Pensieri in Cucina

"Nella ricetta c'è tutto ....tranne l'essenziale" - (G.Marchesi)

 
 

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il 07/10/2016 alle 17:24
 
Davvero molto interessante il mondo delle salse, bel post....
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Grazzie!
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il 31/07/2013 alle 09:25
 
Grazie Giorgia!! Mi impegneró a farlo, promesso!!
Inviato da: lucio.colizzi
il 10/03/2013 alle 15:01
 
Ciao Lucio! è da un pó che t seguo su ABC e volevo farti...
Inviato da: Giorgia
il 08/03/2013 alle 18:28
 
 

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Questo blog fa parte del gruppo i migliori blog! (ricette di cucina)

 

 

Petto di pollo con ortaggi grigliati alla salsa di soia e sesamo bianco

Post n°86 pubblicato il 18 Maggio 2011 da lucio.colizzi
 
Foto di lucio.colizzi

 

Oggi parliamo di salse fermentate. La salsa di soia è una di queste, viene consumata tipicamente in oriente. Cina e Giappone sono i maggiori produttori e consumatori, ma è presente un po’ in tutta l’Asia sud-orientale.  I monaci buddisti utilizzavano questa salsa per conferire alle pietanze un sentore, molto lontano, di carne poiché questa non poteva essere consumata per via dei precetti religiosi. La salsa di soia comunemente acquistata in occidente è molto salata, pertanto è necessario dosare bene il sale nelle pietanze in cui viene utilizzata. Tipicamente ne esistono due tipologie (per lo meno per quelle di origine cinese): la salsa di soia leggera, poco densa, la si usa principalmente come condimento; oppure la salsa scura, molto densa e bruna di colore, la si usa per cucinare, ed è meno salata di quella leggera. Per fare la  salsa di soia, oltre ai fagioli di soia, viene utilizzato il grano ed un ingrediente fondamentale per attivare la fermentazione il koji. Questo è una miscela di funghi ( Aspergillus oryzae o l'Aspergillus sojae), ed altri fermenti, spesso selezionati dalle aziende per mettere a punto il mix giusto al fine di conferire la propria impronta alla salsa. La fermentazione della salsa può durare anche 8 o 12 mesi, il processo di produzione è lungo e tedioso pertanto non vi consiglio di provare a farla da voi. Attenzione!!! Per via della presenza di grano la salsa di soia NON è indicata per chi ha problemi di celiachia o intolleranza al glutine.

E in Italia? esistono salse fermentate dalle nostre parti? Beh! Ve ne propongo due. La prima la prendo dalla storia e si chiama Garum. La utilizzavano su tutto i romani sia nel periodo repubblicano che nel successivo periodo imperiale. Ne danno notizia Marziale, Petronio, Plinio ed Apicio. I romani chiamavano questa salsa anche liquamen (alcuni pensano che non sia un sinonimo) in ogni caso è veramente strano che ne fossero così ghiotti visto che era un intruglio di mesci marcescenti e putrefatti che venivano fermentati per mesi. In realtà allora come oggi esistevano i ricchi ed i poveri. Ai primi andava il Garum vero e costosissimo (es. il Garum Spagnolo chiamato socio rum; il Garum Castimoniale, il Garum di pesci pregiati, di salmone, di sgombro, anguilla, etc..); i secondi si accontentavano dei succedanei schifosissimi (infondo anche oggi ch’è chi si può permettere il vero aceto balsamico di Modena e chi si può concedere appena un liquido scuro lontanamente parente a quello vero). Chi descrive la preparazione completa della salsa è proprio Marziale del quale riporto le testuali parole: “« si prendano pesci grassi come salmoni, anguille, salacche, sardine; quindi a tali pesci si uniscano sale, erbe aromatiche secche come aneto, menta, levistico, puleggio, timo, serpillo, coriandolo, sedano, origano, ruta, salvia, santoreggia ed altre. Di queste erbe si disponga un primo strato sul fondo di un capace vaso; sovra si ponga uno strato di pesci: interi se piccoli, a pezzi se grossi; si copra con uno spesso strato di sale e si ripeta l’operazione fino a che il vaso sia colmo. Si chiuda quindi con un coperchio e si lasci riposare per sette giorni. Poi, per venti giorni, si rimescoli il tutto. Alla fine si raccolga il liquido che ne colerà »” (rif. Giuseppe Mazzarino – Storia della Gastronomia – IL GARUM.).

Altra salsa fermentata dei nostri giorni, per certi versi probabilmente vicina al Garum almeno per gusto (secondo me anche per storia), è la famosa Colatura di Alici tipica salsa Campana, specificatamente di Catara. Le alici (private della testa) vengono stese in un contenitore per un paio di giorni alternate a strati di sale. La seconda fase, le vede invece maturare schiacciate da un sasso marino in tini di rovere o castagno (terzigno). Man mano che passa il tempo e per via del peso e del sale, le alici rilasciano il loro liquido cge affiora in superficie. Questo viene raccolto e fatto maturare il contenitori di vetro tappati con foglie di origano. La sala si riduce, ed in fine viene fatta ricolare nel tino con le alici pressate (questo passaggio viene fatto prima dell’inverno). Infine, grazie ad un foro fatto con un attrezzo specifico (o’ vriale) viene spillata dal basso la colatura che assume un colore ambrato scuro di varie tonalità. Come la si usa? Be! Basta dire che la colatura sta ai Campani con l’aceto balsamico sta ai Modenesi!!

Bene adiamo ora in cucina e prepariamo una ricetta sfiziosa, che prevede l’utilizzo di una salsa fermentata: la salsa di soia.

La ricetta

 

Per quattro persone: due petti di pollo interi, ortaggi di stagione (2 zucchine,1 melanzana e 2 cipollotti), quattro cucchiai di salsa di soia, un bicchiere di vino bianco dolce (es. moscato o passito), un cucchiaio di semi di sesamo bianchi, olio extrav. Oliva, alcune foglie di mentuccia

 

  1. Mettete i petti di pollo a macerare con la salsa di soia (sole tre cucchiai) ed il vino in un recipiente per almeno 8 ore
  2. Tostate i semi si sesamo per due minuti utilizzando una padella antiaderente
  3. Grigliate, su una piastra o meglio sulla brace, gli ortaggi tagliati a fette spesse circa tre millimetri e conditele con olio, pepe, un cucchiaio di salsa di soia e foglie di menta tritate ed i semi di sesamo tostati
  4. Piastrate anche i petti di pollo (circa 6 minuti per lato)
  5. Impiattate il pollo scaloppato come una tagliata accompagnato con gli ortaggi come contorno. Finite con un filo di olio extravergine di oliva emulsionato con poca salsa di soia.

alla prossima.....chissà quando!

 

 

 

 
 
 

Ciciri e tria cu li frizzuli

Post n°83 pubblicato il 22 Giugno 2010 da lucio.colizzi
 
Foto di lucio.colizzi

Giusto per dimostrare che sono ancora su questa terra, visto il tempo che è passato dall’ultima ricetta, vi rendo edotti di un piatto che praticamente potremmo definire di archeologia della cucina salentina. Qui siamo in piena influenza araba. La parola tria deriva molto probabilmente da itrija che in arabo dovrebbe essere vermicello o pasta essiccata. A ben guardare gli ingredienti non possono che essere di origine araba. I principali entrano nel gioco della ricetta dopo un processo di essiccazione (ceci secchi, pasta secca). Gli altri fanno pensare al bacino mediterraneo: olio di oliva, aglio,peperoncino,pepe. Praticamente potremmo portarci tutto dietro in un deserto e saremmo sicuri di non morire di fame.  

La tria altro non è che una specie di tagliatella fatta solo da acqua e farina. Praticamente si uniscono due terzi di farina 00 ed un terzo di farina di grano duro o farina di orzo (che io preferisco). Aiutandosi con l’acqua si crea un impasto molto consistente, che una volta steso a mo di sfoglia alta poco più di mezzo millimetro lo si taglia in modo da ottenere tagliatelle larghe anche un paio di centimetri e lunghe una decina. Gli scarti di sfoglia, vengono poi tagliati a pezzi irregolari per poi friggerli in olio extravergine d’oliva, ottenendo per l’appunto i cosiddetti frizzuli che danno al piatto una variazione di consistenza croccante rendendolo moderno pur nascendo nel passato.

Ogni famiglia aveva la sua ricetta personale. Interessante una variante che feci per degli ospiti dove avevo aggiunto anche le cozze. Ebbe un gran successo! Da un po’ di anni, i ciciri e tria sono caduti un po’ in disgrazia. I tempi della vita moderna non sono più compatibili con la pazienza certosina richiesta in cucina da questo piatto che i nostri nonni avevano classificato come modo intelligente di riutilizzare i legumi (i ceci in questo caso) rimasti dal giorno prima. Oggi, se si vuole assaggiare questa leccornia la si trova spesso nei ristoranti di cucina tipica nel centro storico di Lecce ed in alcuni agriturismi del Salento.

La ricetta

350 gr. tria, 50 gr frizzuli (vedi intro. alla ricetta), 200 gr ceci già ammollati, uno spicchio d’aglio, un peperoncino piccante, olio extra, basilico, sale e pepe

  1. Cuocete i ceci ammollati dalla sera prima, partendo immergendoli in acqua fredda utilizzando un coccio di terracotta (pignata). Dopo quindici minuti di cottura, eliminate la schiuma che si è formata in superficie ed aggiungete gli odori (sedano, carota e cipolla). Salate e portate a cottura
  2. In una padella fate imbiondire l’aglio tritato a cui avrete eliminato prima l’anima interna, ovvero il germoglio che trovate dividendo in due lo spicchio, aggiungete anche il peperoncino
  3. Per non far bruciare l’olio, aggiungete qualche goccia di acqua di cottura dei ceci. Salate se necessario
  4. Saltate nel fondo ottenuto  ceci
  5. Cuocete la tria (giusto due minuti trattandosi di pasta fresca), scolatela ed aggiungetela ai ceci saltando ancora ed inserendo alla fine la metà dei frizzuli disponibili, saltate ancora qualche secondo aiutandovi con qualche goccia di acqua di cottura della pasta finchè non otterrete una cremina, aggiungete le foglie di basilico.
  6. Servite disponendo su ogni piatto una manciatina di frizzuli, una mulinellata di pepe, una foglia di basilico fresco ed un filo di olio extra a crudo.

Alla prossima………….

 
 
 

Hamburgher di pesce azzurro

Post n°82 pubblicato il 30 Marzo 2010 da lucio.colizzi
 
Foto di lucio.colizzi

Avete presente i bastoncini di pesce panati famosissimi che si cucinano fritti, in padella o al forno, di cui tutti i bambini vanno matti? Bè se mi seguite su questa ricetta vi insegno a farli comodamente in casa.

La ricerca è stata ardua ma alla fine ho raggiunto la perfezione e ovviamente sono andato anche oltre. Il mio bambino di appena due anni ne va matto, li mangerebbe a chili. Il segreto sta nel riprendere quel gusto inconfondibile della panatura che è dato esattamente da una spezia che si chiama curcuma (ne ho già parlato in un post precedente). Infatti se acquistate una confezione di bastoncini e andate a leggere gli ingredienti, trovate spiccare questa famosissima spezia, che ovviamente vi potete procurarvi in qualsiasi supermercato o andando direttamente in India.

Procuratevi 500 gr. di polpa di pesce azzurro ed altrettanti gr. di patate a pasta gialla; una bella manciata di erba cipollina, sale, pepe bianco ed olio extra, 200 gr. di pane fresco o pan carrè ed un cucchiaino di curcuma, un limone.

  1. Lessate le patate e fatele raffreddare
  2. Tritate il pesce al coltello
  3. Schiacciate le patate, e mischiatele con il pesce, l’erba cipollina tritata, la buccia grattugiata del limone, sale e pepe bianco. Ricavate dall’impasto degli hamburger.
  4. Passate al mixer il pancarrè con il curcuma e utilizzatelo per panare gli hamburger
  5. Sistemateli in una placca da forno,irrorandoli con un filo di olio extra a 180° per appena 12 minuti.
  6. Gustateli con delle fette di limone e maionese

Alla prossima (chissà quando!!)……..

 
 
 

Scorfano piastro-vaporizzato al finocchietto con insalata di finocchi, olive taggiasche, pinoli ed arance

Post n°81 pubblicato il 14 Febbraio 2010 da lucio.colizzi
 
Foto di lucio.colizzi

 

Che vuol dire piastro-vaporizzato?? Be è un termine che ho inventato per indicare una cottura che è a metà tra piastra (quindi arrostito) e vapore. Ma come si fa?

Il meccanismo è molto semplice e lo potete utilizzare sia per i pesci  che per le carni bianche. In pratica si avvolge il pesce, o altro, con erbe aromatiche e spezie (dipende dall’ispirazione della ricetta) in un pacchetto di carta da forno. Il cartoccio ottenuto lo si accartoccia ulteriormente in un secondo pacchetto fatto di carta stagnola. Questo bi-cartoccio lo si porta sulla piastra rovente, o sui carboni (per chi ha la fortuna) per la cottura.

In pratica ciò che sta nel pacchetto si cuoce al vapore, ma poiché la pressione interna tende ad aumentare (infatti il pacchetto si gonfia come un palloncino durante la cottura), la temperatura di cottura aumenta leggermente oltre il punto di ebollizione dell’acqua. L’effetto è una maggiore accentuazione delle componenti aromatiche e speziate unitamente alla migliore salvaguardia dei principi nutritivi poiché i tempi di cottura si riducono rispetto ad una cottura al vapore classica.

Detto ciò andiamo in cucina e divertiamoci con il piatto di oggi.

La ricetta

Per due porzioni bastano due filetti di un esemplare di scorfano da 500 o 600 gr, un finocchio con la sua barbetta, un cucchiaio di pinoli, un cucchiaio di olive taggiasche denocciolate, una arancia possibilmente non tratta, olio extra, sale e pepe rosa qb

 

  1. Tostate due minuti i pinoli su una padella antiaderente
  2. Grattugiate la buccia dell’arancia, mettetela da parte e poi pelatela a vivo. Pelare a vivo vuol dire eliminare tutto lo strato esterno dell’arancia fino ad arrivare alla polpa interna. Con un coltello a seghetto si elimina prima la calotta superiore. Poi lo si inclina a 45 gradi e si comincia ad eliminare la buccia seghettando e contemporaneamente ruotando l’arancia su se stessa. Infine si prelevano i cuori degli spicchi uno ad uno.
  3. Con una mandolina affettate sottilmente il finocchio.
  4. Tritate la barbetta del finocchio
  5. Preparate due il bi-cartocci come ho descritto nell’introduzione inserendo in ognuno di essi un filetto di pesce, un pizzico di buccia di arancia grattugiata, un pizzico di erbetta di finocchio, delle olive taggiasche, olio, sale (poco) e pepe. Cuocetelo alla piastra rovente tre minuti per lato.
  6. Preparate una insalata con le fette di finocchio, i pinoli tostati, spicchi di arancia pelati a vivo, olive taggiasche. Condite l’insalata con una citronette ottenuta miscelando succo d’arancia, olio extra, sale e pepe.
  7. Impiattate mettendo al centro un mucchio di insalata ed adagiando su di esso un filetto piastro-vaporizzato. Decorate con della barbetta di finocchio.

 

Il mio piccolo contributo per San Valentino.

Alla prossima……..

 

 
 
 

Lonza di maiale con stracchino rughetta e riduzione di balsamico allo scalogno e miele

Post n°80 pubblicato il 11 Febbraio 2010 da lucio.colizzi
 
Foto di lucio.colizzi

Ultimamente, mio malgrado mi tocca mangiarmi la testa per piatti, sani, intriganti e nello stesso tempo semplici e veloci da fare. In questo piatto (di stampo anni 90) troviamo un taglio particolare del maiale: la lonza. In alcune parti d’Italia si chiama anche lombo e altro non è che la parte superiore dorsale dell’animale. Il fascio muscolare superiore del maiale si suddivide in tre parti: il carrè (dal quale si ricavano le braciole con o senza osso) ; il capocollo (dal quale si ricava la coppa); la lonza che è quasi priva di grasso e che è ottima da fare arrosto o a fettine sottili sottili utili a confezionare per esempio il piatto di oggi.

E lo stracchino? Bè il nome deriva dal fatto che questo formaggio veniva realizzato  con latte intero da mucche munte dopo il rientro dall’alpeggio. Il latte era povero ed il formaggio fresco ottenuto era molliccio e sembrava stanco (stracco)….da qui: stracchino. Se volete potete fare un formaggio simile anche in casa partendo da un bel barattolo di fresco yogurt bianco. Versatelo su un telo da cucina pulitissimo ed appendetelo in frigo con una coppa sotto per una nottata. La mattina dopo troverete il formaggio fresco ben agglomerato nel  telo. Non vi rimane che metterlo in una formina e conservarlo in frigo (diventa sfizioso se lo aromatizzate con dell’erba cipollina tritata).

La ricetta

Procuratevi per quattro persone una ventina di fette sottilissime di lonza, uno stracchino da 250 gr, un bicchiere di vino bianco molto secco, della rucola (meglio se selvatica), del ghiaccio tritato (una manciata), aceto balsamico, un cucchiaino di miele, uno scalogno, delle scaglie di pecorino stagionato o parmigiano reggiano (come preferite).

  1. In una pentola versate un bicchiere di balsamico, aggiungete uno scalogno intero ed un cucchiaino di miele millefiori. Riducete sulla fiamma fino ad ottenere una salsa molto densa (questa salsa la potete tranquillamente conservare in frigo per usi futuri). Ovviamente se avete la possibilità di utilizzare un balsamico stravecchio già bello denso e ristretto, questo passaggio diventa superfluo.
  2. Mettete la rughetta 10 minuti in acqua e ghiaccio per renderla arricciata e croccante
  3. Scottate con un filo d’olio tutte le fettine di lonza (20 secondi per parte) e disponetele su un vassoio sovrapponendole un po una sull’altra
  4. Eliminate dalla padella il grasso in eccesso e deglassate poi sempre sul fuoco con mezzo bicchiere di vino bianco. Fate evaporare
  5. Aggiungete lo stracchino e riducete il tutto in una salsina densa aiutandovi con una frusta mantenendo la fiamma bassa
  6. Versate la salsina sulla lonza aggiungete poi la rughetta fresca, le scaglie di parmigiano o pecorino e qualche goccia di riduzione di balsamico

Alla prossima……..

 

 
 
 
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INFO


Un blog di: lucio.colizzi
Data di creazione: 27/12/2008
 

FOTOGRAFIA GASTRONOMICA

Il mio piatto dal titolo "Il Porcino di Mare" ha vinto il concorso nazionale fotografia gastronomica "anche l'occhio" 2007.

Il Porcino di Mare

 






 





 

 





 





 





 
 




 

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