Creato da kayfakayfa il 10/01/2006

LA VOCE DI KAYFA

IL BLOG DI ENZO GIARRITIELLO

 

Messaggi di Luglio 2016

INFEZIONI POST OPERATORIE, INVISIBILE REALTA'

Post n°1723 pubblicato il 28 Luglio 2016 da kayfakayfa

Fino a quando non si ha la sventura di viverle sulla propria pelle, certe realtà ci appiano virtuali come i pokemon: sappiamo che esistono, seppure non le vediamo. Per cui, questa loro impercettibilità ce le rende inesistenti. Al massimo, se ne parliamo riferendoci a un conoscente che le sta vivendo, ci può scappare “poveraccio, che brutta storia. speriamo che si risolva quanto prima e bene!”.

Tutto finisce con quel commento caustico. E, com'è giusto che sia, ci rituffiamo nella nostra realtà. Lasciando quella che ai nostri occhi appare virtuale a chi la sta affrontando con la forza della disperazione.

Il 22 giugno scorso il mio secondogenito è stato operato al CTO di Napoli: ricostruzione completa del legamento anteriore destro più parte del menisco. Un intervento di routine in anestesia locale. A ventiquattrore dall'operazione era già in piedi che camminava reggendosi sulle stampelle. Quattro giorni dopo, al primo controllo post operatorio, l'ortopedico che lo aveva operato era soddisfatto: tutto procedeva per il meglio.

Alcuni giorni dopo un improvviso gonfiore al ginocchio, accompagnato da febbre alta e persistente, ha fatto capire che qualcosa non andava come doveva.

Telefoniamo al medico il quale ci dà subito appuntamento in ambulatorio.

Gli estrae dal ginocchio quattro siringhe di liquido screziato segno che è in atto un'infezione.

La diagnosi è di quelle che mai vorresti sentire: artrite settica.

Da quel momento ha inizio un calvario tra medici, farmacie e infermieri per le flebo da farsi in casa che non auguro a nessuno.

In quei momenti cerchi qualunque appiglio pur di non abbatterti.

Pur non avendone voglia, scendi a correre con gli amici. Ma ti fermi dopo pochi chilometri perché hai nelle gambe i pensieri che ti bloccano come macigni.

Provi a leggere, a telefonare agli amici per sfogarti. Altro non puoi fare!

Se poggi lo sguardo su tuo figlio smagrito e con gli occhi cerchiati, steso nel letto con la flebo nel braccio, a stento trattieni il pianto.

Stando all'infettivologa che lo sta curando, tale complicazione può verificarsi nel 2% degli interventi come quello subiti dal ragazzo.

Tuttavia forte è il dubbio che possa aver contratto l'infezione in sala operatoria.

Questa convinzione nasce dal fatto che quando mio figlio tornò su al CTO insieme a mia moglie per incontrare l'infettivologa, in sala d'attesa c'erano almeno un'altra mezza dozzina di persone anche loro lì per incontrare la dottoressa avendo contratto anche loro un'infezione post operatoria.

Per non parlare della signora di Ischia accompagnata dalla figlia che abbiamo conosciuto l'altro ieri su al Cotugno, l'ospedale per le malattie infettive di Napoli, dove ci recammo per avere il nuovo protocollo terapeutico: operata a gennaio al II Policlinico, aveva contratto una setticemia post operatoria da cui s'era salvata per il rotto della cuffia, diversamente da altre persone ricoverate come lei in rianimazione, mi sembra a Ischia, sempre per lo stesso problema. Ma che ancora ha in circolo un batterio che le sta creando non poche difficoltà esistenziali.

Della pericolosità derivante dalle infezioni post operatorie ne avevo sentito parlare per vie traverse. Ma mai avrei immaginato che fossero più comuni di quanto pensassi. Siamo nel 2016, mica nel medioevo.

Posso capire che questo tipo di infezioni, purtroppo, sono di prassi negli ospedali da campo allestiti in zone di guerra dagli eserciti e dalle associazioni umanitarie. Ma che possano manifestarsi in una struttura di cemento, pubblica o privata non fa differenza, dove si presume debbano essere garantiti tutti i crismi dell'igiene, mi rifiuto di accettarlo!

Solo ora che sto vivendo direttamente questo incubo, capisco perché molti, pur spedendo dei capitali, preferiscono operarsi lontano da Napoli se non addirittura fuori regione.

Un caso su tutti un'amica di mia moglie: operata anni fa a una mano Napoli, per un'infezione post operatoria rischiò la cancrena. Quando dovette tornare a operarsi, preferì andarsene a Bologna dove trovò una situazione di sterilità totalmente diversa da quella Napoletana: il giorno prima di operarla le fecero fare la doccia e le imposero di indossare abiti che le diedero stesso loro in dotazione. Ai suoi reiterati rifiuti, dovette intervenire il professore che poi la operò spiegandole che quello era un modo per evitare il rischio di infezione durante l'intervento.

Per carità, non voglio assolutamente mettere in discussione che gli ospedali napoletani e campani in generale non seguano procedure di sterilità meno rigide rispetto a quelle previste dal protocollo nazionale per la tutela dei pazienti. Sicuramente ci sono realtà napoletane e regionali che sono l'eccellenza!

Tuttavia se tanti sono i casi da me riscontrati di persone che hanno contratto un'infezione post operatoria a Napoli e provincia, incluso mio figlio, un motivo deve pur esserci.

Affidarsi alle statistiche o, peggio, mostrarsi fatalisti mi sembra un modo assai semplicisticoe riduttivo di aggirare il problema.

Sembra che negli USA, e probabilmente anche altrove, per fronteggiare i rischi di un'infezione post operatoria, un paio di settimane prima dell'intervento facciano fare ai pazienti un cura per aumentare le difese immunitarie.

Perché non si fa anche qui?

Oppure, pur essendo previsto dal protocollo nazionale, in molti non lo fanno, magari per ridurre i costi della sanità pubblica a scapito del paziente?

Speriamo che l'incubo si risolva quanto prima in un brutto ricordo e nulla più!

 
 
 

HIGUAIN ALLA JUVE, DI CHE VI STUPITE?

Post n°1722 pubblicato il 24 Luglio 2016 da kayfakayfa

Contrariamente a molti miei concittadini, il passaggio di Higuain dal Napoli alla Juventus non mi sorprende, né indigna, offende o quant’altro.

Essendo Higuain un professionista, l’unica maglia cui è veramente legato è la propria immagine e il guadagno che ne deriva.

Tutto il resto, ossia l’attaccamento ai colori sociali e il rispetto per la città e per i tifosi, è solo fuffa; chiacchiere da imbonitore televisivo.

Se perfino napoletani veraci come Ciro Ferrara e Fabio Cannavaro non si fecero scrupoli di andare a giocare nell’odiata Juventus, dopo aver indossato la maglia del Napoli, perché illudersi che mai lo avrebbe fatto Higuain, che tra l’altro è argentino?

Forse perché il suo illustre connazionale Diego Armando Maradona - da tutti considerato in assoluto il più forte calciatore di tutti tempi, incluso Pelé – che per anni ha indossato la maglia del Napoli portandolo a vincere due campionati nazionali, una coppa Uefa, una coppa Italia e una Supercoppa Italiana, ha sempre dimostrato di nutrire verso la squadra e la città un amore incondizionato, dichiarando in più occasioni che, dopo aver smesso di giocare nel Napoli, mai avrebbe potuto giocare in Italia con un’altra società?

Maradona e Higuain sono due facce diverse della stessa medaglia. Il primo appartiene all’epoca della presidenza Ferlaino, il secondo dell’attuale presidenza De Laurentis. Maradona fu acquistato grazie all’intervento dell’allora sindaco di Napoli Enzo Scotti che, come racconta lo stesso Ferlaino, non avendo il Napoli i soldi per comprare il calciatore dal Barcellona, lo mise in contatto con Ferdinando Ventriglia Presidente del Banco di Napoli.

Viceversa il Napoli e Higuain sono assolute proprietà di De Laurentis, il quale, essendo un imprenditore e dunque ha come unico fine la crescita della propria azienda e il profitto, avendo ricevuto un’offerta importante dalla Juventus non poteva non tenerne conto.

Già in passato De Laurentis aveva dimostrato di essere un uomo pratico, vendendo prima Lavezzi e successivamente Cavani al PSG. Dimostrando di fregarsene degli umori della piazza che pure allora rumoreggiò a lungo per quelle cessioni.

È vero, il PSG è una squadra francese non certo l’odiata Juventus. Ma un imprenditore, quando si tratta di fare un affare, non va tanto per il sottile. Sai quanto gliene può importare a De Laurentis se con l’arrivo di Higuain la Juventus si è ulteriormente rafforzata? Non si può escludere che con il ricavato dalla vendita del campione argentino il Presidente non acquisti qualche bel nome come avvenne all’indomani della vendita di Cavani cui seguì l’arrivo al Napoli di Calleon e di Higuain.

Che molti tifosi si sentano indignati, offesi, traditi per il trasferimento di Higuain alla Juventus è normale per una piazza sanguigna qual è Napoli dove tuttora, dispiace dirlo, il calcio non rappresenta solo uno sport ma un vero e proprio riscatto sociale.

Ma proprio in virtù di questo significato sociologico, occorrerebbe che i tifosi non si accontentassero più di risultati secondari quali un secondo posto con accesso diretto alla Champions, festeggiato al San Paolo come se si fosse vinto lo scudetto; la vittoria in coppa Italia e qualche vittoria in campionato contro squadre di prestigio come la Juventus, il Milan e la Roma.

A questo punto, se davvero i tifosi si sentono indignati, sarebbe il caso che puntassero i piedi, pretendendo dalla società dei risultati veri, non le briciole.

Fare tanto rumore per poi correre a migliaia sullo stadio a sostenere la squadra non appena dà qualche segnale di vitalità non ha senso.

Se davvero i tifosi pretendono rispetto dalla società sarebbe il caso che la smettessero di urlare la propria rabbia come ragazzini e iniziassero invece a imporsi con la ragione, dicendo: Ok, hai venduto Higuain. Ora però investi quei soldi per fare una squadra competitiva. Siamo stanchi di secondi posti, coppe Italia e coppette varie. Vogliamo essere primi!

Non è escluso che uno dei motivi principali per cui Higuain è andato alla Juventus sia la fame di vittorie che caratterizza qualsiasi campione.

Checché se ne dica, la Juventus è una società con la mentalità vincente, il Napoli no!

 
 
 

IL RITORNO DEGLI DEI TRA REALTA' E FANTASIA

Post n°1721 pubblicato il 19 Luglio 2016 da kayfakayfa
 

Vent'anni dopo il fortunatissimo IMPRONTE DEGLI DEI, Graham Hancock ha dato alle stampe IL RITORNO DEGLI DEI, che dovrebbe essere il naturale epilogo del saggio pubblicato nel 1995 in cui lo scrittore ipotizzava l'esistenza in un remoto passato di una civiltà tecnologicamente progredita, molto probabilmente appartenente alla mitica Atlantide, scomparsa a seguito di catastrofici cataclismi determinati dall'inversione dei poli celesti, cui corrisponderebbe l'equivalente spostamento dei poli terrestri circa ogni 13.500 anni, conseguente conseguenza della precessione degli equinozi.

Secondo Hancock questa civiltà avrebbe lasciato molte tracce della propria esistenza sotto forma di monumentali strutture in pietra tra cui la Sfinge e le piramidi egiziane, i templi delle civiltà precolombiane e quelli in Indocina. Oltre a una serie di altre strutture in pietra di cui tuttora si ignora l'origine e la funzione quali il sito di Stonehenge in Inghilterra e le mastodontiche statue dell'Isola di Pasqua.

In “Impronte degli Dei” Hancock giunse a ipotizzare che Atlantide non si sarebbe inabissata nell'omonimo oceano ma che, proprio in virtù dello spostamento dell'asse terrestre con conseguente variazione dei poli, e dunque spostamento della calotta terrestre, essa in realtà sarebbe ciò che oggi noi conosciamo come il continente di ghiaccio, l'Antartide.

A sostegno di questa teoria l'autore citava l'opera de coniugi canadesi Rand e Rose Flem-Ath – LA FINE DI ATLANTIDE, edizioni Piemme.

Secondo Hancock gli abitanti di Atlantide, attraverso le proprie opere megalitiche, avrebbero lasciato non solo la conferma del livello tecnologico raggiunto, ma anche un preciso monito ai posteri allo scopo di allertarli sul ripetersi periodico dell'evento che ne determinò la fine, evento che si verificherebbe ogni 13 mila anni causando morte e distruzione sulla terra.

In “Il Ritorno degli Dei” l'autore, avvalendosi delle scoperte archeologiche avvenute negli anni successivi alla pubblicazione del suo precedente bestseller, uno su tutti il sito archeologico di Gobekli Teple in Turchia, e prendendo in esame le “ferite” prodotte dall'erosione dell'acqua nelle Channelede Scablands nella regione di Washington nel nord America che risalirebbero a non meno di 13000 anni fa, epoca in cui avvenne l'ultimo repentino raffreddamento della terra chiamato dagli scienziati Dryas recente, l'autore si schiera con la corrente catastrofista la quale sostiene che le erosioni presenti nel terreno e nelle alture di quel canyon sarebbero conseguenza della inondazione che si abbatté repentinamente in quella regione allorché enormi frammenti di una cometa caddero sulla calotta glaciale del polo nord causando lo scioglimento dei ghiacci e il susseguente drastico innalzamento dei mari. Nel contempo il tremendo impatto dell'asteroide con la terra levò nell'atmosfera terrestre un'enorme nube di pulviscolo che, disperdendosi nell'area, funse da filtro impedendo ai raggi solari di scaldare la terra causando l'ultima glaciazione.

Hancock si schiera apertamente con J Harlen Bretz, il primo a ipotizzare che le Channelede Scablands fossero conseguenza di un'inondazione di dimensioni apocalittiche derivante dall'impatto di un asteroide con la terra. Teorie che negli ultimi dieci anni stanno trovando sempre più proseliti.

Analizzando alcune colonne dei templi di Goblekly Teple venute alla luce dopo gli scavi, secondo Hancock interrate dagli stessi costruttori per non alterare il senso del messaggio racchiuso, l'autore sostiene di aver individuato nei vari segni scolpito sulla roccia un messaggio indirizzato alle generazioni future che saranno interessate dallo stesso evento catastrofico che si verificò 13000 anni fa. Tale generazione sarebbe quella attuale, la nostra, visto che l'evento, il ritorno della cometa il cui impatto con la terra determinò l'ultima glaciazione, secondo l'autore dovrebbe verificarsi tra il 2020 e il 2040 della nostra epoca.

Nel suo ultimo lavoro Hancock non cita minimamente la precedente tesi sostenuta in Impronte degli Dei, quella che considera che Atlantide sarebbe in realtà quello che oggi noi chiamiamo Antartide. Egli fa invece riferimento, criticandolo, a Zacaria Sitchin, lo studioso azero autore di diversi opere inerenti i sumeri, il quale sosteneva la tesi secondo cui la razza umana sarebbe il risultato di un esperimento di biogenetica compiuto da visitatori alieni scesi sul nostro pianeta per rifornirsi di oro, minerale necessario per rinforzare l'atmosfera del proprio pianeta Nibiru, e che i sumemri fossero il risultato di tali esperimenti come attesterebbero le loro opere mitologiche che egli ha tradotto.

Hancock accusa Sitchin di avere dato un'interpretazione arbitraria a quei testi non avendo le adeguate conoscenze linguistiche.

Tuttavia non cita l'italiano Mario Biglino il quale, dopo essere stato per anni traduttore del Vecchio Testamento per le edizioni Paoline, essendosi reso conto che molte parole dell'ebraico antico testamentario venivano tradotte in maniera errata, traducendole come si conveniva, “scoprì” che nella Bibbia si parla esplicitamente di un popolo alieno sceso sulla terra colonizzandola; che gli elohim non erano affatto creature spirituali ma del tutto fisiche con tutte le passioni relative che caratterizzano qualunque creatura vivente, impulsi sensuali inclusi. E soprattutto i Nefilim, i giganti di cui si parla nella Bibbia, cui fa esplicito riferimento anche Hancock nel suo ultimo libro: nei suoi lavori sulla Bibbia, Biglino analizzando la radice etimologica del termine nefilim, dimostra che essa non si riferisce ai giganti nel senso fisico del termine, bensì a creature che “erano scese dal cielo”. Extraterrestri!

Non si comprende se Hancock non citi Biglino semplicemente perché non sa che sia – cosa improbabile visto che le opere di Biglino sono tradotte in tutto il mondo -; oppure perché, citandolo, dovrebbe contraddire, o quanto meno rivedere la propria negazione dell'intervento alieno sulla creazione e storia dell'uomo.

Questa domanda non è da poco, avendo Biglino le competenze e l'autorità per affermare che la Bibbia, se tradotta correttamente, racconterebbe tutta un'altra storia rispetto a quella che da sempre ci hanno insegnato a credere.

Negando l'intervento alieno nella nascita dell'umanità, ma ammettendo l'esistenza in un lontano passato sulla terra di una civiltà tecnologicamente avanzata perfino rispetto alle nostre attuali conoscenze, la domanda che sovviene è: da dove avrebbe tratto questa supposta civiltà le proprie conoscenze?

Al di là di questo legittimo dubbio, resta il fatto che, se davvero che i costruttori di Gobleky Teple avessero inciso sulle colonne dei templi lì individuati un monito ai posteri perché prendano le adeguate misure per fronteggiare il ritorno della cometa che 13 mila anni fa causò la fine della civiltà sulla terra, questa eventualità meriterebbe un'analisi approfondita.

Anche perché, secondo un gruppo di astronomi russi, effettivamente nel 2036 potrebbe verificarsi uno scenario del genere. A determinarlo dovrebbe essere l'asteroide ribatezzato dagli studiosi Apophis, "dal dio dell'antico Egitto Apofi, soprannominato il distruttore.

 
 
 

STRAGE DI NIZZA, QUANTE FALLE NELLA SICUREZZA!

Post n°1720 pubblicato il 15 Luglio 2016 da kayfakayfa

Fino a ieri per me Nizza rappresentava un piacevole ricordo di gioventù legato a un flirt estivo maturato sulle spiagge della Corsica nel lontano 1984, cui seguì l'appassionante appendice autunnale di una settimana trascorsa tra le mura di un una mansarda nel centro storico della cittadina francese e le sue strade colorate e fiorite insieme a colei che mi ospitava.

Da questa mattina quel ricordo è sbiadito in una larga chiazza di sangue e morte.

A sfumarlo la notizia della strage sulla Promenade des Anglais, il lungomare di Nizza, a opera di un fanatico islamista franco/ tunisino che alla guida di un tir, dopo aver eluso i controlli e sfondato i posti di blocco, si è lanciato a tutta velocità sulla folla radunata sul lungomare per assistire ai fuochi di artificio che chiudevano le celebrazioni del 14 luglio, falciandola come birilli prima di essere a sua volta ucciso dalla polizia.

Il bilancio provvisorio di oltre 80 morti e 100 feriti, di cui molti in gravissime condizioni, la dice lunga sulla gravità dell'attentato.

Perché di attentato si tratta, seppure al momento non vi sarebbe alcuna rivendicazione ufficiale da parte dell'ISIS o di qualsiasi altro gruppo terrorista di matrice islamica.

A questo punto però risorge spontaneo il dilemma che già colse molti all'indomani delle stragi di Parigi: com'è possibile che una nazione sotto attacco terroristico qual è la Francia – prima la strage di Charlie Hebdo agli inizi del 2015; a seguire quelle di Parigi del 13 novembre dello stesso anno – continui a mostrarsi tanto vulnerabile alla minaccia terroristica?

Tre attentati, uno più grave dell'altro, nell'arco di 20 mesi fanno sorgere grossi dubbi sull'efficienza dei servizi di sicurezza francesi.

Se poi analizziamo le dinamiche degli attentati in questione, in particolare quello di ieri a Nizza – un tir che sfonda i posti di blocchi e avanza a zig zag a 80 km orari tra la gente, inseguito dalla polizia in motociclette, mietendo una carneficina – lascia esterrefatti!

Vi immaginate cosa sarebbe potuto accadere se quel tir fosse stato imbottito di esplosivo e si fosse fatto saltare in aria tra la folla?

Come può accadere una cosa del genere in una nazione in cui da mesi è stato proclamato lo stato di emergenza nazionale e dunque dovrebbe persistere il livello di massima sicurezza che si attua solo in caso di guerra con controlli snervanti ai varchi dei luoghi pubblici per tutelare i cittadini?

La retorica verbale di Hollande - “la Francia non si piegherà al terrorismo” - mirata a rassicurare i francesi e, probabilmente, a tutelare la propria permanenza all'Eliseo, annichilisce al cospetto della cruda realtà: contrariamente a quanto il Presidente francese vuol far credere, a livello di sicurezza nazionale la Francia è fragile come il burro visto che offre in maniera disarmante il fianco ai terroristi e ai folli che decidono di fare una carneficina in nome di Allah!

Nella memoria di molti alberga l'immagine della Francia come di un'isola felice dove i sogni di libertà e spensieratezza prendono forma e il loro ricordo non appassisce mai.

Con drammatica efficacia il terrorismo sta lentamente distruggendo non solo vite umane ma anche i sogni e i ricordi di tanti che nella nazione transalpina identificano l'deale di libertà, non solo per la Rivoluzione francese il cui inizio si festeggiava proprio ieri. Con l'involontario contributo delle autorità francesi che, dispiace dirlo, a livello di intelligence e di sicurezza si stanno dimostrando di un'inefficienza assoluta!

 
 
 

PUGLIA, QUEL DISASTRO SA DI RAZZISMO E DI MAFIA

Post n°1719 pubblicato il 13 Luglio 2016 da kayfakayfa

Come sempre accade in Italia all'indomani di una tragedia che non si sarebbe mai dovuta verificare in un paese civile e tecnologicamente sviluppato come si presume debba essere il nostro, anche nel caso dello scontro frontale tra due treni in Puglia sulla linea Corato-Andria - al momento le vittime accertate sono 27, i feriti 50 più un numero imprecisato di dispersi – si sprecano la sofferenza e l'indignazione della politica tutta e le passerelle sul luogo della tragedia delle varie cariche istituzionali locali e nazionali.

Eppure la disgrazia di ieri si sarebbe potuta evitare se quella tratta fosse stata dotata di un moderno sistema di segnalazione. Ma soprattutto se si fossero effettuati i lavori di raddoppiamento della linea ferrata per l'intero tratto Bari-Barletta, programmati dal 2008 con fondi europei che prevedevano l'ampliamento con il doppio binario della rete ferroviaria entro il 2015 e che a tutt'oggi, malgrado gli espropri, è stato effettuato solo da Bari a Ruvo. Mentre tra Ruvo e Barletta, il tratto su cui è avvenuto il disastro, è ancora di là da venire.

Com'è giusto che sia il Premier Renzi e il Ministro delle Infrastrutture Del Rio si sono formalmente impegnati perché i responsabili del disastro vengano individuati e assicurati alla giustizia.

Per carità, nulla da eccepire su queste loro aspettative e impegni. Se non che il sottosviluppo infrastrutturale tuttora presente in molte zone del mezzogiorno è di esclusiva responsabilità dei vari governi che si sono succeduti da che siamo una Repubblica, essendo responsabilità del governo individuare le aree arretrate del paese e adoperarsi affinché il gap di sottosviluppo che le separa dal resto del paese venga colmato.

È vero, la linea ferroviaria su cui è avvenuta la tragedia di ieri è gestita da Ferrotramviaria S.p.A., dunque da una società privata. Ma chi doveva versare nelle casse della Regione Puglia i fondi Ue per rendere realizzabile il Programma Operativo FSER 2007-2013 per l'ampliamento a due binari dell'intera rete entro il 2015 e doveva poi assicurarsi che il progetto fosse realizzato nei termini stabiliti e intervenire se le cose non andavano come programmato, presumo fosse il governo. Non certamente solo l'attuale cui però si può contestare di aver peccato di attenzione nel capire il perché su quel tratto il doppio binario ancora non si fosse realizzato nonostante i progetti lo prevedessero completato per il 2015 .

C'è da auspicare che la tragedia di ieri funga da monito per Renzi e suoi, facendoli desistere dal presentare al paese come “priorità per lo sviluppo nazionale” la riforma costituzionale Boschi per la cui approvazione voteremo al referendum in autunno.

L'incidente ferroviario di ieri è l'ulteriore triste conferma, checché ne dicano esimi studiosi risorgimentali, che la questione meridionale è tutt'altro che risolta. E che dunque altre sono le reali priorità dell'Italia.

Le vere priorità del paese dovrebbero essere, anzi SONO!, gli azzeramenti delle differenze strutturali, infrastrutturali e, soprattutto, culturali tra Nord e SUD.

A che serve spendere miliardi per ridurre di mezzora il viaggio in treno da Roma a Milano con la TAV se poi ci sono zone del paese dove per spostarsi di appena qualche chilometro ci vogliono ore perché non esiste ancora la linea elettrificata oppure perché si continua a viaggiare su un solo binario, per giunta con un sistema di controllo obsoleto?

Che l'Italia fosse un paese pieno di paradossi non lo scopriamo ora.

Oggi scopriamo che la politica ha enormi problemi alla vista tanto da non accorgersi che nel paese esistono due distinte realtà: una che viaggia a oltre 300 km all'ora, l'altra che a stento riesce a superare i 100 viaggiando su linee che risalgono all'epoca dell'Unità d'Italia o poco più.

Se davvero le Istituzioni e la politica vogliono onorare la memoria delle vittime di ieri, devono smetterla di cercare di convincerci che con la costruzione di grandi opere come il ponte sullo stretto o la TAV ne benefici l'intera collettività. Abbiano il coraggio di smetterla di fare gli struzzi: raddrizzino la schiena, tirino fuori la testa dal terreno, si guardino attentamente attorno e si adoperino seriamente per rimediare alle differenze che costringono tuttora il sud del paese a annaspare dietro al Nord tanto che in molti hanno la sensazione che il sud continui a essere eterna terra di conquista dei grandi gruppi finanziari e industriali del nord, reale motivo dell'Unità di Italia che oggi in molti riconoscono non fu una liberazione del sud Italia dal giogo Borbonico da parte dei Savoia bensì una vera e propria occupazione dei piemontesi del Regno delle Due Sicilie che all'epoca era la terza forza economica d'Europa.

Ma prima di tutto abbiano il coraggio di combattere realmente le mafie. Non mi riferisco a quelle criminali radicate in Sicilia, in Calabria, in Puglia, in Campania. Bensì a quelle “dei colletti bianchi” che a parole maledicono le mafie criminali ma poi, al momento dei fatti, se ne servono per portare avanti i propri interassi a scapito dei cittadini, rimanendo spesso impuniti.

Vedi stragi di mafia di Capaci e di Via D'Amelio in cui morirono rispettivamente i giudici Falcone e Borsellino con le rispettive scorte di cui ancora oggi non si conoscono i mandanti!

Quali siano le cause effettive che hanno determinato la tragedia di ieri – errore tecnico e umano - di sicuro lo stato di abbandono in cui versano le ferrovie nel sud Italia è da condannare a prescindere.

Soprattutto è da condannare chi non avvedendosene - magari finge di non vedere -, lascia che tale abbandono persista, preferendo preoccuparsi della TAV e di altre realtà probabilmente molto più remunerative.

O forse perché colmando il gap che separa il Sud dal Nord bisognerà poi trovare un'altra terra da mantenere in arretratezza tecnologica e culturale al fine di depredarla senza problemi per garantire il proprio arricchimento, quello dei propri amici e quello degli amici degli amici!

 
 
 

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