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filo aperto con tutti coloro che s'interrogano sull'organizzazione politica della società e che sognano una democrazia sul modello della Grecia classica

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Messaggi di Febbraio 2017

IL REDDITO DI CITTADINANZA

Post n°884 pubblicato il 28 Febbraio 2017 da rteo1

http://www.lafeltrinelli.it/ebook/teodoro-russo/reddito-esistenza/9788892322691

II) IL REDDITO DI CITTADINANZA

Vale la pena  soffermare l'attenzione anche sulla proposta avanzata in Parlamento da un Movimento politico di opposizione (M5S) che ne ha fatto il nucleo fondamentale del "programma elettorale".

Trattasi del cosiddetto  "reddito di cittadinanza" .

Va evidenziato che, almeno nella denominazione, non costituisce una novità, avendo già avuto un precedente: il "reddito di cittadinanza" introdotto qualche anno addietro dalla Regione Campania, che si rivelò quanto mai disastroso per le casse regionali e che incise, e non poco, sulla moralità sia dei beneficiari che degli amministratori locali responsabili dell'erogazione del contributo (di circa 350.000 lire mensili).

Ovviamente un precedente, malgrado si sia rivelato così poco edificante, non deve costituire un ostacolo, quando l'idea politica possa essere ritenuta encomiabile e condivisibile.

Per poter dare un giudizio al riguardo della proposta del detto Movimento è necessario esaminare alcuni punti salienti del disegno di legge, la cui relazione di presentazione si fonda sulla seguente premessa politica: «Nessuno deve rimanere indietro! Attualmente in Italia sono troppe le persone e le famiglie che dispongono di un reddito che non permette di vivere con dignità.

La mancanza di lavoro e di occupazione ne è la causa principale. Bisogna agire sui redditi e sul lavoro».

Con il primo articolo si sancisce l'istituzione del reddito di cittadinanza « in attuazione dei princìpi fondamentali di cui agli articoli 2, 3, 4, 29, 30, 31, 32, 33, 34 e 38 della Costituzione nonché dei princìpi di cui all'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea».

Al comma 2, poi, si dichiara che «Il reddito di cittadinanza è finalizzato a contrastare la povertà, la disuguaglianza e l'esclusione sociale, a garantire il diritto al lavoro, la libera scelta del lavoro, nonché a favorire il diritto all'informazione, all'istruzione, alla formazione, alla cultura attraverso politiche finalizzate al sostegno economico e all'inserimento sociale di tutti i soggetti in pericolo di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro».

Bisogna certamente dare atto che l'iniziativa è meritoria, tuttavia presenta una connotazione alquanto ideologica, e forse demagogica, in rapporto ai fondamentali di una società organizzata.

Nelle intenzioni del "Movimento" con il reddito di cittadinanza si darebbe "attuazione" ai principi fondamentali della Costituzione di cui all'art. 2 (diritti inviolabili dell'uomo), all'art.3 (principio di eguaglianza), all'art. 4 (diritto al lavoro), all'art. 29 (diritti della famiglia), all'art. 30 (doveri della potestà genitoriale), all'art. 31(al dovere della Repubblica di concedere agevolazioni economiche), all'art.32 (alla tutela della salute), all'art. 34 (al diritto all'istruzione), e all'art. 38 (diritto degli inabili ad avere il mantenimento e l'assistenza), nonché dei princìpi di cui all'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea .

Trattasi, come ben si rileva dalla lunga elencazione dei "princìpi", di un tentativo di raccordare un intero sistema sociale, economico e politico mediante una sola soluzione: il reddito di cittadinanza.

Purtroppo, però, quando si "spara nel mucchio" si rischia di non colpire il vero bersaglio.

Manca, a quanto pare, l'idea politica di fondo, e ci si illude di dare una risposta globale ad un insieme di problemi con una sola misura economica.

Così la stessa denominazione di "reddito di cittadinanza" si sbiadisce e non trova una netta corrispondenza né con la fonte né con tutti gli effetti.

Parlare di "cittadinanza", e non di altra condizione individuale o collettiva (come ad es. nazionalità, umanità, apolitìa, rifugiati, ecc.), impone dei vincoli inevitabili negli effetti.

La cittadinanza è uno "status" che si acquisisce fin dalla nascita, per effetto dello jus sanguinis; chiunque nasca da cittadini italiani è, per legge, cittadino italiano.

Collegare, perciò, il reddito a tale status di cittadino vuol dire soltanto che chi ha lo status ha il diritto ad avere tale reddito (che ben può essere articolato in base alle risorse disponibili, sia individuali che familiari).

  Tutti gli ulteriori obiettivi, derivanti dall'erogazione, come quelli di "garantire il diritto al lavoro", "la libera scelta del lavoro", di favorire il "diritto all'informazione, all'istruzione, alla formazione, alla cultura", non fanno altro che "caricare" eccessivamente il progetto politico, col rischio di renderlo inattuabile e vago.

Non si può negare, ovviamente, che anche tali ulteriori situazioni individuali e sociali meritino di avere un'attenzione da parte delle istituzioni, ma è sempre opportuno "non mettere mai troppa carne a cuocere".

Il "reddito di cittadinanza", perciò, dovrebbe essere depurato da tutte le ulteriori finalità, che peraltro già trovano, in qualche misura, una risposta da parte dell'ordinamento giuridico.

La ragione principale, perciò, deve essere, e non può non essere, quella della "cittadinanza", che in democrazia vuol dire "cittadinanza attiva".

Questa è l'alimento della democrazia, contro ogni tentativo dei governi oligarchici di avversarla, limitarla o annientarla (come sta accadendo negli ultimi tempi).

Aristotele, nella Costituzione degli Ateniesi , a proposito della partecipazione dei cittadini all'attività politica, ricorda che «All'inizio rifiutarono di accordare un'indennità per l'Assemblea: in seguito poiché i pritani non si riunivano in Consiglio, ma facevano solo molti sofismi per ottenere la maggioranza al fine della ratifica del voto, Agirrio per primo stabilì di dare un obolo, dopo costui Eraclide di Clazomene, soprannominato «il Re», stabilì due oboli, e di nuovo Agirrio tre».

Tale "obolo", che oggi costituisce l'indennità per la  funzione parlamentare (autoliquidato dai diretti interessati, oltre ad altri privilegi), è stato un rimedio necessario per far "partecipare" i cittadini alla gestione del governo della Polis (la Comunità-statale).

La "partecipazione", perciò, ha un costo, e in democrazia non si può evitare.

La norma fondamentale è l'art.49 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

Non sono, però, i "partiti" i principali destinatari delle risorse economiche (sebbene se ne siano appropriati, anche facendosi liquidare rimborsi esorbitanti rispetto alle spese effettivamente sostenute, e senza alcun obbligo di rendicontazione pubblicamente trasparente e accessibile), bensì i cittadini "per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale".

Bisogna convincersi che la democrazia (per quanto in Italia non sia stata mai ampliata e, oggi, sta subendo un arretramento) si pone in antitesi con la monarchia proprio per il diverso ruolo dei cittadini. Mai, nella monarchia potrà accadere, per le vie costituzionali, ovviamente, che un suddito possa diventare Re; diversamente, invece, nella democrazia (repubblicana): L'art.84 della Costituzione italiana sancisce: «Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquantanni di età e goda dei diritti civili e politici».

E sul cittadino gravano, altresì, ulteriori doveri, così come risulta dall'art. 52 della Costituzione: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino».

Da questo deriva, perciò, che il "reddito di cittadinanza" ben può essere giustificato dal solo status di cittadino.

Trattasi, in altri termini, di una provvidenza economica di natura "politica", che forse non ha eguali, se non negli altri princìpi che caratterizzano la democrazia, come l'eguaglianza (sostanziale) tra i cittadini e la libertà (dal potere di governo).

Il "reddito di cittadinanza", perciò, che il Movimento politico si è preoccupato di fondare su molteplici "princìpi" (convinto, forse, di dover trovare più ampie giustificazioni), in verità ben troverebbe la sua fonte proprio nella cittadinanza e nella democrazia. E così si renderebbero anche inutili tutte le molteplici pastoie burocratiche che nel provvedimento sono state elaborate per prevedere compiti di controllo e di responsabilità di una filiera di enti pubblici, che forse assorbirebbe una parte consistente delle risorse .

Non appare neppure condivisibile la soluzione della istituzione di un apposito Fondo per il reddito di cittadinanza (art.2, lett.m) presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali perché  la "fonte politica" del reddito merita ben altra collocazione in bilancio (dovendo gravare sulla fiscalità generale) e non deve avere alcun collegamento diretto con la "politica del lavoro", che dovrebbe essere riservata alle Comunità-statali (sia territoriali che locali), uniche responsabili dell'impiego dei cittadini beneficiari.

In altri termini o è "reddito di cittadinanza" oppure è altra cosa, perché dalla sua qualificazione ne derivano tutte le inevitabili conseguenze.

 


DISEGNO DI LEGGE N. 1148 (S) - Istituzione del reddito di cittadinanza nonché delega al Governo per l'introduzione del salario minimo orario comunicato alla presidenza il 29 ottobre 2013. Assegnato alla 11^ Commissione permanente in sede referente che l'ha esaminato in data 28.1.2016 unitamente ad altre proposte legislative aventi analoghi contenuti.

Vds. G.U.C.E. n.C 364/1 del 18.12.2000. Articolo 34 (Sicurezza sociale e assistenza sociale) 1. L'Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali. 2. Ogni individuo che risieda o si sposti legalmente all'interno dell'Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali. 3. Al fine di lottare contro l'esclusione sociale e la povertà, l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali.

ARISTOTELE, La Costituzione degli ateniesi, [ΑΘΑΝΑΙΩΝ ΠΟΛΙΤΕΙΑ], traduzione M. Bruselli, BUR, 1999, p.93;

L'art.2 del d.d.l prevede una «struttura informativa centralizzata» per la condivisione e l'aggiornamento di un archivio informatico destinato alla raccolta e alla gestione dei dati; la banca dati; la istituzione del fascicolo personale elettronico del cittadino e il  libretto formativo elettronico del cittadino; il registro nazionale elettronico delle qualifiche

La somma prevista per il 2014 è di €.9.360. e di €. 780 mensili.

 
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ebook: BENE COMUNE

Post n°883 pubblicato il 24 Febbraio 2017 da rteo1

https://www.amazon.it/dp/B06X9DN2KN/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1487968868&sr=8-1&keywords=ebook+teodoro+russo

http://www.lafeltrinelli.it/ebook/teodoro-russo/reddito-esistenza/9788892322691 

III) IL BENE COMUNE

Il concetto di "bene comune" è indissolubilmente collegato al regime di governo.

È "comune a tutti" soltanto nella "democrazia pura", dove l'eguaglianza è anche "sostanziale" oltre che formale e, ovviamente, politica.

Non può esistere, perciò, in un regime di "monarchia assoluta", come, ad es., quella francese di Luigi XIV, e neppure nei regimi dittatoriali (oligarchie militari, economico-finanziarie e teocratiche) dove coincide con la sola visione ed esigenza personale dei titolari del governo dello Stato.

Tale espressione è sempre ricorrente nei discorsi politici e istituzionali, ma anche nelle discussioni tra semplici cittadini (spesso tutti in malafede perché ciascuno è portatore di interessi di parte da difendere ad oltranza, per cui tutto si può modificare tranne i propri interessi e privilegi).

Non c'è occasione pubblica o privata, infatti, in cui non si faccia riferimento al "bene comune", e tutti, a quanto pare, concordano sempre su tale formula magica.

Il problema, però, si manifesta subito dopo, ogni qualvolta si cerchi di definirlo, di dargli un contenuto, un perimetro, per evitare fraintendimenti, malintesi.

Ecco, che allora ci si rende improvvisamente conto che esso è poliforme; è come un elastico, e per questo i politici e i rappresentanti delle istituzioni pubbliche vi si appellano spesso perché sanno che così non saranno mai vincolati a nulla di preciso e avranno sempre le "mani libere".

Purtroppo anche la democrazia, così come gli altri diversi regimi di governo, vive di luoghi comuni, di effetti speciali, che spesso all'esame pratico, quando si tenta di conoscerli meglio nel loro significato, si rivelano senz'anima.

Queste espressioni generiche, però, quando i cittadini le utilizzano senza approfondimenti e riflessioni critiche pregiudicano la loro crescita e consentono l'affermazione dell'inganno, del raggiro, nelle relazioni sociali e politiche.

Occorre, perciò, che i cittadini, per tutelare realmente gli interessi generali e porre dei necessari limiti all'esercizio del potere, pretendano sempre che la forma abbia una sua sostanza, un contenuto, e anche dei principi e dei valori di riferimento, per cui essi dovranno sempre censurare gli inutili rituali e le espressioni sacralizzate ad arte con cui si pretenda di annullare la ragione e il senso critico.

Per questo, che cosa sia il "bene comune", deve essere una domanda ricorrente, da porre prima di tutto a se stessi, e poi ai propri interlocutori e ai politici di turno, per comprendere che cosa questi intendano e come lo realizzino.

E la prima risposta deve essere data alla domanda che cosa s'intenda per bene. (segue)

 
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EMARGINATI E PRECARI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI

Post n°882 pubblicato il 15 Febbraio 2017 da rteo1

EMARGINATI E PRECARI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI

È L'ORA DELLA "VERITÀ".

LA SOCIETÀ NON HA NULLA A CHE VEDERE CON LA COMUNITÀ. SOLTANTO QUESTA È CONDIVISIONE: «TUTTI PER UNO, UNO PER TUTTI».

L'ITALIA (MA NON SOLO, A DIRE IL VERO) È UNA GIUNGLA. OGNUNO DIFENDE IL PROPRIO "ORTICELLO",  IN PARTICOLARE NELL'AMBITO PUBBLICO.

CHI È FUORI HA POCHE SPERANZE, O NON NE HA AFFATTO.

I PARTITI DI GOVERNO SONO DIVENTATI UNA CASTA CHE TUTELA QUASI ESCLUSIVAMENTE I PROPRIO ELETTORI DI RIFERIMENTO (CHE SI ANNIDANO QUASI TUTTI NEL PUBBLICO IMPIEGO O HANNO UNA POSIZIONE PATRIMONIALE STABILE E SICURA).

TUTTI GLI ALTRI SONO DEL TUTTO ESTRANEI E LONTANI DAI PROGRAMMI DELLA CLASSE POLITICA AL GOVERNO.

QUESTI "ALTRI", CHE SONO I PRECARI, GLI EMARGINATI, COLORO CHE NON HANNO UN POSTO DOVE DORMIRE O MANGIARE, CHE ROVISTANO TRA I RIFIUTI DEI CASSONETTI, CHE NON HANNO UN LAVORO, SONO COLORO CHE "MINACCIANO" QUELLA PARTE DELLA SOCIETÀ CHE SI È INSERITA NEL SISTEMA STATALE (SIA PER MERITI CHE SENZA MERITI, COME DI FREQUENTE ACCADE).

C'È UN RIMEDIO ? CERTAMENTE SI. TRALASCIANDO LA SOLUZIONE DEL "MANIFESTO POLITICO", CHE RICHIAMA IL TITOLO, OSSIA QUELLA "RIVOLUZIONARIA", LA SOLUZIONE LEGALE È QUELLA DI AGGREGARE E UNIRE TUTTE LE FORZE SOCIALI DEGLI EMARGINATI, DEI PRECARI, DEGLI ESCLUSI E INDIRIZZARE TUTTI I CONSENSI ELETTORALI AD UN SOLO PARTITO POLITICO.

OGGI, A DIRE IL VERO, L'UNICO PARTITO CHE PUÒ FARSI CARICO DI RAPPRESENTARE TALI "EMARGINATI ED ESODATI SOCIALI" È IL MOVIMENTO 5 STELLE PERCHÉ È UN MOVIMENTO CHE VIENE DAL BASSO, OSSIA DAGLI ESCLUSI, DAI CITTADINI EMARGINATI, E NON TUTELA LA MASSA DI STABILIZZATI CHE SONO DENTRO IL SISTEMA E LO DIFENDONO AD OLTRANZA, INCURANTI DELL'INTERESSE COMUNE E GENERALE.

PURTROPPO, ALLO STATO, È QUESTA L'UNICA SOLUZIONE POLITICA REALISTICA, CHE TUTTAVIA NON HA ALCUNA POSSIBILITÀ DI RIUSCITA IN TEMPI BREVI PERCHÉ I PARTITI DI GOVERNO CONTINUERANNO AD APRIRE LA BORSA PER MANTENERE IL CONSENSO, CON BONUS E TICHETS, NONCHÉ AUMENTI DI STIPENDIO IN FAVORE DI QUELLA SOLA PARTE SOCIALE CHE  LI SOSTIENE.

PRECISAZIONE: NON SONO UN ELETTORE 5 STELLE, MA SOLTANTO UN UOMO IN CRISI D'IDENTITÀ CHE NON RIESCE PIÙ AD ACCETTARE UNA SOCIETÀ CHE ESCLUDA ANZICHÉ INCLUDERE TUTTI I CITTADINI (CHE CONSIDERO TUTTI MIEI FRATELLI POLITICI).

 
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SOCRATE NON HA PAURA DELLA MORTE

Post n°881 pubblicato il 13 Febbraio 2017 da rteo1

SOCRATE NON HA PAURA DELLA MORTE

Tratto dall'opera Fedone, di Platone.

Socrate, sulla constatazione che «Tutti...considerano la morte fra i grandi mali», illustra a Simmia e Cebete perché lui ha una diversa idea al riguardo:

« Dunque che altro pensiamo che sia la morte se non una separazione dell'anima dal corpo ? E che il morire sia questo, da un lato un separarsi dal corpo dell'anima, per starsene il corpo da sé, dall'altro un distaccarsi dell'anima dal corpo per starsene a sua volta da sola ?

[...] finché abbiamo il corpo e la nostra anima è intrisa di cotesto male, mai riusciremo a raggiungere pienamente quello cui aspiriamo e che diciamo essere la verità. Infiniti sono gli ostacoli che ci crea il corpo a causa del necessario sostentamento. [...] Esso poi ci riempie di amori, di passioni, di paure, di immaginazioni le più disparate e di ogni sorta di futilità [...] Null'altro, infatti, ci procurano il corpo e i suoi desideri se non guerre, rivolte, battaglie. Tutte le guerre avvengono per l'acquisto di ricchezze; e le ricchezze dobbiamo necessariamente procurarcele per il corpo, schiavi dei suoi bisogni. [...] Per colpa sua, non è possibile scorgere la verità. [...] Se vogliamo conoscere qualcosa nella sua purezza, dobbiamo distaccarci completamente da lui e guardare con l'anima da sola le cose nella propria essenza. Soltanto allora, come pare, ci sarà dato di raggiungere quello che desideriamo..., ma da morti... non finché viviamo. [...] Soltanto allora infatti l'anima si troverà sola per se stessa separata dal corpo, ma non prima». Afferma, inoltre, che «i vivi non possono trarre origine da alcuna altra provenienza, se non dai morti» e che questo è comune a tutte le specie viventi: «non considerare la cosa solo rispetto agli uomini... ma anche rispetto a tutti gli animali e alle piante, e insomma, su tutti gli esseri che hanno una nascita» perché «tutti gli esseri che hanno il loro contrario...[traggono] origine da...  il loro contrario».

Nella "Apologia di Socrate", invece, si riporta quanto Socrate disse durante il processo: "La morte...è una di queste due cose: o è come non essere nulla e il morto non ha alcuna consapevolezza, oppure, secondo quel che si dice, la morte è un cambiamento e, per così dire, una migrazione dell'anima da questa sede, quaggiù, verso un altro luogo. Ora, se la morte non è avere alcuna coscienza, ma è come un sonno, quando uno, dormendo, non vede più nemmeno un sogno, la morte può essere un meraviglioso guadagno;[...] Se poi la morte è come un emigrare di qui verso un'altra sede, ed è vero quel che si dice, che là si incontrano tutti i morti, quale bene può esservi più grande di questo, o giudici ? Che se uno, giunto nell'Ade, liberatosi ormai dai sedicenti giudici di qui, troverà laggiù i veri giudici, quelli che anche là, come si dice, si occupano di giudicare, quali Minosse, Radamanti, Eaco, Trittolemo e quanti altri semidei furono giusti nella loro vita, come potrebbe essere tale trasmigrazione disprezzabile ? E a qual prezzo non accetterebbe ognuno di voi di stare insieme a Orfeo, a Museo, a Esiodo ed Omero ? Io desidero morire più e più volte, se questa è la verità. Meraviglioso infatti, sarebbe per me il soggiorno laggiù, quando mi incontrassi con Palamede, con Aiace Telamonio e con qualunque altro degli antichi eroi che vennero a morte per un giudizio ingiusto e confrontare i casi a me occorsi ai loro; [...] E qual prezzo, uno di voi, giudici, accetterebbe di versare per conoscere colui che condusse a Troia la grande spedizione, o Odisseo, o Sisifo, o gli altri innumerevoli uomini e donne che si potrebbero nominare, e dialogare con loro, convivere e interrogarli, laggiù, non sarebbe il colmo della felicità ? Certamente quelli di laggiù non mandano a morte nessuno, infatti, sotto ogni aspetto, sono assai più felici di quelli di qua, e ormai, per tutto il resto del tempo sono immortali, se è vero quel che si dice".

 
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LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE SULL'ITALICUM

Post n°880 pubblicato il 11 Febbraio 2017 da rteo1

LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE SULL'ITALICUM

La sentenza, per chi la voglia leggere nella versione integrale, è la n. 35 del 25.1.2017.

In questa sede mi interessa solo fare alcune riflessioni in ordine a quanto la Corte ha sostenuto, nella parte in diritto, sull'art. 56 della Costituzione che  al comma 4 prevede quanto segue:

«La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni [...] si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per seicentodiciotto e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti»

Ad avviso della Corte :

« Il disposto di cui all'art. 56, quarto comma, Cost. non può essere ...inteso nel senso di richiedere, quale soluzione costituzionalmente obbligata, un'assegnazione di seggi interamente conchiusa all'interno delle singole circoscrizioni, senza tener conto dei voti che le liste ottengono a livello nazionale »;

e inoltre:   « L'art. 56, quarto comma, Cost. non è preordinato a garantire la rappresentanza dei territori in sé considerati (sentenza n. 271 del 2010), ma... tutela la distinta esigenza di una distribuzione dei seggi in proporzione alla popolazione delle diverse parti del territorio nazionale: la Camera resta, infatti, sede della rappresentanza politica nazionale (art. 67 Cost.), e la ripartizione in circoscrizioni non fa venir meno l'unità del corpo elettorale nazionale, essendo le singole circoscrizioni altrettante articolazioni di questo nelle varie parti del territorio ».

Come a dire, ad esempio, e in altro modo, la Costituzione dice solo quanti seggi devono essere assegnati alla Campania, ma chi la deve "rappresentare" in Parlamento lo devono stabilire i partiti che possono anche "calarli dal Piemonte" (tanto per ricordare la storica "annessione" al regno dei Savoia.

Come ben si rileva dal mio post dello scorso 6 gennaio c'è una evidente discordanza tra il mio "modesto" punto di vista e quello "autorevole" della Corte.

E tuttavia resto comunque convinto della bontà della mia "interpretazione" che pure si fonda sui princìpi dell'idea democratica. Senza questa idea, infatti, che non va data per scontata, ossia da tutti posseduta, non si potrà mai orientare l'ordinamento politico e costituzionale verso una maggiore democrazia.

La "Circoscrizione elettorale", alla quale sono assegnati i seggi in "proporzione alla popolazione residente, deve poter esprimere da questa i suoi rappresentanti (ECCO ANCHE LA RAPPRESENTANZA TERRITORIALE che si proietta in Parlamento), i quali, entrando - DOPO - a far parte del Parlamento "rappresenteranno l'intera Nazione".

La decisione della Corte, invece, consente ai partiti (e quindi alla Casta) di poter candidare nella circoscrizione i propri fedelissimi anche senza radicamento territoriale, realizzando, così, una NUOVA "colonizzazione" dei territori.

 
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