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Amsterdam

Post n°569 pubblicato il 14 Maggio 2008 da CacciatricediSangue

Amsterdam: DEI UAN part CIU’

E fu cosi che cammina cammina, dal quartiere Jordaan, dopo chiese gotiche, e il finto palazzo reale (scambiato per quello vero, ma era “solo” un centro commerciale immensissimo) sbucammo in piazza Dam. A dire il vero io non l’ho mica riconosciuta subito. Le foto che avevo nella testa (metteteci anche la fattanza) non erano mica piene di tutte quelle lucine. In pratica ci siamo ritrovate sommerse da un mini luna park, i rimasugli della festa della regina…e i festeggiamenti continui dei primi di maggio ad Amsterdam. Dopo aver rischiato il vomito osservando due pazzi all’interno di una sfera metallica che si facevano tirare in aria (una specie di bungie jumping), dopo esserci chieste del perché di quel masochismo, dopo averlo pure filmato, dopo l’ennesima riproposizione cipollesca, ci facciamo avanti e ci avviciniamo…

E fu cosi che sento urlare la Zimo “Le frittellineeeeee ho ritrovato le frittellineeee devi provare le frittelline sono fantastiche le frittelline sono uno spettacolo le frittelline mangia le frittelline non ci posso credere ci sono le frittelline ho ritrovato la donnina delle frittelline ci sono le frittelline fantastiche le frittelline prendiamo le frittelline…!” è andata avanti cosi fin quando la “signorina delle frittelline” ci ha guardato aspettando che le dicessimo cosa volevamo. Scoperto che le frittelline si chiamassero poffertjes, le chiediamo due porzioni medie, semplici.

Ora sta a capire, o a immaginare, cosa potessero essere quelle elaborate. Poiché quelle frittelline (spettacolari è vero) sono una bomba. Una vera bomba che uccide lo stomaco e il fegato definitivamente (se già non l’avesse fatto la cipolla). Ignare degli ingredienti, osserviamo attentamente la signorina poffertjes mentre cuoce le frittelline su una piastra unta di non so se olio, burro, strutto, grasso di dinosauro liquefatto. Le gira con una forchettina, poi le prende una ad una, le impiatta, avvicina il piattino a un mega ciotolone di zucchero a velo, le spolvera, le cosparge, le copre, le inonda, le sovrasta di zucchero a velo… e dulcis in fundo ci piazza in mezzo un bel tocco di burro, tanto per restare leggeri.

Mandati giù i piccoli mattoncini rotondi e dolci, attraversiamo il piccolo parco giochi luminoso e andiamo a fare la foto di rito davanti ai leoni di piazza Dam. Tipica foto giapponese, senza ditini alzati per fortuna. Ovviamente la foto è nel rullino che la Zimo spero abbia portato a sviluppare.

C’è parecchio movimento in giro, tanti turisti e da dietro i leoni arriva un altro genere di luci. Non è il luna park. È il red light district, il quartiere a luci rosse di Amsterdam. Incerte se avventurarci nei meandri di quella zona ma ancora con la fattanza in circolo, studiamo il movimento e decidiamo per il rischio. Anche perché visitarlo di giorno non è sicuramente la stessa cosa.
Ho evitato di filmare e fotografare qualsiasi cosa si muovesse in quella zona. Non avevo la possibilità cerebrale di stare a discutere in olandese.

Sta di fatto che visibilmente Amsterdam cambia. Dai negozietti di souvenirs, si passa ai negozi di vibratori ultima generazione. Tutti colorati, di ogni misura forma e materiale. Li in bella vista. Ammetto che fanno un certo effetto al posto delle tazze e gli zoccoletti made in Holland. Dalle finestre delle casette olandesi si passa alle finestre illuminate rosso fuoco, con donne di svariata bellezza (e anche no) ovviamente senza scafandro, muta, pinne fucile ed occhiali. Chi al telefono, chi affaccendata in faccende affaccendate, chi ballando musiche silenziose, chi con lo sguardo attira i passanti…e chi al lavoro con le tende tirate (quindi, per tutti i guardoni della specie, non si può vedere, zozzoni!).
Beh, c’è da dire che il quartiere a luci rosse ha il suo fascino particolare, anche se pure li si può notare il tipico italiano medio. In gruppo, si muove automaticamente con la testa rivolta verso le finestre come un automa. Si blocca. Si ferma a fissare, sguardo imbambolato, occhio da pesce fracico, rigagnolo di bavetta ai lati della bocca e commentini patetici all’amico che sta al suo fianco del tipo “questa me la farei - a questa na botta je la darei – tiramo su un cinquantino e se la passamo un po’ per uno -  mo je faccio assaggià l’italia “…e giù di li e non dimentichiamoci l’immancabile zainetto invicta! Cammina di qua cammina di là le vetrine vengono intervallate da vibratori e sexyshop, tra night dalle lucine rosse e tende tirate. E soprattutto da dietro ai vetri si intervallano donnine bionde, brune, rossicce, belle, brutte, scorfane, alte, basse, gnappe, stanghe, altolocate, per principianti, per esperti, alla mano (non fraintendete, o fraintendete pure), a basso costo, ad alto prezzo, e pure i travelli! Tiè! Occhio alla sorpresa quindi, nel caso decideste di avventurarvi e oltrepassare le finestre. Cosi, attraversato il ponte e aver visto le altre lavoratrici notturne sull’altra sponda del canale, salutiamo il quartiere a luci rosse varcato il semaforo (sì c’è tanto di semaforo impalatore – dei pali di metallo si alzano dal sottosuolo, basta vedere la foto in alto – che delimita la zona).

Ma non potevamo ancora tornare in albergo. Mancava una cosa. Dovevamo concludere in bellezza.

Cosi, reduci della fattanza, della cipolla che faceva su e giù, delle frittelline, delle mignottine, degli italianini medi… ci dirigiamo presso il Greenhouse.

“Li di sicuro troviamo la bianca vedova” mi afferma la Zimo.

Il posto è piccino ma particolare, e ovviamente pieno come na cucuzza. Il bancone delle erbe aromatiche è in fondo alla sala, c’è un po’ di gente. Osserviamo il menù, e nell’attesa del nostro turno osservo i gadget. La tazza! E mi brillano gli occhi…il tritaerba! E mi ribrillano gli occhi…
È il nostro turno, chiedo all’omino “half gram of white widow” e mi risponde che è finita. Dannazione! Mi consiglia anche lui la Cristal, ma no grazie, già provata… cosi da consigliarci la Perla d’argento. Gli do l’ok convinta che si ricordasse della richiesta del mezzo grammo e mi da il doppio. Vabbe’ non ci facciamo caso. Gli chiedo poi se è possibile avere la tazza e mi risponde che i gadget li vendono al Greenhouse shop, in una via li vicino, ovviamente chiuso perché chiude alle 17.
E cosi svanisce anche l’idea di acquistare un tritaerba (la Zimo ha lasciato il suo a casa). Però tentiamo lo stesso, magari ce ne prestano uno. Non restava che chiederglielo. Però, perché c’è un però, io avevo un vuoto di memoria e non ricordavo in inglese come si chiamasse…cosi che mentre arranco nella richiesta la Zimo mi viene in aiuto. Gesticola, fa cenno all’omino di osservarla e ...nel panico più totale, avvicina le mani a ragno le gira una in un verso una in un altro e accompagna il tutto con un verso “ehm...ui nid a Trun Trun...pliiiis”. Non so come sia riuscito a capire che Trun Trun stava per grinder (sì poi la notte saremmo state colte da illuminazione post fattanza sul nome internazionale del tritaerba).
Bene, avevamo la nostra bustina, le cartine e i filtrini generosamente offerti dal locale (stanno li, te li prendi e ti servi da solo) non restava che trovare un posto a sedere, possibilmente all’interno, visto che fuori tirava una giannetta fredda che gelava le orecchie e la punta del naso. Unica soluzione, il trespolo. Ci arrampichiamo su due sgabelli, ordiniamo da bere, e la Zimo si mette all’opera mentre io preparo il filtrino. Saranno stati i rimasugli del pancake alla nutella, delle frittelline, della cipolla…o che la Zimo non l’ha caricata come la prima (o forse perché mentre preparava la lieta “pietanza” le è mestamente crollata a terra? Cosi da recuperare la mezza rimasta addosso ai suoi stessi jeans e accontentarci) ma la perla argentata si sente di meno. Finiamo la consumazione e prendiamo una boccata d’aria.

È ora di rincasare. La stanchezza si sente…e il domani sarebbe stato ancor più massacrante. Non è nemmeno mezzanotte e noi siamo già due cadaveri ambulanti. Troviamo la fermata del nostro fidato tram che ci porterà a Leidseplein, dove c’è ancora tutta la vita notturna di Amsterdam.

Presa la chiave, entriamo nella hall e veniamo bloccate. Ci sono le scale. Le scale a cascata. Le scale che chiamano il capitombolo. Le scale che portano all’inferno. Siamo troppo sfatte per dormire sulla moquette della hall. Superiamo l’ostacolo stranamente indenni. Giusto il tempo di una doccia, di rapide considerazioni sul fatto che la Zimo non esiste ad Amsterdam in quanto i documenti li hanno chiesti solo a me, in quando non compare in nessuna ricevuta…ma stranamente, la Zimo apparirà in quasi tutte le foto mentre io no. Quindi chi è andata ad Amsterdam delle due? Con questo dubbio ci addormentiamo crollando letteralmente sul letto…

 
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