolezza. Neanche il messaggio cristiano mancava d’ironia. E nemmeno il suo Dio: una pioggia improvvisa fece sciogliere la processione. E tutti a gambe, mentre il Padreterno, ridendosela dietro i vetri celesti, pisciava sulla cretineria umana.

 

Alla micragna infinita di quell’anno doveva aggiungersi, all’inizio della primavera, anche la crisi comunale. I socialisti accusarono il sindaco di una gestione centralistica, oltre tutto inattiva e poco chiara in alcune faccende. Era il riflesso locale dell’onda lunga craxiana: i socialisti erano quattro gatti a Monteflavio come in Italia; ma per essersi posti nella via di mezzo, erano “determinanti”: nessuno poteva governare senza di loro. Sicché aveva più sindaci il piccolo PSI di Craxi, in Italia, che le grandi formazioni democristiana e comunista; per non parlare delle poltrone in tutti i centri di potere, con la previsione di una conseguente costante crescita elettorale.

 

A Monteflavio finì col diventare una guerra a Checco; ma capivo che c’era dietro la mira politica. Perciò facemmo quadrato attorno al sindaco. A un certo punto, infatti, si dichiararono disposti a desistere dalla uscita dalla maggioranza, se io avessi preso il posto di Checco nella carica di sindaco. E il funzionario della nostra Federazione fu subito d’accordo.

 

Un bel riconoscimento per me, peraltro sorpreso che il Partito abbandonasse così facilmente un suo militante; incurante anche del fatto che i comunisti di Monteflavio si sarebbero divisi in “quelli di Checco” e “quelli di Fabio”… Dichiarai che avrei fatto il sindaco solo quando fossi stato eletto e con l’appoggio di tutto il partito.

 

 
 
 


 

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