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Amsterdam...

Post n°568 pubblicato il 13 Maggio 2008 da CacciatricediSangue

Amsterdam: DEI ZIRO

Tutto cominciò con un volo andata e ritorno per Amsterdam regalatomi al compleanno (non credo smetterò mai di ringraziarle per questo). Il viaggio era previsto per il ponte del primo maggio. Ovvero 4 giorni ad Amsterdam!

Non restava che trovare dei fidi compagni di viaggio.

Dopo varie peripezie che non starò qui ad elencare (compagni virtuali che dicono di si virtualmente e altri che si svegliano un po’ troppo tardi – vero Fa’? - :P) alla fine saremo io e la Zimo a partire per le terre olandesi.

Prenotato l’albergo (decisione difficile e man mano che si avvicinava il giorno X sempre meno economica) non restava che attendere quel famoso dì di maggio… nel mentre c’era tutto il tempo di trovare una guida decente (grande la Zimo che è riuscita nell’intento), organizzarsi con uno pseudo itinerario per non arrivare li completamente spaesate e fiondarsi nel primo coffee shop come l’italiano medio fa, e soprattutto, fare formichina formichina per campare in olanda durante 4 giorni di follia pura. C’è da aggiungere che, avendo trovato l’albergo, avendo prenotato la stanza senza bagno in camera, fummo colte dal dubbio “asciugamani” e fu cosi che nacque il tormentone “but my towels, where are my towels?”. Il tutto perché dovevamo rispolverare il nostro inglese arrugginito per chiedere agli albergatori se la stanza fosse munita di biancheria o se doveva far parte del nostro bagaglio.

Amsterdam: DEI UAN part UAN

La Zimo mi aveva annunciato che aveva una paura fottuta dell’aereo. Di certo non credevo a questi livelli. La notte prima della partenza, in pratica, avrà dormito si e no mezz’ora, il tutto dopo essere tornare da un minifesteggiamento a sorpresa per il compleanno di Miriam, e dopo aver fatto la valigia all’1 di notte.

Ore 8.30 la sveglia. Rincoglionite fradice prendiamo quella che doveva essere una valigia di massimo 15 kg e accompagnate a Ciampino, la prima sorpresa. L’armadio superava di 3 kg il peso consentito. I primi euro se ne vanno li. In 3 kg di non so cosa, visto che…our towels are not here!

Ora, Ciampino non è Fiumicino. Non hai negozi dove poter girare. Ci saranno si e no due bar, una libreria fittizia, ma forse mi sbaglio, e un altro paio di negozi inutili. Decidiamo cosi di impiegare le due ore di attesa tra un panino di gomma, un libro e la fila al gate a sfottere i personaggi che sarebbero saliti sul nostro volo. La Zimo è visibilmente preoccupata, a quanto pare le gocce di calmante non hanno sortito effetto. In fila per entrare, notiamo un essere nanesco davanti a noi, con un altro ragazzo e la sua ragazza (che pena che c’ha fatto quando ha chiesto ai due se, oltre a fumare, avessero poi un po’ di tempo per girare la città…e che pena che c’ha fatto quando, da sola, scartabellava le cartine di Amsterdam…e che pen…no pena un cazzo, se li è scelti lei i compagni di viaggio!).
Ore 11.40. Le due ore in volo passano relativamente bene. Mi immergo nel libro cercando di evitare il mal d’orecchi provocato dai soggetti sopraccitati che parevano una scolaresca in campo scuola.
Ore 13.50. Coi piedi a terra, con la Zimo ancora sotto shock, dopo aver acquistato, alla modica cifra di 41 neurini, il biglietto andata e ritorno da Eindhoven ad Amsterdam, ci dirigiamo verso il bus. Ad accoglierci una leggera pioggia. Le previsioni forse non erano toppate. Si preannunciava un weekend lungo sotto l’acqua. Prima di salire sul bus il primo livello di delirio mentre si caricavano i bagagli: “My towels! In the baggage there are my towels!”
Ci accaparriamo i primi due posti, e accanto a noi, si posizionano due narcolettici dal sonno pesante. Ho provato a riprenderli ma non si sente quanto potessero russare, quindi eviterò. Sappiate però che se in aereo avevo il vociare nell’orecchio, nel bus avevo quel ronf ronf continuo. Inutile aggiungere che messo piede ad Amsterdam avevo la testa che mi scoppiava. Una chicca al nostro arrivo: all’attesa dei bagagli fuori dal bus, mi sono ritrovata il nanerottolo chiassone del volo. C’è la mia valigia pronta per essere scaricata, l’avverto che è pesante e gli chiedo di spostarsi. Ovviamente, da tipico italiano medio ad Amsterdam, non lo fa e se la prende in faccia. “Ao’ cioè, no dico, te prego, m’ ‘a ha data in faccia!” rivolgendosi al suo amico. L’ovvia risposta da parte mia: “te l’avevo detto che te dovevi spostà”.

Ore 15, o quasi. Prossimo step trovare il punto info per ritirare l’ I Amsterdam card, ovvero la carta che ci avrebbe permesso di prendere tuuuuutti i mezzi pubblici di Amsterdam, ci avrebbe permesso di entrare in quasi tutti i musei senza sborsare altro vil denaro, e soprattutto, ci avrebbe donato la possibilità di provare la fantomatica crocchetta olandese, oltre ad altre cose…che racconterò poi.
Alla stazione centrale abbiamo il primo vero scoglio english da affrontare (chiedere due biglietti da Eindhoven ad Amsterdam era fin troppo facile). Avremmo dovuto chiedere dove diavolo fosse il punto info di Amsterdam a qualcuno. Punto un omino in divisa, sembrava un ferroviere, ma la Zimo mi ha poi fatto notare che poteva essere un impiegato qualunque e che la cuffietta all’orecchio, anziché una ricetrasmittente, poteva benissimo essere un lettorino mp3. Mi preparo mentalmente la domanda, e, scopro che l’omino sta messo peggio di me con l’inglese. Tanto che per indicarmi la giusta direzione mi dice: “Can you see red house? And white?…on the right there is info point” o qualcosa di simile, dove per red intendeva la casa col tetto rosso e per white intendeva la casa accanto col muro bianco. Cominciamo bene!
Da qui non saprò più che ore sono, almeno fino alla mattina dopo.
La Zimo aveva studiato tutto nei minimi dettagli. Sapeva già quale tram prendere, dove andare e dove arrivare… mi ha quasi spaventato, ma non ho dato peso poiché cercavo di orientarmi in quella che è la Venezia olandese.
Giunte così all’info point, dopo due o tre bigliettini per la fila sbagliata, dopo essere riuscite finalmente a prendere la famosa I Amsterdam Card che ci avrebbe aperto le porte, magari non del mondo, ma dei tram e dei musei sì, andiamo infine a prendere il tram numero 5, direzione albergo.

Arrivate a Leidseplein, giusto il tempo di osservare cosa ci fosse li mentre la Zimo consultava la cartina (la city map! Non ancora quella cartina!) due passi ed ecco il miraggio! Finalmente il Backstage. Il nostro albergo. Quello che ci avrebbe consentito di dormire in un letto vero, con un bagno vero, anche se in comproprietà…

Check in, documenti, ricevuta e chiave della stanza. Nessuno scoglio fino ad ora. Si trattava solo di raggiungere la stanza. La numero 3. Nel seminterrato.

Ora, io non ho niente in contrario con i seminterrati, ne con i piani alti, ne tanto meno con le scale, o meglio, con le scale normali. Affrontare quel tipo di scale, le scale olandesi, si, è stato uno scoglio quasi insormontabile, calcolando anche la variabile valigia che se ne andava anarchicamente per i fatti suoi sbilanciando ogni singolo passo in avanti.
Superato l' ostacolo scale è stato tutto molto semplice. Porta chiusa, chiave magnetica, porta aperta. Stanza, finestrellina, lavandino, lampadario a tamburo, lett…lett…lettooooo (con un rigagnolo di bava mentre lo si osservava).

Guardiamo l’ora, sono le 17 passate. Negozi e musei sono ormai già chiusi. Soluzione alternativa? Cambiarci e uscire e cominciare a visitare la città che ci avrebbe ospitato per il lungo weekend, e magari sfruttare l’amsterdam card per mettere sotto i denti un qualcosa che assomigliasse a una cena.
Mai decisione fu più fatale. Decidemmo di visitare il quartiere Jordan per poi raggiungere il Pancake bakery. Ristorantino specializzato in uova sottoforma di frittate e affini selezionato dalla miniguida della card.
Il Jordan è uno spettacolo, ma prima di arrivarci dovevamo ovviamente festeggiare. E come festeggiare se non nel primo coffeeshop che troviamo sulla strada? Un armadio nero dietro al bancone a cui chiedere. Io sono completamente spaesata. Non ho con me ne cartine ne filtrini. Vicino all’entrata c’è un distributore automatico. Dopo aver preso da bere, mentre la Zimo controllava l’altro menù, io prendo gli spiccioli con me e mi faccio coraggio. Coraggio che non servirà a nulla. Perdo gli spiccioli e osservo filtrini e cartine ancora in quel distributore che non credo capirò mai come funzioni (no, non avevo ancora fumato). L’armadio nero, che si era allontanato momentaneamente, rientra nel locale, gli chiedo “half gram of white widow please” e lui comincia a cercare tra la moltitudine di contenitori. La bianca vedova è praticamente finita. Ci consiglia la Crystal che è simile. E sia, proviamo sta Crystal.
Deficienti come non mai, festeggiamo l’arrivo ad Amsterdam rincoglionendoci con la prima canna, vi ricordo che nello stomaco c’erano solo quei due miseri panini di gomma dell’aeroporto. Ancora più dementi.

Ci alziamo barcollando e cominciamo a camminare.

In un punto imprecisato del quartiere Jordan (solo la Zimo sapeva dove stavamo andando, io non ne avevo la più pallida idea dato che, a prima vista, le vie sono come quelle di Venezia, ovvero tutte uguali), dopo svariati silenzi, dopo piccoli deliri da citofoni (“my patent is on the table, near the fruit…and my towels?”) la Zimo, dal nulla, se ne esce con “ma ste cazzo di declinazioni, che lingua assurda”. Credo che l’affermazione da sola possa spiegare il livello di fattanza del momento. Mi sono dovuta appoggiare al muro. Ridevo, avevo le lacrime e non respiravo più.
Poco dopo arriviamo alla meta prefissata. Il piccolo ristorantino è lungo e stretto. Una fila di tavoli a destra e una a sinistra. E ovviamente pieno.
Attendiamo fuori il nostro turno. Li, proprio li, la Zimo intavola svariate conversazioni a cui io annuirò il più delle volte, ma non sa che non ci capivo nulla. Mentre a lei la Crystal ha dato la parlantina a me ha dato il rincoglionimento rallentato. Vivevo i secondi come se durassero ore (e non esagero) mentre lei mi parlava io focalizzavo immagini, viaggiavo col cervello, poi tornavo, capivo cosa mi stava dicendo, e di punto in bianco il vuoto. Non ricordavo più nulla. Per poi ricordare pochi istanti dopo. Una cosa allucinante.
Intanto davanti a noi un cliente veniva servito. Gli portano un piatto. Sembra pizza. “Simo’ ma qui fanno pure le pizze? Perché quella che gli ha portato pare proprio una pizza” “Si ma che razza di pizza…guarda che è, sembra gomma”.
Scopriremo solo poi che quella non era una pizza ma un pancake.

Sedute al tavolo, dopo aver ordinato da bere e ricevuto i bicchieri pieni, le cameriere non ci filano più per parecchio. Ma il mio parecchio è relativo, in quanto la mia fattanza mi faceva quel gioco strano del tempo rallentato.
Cerchiamo di andare sul sicuro. Io non sono un’amante delle uova, quindi si opto per provare il famigerato pancake ma con almeno qualcosa di familiare. Funghi prosciutto e formaggio.
Arriveranno questi cosi somiglianti a pizze, fini fini, piatti piatti a tal punto da sembrare quasi inesistenti (salvo poi riempirti fino a scoppiare senza rendertene conto…cazzo usano troppo burro!). Da buone italiane ci distinguiamo cominciando a tagliare il pancake come fosse pizza, ovvero a spicchi. Il primo boccone va giù, è decente. Il secondo idem, è quasi buono…anche se c’è qualcosa che non mi torna. Masticando sento qualcosa di strano che ricorda le patate poco cotte, ma non sono patate. Osservo la Zimo. Ha cominciato a vivisezionare la frittatina-pizza. “Zi’ che stai a fa?” “Levo la cipolla, nun la reggo

Cazzo!

È cipolla. Non sono patate. È cipolla! Inconsistente, inodore, insapore cipolla olandese! Decido di evitare di fare la solita scansona, lascio alla Zimo il compito di fare il cumuletto di cipolla che andava a coprire lo strato inferiore del pancake e mando giù. Gran cazzata! Chiunque decidesse di mangiare un pancake, lo chieda possibilmente con poca cipolla. La cipolla olandese è un killer di professione. Tornerà su da li ai 3 giorni successivi.
Il pasto, per quanto fosse riuscito a placare la fame, a riempire lo stomaco e a uccidere i ritorni di fiamma ripresentandosi regolarmente in gola con una puntualità svizzera, ci aveva soddisfatto si, ma non aveva risolto la fattanza. Decidiamo di comune accordo il probabile suicidio dopo svariati minuti (che a me sono sembrate mezz’ore). Col dubbio di ritrovare la cipolla anche li, ordiniamo un pancake con la nutella da smezzare.

Beh la cipolla li non c’era, sarà stata l’indigestione di uova, la potenza della nutella…ma quella cosa ci ha rimesso al mondo!
Dopo aver rispolverato il vocabolario d’inglese alla voce conto, paghiamo, ci alziamo ed usciamo dal locale rinate. O quasi.

È sera…e la giornata non è ancora finita. Ed ero ignara di ciò che fuori ci attendeva…

 
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io86dark il 14/05/08 alle 20:28 via WEB
O_O perchè lo odi????
 
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